Prospettive
assistenziali, n. 19, luglio-settembre 1972
NOTIZIE
PROPOSTE DI LEGGE SUGLI HANDICAPPATI
La proposta di legge di iniziativa popolare «Interventi
sugli handicappati fisici, psichici, sensoriali ed i disadattati sociali»
è stata ripresentata di ufficio al Senato e reca il
n. 2.
Al riguardo si ricorda che l'Unione
italiana per la promozione dei diritti del minore e
per la lotta contro l'emarginazione sociale, che l'aveva redatta nel luglio
1968 e lanciata nell'autunno 1969, non ne condivide più alcune parti quali: la
segnalazione, il reperimento organizzato, le strutture speciali quali istituti
chiusi e aperti a carattere di internato, le scuole speciali, l'istituzione
del Ministero dell'assistenza sociale.
Non condivide più oggi, soprattutto,
la validità di una proposta di legge settoriale, concernente cioè
i soli handicappati e disadattati, essendo oggi necessaria e particolarmente
urgente l'approvazione di una legge-quadro sui servizi sociali e sanitari.
Questa diversa posizione è stata
determinata sia da una più approfondita valutazione del problema in linea con
recenti esperienze condotte in Italia e in altri paesi, sia dalla costituzione
delle Regioni a statuto ordinario, sia dalla maggiore presa di coscienza sul
problema da parte delle forze politiche, sindacali e sociali, alla cui positiva evoluzione ha certamente contribuito l'azione
condotta per la presentazione della proposta di legge
con iniziativa popolare.
Con una sua iniziativa autonoma l'On.
Zaffanella del PSI ha
purtroppo presentato in data 30 maggio 1972 alla Camera dei Deputati la
proposta di legge n. 109 identica nel titolo e nel testo a quella di iniziativa
popolare.
Sono state ripresentate in questa
legislatura le seguenti altre proposte di legge in materia: Sen.
Ossicini «Assistenza medico-psico-pedagogica dei soggetti in età evolutiva»,
Senato, 26-5-72, n. 3;
Sen. Dal Canton
«Istituzione di un Comitato centrale per
la programmazione e il coordinamento di tutte le attività relative
alla prevenzione, assistenza e riabilitazione delle minorazioni ed
irregolarità fisiche, psichiche e sensoriali dei soggetti in età evolutiva»,
Senato, 1-7-72, n. 219;
Sen. Dal Canton
«Riabilitazione dei soggetti in età evolutiva che presentano
irregolarità psichiche», Senato, 21-7-72, n. 225;
On. Cocco «Norme per l'assistenza specializzata
all'infanzia e alla gioventù minorata psichica, fisica, sensoriale e
disadattata sociale», Camera dei Deputati, 14-7-72, n. 503.
Occorre tener presente che:
1) nella relazione della proposta di
legge di iniziativa popolare (concernente minori e
adulti) veniva precisato al punto 7.3. «Al fine di raggiungere un effettivo
inserimento degli handicappati e dei disadattati e di superare obiettive
difficoltà di individuare gli handicappati e i non handicappati, i
disadattati e i non disadattati, proponiamo una struttura organizzativa che
provveda, in un primo tempo, agli handicappati e ai disadattati, ma che possa
essere estesa, in un secondo tempo, senza subire modifiche, a tutti gli aventi diritto all'assistenza (anziani, minori privi di assistenza,
ecc.)»;
2) la stessa preoccupazione non è
presente nelle altre proposte di legge (concernenti esclusivamente i minori),
che tendono, anzi, a separare gli handicappati ed i disadattati dagli altri
minori.
CONVEGNO SULLA SALUTE MENTALE
Arezzo 21-22-23 luglio 1972
Rapporto conclusivo
della II Commissione
(approvato
all'unanimità dal Convegno il 23 luglio 1972)
Premesso
- che la
tutela del benessere psicofisico delle popolazioni deve considerarsi
l'obiettivo primario di un sistema di sicurezza sociale,
- che tale obiettivo si realizza
attraverso un processo di unificazione dei vari
momenti dell'intervento sanitario, con il superamento dell'attuale frammentazione,
causa e conseguenza dell'attuale gestione commercializzata, burocratica e
autoritaria dei problemi della salute, e della appropriazione da parte dei
tecnici specialisti di aspetti fondamentali della condizione umana,
- che tale processo di unificazione, strettamente rapportato alla realtà
sociale sul territorio, è condizione necessaria per ricondurre ad unità e
globalità il soddisfacimento dei bisogni materiali della classe operaia e degli
altri strati di popolazione sottoposti nella struttura economica e nella
organizzazione sociale alla logica dello sfruttamento, della nocività
ambientale e della esclusione,
- che tutto
ciò deve essere affrontato attraverso un'opera di demistificazione,
chiarimento e restituzione alla collettività delle contraddizioni che stanno
alla radice dei problemi fin qui delegati alla gestione psichiatrica,
- che questo
processo deve essere verificato attraverso un'analisi che consenta risposte adeguate
ai bisogni reali della collettività e dei singoli, elaborate a contatto e
insieme alla collettività stessa nelle sue articolazioni,
- che questo processo dovrà infine
trovare conclusione nella organizzazione territoriale
unificata dei servizi sanitari e assistenziali di base, democraticamente
gestita dagli organi elettivi e controllata dalle popolazioni;
tutto ciò premesso, la commissione
incaricata di elaborare proposte di organizzazione territoriale dei servizi di
salute mentale nel quadro di un sistema di sicurezza sociale, indica al Convegno
le seguenti linee direttive:
1) Necessità che la fase di
smantellamento delle istituzioni segreganti sia pienamente assunta dalla
gestione politica delle Amministrazioni Provinciali, organi rappresentativi
territoriali a cui è attualmente affidata dalla legge
l'assistenza psichiatrica, le quali, attraverso l'unificazione degli
interventi psichiatrici e assistenziali attualmente gestiti da enti e
organizzazioni settoriali specialistici o centralizzati, attraverso l'uso e
la riqualificazione degli operatori psichiatrici, attraverso un'accorta manovra
sui finanziamenti e attraverso la riconversione delle strutture esistenti,
puntino all'obiettivo di promuovere, in crescente rapporto con le Amministrazioni
Comunali, future destinatarie primarie del nuovo sistema di sicurezza sociale,
e con le organizzazioni di massa dei lavoratori, la costruzione di una rete di
servizi di salute mentale sul territorio, in coerenza alle ipotesi di organizzazione
sanitaria decentrata di base la cui definizione ultima è affidata agli
adempimenti legislativi della Regione.
2) Necessità che fin da queste fasi
di attuazione del nuovo servizio di salute mentale
sia garantita la partecipazione attiva dei cittadini alla definizione di
finalità, contenuti e metodi, sia attraverso forme di gestione comunitaria da
parte degli «esclusi» e della collettività (famiglie, amministratori locali,
rappresentanti sindacali, associazioni volontarie di base) nella fase della deistituzionalizzazione, sia attraverso forme di controllo
permanente da parte degli organismi rappresentativi di realtà associative
(consigli di quartiere, consigli di fabbrica) nella fase, contestuale, di
formazione e funzionamento dei servizi alternativi.
In tale prospettiva si individuano le «conferenze sanitarie di comprensorio»
come occasione a breve scadenza e di iniziativa periferica capace di
costituire momento propulsivo del processo di formazione della nuova
organizzazione pubblica di sanità.
In questo quadro si possono delineare alcune indicazioni operative a breve termine:
1) Blocco di ogni
iniziativa tesa alla attivazione di nuove strutture comunque segreganti, quali
ospedali psichiatrici, istituti medicopedagogici,
centri psicopedagogici, istituti speciali per giovani
o per anziani, organismi stabili d'intervento psichiatrico nella fabbrica e
nella scuola, ecc;
2) Immediato avvio di servizi
territoriali alternativi per la salute mentale integrati nella
organizzazione generale dei servizi sanitari e sociali di base, e tali
da garantire l'unitarietà degli atti sanitari di prevenzione cura e
riabilitazione;
3) Progressiva utilizzazione nei
nuovi servizi territoriali integrati di tutto il personale attualmente
operante nelle istituzioni, o ad esse acquisibile
attraverso un uso della legislazione vigente (per esempio le leggi 431 e 515)
coerente alle premesse sopra descritte, contestualmente al progressivo
smantellamento delle istituzioni stesse.
L'UNEBA VUOLE DEI FATTI O DEGLI ISTITUTI?
Nell'articolo di
fondo del n. 4 di Azione Assistenziale,
1972, con il titolo Vogliamo dei fatti,
l'Uneba lancia un accorato appello ai partiti e all'opinione
pubblica invitandoli a creare una politica dell'assistenza. Quale sia questa politica l'articolo lo dimostra. Infatti mentre si assiste in tutti i paesi ad un più
attento ripensamento dell'assistenza sociale, essendo ormai chiaro a molti
l'inumanità, l'inutilità e nel nostro paese anche l'incostituzionalità di una
politica assistenziale fondata sul ricovero, l'Uneba
ripropone soluzioni di istituti. Così «nel convegno a Firenze per gli istituti
per gli anziani», mentre rilevazioni statistiche (1) hanno evidenziato dovunque una chiara preferenza degli anziani a permanere nel
proprio ambiente familiare, anche in presenza di limiti di non autosufficienza l'Uneba crea normative, sempre per istituti. Né crediamo sia « un ripensamento sulla funzione
dell'anziano nella società in cui viviamo » la normativa che «ogni sala da
pranzo possibilmente riprodurrà le caratteristiche della vita familiare: non
accoglierà più di 25-30 ospiti con tavoli da
Lo stesso dicasi per gli istituti per minori: mentre
i dati ISTAT (2) segnano una variazione di segno negativo per gli istituti per
l'infanzia e i minori in genere, fenomeno che comprova una diffusa coscienza
della inadeguatezza di soluzioni di tipo istituzionale per soggetti che
particolarmente abbisognano di un ambiente di cure di tipo familiare, l'UNEBA
stipula a Firenze nuove convenzioni per gli istituti. Lo apprendiamo sempre da
questo numero del giornale che riporta una lettera di un dirigente di istituto di Napoli che si dichiara compiaciuto per «lo
spirito di comprensione e di buona volontà e la praticità con cui sono state
precisate le norme e gli impegni che debbono regolare il rapporto fra l'istituto
e il minore...» «...l'istituto in base alle convenzioni
stipulate, ha ora precisi obblighi da osservare, ma ha anche limiti ben
determinati, entro cui mantenere le proprie responsabilità...». In definitiva una segregazione un po' più raffinata.
Ma che l'UNEBA non possa volere
l'unica politica d'assistenza vera: il superamento
dell'emarginazione e cerchi invece il consenso a una protesta rigidamente
organizzata e funzionale ai fini delle istituzioni, lo leggiamo di seguito:
«al 31 dicembre 1971 risultavano aderenti all'UNEBA n. 8633 istituzioni
comprendenti: scuole materne, istituti educativo-assistenziali
per minori, istituti per handicappati fisici e psichici, istituti per anziani»
ai quali si aggiungono «centri assistenziali» di diverso tipo e natura e «3480
oratori parrocchiali di diverse diocesi». Non sarà certo quindi l'UNEBA a
fornire le istituzioni degli strumenti che dovrebbero superarle o
distruggerle, ma si affretta a difenderle dal «pericolo di essere
oggetto da parte delle pubbliche autorità (Sindaci, Regioni) della emanazione
di provvedimenti di sovvertimento delle loro strutture».
COLLETTIVO INTERSINDACALE E INTERASSOCIATIVO SULL'ASSISTENZA
Pubblichiamo il
documento «Alcune proposte per avviare servizi alternativi
per anziani» redatto nel luglio 1972.
1. Nel corso delle lotte condotte
nell'istituto di Riposo di Corso Unione Sovietica (3), sono emerse chiare
indicazioni sulla necessità di ristrutturare i
servizi per gli anziani.
Ci richiamiamo in particolare ai
documenti contenuti nel quaderno sindacale « Esperienze di lavoro o di lotta
sui problemi dell'assistenza », pubblicato dai Comitati Regionali del Piemonte
CGIL, CISL, UIL.
Nel documento presentato dalle
Segreterie Regionali CGIL, CISL, UIL alla Regione Piemonte l'11
aprile 1972 è stato richiesto fra l'altro che:
«Per iniziare ad attuare
concretamente una nuova politica nel campo dell'assistenza si richiedono
iniziative immediate a tutti i livelli rivolte a:
- accertare le
cause del ricovero per la progressiva eliminazione delle istituzionalizzazioni
(ospedali psichiatrici compresi);
- bloccare la costruzione e
l'acquisto di nuovi istituti per minori, anziani,
handicappati (gerontocomi, psicogerontocomi, convitti
per spastici, per subnormali, per ciechi, ecc.);
- istituire servizi alternativi non
dopo ma contestualmente allo sviluppo dei servizi sociali di base, assicurando
la continuità delle prestazioni necessarie e cioè:
a) garanzia del necessario economico
per vivere;
b) assistenza domiciliare per
minori, anziani handicappati (...);
c) applicazione non emarginante
della nuova legge sulla casa prevedente focolari per minori e pensionati per
anziani inseriti in modo sparso nelle comuni case di abitazione».
Nella carta rivendicativa sul
problema degli anziani firmata dal Comitato Sindacale unitario del personale
dell'istituto di Riposo di C. Unione Sovietica 220, dalle Segreterie
provinciali CGIL, CISL, UIL, dai Comitati di quartiere e da altre forze sociali
veniva richiesto:
- lo svuotamento progressivo degli
istituti con il blocco delle ammissioni, con sussidi economici agli anziani,
con l'assistenza domiciliare, con l'assegnazione di alloggi;
- nessuna autorizzazione
alla costruzione di nuovi istituti per anziani autosufficienti (case di riposo,
case-albergo) ;
- creazione di un
poliambulatorio per il quartiere Mercati Generali gestito dal comune (con
convenzione con l'INAM) che fornisca anche cure ambulatoriali per gli anziani
della zona, compresi quelli ricoverati in Corso Unione Sovietica».
2. Da questi documenti discende
chiaramente il rifiuto della trasformazione degli attuali istituti in enti
ospedalieri.
Ciò significherebbe infatti un semplice cambiamento di etichetta, poiché
verrebbero lasciate inalterate le condizioni di emarginazione degli anziani e
di organizzazione dell'assistenza spersonalizzante sia per gli ospiti che per
il personale.
3. Si ribadisce
che l'assistenza:
- agli anziani malati acuti deve essere di competenza del settore
sanitario ed essere realizzata non in ospedali geriatrici,
ma in reparti specializzati dei comuni ospedali, soprattutto in quelli di zona;
- agli anziani autosufficienti non deve più essere delegata dai
Comuni ad altre istituzioni, ma assunta direttamente: con prestazioni finanziarie
nei riguardi di coloro che non hanno il necessario
economico per vivere, con l'assistenza domiciliare, con l'assegnazione di
alloggi individuali o collettivi, con la istituzione di piccole comunità (per
10-15 anziani) di quartiere inserite nelle comuni case di abitazione;
- agli anziani cronici con gli interventi
sopra indicati o con la creazione di piccole comunità protette di quartiere in
grado di fornire tutte
le necessarie prestazioni sociali e sanitarie.
4. Ciò premesso si richiede al
Consiglio di amministrazione dell'istituto di C.
Unione Sovietica e al Comune di Torino di pronunciarsi in merito alle
indicazioni di fondo sopra enunciate e in particolare di precisare quale tipo
di ristrutturazione è previsto per l'istituto di C. Unione Sovietica poiché
da un lato il Consiglio di Amministrazione e l'Assessore all'assistenza del
Comune di Torino hanno dichiarato che le nuovi ammissioni di autosufficienti
sono state bloccate e d'altro lato sono in corso lavori di costruzione di
nuovi padiglioni, di ammodernamento di alcuni di essi e di ristrutturazione
generale in modo da determinare un notevole aumento del numero dei posti letto.
5. Per dare avvio concreto a servizi
alternativi, il personale, in accordo con le organizzazioni sindacali, il
Comitato di quartiere Mercati Generali e le forze politiche e sociali della
zona, avanza al Consiglio di amministrazione e al
Comune di Torino le seguenti proposte:
a) istituzione nel reparto al piano
terreno (i cui lavori sono in via di ultimazione) di
un ambulatorio gestito dal Comune di Torino per garantire l'assistenza
sanitaria e riabilitativa agli ospiti dell'istituto e alla popolazione del quartiere.
Dai cittadini, dagli operatori
sociali e dalle forze politiche e sociali intervenuti ai dibattiti promossi dal
Comitato di quartiere Mercati Generali è stato
precisato che l'ambulatorio, nella fase iniziale, dovrebbe fornire le seguenti
prestazioni, la cui esigenza è più sentita:
- di assistenza
domiciliare per gli anziani del quartiere sull'esempio dei centri già istituiti
dal Comune di Torino;
- di medicina
geriatrica preventiva e curativa per gli anziani dell'-istituto e del
quartiere;
- di medicina riabilitativa
(fisioterapia, ginnastica correttiva, ecc.). per gli anziani dell'istituto e del quartiere, e per le
altre persone (minori e adulti) del quartiere che ne abbiano necessità;
- infermieristiche per gli anziani
dell'istituto e la popolazione del quartiere;
- di assistenza
psichiatrica preventiva, curativa e riabilitativa.
Questo servizio, di competenza della
Provincia di Torino, funziona già nel quartiere, ma in locali assolutamente
insufficienti e con personale scarso.
L'INAM dovrebbe assicurare
all'ambulatorio, tramite convenzione con il Comune di Torino, i mezzi economici
necessari per la parte di sua competenza.
Al riguardo si ricorda la mozione
sull'assistenza agli anziani approvata all'unanimità
dal Consiglio della Regione Piemonte il 25-5-72 con la quale «visto in
particolare che l'anziano ricoverato in istituto illegittimamente viene privato
dei diritti riconosciutigli dalla legge (gratuità delle prestazioni, libera
scelta del medico)»,
Si sottolinea
l'assurdità che l'istituto di riposo di C. Unione Sovietica eserciti in
proprio, e per di più in modo assolutamente inadeguato, l'assistenza sanitaria
e farmaceutica agli anziani, privandoli dei loro diritti acquisiti, anche a
causa della convenzione con l'INAM che prevede un contributo forfettario per
ciascun anziano di L. 65.000 all'anno, cure
ospedaliere comprese.
Ciò significa in particolare che
quattro giorni di ricovero ospedaliero assorbono totalmente il suddetto
contributo.
Ne deriva che i costi di assistenza sanitaria superiori alla cifra versata
dall'INAM ricadono ingiustamente sulle rette.
La proposta della istituzione
dell'ambulatorio è in linea sia con la creazione di servizi alternativi, sia
con la istituzione dell'Unità locale dei servizi sanitari e sociali, gestita
dal Comune, di cui anche
6. Mentre si ribadisce
che i servizi alternativi devono essere gestiti dal Comune, si rileva che
l'istituto di riposo di Corso Unione Sovietica ha un ingente patrimonio
immobiliare e si richiede che esso venga utilizzato per servizi alternativi, in
particolare per alloggi e piccole comunità per anziani.
Pertanto il Consiglio di amministrazione può avviare sperimentazioni di piccole
comunità di quartiere negli alloggi di proprietà dell'istituto e in altri da
acquistare mediante la trasformazione del patrimonio attuale.
La necessaria riqualificazione dovrà
essere assicurata dal Comune di Torino e la frequenza dei corsi dovrà essere
considerata parte dell'orario di lavoro.
La riqualificazione e la formazione
del nuovo personale dovrà essere concordata con le
organizzazioni sindacali e le forze sociali interessate alla istituzione di
servizi alternativi.
- CONSIGLIO DELEGATI ISTITUTO DI
RIPOSO
- COMITATO DI QUARTIERE MERCATI
GENERALI
- C.G.I.L. - C.I.S.L. - U.I.L.
(1) Relazione
programmatica presentata al consiglio comunale di Rovereto dall'Assessore
all'Assistenza. Prospettive sociali e
sanitarie, n. 11/1972.
(2) Elaborazione
CENSIS su dati ISTAT, pag. 5, Prospettive
sociali e sanitarie, n. 12/1972.
(3) Vedasi Prospettive assistenziali, n. 17, pag.
88-97 e n. 18, pag. 62-65.
DISADATTAMENTO E DELINOUENZA MINORILE A TORINO
Su
questo tema generale e in particolare sulla situazione dei ragazzi rinchiusi
nel Ferrante Aporti si è tenuto a Torino il 13-6-72
un vivace dibattito pubblico, organizzato da vari
comitati di quartiere.
Il
dibattito è stato introdotto dal Prof. Paolo Vercellone - presidente del tribunale per i minorenni di
Torino, dal Dr. Luigi Fadiga -
giudice del tribunale per i minorenni di Bologna e dall'avv.
Bianca Guidetti Serra.
Numerosi
i presenti (oltre 800) soprattutto giovani.
Al
termine della riunione è stata decisa la costituzione di un gruppo incaricato
di portare avanti azioni concrete per una diversa
impostazione della rieducazione.
Riproduciamo
integralmente il documento introduttivo del dibattito, che era
stato allegato all'invito.
A Torino vi sono delle fabbriche
della delinquenza, dobbiamo permettere che continuino a funzionare?
Queste fabbriche a Torino sono 3.
Il
Ferrante Aporti, Casa di Rieducazione in cui vi sono
circa 40 ragazzi dai 14 ai 18 anni che il Tribunale per i minorenni ha ritenuto
che abbiano, anche senza aver commesso reati, dato «manifeste prove di
irregolarità della condotta e del carattere»; possono pure esservi collocati minori
«i cui genitori abbiano una condotta pregiudizievole per i minori stessi»:
cioè se i tuoi genitori non sanno educarti, devi essere punito tu, sembra voler dire la legge.
Si tratta per la maggior parte di
ragazzi che hanno subito dei ricoveri spesso numerosi nei cosiddetti istituti di assistenza dove la loro personalità a poco a poco è
stata distrutta. Gli istituti quando non hanno più potuto «sopportarli» li
hanno sbattuti sulla strada, senza che nessuno degli innumerevoli enti preposti
all'assistenza ed all'educazione intervenisse nei loro confronti. Il Ferrante Aporti,
Sezione di custodia preventiva e riformatorio giudiziario, per ragazzi dai
14 ai 18 anni, arrestati ed in attesa di giudizio per
delitti loro attribuiti, si compone di 23
celle, ciascuna di m. 2,50 x 3,80; ogni cella ha tre letti, tre ragazzi in mq. 8 circa, dalla sera
alla mattina. Per la vita diurna i ragazzi dispongono
di una sala per refezione di circa mq. 40, e di un cortile
per la passeggiata o l'aria; questo cortile è di m. 15 x 15; negli ultimi mesi
la presenza media giornaliera nel
carcere minorile è stata di 65 elementi con
punte massime di 92. Il che significa che in detto cortile di mq. 225 ci sono di regola 65 ragazzi.
In questo luogo di sofferenza
fisica, di esclusione, di umiliazione di ogni
esigenza propria di un ragazzo ci sono, come si è detto, gli imputati in
attesa di giudizio. Ci sono quelli che forse sono ladri, rapinatori,
scippatori.
E allora dovremmo dire come tanti,
che sta loro appena bene: anche se questi ragazzi
hanno solo 15 anni debbono soffrire, debbono avere incubi notturni, debbono
subire le violenze inevitabili di una comunità di topo in gabbia.
Chi
sono questi delinquenti? Chi sono i
ragazzi esaminati dal Tribunale per i minorenni, In un giorno preso a caso, nel mese di febbraio
Esaminando 309 casi di ragazzi seguiti nel '71 dal Tribunale per i minorenni per
irregolarità di condotta si trovavano le percentuali suddette che dimostrano
che le cause che provocano il disadattamento sono soprattutto di
responsabilità sociale e non tanto di natura individuale.
Questo è dunque il ragazzo «tipo»
del Tribunale dei minorenni. Non gli è
stata data la scuola come non è stata data ai suoi genitori: la sua famiglia
si è spostata qui a Torino perché dov'era la sua casa
non c'era lavoro. La sua famiglia è povera perché manca il lavoro oppure il lavoro non essendo qualificato è mal pagato: la sua casa è
una baracca e un ghetto (Vallette, V. Artom).
Questa situazione
non è solo di oggi.
A una relazione ufficiale del
Ministero della giustizia dell'anno 1922, 1 dell'era fascista, cinquant'anni
fa, risultano dati sintomatici identici; i ragazzi in riformatorio per l'87%
venivano da famiglie di lavoratori manuali, per il 90,3% non avevano finito la
scuola dell'obbligo (che allora consisteva nella sola scuola elementare), ed il
40% erano analfabeti.
La
storia e la cronaca si ripete. Si ripete sempre alle
spalle della stessa gente,
degli stessi ragazzi, nel '22 come nel '72. Ragazzi che sono bocciati nelle prime
classi solo perché disturbano e non sono tranquilli e attenti, che incominciano
a lavorare a 12 e 13 anni e la loro vita trascorre da una Grottaferrata
all'altra e poi finiscono al Tribunale per i minori.
Vi è infine il Buon Pastore, casa di rieducazione in cui sono rinchiuse ragazze
dai 14 ai 18 anni, che hanno la stessa provenienza sociale dei maschi.
Sui ragazzi in Casa di Rieducazione
o in sezione di custodia preventiva si possono avere
due posizioni:
I) Ritenere inevitabile che alcuni
ragazzi abbiano dei comportamenti «irregolari» della condotta
e del carattere o compiano atti «antisociali». Allora è sufficiente migliorare
le strutture degli istituti e specializzare il personale.
II) Intervenire sulle cause sociali
che provocano o favoriscono la reazione violenta dei giovani
(sottoccupazione e disoccupazione dei genitori, quartieri ghetto, scuola
selettiva e non formativa, mancanza di alloggi adeguati, assenza di strutture
sociali).
Naturalmente è indispensabile che
nello stesso tempo si migliori la situazione attuale senza però creare degli
istituti di lusso: occorre arrivare alla graduale eliminazione dell'attuale
apparato rieducativo.
Al posto delle Case di rieducazione
proponiamo pertanto:
servizi di quartiere per
ragazzi e famiglie, affidamento familiare a focolari di semilibertà per i
ragazzi.
Per la sezione di custodia
preventiva chiediamo che la permanenza
dei minori sia ridotta al minimo,
evitando che i minori vi rimangano dei mesi per la lentezza della magistratura
ordinaria.
Proponiamo inoltre piccole strutture per 15-20 posti il meno possibile oppressive.
I RIFIUTATI DALLA SCUOLA DELL'OBBLIGO
Le statistiche ufficiali (1)
informano che nelle elementari il 9,6% degli allievi è ripetente, l'1,6
abbandona la scuola senza ottenere la licenza; mezzo milione di bimbi cioè ripete almeno una classe e centomila bambini vengono
cacciati dalle elementari.
Nelle scuole medie italiane la
percentuale dei ripetenti arriva al 10% e quella dei dispersi al 7%: 150.000
ragazzi vengono cacciati via, su due milioni e 250.000
iscritti. Questa è la situazione nella fascia della scuola dell'obbligo
italiana, una scuola che a detta del Ministro
dell'istruzione è «essenzialmente destinata a promuovere la formazione
dell'uomo e del cittadino».
Le cifre possono sembrare un po'
laconiche e scarsamente emotive: il disagio a cui sono sottoposti i genitori,
il contestare degli allievi, il sussiego professionale dei pedagoghi, mostrano
però il polveroso cammino della scuola italiana, incapace di «favorire
l'orientamento dei giovani ai fini dell'attività scolastica» secondo quelli che
dovevano essere i dettami della Costituzione.
Se poi esaminiamo un po' da vicino
la meccanica di questi «incidenti» troviamo oltre alla commedia degli equivoci
(28 miliardi il costo per quest'anno per i ripetenti delle scuole elementari,
87 miliardi l'onere a carico delle famiglie per l'acquisto dei libri, 1958
progetti per la costruzione di edifici scolastici e
solo 6 giunti all'appalto) anche la tragedia. La vittima tragica di una scuola
che non ha adempiuto al suo compito è il ragazzo
impiccatosi a Torino nel giugno del 1972. Abitava da qualche
mese in una squallida casa nel centro della città, vi era arrivato con
la famiglia, chiamata al Nord dal miraggio del benessere. Invece
vi avevano trovato duro lavoro per il padre e stressanti fatiche per la madre,
costretta a badare ai quattro figli, ed in più, a lavorare fuori di casa per
arrotondare il bilancio. Per il pastorello
del Gargano solo una via di uscita nella grande città:
la speranza di arrivare. Arrivare vuol dire godere una fetta
del benessere, vuol dire essere un privilegiato e quindi uno «studente»
esonerato dal portare i soldi a casa, una speranza di riuscita per tutta la
famiglia. Ma dove si arriva quando si parte male? Chi
è intervenuto per ridurre la carenza della famiglia?
Chi ha cercato di capire l'esigenza del ragazzo? Nessuno. Solo la scuola è
intervenuta, in modo vessatorio e punitivo, dimostrando l'incapacità dei suoi
insegnanti a fare un uso pedagogico corretto del proprio diritto - dovere di
giudicare l'allievo (citiamo la frase dell'insegnante di francese: «Non è un
uomo, è una pianta, un oggetto») . Così se la tragica
fine non può solo essere attribuita al caso, se trova le sue buone motivazioni,
cerchiamole e non piangiamo le solite lacrime di coccodrillo.
(1) Le cifre sono
raccolte nel Compendio di statistiche
educative pubblicato dal Ministero della pubblica istruzione tramite il
Centro Europeo dell'Educazione di Frascati.
ESPOSTO AL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI TORINO
In relazione al suicidio del minore Ciriaco Saldutto, già allievo della scuola media Pacinotti di Torino, premesso che
- il suicidio del minore è dovuto alla incapacità della scuola di comprendere le
esigenze del ragazzo;
- che non è stato attuato da parte
della scuola il compito di «promuovere la formazione
dell'uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e di
favorire l'orientamento dei giovani ai fini della scelta dell'attività scolastica»
(art. 1 della legge 31-12-1962 n. 1859);
- che
l'incapacità della scuola è in parte dovuta anche al fatto che la classe
frequentata da Ciriaco Saldutto era formata da 30
allievi, in violazione alle leggi vigenti che prescrivono che il numero massimo
sia di 25;
- che nella
scuola Pacinotti non ha funzionato il servizio di
medicina scolastica, che doveva essere obbligatoriamente istituito dal Comune
di Torino ai sensi dei DPR 11 febbraio 1961 n. 264 e 22 dicembre 1967 n. 1518,
servizio che ha fra l'altro il compito di favorire l'inserimento scolastico
con interventi diretti «a ridurre le carenze della famiglia e dell'ambiente in
genere», fornendo i necessari interventi e trattamenti (vedasi in particolare
l'art. 34 del citato DPR n. 1518);
tutto ciò premesso i sottoscritti
presentano il presente esposto affinché
Torino, 22 giugno 1972
Sono state raccolte 479 firme.
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