Prospettive assistenziali, n. 19, luglio-settembre 1972

 

 

NOTIZIE

 

 

PROPOSTE DI LEGGE SUGLI HANDICAPPATI

 

La proposta di legge di iniziativa popolare «In­terventi sugli handicappati fisici, psichici, senso­riali ed i disadattati sociali» è stata ripresenta­ta di ufficio al Senato e reca il n. 2.

Al riguardo si ricorda che l'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e per la lot­ta contro l'emarginazione sociale, che l'aveva redatta nel luglio 1968 e lanciata nell'autunno 1969, non ne condivide più alcune parti quali: la segnalazione, il reperimento organizzato, le strut­ture speciali quali istituti chiusi e aperti a carat­tere di internato, le scuole speciali, l'istituzione del Ministero dell'assistenza sociale.

Non condivide più oggi, soprattutto, la validità di una proposta di legge settoriale, concernente cioè i soli handicappati e disadattati, essendo oggi necessaria e particolarmente urgente l'ap­provazione di una legge-quadro sui servizi socia­li e sanitari.

Questa diversa posizione è stata determinata sia da una più approfondita valutazione del pro­blema in linea con recenti esperienze condotte in Italia e in altri paesi, sia dalla costituzione delle Regioni a statuto ordinario, sia dalla mag­giore presa di coscienza sul problema da parte delle forze politiche, sindacali e sociali, alla cui positiva evoluzione ha certamente contribuito l'azione condotta per la presentazione della pro­posta di legge con iniziativa popolare.

Con una sua iniziativa autonoma l'On. Zaffanel­la del PSI ha purtroppo presentato in data 30 maggio 1972 alla Camera dei Deputati la proposta di legge n. 109 identica nel titolo e nel testo a quella di iniziativa popolare.

Sono state ripresentate in questa legislatura le seguenti altre proposte di legge in materia: Sen. Ossicini «Assistenza medico-psico-peda­gogica dei soggetti in età evolutiva», Senato, 26-5-72, n. 3;

Sen. Dal Canton «Istituzione di un Comitato centrale per la programmazione e il coordina­mento di tutte le attività relative alla prevenzio­ne, assistenza e riabilitazione delle minorazioni ed irregolarità fisiche, psichiche e sensoriali dei soggetti in età evolutiva», Senato, 1-7-72, n. 219;

Sen. Dal Canton «Riabilitazione dei soggetti in età evolutiva che presentano irregolarità psi­chiche», Senato, 21-7-72, n. 225;

On. Cocco «Norme per l'assistenza specializ­zata all'infanzia e alla gioventù minorata psichi­ca, fisica, sensoriale e disadattata sociale», Ca­mera dei Deputati, 14-7-72, n. 503.

Occorre tener presente che:

1) nella relazione della proposta di legge di ini­ziativa popolare (concernente minori e adulti) veniva precisato al punto 7.3. «Al fine di raggiun­gere un effettivo inserimento degli handicappati e dei disadattati e di superare obiettive difficol­tà di individuare gli handicappati e i non handi­cappati, i disadattati e i non disadattati, propo­niamo una struttura organizzativa che provveda, in un primo tempo, agli handicappati e ai disadat­tati, ma che possa essere estesa, in un secondo tempo, senza subire modifiche, a tutti gli aventi diritto all'assistenza (anziani, minori privi di as­sistenza, ecc.)»;

2) la stessa preoccupazione non è presente nelle altre proposte di legge (concernenti esclu­sivamente i minori), che tendono, anzi, a sepa­rare gli handicappati ed i disadattati dagli altri minori.

 

 

CONVEGNO SULLA SALUTE MENTALE

 

Arezzo 21-22-23 luglio 1972

Rapporto conclusivo della II Commissione

(approvato all'unanimità dal Convegno il 23 lu­glio 1972)

 

Premesso

- che la tutela del benessere psicofisico del­le popolazioni deve considerarsi l'obiettivo pri­mario di un sistema di sicurezza sociale,

- che tale obiettivo si realizza attraverso un processo di unificazione dei vari momenti dell'intervento sanitario, con il superamento dell'at­tuale frammentazione, causa e conseguenza dell'attuale gestione commercializzata, burocratica e autoritaria dei problemi della salute, e della ap­propriazione da parte dei tecnici specialisti di aspetti fondamentali della condizione umana,

- che tale processo di unificazione, stretta­mente rapportato alla realtà sociale sul territo­rio, è condizione necessaria per ricondurre ad unità e globalità il soddisfacimento dei bisogni materiali della classe operaia e degli altri strati di popolazione sottoposti nella struttura econo­mica e nella organizzazione sociale alla logica dello sfruttamento, della nocività ambientale e della esclusione,

- che tutto ciò deve essere affrontato attra­verso un'opera di demistificazione, chiarimento e restituzione alla collettività delle contraddizio­ni che stanno alla radice dei problemi fin qui de­legati alla gestione psichiatrica,

- che questo processo deve essere verificato attraverso un'analisi che consenta risposte ade­guate ai bisogni reali della collettività e dei sin­goli, elaborate a contatto e insieme alla collet­tività stessa nelle sue articolazioni,

- che questo processo dovrà infine trovare conclusione nella organizzazione territoriale uni­ficata dei servizi sanitari e assistenziali di base, democraticamente gestita dagli organi elettivi e controllata dalle popolazioni;

tutto ciò premesso, la commissione incaricata di elaborare proposte di organizzazione territo­riale dei servizi di salute mentale nel quadro di un sistema di sicurezza sociale, indica al Conve­gno le seguenti linee direttive:

1) Necessità che la fase di smantellamento delle istituzioni segreganti sia pienamente as­sunta dalla gestione politica delle Amministra­zioni Provinciali, organi rappresentativi territo­riali a cui è attualmente affidata dalla legge l'as­sistenza psichiatrica, le quali, attraverso l'unificazione degli interventi psichiatrici e assisten­ziali attualmente gestiti da enti e organizzazio­ni settoriali specialistici o centralizzati, attra­verso l'uso e la riqualificazione degli operatori psichiatrici, attraverso un'accorta manovra sui finanziamenti e attraverso la riconversione delle strutture esistenti, puntino all'obiettivo di pro­muovere, in crescente rapporto con le Ammini­strazioni Comunali, future destinatarie primarie del nuovo sistema di sicurezza sociale, e con le organizzazioni di massa dei lavoratori, la costru­zione di una rete di servizi di salute mentale sul territorio, in coerenza alle ipotesi di organizza­zione sanitaria decentrata di base la cui defini­zione ultima è affidata agli adempimenti legisla­tivi della Regione.

2) Necessità che fin da queste fasi di attua­zione del nuovo servizio di salute mentale sia garantita la partecipazione attiva dei cittadini al­la definizione di finalità, contenuti e metodi, sia attraverso forme di gestione comunitaria da par­te degli «esclusi» e della collettività (famiglie, amministratori locali, rappresentanti sindacali, associazioni volontarie di base) nella fase della deistituzionalizzazione, sia attraverso forme di controllo permanente da parte degli organismi rappresentativi di realtà associative (consigli di quartiere, consigli di fabbrica) nella fase, conte­stuale, di formazione e funzionamento dei servi­zi alternativi.

In tale prospettiva si individuano le «confe­renze sanitarie di comprensorio» come occa­sione a breve scadenza e di iniziativa periferica capace di costituire momento propulsivo del pro­cesso di formazione della nuova organizzazione pubblica di sanità.

In questo quadro si possono delineare alcune indicazioni operative a breve termine:

1) Blocco di ogni iniziativa tesa alla attivazio­ne di nuove strutture comunque segreganti, qua­li ospedali psichiatrici, istituti medicopedagogi­ci, centri psicopedagogici, istituti speciali per giovani o per anziani, organismi stabili d'inter­vento psichiatrico nella fabbrica e nella scuo­la, ecc;

2) Immediato avvio di servizi territoriali alter­nativi per la salute mentale integrati nella orga­nizzazione generale dei servizi sanitari e sociali di base, e tali da garantire l'unitarietà degli atti sanitari di prevenzione cura e riabilitazione;

3) Progressiva utilizzazione nei nuovi servizi territoriali integrati di tutto il personale attual­mente operante nelle istituzioni, o ad esse acqui­sibile attraverso un uso della legislazione vi­gente (per esempio le leggi 431 e 515) coerente alle premesse sopra descritte, contestualmente al progressivo smantellamento delle istituzioni stesse.

 

 

L'UNEBA VUOLE DEI FATTI O DEGLI ISTITUTI?

 

Nell'articolo di fondo del n. 4 di Azione Assi­stenziale, 1972, con il titolo Vogliamo dei fatti, l'Uneba lancia un accorato appello ai partiti e all'opinione pubblica invitandoli a creare una poli­tica dell'assistenza. Quale sia questa politica l'ar­ticolo lo dimostra. Infatti mentre si assiste in tut­ti i paesi ad un più attento ripensamento dell'as­sistenza sociale, essendo ormai chiaro a molti l'inumanità, l'inutilità e nel nostro paese anche l'incostituzionalità di una politica assistenziale fondata sul ricovero, l'Uneba ripropone soluzio­ni di istituti. Così «nel convegno a Firenze per gli istituti per gli anziani», mentre rilevazioni statistiche (1) hanno evidenziato dovunque una chiara preferenza degli anziani a permanere nel proprio ambiente familiare, anche in presenza di limiti di non autosufficienza l'Uneba crea norma­tive, sempre per istituti. crediamo sia « un ripensamento sulla funzione dell'anziano nella società in cui viviamo » la normativa che «ogni sala da pranzo possibilmente riprodurrà le carat­teristiche della vita familiare: non accoglierà più di 25-30 ospiti con tavoli da 4 a 6 posti».

Lo stesso dicasi per gli istituti per minori: mentre i dati ISTAT (2) segnano una variazione di segno negativo per gli istituti per l'infanzia e i minori in genere, fenomeno che comprova una diffusa coscienza della inadeguatezza di soluzio­ni di tipo istituzionale per soggetti che partico­larmente abbisognano di un ambiente di cure di tipo familiare, l'UNEBA stipula a Firenze nuove convenzioni per gli istituti. Lo apprendiamo sem­pre da questo numero del giornale che riporta una lettera di un dirigente di istituto di Napoli che si dichiara compiaciuto per «lo spirito di comprensione e di buona volontà e la praticità con cui sono state precisate le norme e gli im­pegni che debbono regolare il rapporto fra l'isti­tuto e il minore...» «...l'istituto in base alle con­venzioni stipulate, ha ora precisi obblighi da os­servare, ma ha anche limiti ben determinati, en­tro cui mantenere le proprie responsabilità...». In definitiva una segregazione un po' più raffinata.

Ma che l'UNEBA non possa volere l'unica po­litica d'assistenza vera: il superamento dell'emar­ginazione e cerchi invece il consenso a una pro­testa rigidamente organizzata e funzionale ai fi­ni delle istituzioni, lo leggiamo di seguito: «al 31 dicembre 1971 risultavano aderenti all'UNEBA n. 8633 istituzioni comprendenti: scuole mater­ne, istituti educativo-assistenziali per minori, isti­tuti per handicappati fisici e psichici, istituti per anziani» ai quali si aggiungono «centri assisten­ziali» di diverso tipo e natura e «3480 oratori parrocchiali di diverse diocesi». Non sarà certo quindi l'UNEBA a fornire le istituzioni degli stru­menti che dovrebbero superarle o distruggerle, ma si affretta a difenderle dal «pericolo di esse­re oggetto da parte delle pubbliche autorità (Sin­daci, Regioni) della emanazione di provvedimenti di sovvertimento delle loro strutture».

 

 

 

COLLETTIVO INTERSINDACALE E INTERASSOCIA­TIVO SULL'ASSISTENZA

 

Pubblichiamo il documento «Alcune proposte per avviare servizi alternativi per anziani» redatto nel luglio 1972.

 

1. Nel corso delle lotte condotte nell'istituto di Riposo di Corso Unione Sovietica (3), sono emerse chiare indicazioni sulla necessità di ri­strutturare i servizi per gli anziani.

Ci richiamiamo in particolare ai documenti contenuti nel quaderno sindacale « Esperienze di lavoro o di lotta sui problemi dell'assistenza », pubblicato dai Comitati Regionali del Piemonte CGIL, CISL, UIL.

Nel documento presentato dalle Segreterie Re­gionali CGIL, CISL, UIL alla Regione Piemonte l'11 aprile 1972 è stato richiesto fra l'altro che:

«Per iniziare ad attuare concretamente una nuova politica nel campo dell'assistenza si ri­chiedono iniziative immediate a tutti i livelli ri­volte a:

- accertare le cause del ricovero per la pro­gressiva eliminazione delle istituzionalizzazioni (ospedali psichiatrici compresi);

- bloccare la costruzione e l'acquisto di nuo­vi istituti per minori, anziani, handicappati (gerontocomi, psicogerontocomi, convitti per spasti­ci, per subnormali, per ciechi, ecc.);

- istituire servizi alternativi non dopo ma con­testualmente allo sviluppo dei servizi sociali di base, assicurando la continuità delle prestazioni necessarie e cioè:

a) garanzia del necessario economico per vi­vere;

b) assistenza domiciliare per minori, anziani handicappati (...);

c) applicazione non emarginante della nuova legge sulla casa prevedente focolari per minori e pensionati per anziani inseriti in modo sparso nelle comuni case di abitazione».

Nella carta rivendicativa sul problema degli an­ziani firmata dal Comitato Sindacale unitario del personale dell'istituto di Riposo di C. Unione So­vietica 220, dalle Segreterie provinciali CGIL, CISL, UIL, dai Comitati di quartiere e da altre forze sociali veniva richiesto:

- lo svuotamento progressivo degli istituti con il blocco delle ammissioni, con sussidi eco­nomici agli anziani, con l'assistenza domiciliare, con l'assegnazione di alloggi;

- nessuna autorizzazione alla costruzione di nuovi istituti per anziani autosufficienti (case di riposo, case-albergo) ;

- creazione di un poliambulatorio per il quar­tiere Mercati Generali gestito dal comune (con convenzione con l'INAM) che fornisca anche cu­re ambulatoriali per gli anziani della zona, com­presi quelli ricoverati in Corso Unione Sovie­tica».

2. Da questi documenti discende chiaramente il rifiuto della trasformazione degli attuali istitu­ti in enti ospedalieri.

Ciò significherebbe infatti un semplice cam­biamento di etichetta, poiché verrebbero lascia­te inalterate le condizioni di emarginazione de­gli anziani e di organizzazione dell'assistenza spersonalizzante sia per gli ospiti che per il per­sonale.

3. Si ribadisce che l'assistenza:

- agli anziani malati acuti deve essere di competenza del settore sanitario ed essere rea­lizzata non in ospedali geriatrici, ma in reparti specializzati dei comuni ospedali, soprattutto in quelli di zona;

- agli anziani autosufficienti non deve più es­sere delegata dai Comuni ad altre istituzioni, ma assunta direttamente: con prestazioni finanzia­rie nei riguardi di coloro che non hanno il neces­sario economico per vivere, con l'assistenza do­miciliare, con l'assegnazione di alloggi individua­li o collettivi, con la istituzione di piccole comu­nità (per 10-15 anziani) di quartiere inserite nel­le comuni case di abitazione;

- agli anziani cronici con gli interventi sopra indicati o con la creazione di piccole comunità protette di quartiere in grado di fornire tutte le necessarie prestazioni sociali e sanitarie.

4. Ciò premesso si richiede al Consiglio di am­ministrazione dell'istituto di C. Unione Sovietica e al Comune di Torino di pronunciarsi in merito alle indicazioni di fondo sopra enunciate e in particolare di precisare quale tipo di ristruttura­zione è previsto per l'istituto di C. Unione Sovie­tica poiché da un lato il Consiglio di Amministra­zione e l'Assessore all'assistenza del Comune di Torino hanno dichiarato che le nuovi ammis­sioni di autosufficienti sono state bloccate e d'al­tro lato sono in corso lavori di costruzione di nuovi padiglioni, di ammodernamento di alcuni di essi e di ristrutturazione generale in modo da determinare un notevole aumento del numero dei posti letto.

5. Per dare avvio concreto a servizi alternati­vi, il personale, in accordo con le organizzazioni sindacali, il Comitato di quartiere Mercati Gene­rali e le forze politiche e sociali della zona, avan­za al Consiglio di amministrazione e al Comune di Torino le seguenti proposte:

a) istituzione nel reparto al piano terreno (i cui lavori sono in via di ultimazione) di un ambulatorio gestito dal Comune di Torino per ga­rantire l'assistenza sanitaria e riabilitativa agli ospiti dell'istituto e alla popolazione del quar­tiere.

Dai cittadini, dagli operatori sociali e dalle forze politiche e sociali intervenuti ai dibattiti promossi dal Comitato di quartiere Mercati Ge­nerali è stato precisato che l'ambulatorio, nella fase iniziale, dovrebbe fornire le seguenti pre­stazioni, la cui esigenza è più sentita:

- di assistenza domiciliare per gli anziani del quartiere sull'esempio dei centri già istituiti dal Comune di Torino;

- di medicina geriatrica preventiva e curativa per gli anziani dell'-istituto e del quartiere;

- di medicina riabilitativa (fisioterapia, gin­nastica correttiva, ecc.). per gli anziani dell'isti­tuto e del quartiere, e per le altre persone (mi­nori e adulti) del quartiere che ne abbiano neces­sità;

- infermieristiche per gli anziani dell'istituto e la popolazione del quartiere;

- di assistenza psichiatrica preventiva, cura­tiva e riabilitativa.

Questo servizio, di competenza della Provin­cia di Torino, funziona già nel quartiere, ma in lo­cali assolutamente insufficienti e con personale scarso.

L'INAM dovrebbe assicurare all'ambulatorio, tramite convenzione con il Comune di Torino, i mezzi economici necessari per la parte di sua competenza.

Al riguardo si ricorda la mozione sull'assisten­za agli anziani approvata all'unanimità dal Consi­glio della Regione Piemonte il 25-5-72 con la qua­le «visto in particolare che l'anziano ricoverato in istituto illegittimamente viene privato dei di­ritti riconosciutigli dalla legge (gratuità delle prestazioni, libera scelta del medico)», la Giunta regionale è stata impegnata «ad assumere le necessarie misure affinché l'INAM e gli altri en­ti mutualistici assolvano ai loro obblighi di leg­ge e che in ogni caso le convenzioni siano ade­guate ai costi».

Si sottolinea l'assurdità che l'istituto di ripo­so di C. Unione Sovietica eserciti in proprio, e per di più in modo assolutamente inadeguato, l'assistenza sanitaria e farmaceutica agli anzia­ni, privandoli dei loro diritti acquisiti, anche a causa della convenzione con l'INAM che prevede un contributo forfettario per ciascun anziano di L. 65.000 all'anno, cure ospedaliere comprese.

Ciò significa in particolare che quattro giorni di ricovero ospedaliero assorbono totalmente il suddetto contributo.

Ne deriva che i costi di assistenza sanitaria su­periori alla cifra versata dall'INAM ricadono in­giustamente sulle rette.

La proposta della istituzione dell'ambulatorio è in linea sia con la creazione di servizi alterna­tivi, sia con la istituzione dell'Unità locale dei servizi sanitari e sociali, gestita dal Comune, di cui anche la Giunta Comunale di Torino dichiara, finora solo a parole, di essere d'accordo.

6. Mentre si ribadisce che i servizi alternativi devono essere gestiti dal Comune, si rileva che l'istituto di riposo di Corso Unione Sovietica ha un ingente patrimonio immobiliare e si richiede che esso venga utilizzato per servizi alternativi, in particolare per alloggi e piccole comunità per anziani.

Pertanto il Consiglio di amministrazione può avviare sperimentazioni di piccole comunità di quartiere negli alloggi di proprietà dell'istituto e in altri da acquistare mediante la trasformazione del patrimonio attuale.

7. In tutti i servizi alternativi dovrà essere in­serito il personale attualmente in servizio negli istituti di riposo.

La necessaria riqualificazione dovrà essere as­sicurata dal Comune di Torino e la frequenza dei corsi dovrà essere considerata parte dell'orario di lavoro.

La riqualificazione e la formazione del nuovo personale dovrà essere concordata con le orga­nizzazioni sindacali e le forze sociali interessate alla istituzione di servizi alternativi.

 

- CONSIGLIO DELEGATI ISTITUTO DI RIPOSO

- COMITATO DI QUARTIERE MERCATI GENERALI

- C.G.I.L. - C.I.S.L. - U.I.L.

 

 

(1) Relazione programmatica presentata al consiglio comunale di Rovereto dall'Assessore all'Assistenza. Prospettive sociali e sanitarie, n. 11/1972.

(2) Elaborazione CENSIS su dati ISTAT, pag. 5, Prospettive sociali e sanitarie, n. 12/1972.

(3) Vedasi Prospettive assistenziali, n. 17, pag. 88-97 e n. 18, pag. 62-65.

 

 

DISADATTAMENTO E DELINOUENZA MINORILE A TORINO

 

Su questo tema generale e in particolare sulla situazione dei ragazzi rinchiusi nel Ferrante Apor­ti si è tenuto a Torino il 13-6-72 un vivace dibatti­to pubblico, organizzato da vari comitati di quar­tiere.

Il dibattito è stato introdotto dal Prof. Paolo Vercellone - presidente del tribunale per i mi­norenni di Torino, dal Dr. Luigi Fadiga - giudice del tribunale per i minorenni di Bologna e dal­l'avv. Bianca Guidetti Serra.

Numerosi i presenti (oltre 800) soprattutto giovani.

Al termine della riunione è stata decisa la co­stituzione di un gruppo incaricato di portare avan­ti azioni concrete per una diversa impostazione della rieducazione.

Riproduciamo integralmente il documento in­troduttivo del dibattito, che era stato allegato all'invito.

 

A Torino vi sono delle fabbriche della delin­quenza, dobbiamo permettere che continuino a funzionare?

Queste fabbriche a Torino sono 3.

Il Ferrante Aporti, Casa di Rieducazione in cui vi sono circa 40 ragazzi dai 14 ai 18 anni che il Tribunale per i minorenni ha ritenuto che abbia­no, anche senza aver commesso reati, dato «ma­nifeste prove di irregolarità della condotta e del carattere»; possono pure esservi collocati mi­nori «i cui genitori abbiano una condotta pregiu­dizievole per i minori stessi»: cioè se i tuoi ge­nitori non sanno educarti, devi essere punito tu, sembra voler dire la legge.

Si tratta per la maggior parte di ragazzi che hanno subito dei ricoveri spesso numerosi nei cosiddetti istituti di assistenza dove la loro per­sonalità a poco a poco è stata distrutta. Gli isti­tuti quando non hanno più potuto «sopportarli» li hanno sbattuti sulla strada, senza che nessuno degli innumerevoli enti preposti all'assistenza ed all'educazione intervenisse nei loro confronti. Il Ferrante Aporti, Sezione di custodia preventiva e riformatorio giudiziario, per ragazzi dai 14 ai 18 anni, arrestati ed in attesa di giudizio per delitti loro attribuiti, si compone di 23 celle, ciascuna di m. 2,50 x 3,80; ogni cella ha tre letti, tre ra­gazzi in mq. 8 circa, dalla sera alla mattina. Per la vita diurna i ragazzi dispongono di una sala per refezione di circa mq. 40, e di un cortile per la passeggiata o l'aria; questo cortile è di m. 15 x 15; negli ultimi mesi la presenza media giorna­liera nel carcere minorile è stata di 65 elementi con punte massime di 92. Il che significa che in detto cortile di mq. 225 ci sono di regola 65 ra­gazzi.

In questo luogo di sofferenza fisica, di esclu­sione, di umiliazione di ogni esigenza propria di un ragazzo ci sono, come si è detto, gli impu­tati in attesa di giudizio. Ci sono quelli che forse sono ladri, rapinatori, scippatori.

E allora dovremmo dire come tanti, che sta lo­ro appena bene: anche se questi ragazzi hanno solo 15 anni debbono soffrire, debbono avere in­cubi notturni, debbono subire le violenze inevita­bili di una comunità di topo in gabbia.

Chi sono questi delinquenti? Chi sono i ragaz­zi esaminati dal Tribunale per i minorenni, In un giorno preso a caso, nel mese di febbraio 1972, in sezione di custodia c'erano 54 ragazzi, di que­sti ben l'89% non aveva finito la scuola dell'ob­bligo, ed il 26% non aveva finito nemmeno le ele­mentari. Dei loro genitori il 46% non aveva fini­to le scuole elementari, il 64% proveniva dal Sud e dalle isole. Questi ragazzi quindi provengono dalle classi sociali più povere. E non si tratta di un caso.

Esaminando 309 casi di ragazzi seguiti nel '71 dal Tribunale per i minorenni per irregolarità di condotta si trovavano le percentuali suddette che dimostrano che le cause che provocano il disa­dattamento sono soprattutto di responsabilità so­ciale e non tanto di natura individuale.

Questo è dunque il ragazzo «tipo» del Tribu­nale dei minorenni. Non gli è stata data la scuola come non è stata data ai suoi genitori: la sua fa­miglia si è spostata qui a Torino perché dov'era la sua casa non c'era lavoro. La sua famiglia è povera perché manca il lavoro oppure il lavoro non essendo qualificato è mal pagato: la sua ca­sa è una baracca e un ghetto (Vallette, V. Artom).

Questa situazione non è solo di oggi.

A una relazione ufficiale del Ministero della giustizia dell'anno 1922, 1 dell'era fascista, cinquant'anni fa, risultano dati sintomatici identici; i ragazzi in riformatorio per l'87% venivano da famiglie di lavoratori manuali, per il 90,3% non avevano finito la scuola dell'obbligo (che allora consisteva nella sola scuola elementare), ed il 40% erano analfabeti.

La storia e la cronaca si ripete. Si ripete sem­pre alle spalle della stessa gente, degli stessi ragazzi, nel '22 come nel '72. Ragazzi che sono bocciati nelle prime classi solo perché disturba­no e non sono tranquilli e attenti, che incomin­ciano a lavorare a 12 e 13 anni e la loro vita tra­scorre da una Grottaferrata all'altra e poi finisco­no al Tribunale per i minori.

Vi è infine il Buon Pastore, casa di rieducazione in cui sono rinchiuse ragazze dai 14 ai 18 anni, che hanno la stessa provenienza sociale dei ma­schi.

Sui ragazzi in Casa di Rieducazione o in sezio­ne di custodia preventiva si possono avere due posizioni:

I) Ritenere inevitabile che alcuni ragazzi ab­biano dei comportamenti «irregolari» della con­dotta e del carattere o compiano atti «antisocia­li». Allora è sufficiente migliorare le strutture degli istituti e specializzare il personale.

II) Intervenire sulle cause sociali che provoca­no o favoriscono la reazione violenta dei giova­ni (sottoccupazione e disoccupazione dei genito­ri, quartieri ghetto, scuola selettiva e non forma­tiva, mancanza di alloggi adeguati, assenza di strutture sociali).

Naturalmente è indispensabile che nello stesso tempo si migliori la situazione attuale senza pe­rò creare degli istituti di lusso: occorre arrivare alla graduale eliminazione dell'attuale apparato rieducativo.

Al posto delle Case di rieducazione proponia­mo pertanto:

servizi di quartiere per ragazzi e famiglie, affi­damento familiare a focolari di semilibertà per i ragazzi.

Per la sezione di custodia preventiva chiedia­mo che la permanenza dei minori sia ridotta al minimo, evitando che i minori vi rimangano dei mesi per la lentezza della magistratura ordinaria.

Proponiamo inoltre piccole strutture per 15-20 posti il meno possibile oppressive.

 

 

I RIFIUTATI DALLA SCUOLA DELL'OBBLIGO

 

Le statistiche ufficiali (1) informano che nelle elementari il 9,6% degli allievi è ripetente, l'1,6 abbandona la scuola senza ottenere la licenza; mezzo milione di bimbi cioè ripete almeno una classe e centomila bambini vengono cacciati dal­le elementari.

Nelle scuole medie italiane la percentuale dei ripetenti arriva al 10% e quella dei dispersi al 7%: 150.000 ragazzi vengono cacciati via, su due milioni e 250.000 iscritti. Questa è la situazione nella fascia della scuola dell'obbligo italiana, una scuola che a detta del Ministro dell'istruzione è «essenzialmente destinata a promuovere la for­mazione dell'uomo e del cittadino».

Le cifre possono sembrare un po' laconiche e scarsamente emotive: il disagio a cui sono sotto­posti i genitori, il contestare degli allievi, il sus­siego professionale dei pedagoghi, mostrano pe­rò il polveroso cammino della scuola italiana, in­capace di «favorire l'orientamento dei giovani ai fini dell'attività scolastica» secondo quelli che dovevano essere i dettami della Costituzione.

Se poi esaminiamo un po' da vicino la mecca­nica di questi «incidenti» troviamo oltre alla commedia degli equivoci (28 miliardi il costo per quest'anno per i ripetenti delle scuole ele­mentari, 87 miliardi l'onere a carico delle fami­glie per l'acquisto dei libri, 1958 progetti per la costruzione di edifici scolastici e solo 6 giunti all'appalto) anche la tragedia. La vittima tragica di una scuola che non ha adempiuto al suo com­pito è il ragazzo impiccatosi a Torino nel giugno del 1972. Abitava da qualche mese in una squal­lida casa nel centro della città, vi era arrivato con la famiglia, chiamata al Nord dal miraggio del benessere. Invece vi avevano trovato duro lavoro per il padre e stressanti fatiche per la ma­dre, costretta a badare ai quattro figli, ed in più, a lavorare fuori di casa per arrotondare il bilan­cio. Per il pastorello del Gargano solo una via di uscita nella grande città: la speranza di arriva­re. Arrivare vuol dire godere una fetta del benes­sere, vuol dire essere un privilegiato e quindi uno «studente» esonerato dal portare i soldi a casa, una speranza di riuscita per tutta la famiglia. Ma dove si arriva quando si parte male? Chi è intervenuto per ridurre la carenza della fami­glia? Chi ha cercato di capire l'esigenza del ra­gazzo? Nessuno. Solo la scuola è intervenuta, in modo vessatorio e punitivo, dimostrando l'inca­pacità dei suoi insegnanti a fare un uso pedago­gico corretto del proprio diritto - dovere di giu­dicare l'allievo (citiamo la frase dell'insegnante di francese: «Non è un uomo, è una pianta, un oggetto») . Così se la tragica fine non può solo essere attribuita al caso, se trova le sue buone motivazioni, cerchiamole e non piangiamo le so­lite lacrime di coccodrillo.

 

(1) Le cifre sono raccolte nel Compendio di statistiche educative pubblicato dal Ministero della pubblica istruzione tramite il Centro Europeo dell'Educazione di Frascati.

 

 

ESPOSTO AL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI TORINO

 

In relazione al suicidio del minore Ciriaco Sal­dutto, già allievo della scuola media Pacinotti di Torino, premesso che

- il suicidio del minore è dovuto alla incapa­cità della scuola di comprendere le esigenze del ragazzo;

- che non è stato attuato da parte della scuo­la il compito di «promuovere la formazione dell'uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e di favorire l'orientamento dei giovani ai fini della scelta dell'attività scola­stica» (art. 1 della legge 31-12-1962 n. 1859);

- che l'incapacità della scuola è in parte do­vuta anche al fatto che la classe frequentata da Ciriaco Saldutto era formata da 30 allievi, in vio­lazione alle leggi vigenti che prescrivono che il numero massimo sia di 25;

- che nella scuola Pacinotti non ha funziona­to il servizio di medicina scolastica, che doveva essere obbligatoriamente istituito dal Comune di Torino ai sensi dei DPR 11 febbraio 1961 n. 264 e 22 dicembre 1967 n. 1518, servizio che ha fra l'altro il compito di favorire l'inserimento sco­lastico con interventi diretti «a ridurre le caren­ze della famiglia e dell'ambiente in genere», fornendo i necessari interventi e trattamenti (vedasi in particolare l'art. 34 del citato DPR n. 1518);

tutto ciò premesso i sottoscritti presentano il presente esposto affinché la S.V. voglia predi­sporre gli opportuni interventi al fine di accerta­re le personali responsabilità dei pubblici ufficia­li o pubblici funzionari che non hanno ottempera­to alle vigenti disposizioni di legge e di accerta­re inoltre l'eventuale nesso di causalità fra que­ste inadempienze e il suicidio di Ciriaco Saldutto.

Torino, 22 giugno 1972

Sono state raccolte 479 firme.

 

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