Prospettive assistenziali, n. 20, ottobre-dicembre 1972

 

 

NOTIZIE

 

 

I BUROCRATI DELLA PSICHE (1)

 

Rimini. Si è aperto domenica 24 settembre, e si è concluso mercoledì 27, il quinto congresso riminese di psichiatria infantile, lasciando le co­se quasi al punto di prima. È un destino dei con­gressi affrontare argomenti e poi concludersi nel nulla. Ma non si capisce come mai gli specialisti riuniti a Rimini abbiano evitato nel loro dibattito il grave problema delle strutture dell'assistenza psichiatrica.

Nascono ogni anno in Italia circa 80.000 bambi­ni anormali. Una buona parte sono ritardati men­tali, altri soffrono di disturbi alla vista e all'udito, altri diventeranno epilettici o spastici per lesioni cerebrali avanzando con l'età, e la maggior parte sviluppano turbe che li incasellano nel settore dei caratteriali, dei disadattati e degli psicotici. Sono bambini che finiscono nei manicomi, negli istituti di assistenza e nelle 5.600 classi differenziali. Co­me risulta dall'analisi di Balconi e Berrini, su un campione di mille alunni di prima elementare dif­ferenziale, si ricava che il 41 per cento dei bam­bini proviene dalle famiglie di operai; il 16 per cento da quelle dei manovali e salariati agricoli, l'11 da quelle degli artigiani. Il 2 per cento, inve­ce, dalle famiglie dei professionisti, dirigenti, in­segnanti.

 

Tre milioni di anormali

L'emarginazione e l'esclusione del bambino dal­la classe normale aggravano ulteriormente la sua condizione. Secondo i dati forniti da Giovanni Bol­lea, alcuni anni fa, esistono in Italia 15.000 insuffi­cienti mentali gravi; 670 mila insufficienti mentali medi; 585.000 insufficienti mentali casi limite; 160.000 epilettici; 100.000 colpiti da paralisi cere­brale infantile e un milione e mezzo esatto di di­sadattati del carattere e del comportamento, per un totale di 3 milioni di bambini.

Oggi questi dati non sono molto cambiati. Ci sono dei padiglioni, nei manicomi di Reggio Emilia e alla Pietà di Roma, in cui i bambini anormali entrano nella tenera età e finiranno poi, di istitu­to in istituto, secondo l'età, nell'abbandono totale fino alla morte, che può avvenire anche a ottanta anni. In questi parcheggi o zoo-oligofrenici, i bam­bini vivono in cattività (i più irrequieti e gravi vengono alimentati con i farmaci come le auto a benzina), mescolati alle loro urla e alle loro fe­ci. L'assistenza è insufficiente. Negli altri ospeda­li o manicomi, i bambini, pur non sguazzando nei loro escrementi, passano la vita portandosi die­tro, di ora in ora, la loro turba mentale, in attesa di essere trasferiti in luoghi migliori, un giorno però che tarda a venire o non arriverà mai. Ma segnaliamo a chi voglia documentarsi le relazioni di Franco Ferrari, Giovanni Jervis, Severino De­logu, Giancarlo Bruni, Massimo Ammaniti e Mar­co Cecchini al convegno sulla psichiatria ed enti locali svoltosi a Reggio Emilia nel marzo 1970, raccolte nel volume pubblicato dalla Provincia, «Psichiatria ed enti locali».

Medici, assistenti sociali, psicologi e infermie­ri, per quanto si sforzino di migliorare l'assisten­za con i pochi mezzi a disposizione (e spesso con i loro personali sacrifici), non possono fare mol­to per questi infelici di fronte ad uno Stato e ad una società rimasti quasi impassibili. «Ancora oggi ci sono in Italia 250.000 ragazzi tagliati fuori dalla scuola nel periodo compreso fra la prima elementare e la terza media», dicono i giovani Maurizio Di Giacomo, Maurizio Brigazzi, Rita Cor­neli, Antonietta Angelucci e Ugo Balzametti del gruppo Borghetto Prenestino nel loro volume «Un mondo differenziale» edito da Guaraldi, Firenze: «intorno a questi problemi la lotta contro la sele­zione scolastica si è arricchita di nuovi motivi. Ha cominciato a interessare anche gli insegnanti e i tecnici: psicologi e assistenti sociali. Allora il ministro della Pubblica Istruzione ha cambiato nome alle classi differenziali. Queste dal primo ottobre 1971 si chiamano “classi sperimentali”. È lo stesso imbroglio di quando si decise di chia­mare il manicomio “nosocomio”. Niente è cam­biato, i matti sono trattati come bestie anche nel nosocomio. Ma il nuovo nome tranquillizza l'opi­nione pubblica e dà l'illusione che la situazione è migliorata».

 

Sentimentalismo e indifferenza

Questa dura realtà è alla portata di tutti. Ci so­no centinaia di volumi nelle librerie che documen­tano la «pressione» di questo esercito di tre mi­lioni di bambini anormali e disadattati che pesano sulla coscienza non solo delle autorità, ma anche della stampa, della Rai, e, purtroppo, di molti psi­chiatri che fanno sedute a 30.000 lire l'ora per i pochi agiati. Su questo non edificante panorama si è aperto il congresso di Rimini, svoltosi con la diserzione totale della stampa italiana e della Rai, ma, occorre dire, anche fra l'accondiscen­denza e l'indifferenza degli stessi partecipanti, i quali hanno preferito una discussione tecnica (e in certi momenti evasiva) invece che un dibattito realistico sulle strutture, i problemi ancora inso­luti dell'assistenza, le iniziative più urgenti da fare per arginare i danni già irreparabili del no­stro paese. Un congresso, in definitiva, che più che altro si è preoccupato, fra le varie relazioni più o meno discutibili, di rinnovare le cariche, di designare il presidente e i suoi vice. Del resto, gli psichiatri infantili più illuminati (che pagano con i loro sacrifici le tare della società e dello Stato) erano tutti assenti.

Già il primo giorno, moderatore Mastropaolo, il congresso si è occupato delle dismorfofobie nell'adolescenza, della «psicodinamica della de­personalizzazione», del neocomportamentismo o delle depressioni infantili, temi non certo fra i più urgenti della neuropsichiatria infantile. È noto che viene indicato come dismorfofobico l'adole­scente che non riesce a integrare le trasforma­zioni somatiche nel proprio schema corporeo: una ragazza che soffre perché ha un po' di pelu­ria sull'avambraccio, un'altra che passa la vita davanti allo specchio a spiarsi le lentiggini sotto gli occhi, oppure una che ha la tendenza ad in­grassare. La depersonalizzazione avviene quando l'adolescente ha difficoltà ad identificarsi, cioè si sente estraneo presso se stesso e si guarda dal di fuori. Il neocomportamentismo è una teoria psicologica americana che tende ad osservare il comportamento attraverso i riflessi e viene quasi a negare la coscienza dell'individuo. Come si ve­de, dunque, siamo di fronte ad argomenti se non completamente frivoli, comunque capricciosi e da studio di lusso ai Parioli.

Nel secondo giorno il tema è stato più impe­gnativo (l'insufficienza mentale grave), ma il sen­timentalismo di alcuni relatori da una parte, il conservatorismo della moderatrice Giliberti-Tin­colini dell'amministrazione provinciale di Firenze dall'altra, e l'indifferenza dei congressisti sulle poche relazioni valide (Giordano, Di Giacomo e Brigazzi, Enrica Quaroni, Marilanda Failla, Mario Rivardo dei centri Como-Lecco-Milano che fanno capo a Marcello Cesa-Bianchi e a Ettore Carac­ciolo) hanno seriamente compromesso la possi­bilità di un vero dibattito. Fra la patetica relazio­ne della dottoressa Bencini (sembrava la titolare delle rubriche cuori infranti di «Grazia» o «No­vella») o quella macabro-sentimentale di Viani, entrambi di Milano, e l'intervento deciso del pro­fessor Giordano, alcuni congressisti hanno pre­ferito intervenire e attirare l'attenzione dei medi­ci sulle prime due, evitando accuratamente di aprire un discorso sulla terza, che è stata la più interessante di tutte.

Nemmeno quando i giovani del Borghetto Pre­nestino hanno attaccato duramente l'assenteismo dei neuropsichiatri infantili, i congressisti, com­plice la loro moderatrice, hanno battuto ciglio. Incredibile poi il comportamento della Giliberti­-Tincolini che ha tolto la parola ai tre giovani dei centri di Como-Lecco-Milano, i quali hanno ten­tato di portare un elemento nuovo con le loro esperienze assistenziali di gruppo per sensibiliz­zare l'apatica platea di questi burocrati della psiche.

 

Il pericolo della pendolarità

Curioso che i due organizzatori del congresso, Gianpaolo Guaraldi ed Eugenio Menegati della clinica malattie mentali di Modena diretta da Rossini, e lo stesso presidente Giovanni Bollea, sono anch'essi legati, per esperienze dirette, all'assistenza di gruppo e si rendono conto della grave crisi della neuropsichiatria infantile in Italia. Fra l'altro, i primi due medici hanno in can­tiere un interessante studio sul fenomeno nuovo della «pendolarità» (pericolo di cronicizzazione del soggetto che si reca ogni mattina al centro assistenziale per tornare a casa nel pomeriggio ed essere rimesso nell'ambiente naturale) e di altre osservazioni implicite nelle esperienze di gruppo. Evidentemente non sono riusciti ad argi­nare la spinta burocratica che proveniva dalla maggior parte dei relatori e dei moderatori.

Ora, si sa che i neuropsichiatri infantili devono combattere, oltre che con l'apatia dei ministeri, anche col retroterra del bambino anormale, cioè la famiglia, l'ambiente, la miseria in molti casi, l'indigenza, la mentalità del nostro paese. Dietro al bambino anormale o con deficit più o meno grave spesso c'è la madre tarata, il padre alco­lista, lo zio epilettico, o, nella maggior parte dei casi, i genitori operai. Il problema dell'assistenza infantile è così grosso che non si può nemmeno pensare di risolverlo con i congressi. Ma non sa­rebbe stato utile, cominciare ad affrontare temi meno evasivi?

SERGIO SAVIANE

 

 

CHIEDIAMO UN CENTRO DI SERVIZI SOCIALI E SANITARI PER IL NOSTRO QUARTIERE

 

Con questo titolo sono stati stampati oltre 6000 volantini e nel quartiere Mercati generali di Torino è in corso un lavoro per la raccolta di firme e per coinvolgere la gente.

Su Prospettive assistenziali abbiamo dato noti­zia del lavoro svolto dal Collettivo intersindacale e interassociativo sull'assistenza (v. i numeri 16, pag. 62; n. 17, pag. 88; n. 18, pag. 62; n. 19, pag. 69; v. anche il quaderno sindacale «Espe­rienze di lavoro e di lotta sui problemi dell'assi­stenza»).

Nella lotta ora si sono inserite altre forze (se­zioni di partito, leghe sindacali, operatori psichia­trici) e le richieste sono avanzate in direzione della costruzione dal basso dell'Unità locale dei servizi.

 

Chiediamo un centro di Servizi Sociali e Sanitari per il nostro quartiere

 

Situazione sanitaria del quartiere

Tutti noi conosciamo per esperienza personale quale sia la situazione sanitaria del nostro quar­tiere.

I poliambulatori INAM sono lontani e sovraffol­lati con conseguenti perdite di tempo per gli spostamenti e le code. Le visite specialistiche devono essere prenotate con molto anticipo e così molti vi rinunciano e pagano il medico pri­vato.

Assurdo è poi il diverso trattamento delle varie mutue, cosicché i cittadini non sono per niente uguali davanti al problema della salute.

Ma ancora più grave è il fatto che attualmente le Mutue si occupano solo di curare quando si diventa ammalati; non si pongono il problema di prevenire la malattia, né di riabilitare coloro che a causa della malattia o di infortunio o dalla na­scita sono in qualche modo menomati.

Già nella fabbrica, a causa delle condizioni di lavoro, il lavoratore è esposto al rischio di am­malarsi o di infortunarsi, e contro questo cerca sempre più di organizzarsi in comitati per l'am­biente, la nocività ed i ritmi di lavoro.

Ma anche nel nostro quartiere, la mancanza completa di verde attrezzato per i giochi e lo sport, di asili nido, la scarsità di scuole materne, il sovraffollamento delle elementari e delle me­die (alla «Duca degli Abruzzi» non si fa ginna­stica per più di 2 ore alla settimana), il caos del traffico, lo smog sono in realtà causa di malattie fisiche e psichiche che nessun Ente, attualmente, si occupa di prevenire.

Questa attività preventiva non esiste nemmeno nelle Scuole del quartiere. Nella «Duca degli Abruzzi» il medico e l'assistente sociale si oc­cupano quasi esclusivamente delle vaccinazioni. Nella «Michelangelo» e nella «Vico» non esiste personale sanitario.

Per quanto riguarda la riabilitazione c'è il vuo­to quasi assoluto e non può fare testo il caso dell'asilo di Via Asunçion, con 4 classi per bambini con disturbi dell'udito e della parola, che serve tutta la Città.

Esaminiamo ora alcune situazioni che il Co­mitato di Quartiere ha potuto conoscere me­glio in questi ultimi tempi.

 

Problema degli anziani

Attualmente l'anziano ammalato, o solo, o che non può pagare l'affitto con la pensione da fame che percepisce, finisce nel Ricovero di C.so U. Sovietica (o in altri simili) dove è considerato irrecuperabile e vegeta in attesa della morte.

Nel Ricovero, l'anziano non solo è tagliato fuo­ri dalla vita civile, esattamente come un carcerato, ma perde i suoi diritti anche per quanto ri­guarda l'assistenza sanitaria. Non ha più infatti il suo medico, ma è il Ricovero che dovrebbe assisterlo, facendosi pagare dalla Mutua la mi­sera quota di L. 60.000 all'anno (irrisoria se si pensa che detta somma viene assorbita da soli 4 giorni di ricovero ospedaliero).

Noi sosteniamo che all'anziano deve essere garantita la possibilità di vivere in casa sua o in piccole comunità e che l'assistenza sociale e sa­nitaria deve arrivare fino a lui con un servizio domiciliare, che del resto il Comune ha iniziato a creare in alcuni quartieri, ma non nel nostro dove pure esiste il più grande Ricovero della città.

I Ricoveri devono essere man mano svuotati e aboliti in quanto non garantiscono l'assistenza all'anziano ma solo la sua emarginazione dalla società.

 

Problema dell'assistenza medico-psichiatrica

Dall'11-1-1971 esiste nel nostro quartiere un Servizio Psico-Medico-Sociale (sito in Via Tunisi, 105, ospite dei locali della Condotta Medica). Esso assiste i dimessi dagli Ospedali Psichiatrici e malati psichici residenti nella nostra zona.

Molti di questi sono lavoratori con disturbi cau­sati dalie condizioni di lavoro (ritmi eccessivi, ambienti rumorosi, ecc.), altri sono immigrati, sofferenti per difficoltà di inserimento nella città industriale, altri sono bambini e ragazzi con pro­blemi scolastici dovuti a difficoltà familiari, me­todi di insegnamento superati, difficoltà di am­bientamento.

Questo servizio è stato ottenuto dalla Provin­cia, per le insistenti richieste del personale degli Ospedali Psichiatrici resosi conto dell'inadegua­tezza dell'assistenza ospedaliera.

Alcuni operatori psichiatrici, distaccatisi volon­tariamente dall'Ospedale, prestano servizio nell'ambulatorio impostando la loro azione sulla pre­venzione oltre che sulla cura e sulla riabilitazio­ne dell'ammalato psichico. L'attività dei Servizi Decentrati Psichiatrici ha lo scopo di limitare il ricovero in Ospedale e di reinserire il lavoratore che è stato ammalato, nel suo ambiente.

Attualmente i due locali di Via Tunisi, sono assolutamente insufficienti e la mancanza di spa­zio paralizza l'attività del Centro che si deve oc­cupare dell'assistenza psichiatrica per tutta la zona di Torino-Sud. Nel 1971 le visite ambulato­riali sono state circa 1000, numero già raggiunto nel primo semestre 1972. Queste cifre dimostra­no l'incremento dell'attività dell'ambulatorio.

Per questo motivo, recentemente gli operatori del Centro hanno chiesto alla Provincia di poter affittare, in via provvisoria, dei locali.

 

Condotta Medica

Negli stessi locali di Via Tunisi è situata anche la Condotta Medica. Essa concede assistenza ai residenti della zona in stato di assoluta povertà. Per dimostrarlo occorrono certificati che dichiari­no la nullatenenza e lo stato di disoccupazione, non solo dell'assistito ma di tutto il nucleo fa­miliare.

Si tratta di un servizio medico di «Serie B» (basta vedere i locali in cui si trova): allo stato di indigenza si aggiunge quindi una assistenza sanitaria più scadente di quella riservata agli al­tri cittadini.

 

Nostre proposte per una azione sui problemi della salute nel nostro quartiere

Il Comitato di Quartiere e le altre forze che si sono interessate del problema ritengono che i principi fondamentali su cui bisogna basarci per affrontare seriamente i problemi della salute sono:

1) Prevenzione delle malattie e ricupero del­le persone menomate.

2) Gestione diretta della salute da parte dei cittadini: si tratta cioè, sia nella fabbrica che nel quartiere ed in collegamento fra di loro, di creare dei servizi sanitari e sociali di cui i cittadini stes­si della zona controllino il funzionamento.

A questi criteri dovrebbe ispirarsi la RIFORMA SANITARIA.

Ma poiché questa riforma viene continuamente rinviata, ed ora è addirittura ignorata dal Gover­no, siamo noi abitanti del quartiere che dobbiamo incominciare a muoverci per difendere la nostra salute.

Nell'Istituto di Ricovero di C. U. Sovietica sta per essere terminata la costruzione di 2 padiglio­ni nuovi che, nelle intenzioni dell'Opera Pia che amministra l'istituto, potenzieranno l'istituto stes­so e serviranno a rinchiudere altri anziani.

Questi padiglioni nuovi dell'Istituto devono in­vece essere utilizzati come centro di servizi sanitari e sociali per il quartiere.

I servizi di immediata necessità e che potreb­bero costituire una prima iniziativa in direzione dell'Unità locale dei servizi sociali e sanitari del quartiere sono:

A) Servizi di prevenzione, medicina e igiene del lavoro, tutela della maternità ed infanzia, me­dicina scolastica e dello sport, lotta contro ma­lattie sociali, igiene ambiente e alimentazione.

B) Servizio di assistenza sanitaria e sociale a domicilio per gli anziani. Questo servizio do­vrebbe anche occuparsi dell'assistenza agli an­ziani ricoverati.

C) Servizi di riabilitazione (fisioterapia, gin­nastica correttiva, rieducazione del linguaggio, ecc.). Si tratta di trasferire in questo Centro il servizio di fisioterapia già esistente nell'Istituto di Vecchiaia, creare quelli mancanti ed aprire questi servizi a tutti i menomati fisici, tempora­nei o permanenti, del quartiere.

D) Servizio Psico-Medico-Sociale. Nei nuovi padiglioni potrebbe trovare sistemazione defini­tiva il centro di V. Tunisi, 105.

E) Condotta Medica. Anche questo servizio dovrebbe essere trasferito nel nuovo Centro Sa­nitario anzi, poiché è già gestito dal Comune, potrebbe costituire il fulcro di tutta l'attività dei Centro. Naturalmente deve scomparire l'attuale limitazione ai poveri.

F) Servizio infermieristico (iniezioni, medi­cazioni, ecc.), eseguito anche a domicilio per ca­si di emergenza, ad es. nel caso di malati tem­poraneamente soli.

Per quanto riguarda il personale necessario, esso deve essere scelto, prima di tutto, tra i lavoratori del Ricovero di Vecchiaia per i quali devono essere organizzati dal Comune dei corsi di qualificazione. In questo modo la graduale scomparsa dei grossi Istituti come il Ricovero non porterà alcun danno al personale che ci la­vora, ma questo potrà lavorare nei nuovi servizi in condizioni senz'altro migliori delle attuali.

Noi chiediamo che sia il Comune a fornire e gestire questi servizi, per mezzo di convenzioni con le Mutue e la stessa Provincia (per quanto riguarda il servizio psico-medico-sociale).

Nello stesso tempo chiediamo che la Regione, nell'ambito delle proprie competenze, stabilisca il piano dei servizi sanitari e sociali.

Solo il controllo e la partecipazione dei citta­dini assicurerà la efficacia dell'azione di preven­zione e l'aderenza dei servizi (sia quelli elencati che quelli che via via si renderanno necessari) alle necessità di tutti gli abitanti del quartiere.

 

COMITATO DI OUARTIERE MERCATI GENERALI - Via Montevideo, 41 - Torino

P.C.I. - Sez. 45ª - Rosemberg - Via Filadeltia, 21

P.S.I. - Sez. Baraldi - Via Bordighera, 4

P.R.I. - Sez. Pisacane - Via Narzole, 7

UNIONE DEI DIRITTI DEL MINORE - Via Artisti, 34

CONSIGLIO DEI DELEGATI DELL'ISTITUTO DI RIPOSO di Corso Unione Sovietica

LEGHE SINDACALI CGIL - CISL - UIL Sede: Via Vado, 1

CENTRO PSICO-MEDICO-SOCIALE TORINO-SUD - Via Tunisi, 105

 

 

(1) Per gentile concessione dell'Autore e dell'Editore pubblichiamo l'articolo apparso su «Espresso colore», n. 41, dell'8 ottobre 1972.

 

 

 

EMARGINAZIONE DEGLI ANZIANI A FIRENZE

 

Il Comune di Firenze, di cui ricordiamo l'inizia­tiva per la cogestione dell'emarginazione degli handicappati (1), ha recentemente approvato una serie di norme alle quali devono adeguarsi le case di riposo per anziani convenzionate con il Comune stesso.

Le principali norme prevedono:

- le ammissioni, dimissioni e trasferimenti degli anziani devono essere concordate fra il ser­vizio sociale comunale e le direzioni degli isti­tuti;

- gli istituti si impegnano a procedere «con sollecitudine al rinnovo delle strutture edilizie realizzando camere da 1, 2, 3, 5 letti»; devono essere previsti 1 gabinetto ogni 5 persone e 1 bagno ogni 10; «ogni sala da pranzo possibilmen­te riprodurrà le caratteristiche della vita fami­liare (?!): non accoglierà più di 20-25 ospiti con tavoli da 4 o 6 posti»;

- «l'anziano sarà libero di organizzare, se capace, la propria giornata e con l'eventuale con­sulenza di personale specializzato; gli anziani, in assenza di precise controindicazioni mediche, sa­ranno liberi di uscire in qualsiasi momento, fat­to salvo il rispetto degli orari dei pasti e del rien­tro serale»;

- «l'istituto si impegna ad offrire agli ospiti una adeguata assistenza religiosa quale messag­gio di speranza e di liberazione ed alla cui pratica ciascuno potrà liberamente partecipare (...). Gli ospiti si asterranno da ogni atteggiamento che possa offendere i principi morali e religiosi della comunità che li ospita e di cui fanno parte»;

- «l'istituto Comunale di Geriatria assicure­rà il controllo sanitario dell'anziano (...) con fina­lità preminentemente preventive e di consulen­za», mentre «lo stato di salute dell'anziano ospi­te dall'Istituto, ai necessari fini terapeutici, sarà invece seguito dall'Ente mutualistico di compe­tenza o dal medico condotto che, a cura dell'Isti­tuto stesso, sarà chiamato e debitamente infor­mato di ogni evenienza di carattere morboso»;

- l'alimentazione dovrà essere conforme alla tabella dietetica approvata dall'Istituto Comuna­le di Geriatria;

- «il Comune, per ogni anziano ricoverato a suo carico, corrisponderà una retta che deve ri­tenersi onnicomprensiva e comunque remunera­tiva delle seguenti prestazioni: vitto (vino com­preso), alloggio, assistenza infermieristica e di tipo domiciliare, igiene personale e servizio pe­dicure, manutenzione biancheria ed indumenti personali, biancheria da letto, da bagno, da tavo­la». Nel caso di compartecipazione dell'anziano all'ammontare della retta corrisposta dal Comune, sarà comunque lasciata alla libera disponibilità dell'anziano medesimo per i suoi piccoli bisogni una somma pari all'ammontare della pensione so­ciale.

Risulta evidente che le norme sono dirette es­senzialmente a migliorare le condizioni di vita degli anziani emarginati negli istituti e assicu­rano agli istituti stessi non solo la sopravvi­venza, ma anche entrate economiche remune­rative.

In definitiva la normativa del Comune di Firenze è un vero e proprio contratto di appalto dell'assistenza agli anziani. Infatti il Comune di Firenze si libera dei suoi obblighi delegando gli istituti a provvedere alle prestazioni e impegnan­dosi di pagare.

È in definitiva quello che richiede il documen­to sull'assistenza della Conferenza Episcopale Italiana (2) e cioè che «Mentre il servizio di as­sistenza economica viene necessariamente ad essere di competenza pubblica, deve restare aperta alla libera iniziativa la possibilità di tra­sferire la gestione dei servizi sociali ad altri sog­getti che, oltre ad operare in vista delle finalità fissate dalla programmazione, offrano garanzie di prestazioni adeguate sul piano qualificativo».

Nella normativa del Comune di Firenze l'emar­ginazione degli anziani viene fatta risalire agli anziani stessi. Infatti viene stabilito che «l'isti­tuto avrà cura di operare perché ciascun ospite scopra il modo di rendere utile la propria vec­chiaia a sé e agli altri, incentivando l'attività cul­turale, ricreativa ed occupazionale corrisponden­te agli interessi degli ospiti. Fra le attività cul­turali, a titolo esemplificativo, si indicano la isti­tuzione di una piccola biblioteca con prestito di libri, l'organizzazione di conferenze e dibattiti su temi di attualità prescelti dagli stessi ospiti, la proiezione di cortometraggi e documentari cine­matografici, ecc.».

La normativa precisa inoltre che «fra le atti­vità ricreative possono essere presi in conside­razione piccoli tornei di bocce, di scacchi, di sco­pa ed altri giochi».

Infine viene indicato che «anche i rapporti con l'ambiente esterno, che contribuiscono a rompe­re lo stato di isolamento psicologico e materiale dell'anziano (3), saranno facilitati con ogni mez­zo possibile. Al riguardo la Direzione dell'Istitu­to potrà, in accordo con il Servizio Sociale, or­ganizzare visite ai musei, ai monumenti della cit­tà e gite fuori città, curare la partecipazione de­gli anziani a spettacoli teatrali, cinematografici e sportivi e favorire opportuni incontri con gli ospi­ti di altri Istituti, con i coetanei in genere e con i giovani».

L'anziano è dunque considerato per definizione un incapace e tutto deve essere organizzato, per­sino gli incontri con le persone esterne all'istitu­to, ma beninteso, questi incontri dovranno esse­re opportuni.

Non vi sono quindi cause economiche e sociali all'emarginazione degli anziani: tutto si può ri­solvere con qualche gara di bocce e con oppor­tuni incontri (4).

 

 

DOCUMENTO DELL'A.N.I.E.P.

 

L'Assemblea Nazionale dell'A.N.I.E.P. del 24-9-­1972, dopo avere esaminato i principali problemi relativi all'applicazione della legge 30 marzo 1971, n. 118, rileva le gravi disfunzioni ed omissioni che si verificano tuttora nell'ambito di competenza del Ministero della Sanità, nonché il ritardo di di­verse Regioni ad assumere le funzioni trasferite o delegate in materia di assistenza sanitaria.

In particolare l'Assemblea Nazionale dell'A.N.I.E.P. denuncia:

1) la perdurante e grottesca espansione nu­merica degli invalidi civili (che tra qualche me­se saranno circa un milione), dovuta ad affretta­te o paternalistiche valutazioni delle Commissio­ni Sanitarie Provinciali, molte delle quali (nono­stante le precise disposizioni della circolare del Ministero della Sanità del 17 gennaio 1972) con­tinuano ad attribuire il riconoscimento dell'inva­lidità civile in base a criteri del tutto eterogenei rispetto ai dovuti giudizi scientifico-sanitari;

2) l'altrettanto deplorevole facilità con cui le stesse Commissioni Sanitarie Provinciali, ade­rendo alle comprensibili ma inaccettabili insi­stenze degli interessati, accertano la totale ina­bilità lavorativa e conseguentemente formulano diagnosi di irrecuperabilità che escludono, per una misera pensione, ogni intervento riabilitati­vo e possibilità di recupero;

3) i gravissimi danni che derivano sul piano sociale ed economico da tale distorto e aseletti­vo meccanismo di accertamento delle condizioni di minorazione e cioè: l'inflazione di pseudo-in­validi, con la conseguente inapplicabilità della legge sul collocamento obbligatorio; l'ingiustifi­cabile incremento numerico di cittadini qualifica­ti totalmente inabili ed irrecuperabili, con la con­seguente impossibilità di rivalutare i trattamenti pensionistici e la creazione giuridica di vaste classi marginali e passive;

4) il persistere, nonostante le chiare affer­mazioni del primo comma dell'art. 3 della legge n. 118 del 30 marzo 1971, dell'incivile e incosti­tuzionale pratica delle «deportazioni assisten­ziali», mediante il ricovero di handicappati, so­prattutto bambini, in istituti lontanissimi dall'am­biente di origine e dalla famiglia, provocando co­sì traumi psichici e lacerazioni affettive e socia­li le cui conseguenze sono gravissime e spesso irreversibili;

5) la totale inadempienza riguardo agli im­pegni di sviluppo dei trattamenti sanitari domi­ciliari, la insoddisfacente situazione delle forme di assistenza ambulatoriale e a degenza diurna, nonché la mancata attuazione di istituzioni tera­peutiche (focolari, pensionati, ecc.) alternative rispetto ai tradizionali istituti-caserma, dove si continua a concentrare la massa degli invalidi re­cuperabili e irrecuperabili, bambini ed adulti;

6) la clamorosa inadempienza di quanto è stato disposto in materia di normativa e di con­trollo dei centri e istituti privati dove frequente­mente si umilia la dignità e si mercifica l'infer­mità dei ricoverati o addirittura si approfitta del­la loro incapacità di intendere o della loro tene­ra età, fino ad esercitare ogni sopruso e anche violenze fisiche;

7) il grave ritardo nell'istituzione delle strut­ture di formazione di nuovi operatori sociali e personale specializzato, secondo quanto dispo­sto dall'art. 4 della Legge n. 118 del 30 marzo 1971.

L'Assemblea Nazionale dell'A.N.I.E.P. pur con­siderando che molti dei problemi suesposti po­tranno essere risolti solo con la riforma sanitaria nazionale, investe il Ministero della Sanità e le Regioni delle pesanti disfunzioni che si rilevano nell'ambito dell'assistenza sanitaria agli invali­di civili, assistenza che è spesso, anziché occa­sione di affermazione del diritto alla salute e di recupero fisico e sociale, uno strumento di esclu­sione, di repressione, di arbitrio, di discrezionali­tà e di potenziamento delle «istituzioni totali».

 

 

(1) Si vedano gli articoli «Istituti di ricovero, servizi aperti e cogestione dell'emarginazione», in Prospettive assi­stenziali, n. 16, pag. 1 e segg. e «Cogestione dell'emarginazione» in Prospettive assistenziali, n. 17, pag. 13 e segg.

(2) V. Prospettive assistenziali, n. 19.

(3) Il corsivo è nostro.

(4) Sulle alternative all'emarginazione degli anziani vedasi la pubblicazione dei Comitati regionali piemontesi CGIL, CISL, UIL, «Esperienze di lavoro e di lotta sui problemi dell'assistenza», Torino, 1972.

 

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