Prospettive
assistenziali, n. 20, ottobre-dicembre 1972
EDITORIALE
UNITÀ LOCALE E SERVIZI ONNICOMPRENSIVI
Da qualche tempo il discorso sulle unità locali dei servizi è
uscito dall'ambiente degli addetti ai lavori e viene
portato avanti anche dalle forze politiche, sindacali e di base.
Ne sono prova le linee programmatiche
su «Sanità, assistenza e tutela dell'ambiente» della Regione Emilia-Romagna (di cui pubblichiamo un ampio estratto) e
le richieste avanzate dal Comitato di quartiere Mercati generali di Torino,
sottoscritte da sezioni di partito, leghe sindacali, delegati dell'istituto di
riposo per anziani, operatori sociali (V. in questo numero nella rubrica
«Notizie»).
Unità
locale dei servizi
Come più volte abbiamo scritto, intendiamo per unità locale
dei servizi non un nuovo ente, ma il complesso dei servizi sanitari,
scolastici, abitativi, sociali, culturali, ricreativi, ecc.,
gestiti dai comuni o consorzi di comuni o articolazioni subcomunali
aventi una dimensione territoriale comprendente all'incirca 50.000 abitanti,
con la partecipazione delle forze sociali del territorio.
A questo riguardo è molto interessante il documento,
pubblicato in questo numero, della Regione Toscana concernente gli interventi
necessari per rendere effettivo il diritto allo studio, documento in cui si fa riferimento al distretto scolastico o unità locale
dei servizi scolastici.
Unità
locale dei servizi assistenziali o sociali
Ma anche l'unità locale nel tentativo di riforma di fondo dei servizi può venir svuotata da coloro che
vogliono che tutto resti così com'è. Si utilizza allora il termine di unità locale per proporre contenuti, strutture e prestazioni
completamente diversi da quelli richiesti per un radicale cambiamento. È il
caso del Ministero dell'interno che non propone l'unità locale dei servizi
sanitari, scolastici, abitativi, sociali, culturali, ricreativi, ecc., bensì l'unità comunale dei servizi sociali di assistenza (1), avente una personalità giuridica propria. E
questo perché? È nell'interesse del Ministero dell'interno e di molti dirigenti
di enti pubblici e privati conservare, anzi potenziare
il settore dell'assistenza e cioè quell'insieme di istituzioni e interventi
diretti a tenere in una condizione di vita subumana sul piano economico,
personale e sociale le persone non più inserite in attività lavorativa
(anziani, invalidi del lavoro, ecc.) o esclusi dal ciclo produttivo (sottoccupati,
disoccupati, handicappati, ecc.).
Con la creazione di unità locali
distinte per settore e soprattutto se ognuna di esse avrà una sua personalità
giuridica (unità sanitaria locale, unità locale dei servizi assistenziali,
unità locale dei servizi scolastici, unità locale dei servizi abitativi, magari
l'unità locale dei servizi culturali e ricreativi, ecc.) si opera in primo
luogo lo svuotamento delle competenze dell'organo elettivo il più a contatto
con i cittadini, il Comune, e in secondo luogo si settorializzano
i problemi, rendendo ancora più difficile gli interventi a monte che sono
indispensabili se si vogliono eliminare le cause che provocano la richiesta di
assistenza.
Prendiamo ad esempio il ricovero degli anziani in istituto:
esso può essere evitato se vi è una gamma di interventi:
pensioni adeguate, prestazioni domiciliari sociali e sanitarie, alloggi
individuali o per piccole comunità anche con servizi collettivi. Da qui
pertanto la necessità politica e tecnica che tutte queste competenze siano
affidate ad un unico organo politico-amministrativo.
E.C.A.
e ambulatori mutualistici
Come nel convegno di Torino dell'1-2 dicembre
Organizzazione
interna dell'Unità locale dei servizi
Con delibera del 7 luglio 1972 il Comune di Torino ha
deliberato l'istituzione di un centro di servizi assistenziali
di base nel quartiere Vanchiglia-Vanchiglietta
(abitanti 48.000), che, nelle intenzioni della Giunta, dovrebbe costituire
l'avvio di una unità locale sperimentale.
Per ciascuno dei quattro servizi che verranno
istituiti è stato previsto un organico apposito del personale: 2 addetti al
segretariato sociale, 5 assistenti sociali per il servizio professionale di
zona, 5 fra addetti e accertatori per il servizio di assistenza economica e 6
collaboratrici familiari ed 1 economa per il servizio di aiuto domestico.
L'iniziativa ha un lato positivo: la
richiesta del Comune di Torino di sostituirsi; per la parte operativa, agli
enti istituzionalmente competenti per le diverse categorie di assistiti,
stipulando convenzioni in modo che gli enti stessi assumano i relativi oneri
economici. In tal modo, da un lato si assicurano ai cittadini prestazioni
uguali e d'altro lato si agisce concretamente per la soppressione degli enti
che transitoriamente e cioè fino ai loro scioglimento
diventano esclusivamente degli uffici pagatori.
È sotto questo aspetto, anche se
alcuni enti, quali l'E.C.A., hanno rifiutato di
convenzionarsi, che l'iniziativa è positiva.
Negativa è invece la predisposizione di servizi settoriali.
Basti al riguardo ricordare che il servizio professionale di zona dovrà
segnalare agli altri servizi i casi in cui sia
necessario intervenire con l'assistenza economica, con l'aiuto domestico o
anche con prestazioni specialistiche (3). Soffermandoci su
questo aspetto e riferendoci ai soli servizi sociali,
possiamo dire schematicamente che le soluzioni possono essere le due indicate
nelle tabelle seguenti:
Tabella
1
Schema
indicativo dei servizi decentrati nelle unità locali dei servizi con
particolare riguardo a quelli sociali
1ª ipotesi: servizi a
sé stanti
Unità locale dei servizi (50.000
abitanti circa) (Interventi di prevenzione, promozione,
trattamento e riabilitazione) |
|||||||||
Servizio di assistenza economica |
Servizio per affidamenti familiari e adozioni |
Servizio di assistenza convittuale per minori |
Servizio di assistenza convittuale per handicappati |
Servizio di assistenza convittuale per anziani |
|||||
|
|||||||||
|
Servizio di assistenza domiciliare |
Servizi di riabilitazione |
Servizio psicopedagogico scolastico |
Servizio di ecc. ecc. |
|
||||
Nota: Ogni servizio ha una propria
organizzazione, una propria direzione, propri organici.
In sostanza viene riprodotta a livello locale una settorializzazione del tutto simile a quella esistente
attualmente a livello nazionale.
Le
molteplici competenze dell'unità locale (servizi sanitari, scolastici, sociali,
abitativi, culturali, ricreativi, ecc.) comportano,
nell'ipotesi prospettata, gravi (e per noi insormontabili) difficoltà
di coordinamento dei vari servizi. Tali difficoltà sarebbero ancora accresciute
se i vari servizi dipendessero da diversi organismi
politico-amministrativi o anche da assessorati diversi.
Sia
dalle unità locali dei servizi che dai comprensori (comprendenti più unità
locali dei servizi) le attività, escluse quelle meramente burocratiche, non
dovrebbero essere attribuite a singoli assessori, ma
dovrebbero essere svolte a livello dipartimentale.
Tabella 2
Schema
indicativo dei servizi decentrati nelle unità locali dei servizi
2ª ipotesi: interventi
integrati in un unico servizio
Unità locale dei servizi (circa
50.000 abitanti) (Interventi di prevenzione, promozione,
trattamento o riabilitazione) |
|
Servizio integrato per interventi di assistenza
economica, assistenza domiciliare, affidamenti familiari, adozioni,
assistenza economica, assistenza convittuale (di
minori, anziani, handicappati), di riabilitazione, di assistenza sanitaria,
ecc. |
Nota: Se per motivi tecnici, ad esempio poiché
nell'unità locale dei servizi i bisogni da coprire sono molti, oppure se il
territorio è molto ampio, potrebbero essere istituiti due o più servizi
integrati aventi ciascuno competenza in una zona-parte
dell'unità locale dei servizi.
La
creazione del servizio integrato, evitando che esista una organizzazione
per ciascuna competenza di intervento, consente di evitare che la risposta
venga data non in base al bisogno, ma secondo la funzionalità del servizio
interpellato
Nel
servizio integrato possono essere compresi altri interventi (sanitari,
abitativi, scolastici, culturali, ricreativi, ecc.), interventi che sono tutti
fra di loro interdipendenti.
Proposte
di legge del P.C.I.
In linea con la creazione dei servizi settoriali, indicati
schematicamente nella tabella 1, è la proposta di legge n. 1060 «Norme per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni
fisiche, psichiche e sensoriali dei soggetti handicappati in età evolutiva»,
presentata alla Camera dei Deputati il 26-10-1972 dall'on.
Seroni e da altri parlamentari del P.C.I.
La proposta prevede infatti che in
aggiunta agli altri servizi e in particolare ai servizi di medicina scolastica
siano istituite «unità di riabilitazione» con il compito di «provvedere alla
cura e alla riabilitazione dei soggetti handicappati in età evolutiva (...)
sia fornendo servizi curativi e riabilitativi ambulatoriali, sia effettuando
prestazioni extrambulatoriali nella scuola, nelle
istituzioni educative per l'infanzia, nella famiglia, sia ospitando i minori
handicappati in conseguenza di danni cerebrali estesi e permanenti».
Questa proposta di legge tende dunque a separare gli
interventi per i minori in età evolutiva da quelli per gli adulti handicappati,
mentre invece proprio per questi adulti il problema è
più grave, per la quasi totale carenza di strutture (oggi gli handicappati
adulti, com'è noto, vivono per lo più segregati in istituti o in ospedali
psichiatrici).
Ma ancora più grave è il fatto che
la proposta suddetta prevede l'emarginazione degli handicappati aventi danni
cerebrali estesi e permanenti (spastici, insufficienti mentali, epilettici,
ecc.) in istituzioni diurne riservate ad essi. Tanto da far sorgere il dubbio
che nei loro riguardi i proponenti abbiano agito
sotto l'influenza della logica produttivistica. Stranamente poi notiamo che la proposta di legge n. 1060 è in molti punti in
netto contrasto con l'altra proposta del P.C.I., n.
426 (4) «Norme generali sull'assistenza
e beneficenza pubbliche», presentata alla Camera dei Deputati il 7-7-1972 dall'on. Lodi. Infatti la proposta 426 indica gli obiettivi politici generali
che devono essere assolti dai servizi, precisa che gli interventi devono essere
globali e lascia piena autonomia sia alle Regioni per quanto concerne la
programmazione e la legislazione in materia, sia ai comuni o consorzi di
comuni nei riguardi dell'organizzazione dei servizi. Invece la proposta 1060
si configura come regolamento prevedendo, come abbiamo visto, una nuova
struttura operativa per minori handicappati: le unità di riabilitazione,
di fatto distinta dalle altre.
Inoltre all'art. 5 di quest'ultima proposta viene previsto che le attività di prevenzione, cura e
riabilitazione, l'istituzione e la gestione delle unità di riabilitazione siano
affidate ai comuni, singoli o associati in concorso con le province. Così, accanto ai servizi gestiti dai comuni o da consorzi
fra comuni, si avranno le unità di riabilitazione e le altre attività sopra
indicate gestite da un ente diverso, e cioè dal consorzio fra comuni e province.
Ancora più arretrata della 1060 è la proposta di legge n.
301, presentata al Senato il 7 agosto 1972 dal sen. De Marzi e da altri
parlamentari D.C. e sottoscritta anche da Terracini
del P.C.I. (5) e da Avezzano, Comes e Signori del P.S.I., che prevede l'aumento di un miliardo e mezzo di lire all'Ente
Nazionale Sordomuti, che oggi già riceve ben 2 miliardi e 850 milioni. Vi è da
notare che, com'è scritto nella relazione della proposta suddetta, l'aumento viene richiesto per consentire che l'E.N.S. «possa continuare
nell'insostituibile opera di inserimento sociale del sordo a tutti i livelli»,
quando invece l'ente è proprio lo strumento per la loro emarginazione.
Sarebbe pertanto necessario che i partiti e in particolare il
P.C.I. e il P.S.I. che hanno presentato proposte di legge-quadro
sull'assistenza, precisassero in modo chiaro le loro posizioni e chiarissero cioè se, vogliono o meno lo scioglimento degli enti pubblici
nazionali (ONMI, Ente nazionale sordomuti, ecc.) e l'inserimento di tutti gli
handicappati nelle comuni strutture scolastiche, sanitarie, abitative e
ricreative, ecc.
Servizi
onnicomprensivi
Da parte nostra ribadiamo la
necessità assoluta che tutti i servizi devono essere non settoriali e cioè
riservati a particolari «categorie», ma onnicomprensivi e cioè aperti a tutti i
cittadini.
1) La scuola onnicomprensiva
Per quanto concerne le strutture formative (asili nido,
scuole materne, scuole dell'obbligo, scuole superiori, corsi di
addestramento professionale, ecc.) occorre giungere al più presto alla
eliminazione delle attuali discriminazioni, per cui in luogo di una scuola unica
aperta a tutti, ne sono state costituite numerose a seconda di «categorie»
prefissate di cittadini.
A Torino abbiamo infatti: la scuola
comune, le classi differenziali, le scuole speciali, le classi speciali presso
le scuole comuni, il centro educativo comunale per handicappati psichici
gravi, le classi presso istituti di assistenza e convitti, le scuole per
spastici, ciechi, ambliopici, sordomuti, sordastri,
ecc.
Nella fase transitoria dovrebbe essere solamente ammessa, per
i casi effettivamente gravi, la creazione di classi speciali presso le scuole
comuni. All'interno delle scuole comuni dovranno essere
fornite le prestazioni specialistiche (fisioterapia, logopedia,
ginnastica correttiva, insegnamento del Braille, ecc.).
È evidente che la scuola per diventare onnicomprensiva deve
modificare profondamente i suoi contenuti: in sintesi da selettiva, e cioè per i più «dotati», deve diventare formativa, nel senso
di fornire a tutti quanto necessario per il pieno sviluppo della propria
personalità.
2) La casa onnicomprensiva
Lo stesso discorso vale per la casa. Creare case
onnicomprensive significa predisporre nel normale contesto
abitativo, e cioè in ogni quartiere, abitazioni idonee alle varie necessità
individuali, familiari e sociali.
Da un lato le case devono essere costruite in modo che le si possa abitare anche quando si diventa anziani o si
abbiano difficoltà motorie, d'altro lato esse devono essere dotate di quei
servizi necessari ad una effettiva vita di relazione (locali attrezzati per
incontri, per attività ricreative, culturali per minori e adulti). In
particolare dovranno essere previsti alloggi individuali e per piccole comunità
per minori, adulti, anziani e per le famiglie che intendono vivere comunitariamente
Verrà
così reso inutile, fra l'altro, il ricovero in istituto di quelle persone
espulse a causa di abitazioni inidonee.
3) I servizi sanitari onnicomprensivi
Lo stesso discorso vale altresì per i servizi sanitari. Oltre all'effettivo collegamento fra prevenzione, cura e
riabilitazione, occorre anche unire veramente il momento ospedaliero con quello
extra-ospedaliero.
Ad esempio, in ogni quartiere devono essere costruiti dei
centri sanitari che comprendano la parte ospedaliera,
con ricovero 24 ore su 24, la parte semi-ospedaliera, alcune ore al giorno e
cioè i cosiddetti ospedali diurni e notturni, e la parte ambulatoriale ed extrambulatoriale.
Fra le attività dei centri sanitari di quartiere
le principali dovrebbero essere: quelle di prevenzione, cura e
riabilitazione relative alla ginecologia, pediatria, geriatria, medicina e
chirurgia generale che non richiedono interventi di alta specializzazione.
Solo in questo modo sarà possibile evitare, fra l'altro, la
costruzione dei nuovi ghetti quali gli ospedali geriatrici,
i gerontocomi, gli psicogerontocomi e si potrà
consentire alle persone ammalate di mantenere contatti con la comunità (6).
Riassetto
del territorio e barriere architettoniche
Tutte queste rivendicazioni, e quelle riguardanti gli altri
servizi, presuppongono un diverso riassetto ed uso del territorio, per cui il discorso urbanistico diventa prioritario. Sono infatti di primaria importanza l'organizzazione delle
città, la facilità delle comunicazioni, la possibilità effettiva delle
relazioni di ogni genere fra i membri della comunità.
Ciò deve avvenire invertendo i rapporti:
- nel sistema attuale anche la disposizione della città è
condizionata dal modo di produzione, distribuzione e consumo delle merci;
- l'interesse dei cittadini è invece quello di avere una
città a misura dell'uomo, in cui il complesso delle
attrezzature sociali abbia importanza rispetto al contesto della residenza e
delle attività produttive e non viceversa. Ciò è possibile solo nella misura in
cui si individui un modello alternativo di sviluppo urbano
fondato sul riequilibrio sostanziale delle tipologie di insediamento, secondo
una diversa logica dei rapporti sociali e della distribuzione delle risorse.
Le persone giovani e attive sentono ovviamente meno le
conseguenze dell'organizzazione della città che affatica, che presenta barriere
anche edilizie, che impedisce o rende difficili i rapporti sociali. Tuttavia
ciò provoca in tutti un logoramento, che naturalmente
è più sentito dalle persone anziane, dagli invalidi, dai cardiopatici o da
tutti coloro che hanno difficoltà a spostarsi.
Pertanto l'abbattimento delle barriere architettoniche non
viene richiesto per costruire città a misura degli handicappati o degli
anziani, ma è un problema politico che investe tutti nella lotta per una
diversa organizzazione del territorio, e in definitiva dell'organizzazione
della società.
(1) V. «Norme sull'assistenza pubblica e schema di
disegno di legge-quadro sugli enti assistenziali»,
redatto dal Ministero dell'interno (giugno 1971), in Prospettive assistenziali, n. 15, luglio-settembre 1971, pag. 10 e
segg.
(2) L'A.N.E.A. ha presentato
una bozza di proposta di «legge quadro sui servizi sociali e di riforma della
pubblica assistenza» che ricalca in sostanza quella redatta dal Ministero
dell'interno nel giugno 1971, il cui testo è stato pubblicato nel n. 15 di Prospettive assistenziali.
(3) II decentramento proposto dal Comune di Torino verrebbe ad essere
parziale e puramente burocratico.
Sui contenuti dei servizi ritorneremo nel prossimo
numero di Prospettive assistenziali.
(4) Le proposte di legge n. 426 e 1060 sono riportate
integralmente in questo numero in modo che anche i lettori possano confrontarle
e giudicare.
(5) Ricordiamo, come avevamo scritto nell'editoriale del
n. 18 di Prospettive assistenziali,
che il sen. Terracini aveva presentato nella scorsa
legislatura (primo firmatario l'on. Russo) la
proposta di legge n. 2039: «Statizzazione di scuole per
sordomuti, materne, elementari e di istruzione secondaria di primo
grado». La proposta, diretta a far gestire dallo Stato l'emarginazione oggi
attuata dall'Ente nazionale sordomuti e da privati, è stata ripresentata, con
un testo identico, il 2 agosto 1972, n. 665, alla Camera dei deputati dall'on. Gui e da altri 65
parlamentari D.C., P.C.I., M.S.I., P.L.I., P.R.I. e P.S.I.
(6) Le attività che non possono tecnicamente essere
svolte a livello di unità locale, dovrebbero essere di competenza dei
comprensori. V. lo schema pubblicato sul n. 15 di Prospettive assistenziali.
www.fondazionepromozionesociale.it