Prospettive
assistenziali, n. 21, gennaio-marzo 1973
STUDI
CARITÀ
E ASSISTENZA
GIORGIO PAGLIARELLO
È ancora molto frequente, per non
dire abituale, in discorsi e scritti sui problemi
dell'assistenza, in particolare negli ambienti ecclesiali, l'uso equivalente
delle espressioni: «azione caritativa» e «azione assistenziale».
Lo stesso Concilio
Ecumenico Vaticano II, ad esempio, nel decreto sull'apostolato dei laici al n.
8, pur dichiarando che la carità «può e deve abbracciare tutti assolutamente
gli uomini e tutte quante le necessità», afferma esservi «opere che per natura
propria sono atte a diventare vivida espressione della stessa carità». Sembra cioè
che determinati interventi ricavino la qualifica di «caritativi» dalla loro
stessa natura più che dal bisogno dell'altro e dall'atteggiamento di chi li
attua. In altre parole: l'azione assistenziale sarebbe
caritativa perché assistenziale.
L'affermazione conciliare: «opere
che per natura propria sono atte a diventare vivida espressione della stessa
carità» è accettabile se intende definire quegli interventi che sono postulati
dal bisogno concretamente esistente nei singoli ambienti; per
cui ha la priorità l'azione assistenziale dove esistono le necessità
relative, mentre sono espressione di carità, ad esempio, l'azione di
liberazione là dove la persona umana è oppressa o
l'istruzione nelle aree di sottosviluppo culturale. Cioè:
non è il tipo di intervento ad essere espressione di carità, ma è la necessità
dell'altro che indica quale deve essere l'azione che, se compiuta con amore,
testimonia la carità.
Un altro esempio di confusione,
altrettanto grave e preoccupante, lo si ha osservando
l'istituzione della «Caritas italiana», organismo
presente dal
La stessa confusione si è notata
nelle relazioni e nei gruppi di studio del 1° Incontro nazionale dei Presidenti
Caritas diocesane, tenutosi a Roma il 26-27-28
settembre 1972, dove si è parlato di Chiesa locale come comunità di amore e contemporaneamente di colonie, soggiorni di
vacanza, istituti assistenziali, asili e scuole materne, servizio sociale,
interventi per il terzo mondo. Sembra che non si comprenda un'alternativa che è estremamente chiara:
- o per «carità» si
intende il precetto evangelico dell'amore, ed allora è esatto chiamarlo
così, e si identifica con lo stesso «essere Chiesa» e quindi con tutti i
settori dell'azione pastorale che devono essere espressione di carità e dalla
carità venire animati; per cui l'attuazione della carità deve avvenire in
tutta
- o per «carità» si
intende l'insieme degli interventi a favore dei bisognosi, ed allora va
chiamato assistenza ed è un particolare settore della pastorale della Chiesa,
anch'esso evidentemente espressione di carità e dalla carità animato; ma per
questo esistono già
Esiste certamente uno spazio per la
«Caritas italiana»: le sue funzioni potrebbero essere
quelle di provvedere agli interventi in casi di calamità e per il terzo mondo,
di preparare gli operatori sociali per i servizi nelle comunità parrocchiali e
diocesane, di costituire centri-studi sui problemi assistenziali.
È un errore grave e pericoloso
continuare ad usare indifferentemente il termine «carità» per definire sia l'Amore
sia le opere assistenziali, perché porta a ritenere
equivalenti dei valori che sono complementari ma diversi tra loro. Ed inoltre
favorisce un equivoco già tanto comune: che l'assistenza non sia un diritto
dell'uomo ai servizi sociali, ma competenza della
carità, avallando una situazione di «delega» da parte degli Enti pubblici, di
«paternalismo» da parte degli Enti assistenziali, di «servilismo» da parte
degli assistiti. La carità non si identifica con le
opere, con nessuna opera, anche se, come tutti gli atteggiamenti interiori,
nelle opere si esprime e si rende visibile. Per il Cristiano
la carità è:
- un modo di essere «dentro»,
essenziale perché sì identifica con il Comandamento nuovo insegnato da Cristo,
vitale perché Dio stesso nella sua natura e nella sua
incarnazione nel mondo e nell'uomo è Carità;
- un modo di essere «fuori», logica
e necessaria manifestazione dell'atteggiamento interiore, anima di qualsiasi
azione e di qualsiasi momento del proprio esistere;
- un modo di essere
«insieme», perché
Le azioni, quindi, nessuna azione, è «di carità»; ma le azioni, tutte le
azioni, devono essere «animate dalla carità», cioè realizzate per amore e con
amore. Tanto meno sono «di carità» le opere, se per esse
si intendono le strutture, gli organismi, gli edifici, gli statuti, le
tradizioni.
È ingiusto e inesatto giudicare
impegnati in modo specifico nella carità coloro che agiscono nel settore
dell'assistenza e non chi opera in altri settori,
oppure chi dedica il proprio tempo libero al servizio dei fratelli e non chi
vive questa dedizione nel proprio ambiente professionale, ovvero chi fa parte
di una struttura e non chi compie le stesse azioni con testimonianza
personale. Esemplificando: non possiamo continuare a ritenere «caritatevoli»
per definizione
Perché le persone derivano il loro
valore non dalle istituzioni «in cui sono» ma da «ciò
che sono», non tanto da «ciò che fanno» quanto piuttosto da «come agiscono».
Se continueremo a definire «azione
caritativa» l'azione assistenziale e a non impegnarci
perché ogni azione sia espressione di carità, saremo responsabili del
permanere di quella mentalità che:
- considera la carità come un
impegno delegabile a chi si crede ne possegga il
carisma, senza sentirsi investiti dei problemi degli altri, riducendo l'offerta
di se stessi all'offerta di beni, identificando l'essere carità con il fare la
carità;
- sacralizza
le strutture e quindi sacrifica persone e mezzi per salvare le istituzioni e
non per attuare risposte veramente liberatrici di chi è vittima del bisogno;
- sminuisce o rifiuta il valore
dell'impegno politico-sociale, accettando di supplire senza compiere azione di denuncia
e di responsabilizzazione nei confronti di chi ha il dovere di
intervenire, e dimenticando che l'amore più intelligente è quello che
previene ed elimina le cause di un problema;
- ignora la continua necessità di
verifica e di conversione, riducendo la carità ad un insieme abitudinario di azioni compiute spesso senza amore.
È necessaria una
coraggiosa chiarezza di pensiero, è indispensabile il continuo rinnovarsi di una coerente
tensione di vita.
Perché la carità
sia veramente
«Amare Dio con tutto se stesso» e «Amare il prossimo come se
stesso».
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