Prospettive
assistenziali, n. 21, gennaio-marzo 1973
EDITORIALE
COMPRENSORI
E SERVIZI DI VASTA AREA
Nell'editoriale
dello scorso numero abbiamo indicato la nostra posizione
al riguardo delle unità locali dei servizi, che intendiamo non come un nuovo
ente, ma come il complesso dei servizi sanitari, scolastici, abitativi,
sociali, culturali, ricreativi, ecc., gestiti, con la partecipazione delle
forze sociali del territorio dai comuni, consorzi dei comuni o articolazioni subcomunali, aventi una dimensione territoriale
comprendente all'incirca 50.000 abitanti (1).
Livello intermedio fra
Unità locali dei servizi, comprensori e agenzie
È
ovvio che tutti i servizi necessari a soddisfare le esigenze individuali e sociali non possono essere svolti al livello dell'Unità
locale dei servizi: basti pensare alla programmazione urbanistica.
Pertanto è necessario
individuare un livello politico-amministrativo intermedio fra Unità locale dei
servizi e Regione.
Questo
livello intermedio viene spesso rifiutato e la
soluzione offerta è quella di attribuire le funzioni operative di vasta area
alla Regione tramite le cosiddette agenzie (2).
Squalificato
il termine di ente, chi non vuole modificare le cose
per ovvi motivi di sottogoverno, di potere, di
clientelismo, inventa un nuovo termine, lasciando inalterata la vecchia
sostanza.
Con
le agenzie si viene a creare un livello istituzionale che, nei fatti, ostacola
fortemente la partecipazione dei cittadini alla elaborazione
delle decisioni e al controllo democratico della gestione dei servizi. È infatti a tutti nota la grande differenza fra l'influenza
esercitata dalle forze sindacali e sociali nei confronti del Comune, i cui
membri sono nominati con elezione diretta, e nei riguardi, ad esempio, degli E.C.A., i cui componenti sono designati dai consigli
comunali.
Non
solo quindi con la istituzione delle agenzie o enti
speciali, non si cambiano né i suonatori né soprattutto la musica, ma viene
reso difficile se non impossibile quel collegamento costante fra le politiche
dei vari servizi che è una delle condizioni indispensabili per poter
intervenire non solo sugli effetti dell'emarginazione, ma anche sulle cause.
Funzioni dei
comprensori
In
prima, larga approssimazione le funzioni da attribuire ai comprensori
dovrebbero essere tutte quelle che non possono essere svolte a livello di Unità locale dei servizi e cioè: programmazione
urbanistica (l'esecuzione dovrebbe invece essere affidata alle U.L.S.); piani di sviluppo dell'industria,
dell'agricoltura, dell'artigianato, del commercio: formazione professionale,
riqualificazione, aggiornamento e riconversione del personale; ospedali
comprensoriali (superando l'artificiosa distinzione vigente fra ospedali
provinciali e regionali); trasporti e viabilità di interesse locale; partecipazione
alla programmazione locale e regionale, ecc.
Si
avrebbero in tal modo due enti di programmazione locale e di gestione: le
Unità locali dei servizi ed i comprensori (3).
Punti di riferimento
dell'unità locale dei servizi e dei comprensori
Nel
documento della Regione Toscana, Dipartimento Sicurezza Sociale, del 6-12-9972 «Contributi al programma regionale dei servizi
sociali e sanitari», di cui pubblicheremo nel prossimo numero un estratto,
viene precisato che ciascuna Unità locale dei servizi (4) deve avere un proprio ospedale di zona: l'ospedale di zona costituisce
pertanto, un punto di riferimento nell'individuazione dell'ambito territoriale
ottimale.
Per
quanto riguarda i comprensori riteniamo che sia proponibile come punto di
riferimento l'Università, nel senso che ciascun comprensorio deve avere una
sede universitaria
(5) .
È
evidente che la funzione e la funzionalità dei
comprensori non è determinata solamente e neppure principalmente dalla
presenza di una sede universitaria (così come per l'U.L.S.
non lo è la presenza dell'ospedale di zona), giocando altre strutture,
soprattutto l'industria, l'agricoltura, l'artigianato, ecc., un ruolo
fondamentale.
Province
L'istituzione
dei comprensori da parte delle Regioni è soprattutto necessaria nei casi in
cui per la limitata ampiezza del territorio e o per il basso numero degli
abitanti, le Province siano nell'impossibilità tecnica
e soprattutto politica di svolgere le funzioni che abbiamo prima indicato.
Ribadiamo che le Province
devono operare il decentramento di quei servizi, oggi di loro competenza, ma
che meglio potrebbero essere svolti a livello di zona, come, ad esempio,
l'assistenza agli illegittimi, l'assistenza psichiatrica, in modo che tali
servizi e il personale relativo siano inseribili nelle future U.L.S.
(6).
Ricordiamo
inoltre che, mentre le Regioni hanno competenza sulle circoscrizioni comunali
(modifica dell'ambito territoriale, creazione di nuovi comuni, fusione tra
comuni, ecc.),
Pertanto,
anche se compete al Parlamento (e non alle Regioni) l'aggregazione di due o
più province in una sola e la modifica dell'ambito territoriale (la creazione
di nuove province è invece a nostro avviso da respingere decisamente),
è pur vero che le province possono consorziarsi fra di loro per prefigurare di
fatto i futuri comprensori.
Il parere di un
consigliere provinciale
Come
osservava giustamente il consigliere provinciale Bruno Re, su l'Unità del
20-1-1972 nell'articolo «Riforma della Provincia per
dare più potere alle autonomie locali» si tratta di «realizzare
il massimo di efficienza con il massimo di democrazia. Occorre evitare una
vanificazione delle prerogative dei comuni con una proliferazione di organismi settoriali che sottraggono poteri decisionali
alle assemblee elettive e rendono con ciò anche più difficile una effettiva
partecipazione dei cittadini alla determinazione delle scelte. È necessario
dunque trovare una dimensione supercomunale che sia
al tempo stesso proiezione del potere democratico del Comune e momento
unificatore e coordinatore strutturato orizzontalmente.
«Questa
questione porta immediatamente l'attenzione sulla Provincia che attualmente è un ente che sta in mezzo tra il Comune e
«Non
può essere questo, evidentemente, il riferimento quando
si avverte la necessità di un'area sufficientemente ampia, per l'individuazione
dei problemi dello sviluppo, per dare dimensioni economiche ad essenziali servizi
ed interventi pubblici e per configurare una istanza che possa assumere
responsabilità sul piano territoriale e del programma economico a livello infraregionale. D'altro canto una abolizione
pura e semplice della Provincia (come è stata a suo tempo proposta da
«È
dunque evidente l'esigenza di una “rifondazione” della Provincia, riformata
istituzionalmente, con una ristrutturazione delle sue funzioni, dei suoi organi e della circoscrizione territoriale, allo scopo
di finalizzarla e renderla corrispondente agli scopi sopra ricordati. La nuova
Provincia dovrebbe assumere insomma la fisionomia di una forma di associazione di Comuni che agiscano su un certo
territorio, capace di assurgere ad istanza di rappresentanza globale della
popolazione e di realizzarsi come momento sovracomunale
tendente a dare più ampie dimensioni a tutta una serie di interventi e di
servizi.
«Si
tratterà di vedere se la nuova istanza debba essere
non solo “superiore” ma anche separata dal Comune o invece emanazione diretta
del Comune e pertanto se l'assemblea elettiva del nuovo organismo debba essere
nominata con elezioni di primo o di secondo grado. Ma
non mi pare che questa questione debba essere ora definita.
«Il
problema centrale è quello di avere non solo coscienza della esigenza
di una trasformazione della Provincia per una piena realizzazione della riforma
regionale, ma di operare perché il nuovo organismo possa nascere dalla
sperimentazione diretta, da una serie di esperienze verificate dal basso. La
questione non riguarda dunque soltanto gli addetti ai lavori, i membri dei
consigli provinciali, ma tutti coloro che sono
impegnati nel movimento autonomistico, nella
battaglia per le riforme. È auspicabile dunque che la discussione su queste
questioni si apra anche nei quartieri, oltreché nei
comuni».
Funzioni delle Regioni
Dal nostro discorso sulle unità locali dei servizi e
sui comprensori come nuovi organismi per una piena realizzazione della riforma
regionale risulta chiaramente anche la
nostra concezione sulle funzioni delle Regioni.
Esse
dovrebbero essere quelle di programmazione (quale sintesi delle istanze della base), di legislazione specifica (che dovrà
indicare gli obiettivi da conseguire e non essere una sorta di
regolamentazione dettagliata e soffocatrice dei
poteri e delle autonomie locali) e di vigilanza (intesa non in modo fiscale, ma
in senso promozionale e di aiuto tecnico).
Le
Regioni pertanto non dovrebbero svolgere alcuna funzione
operativa né direttamente, né indirettamente (cioè tramite i propri
uffici o tramite agenzie), ma, lo ripetiamo, dovrebbero invece delegare la
gestione dei servizi alle Province e ai Comuni nella prospettiva della
costituzione delle unità locali dei servizi e dei comprensori.
Legge sulla
zonizzazione della Regione Lombardia
A
tale riguardo vi è da segnalare come iniziativa positiva
la legge del
La
zonizzazione del territorio è infatti la condizione
indispensabile per l'individuazione dei livelli istituzionali che, come si
legge nella relazione dell'assessore alla sanità della Regione Lombardia, «consentirà
alla Regione di delegarvi le sue competenze in materia di assistenza sanitaria
ed ospedaliera proprie alla dimensione di base» e, aggiungiamo noi, quelle
degli altri servizi sopra indicati.
La
zonizzazione inoltre deve tener conto della istituzione
delle comunità montane (Legge dello Stato 5 dicembre 1971 n°
1102 e relativa legge regionale di attuazione) allo scopo, anche in questo
caso, di evitare la proliferazione dei livelli istituzionali e la settorializzazione delle competenze.
Quadro di riferimento
e obiettivi intermedi
Spesso
ci viene rivolta l'accusa di essere dei teorici, dei
tecnocrati, di non tener conto dei bisogni immediati e di proporre cose
astratte o realizzabili solo nei tempi lunghi.
In
genere queste accuse non sono altro che un comodo
schermo per mascherare l'opposizione alla nostra linea politica da parte di
coloro che non hanno il coraggio di contestare e nemmeno di discutere (È il
caso, fra l'altro, di molti dirigenti e di molti aderenti delle associazioni di
invalidi fisici, psichici e sensoriali).
Riteniamo
fermamente che, se non si vuole procedere nei servizi come un'armata Brancaleone, occorre avere ben presente un quadro di riferimento.
Esso non deve costituire ovviamente né una fuga in avanti, né un alibi per
lasciare le cose come stanno in attesa di sperati
giorni migliori (ad esempio l'attesa magica di leggi-quadro che dovrebbero
risolvere tutto), ma la cornice indispensabile per la ricerca degli obiettivi
intermedi a medio e breve termine, e per le iniziative che immediatamente si
possono rivendicare e sono subito realizzabili.
Iniziative immediate
di competenza della Regione
Premettiamo
che a nostro avviso l'attuale situazione politica nazionale non consente
l'emanazione di una valida legge di riforma dell'assistenza,
ma piuttosto di una controriforma diretta solo a razionalizzare l'emarginazione
e la segregazione.
Riteniamo
pertanto che oggi gli interlocutori sui quali premere siano
le Regioni, le Province ed i Comuni.
Indichiamo
pertanto le iniziative che riteniamo in linea con il
quadro di riferimento proposto e cioè:
-
interventi non solo sugli effetti ma anche sulle
cause;
-
unità locali dei servizi e comprensori;
-
servizi globali, onnicomprensivi e partecipati dai
cittadini (8).
Interventi non
legislativi
Ne
indichiamo alcuni:
a)
rifiuto di finanziare la costruzione di nuovi istituti di ricovero per minori,
anziani, handicappati, di nuovi ospedali psichiatrici, di nuovi centri
ambulatoriali per spastici, per subnormali, ecc.;
b) rifiuto di finanziare le spese di ristrutturazione
delle istituzioni di cui al punto a), escluse quelle di manutenzione
assolutamente indifferibili;
c) rifiuto di erogare contributi alle istituzioni di
cui sopra, escluso il pagamento delle rette a carico della Regione;
d)
applicazione della legge 17-7-1890 n° 6972 per quanto
concerne in particolare la modifica degli statuti e l'unificazione e lo
scioglimento delle istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza;
e) richiesta alle amministrazioni comunali di dare
applicazione ai D.P.R. 11-2-1961 n. 264 e 22-12-1967 n°
1,518 sulla medicina scolastica. La vigilanza sulla applicazione delle disposizioni citate è affidata
anche al medico provinciale che oggi è un organo della Regione. Inserimento nel bilancio della Regione di adeguati stanziamenti per i
Comuni. Una interpretazione non restrittiva e soprattutto non emarginante dei
D.P.R. sopra citati consentirebbe da un lato l'avvio
della prevenzione secondaria nel campo medico e psico-sociale
e d'altro lato permetterebbe ai ragazzi handicappati, compresi quelli gravi,
di frequentare la scuola.
Specialmente
nella fase iniziale e per i casi più gravi, la frequenza potrebbe
avvenire in classi speciali presso le scuole comuni. Gli altri ragazzi
handicappati potrebbero frequentare, a seconda dei
casi, classi comuni o classi di rotazione;
f)
richiesta ai Comuni
(9) di provvedere al ricovero dei minori,
degli inabili e degli anziani segnalati dalla pubblica sicurezza solo nei casi
ove non sia possibile provvedere con altri mezzi e riesame della situazione
delle persone oggi ricoverate. (
g)
richiesta ai Comuni affinché provvedano ad esercitare
le funzioni di sorveglianza sulle istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza ai sensi degli art. 18, 19 e 91 della legge 17-7-1890 n° 6972 e dell'art. 132 del R.D. 4 febbraio 1915 n° 148 (vedasi al riguardo anche la sentenza della Corte
di cassazione n° 561 del 3-11-1971);
h)
pressione sull'INAM perché dia applicazione al decreto del Ministro del lavoro
del 21 dicembre 1956 concernente le malattie da considerarsi specifiche della
vecchiaia e alle disposizioni di legge relative alla
libera scelta del medico da parte delle persone ricoverate negli istituti di
assistenza;
i)
promozione di convenzioni fra gli enti nazionali
(ONMI, ENAOLI, Ministero di grazia e giustizia, ecc.) e fra gli enti locali (ECA,
Patronati scolastici, IPAB), affinché le prestazioni siano fornite dai Comuni
(eventualmente in via transitoria anche dalle Province fino a quando non subentrino
i Comuni), fermo restando il carico finanziario degli enti che oggi ne abbiano
la competenza istituzionale. Le convenzioni potrebbero prevedere che tutto o
parte del personale degli enti che oggi hanno la
competenza istituzionale operi alle dipendenze funzionali dei Comuni e delle
Province, conservando l'attuale rapporto di lavoro a tutti gli effetti (vedere
a quest'ultimo riguardo la convenzione intervenuta tra
l) azione promozionale nei confronti delle Province,
dei Comuni, degli ECA, delle IPAB ecc. per sollecitare la loro collaborazione
per l'istituzione di servizi alternativi. In
particolare dovrebbe essere richiesto agli ECA e alle IPAB di riconvertire il
loro patrimonio per la predisposizione di servizi alternativi gestiti dai
comuni, consorzi di comuni, comunità montane e
province;
m) utilizzazione dei fondi ospedalieri regionali per la
creazione di strutture sanitarie inseribili nelle future U.S.L. (Ospedali di
zona);
n)
richiesta agli enti operanti nella regione di dare piena applicazione:
- al D.M. 21 marzo 1970 concernente l'edilizia
scolastica e l'abolizione delle barriere architettoniche nella scuola;
-
alla circolare del Ministero dei lavori pubblici n°
4809 del 15 giugno 1968 che prevede l'abolizione delle barriere architettoniche
nei nuovi edifici pubblici o aperti al pubblico;
o)
richiesta agli I.A.C.P., ai
comuni e agli altri enti dell'edilizia pubblica affinché diano applicazione
all'art. 27 della legge 30-3-1971 n° 118 per quanto
concerne gli alloggi per gli invalidi, di modo che quando il relativo
regolamento verrà emanato, gli invalidi possano beneficiare della assegnazione
di alloggi idonei;
p)
atti politici nei confronti del Governo affinché sia emanato al più presto il
regolamento di attuazione dell'art. 27 della legge
30-3-1971 n° 118 che doveva essere promulgato entro
l'aprile 1972.
Provvedimenti
legislativi che non importano obbligatoriamente stanziamenti finanziari da
parte della Regione
Questi
provvedimenti vengono distinti da quelli che verranno
indicati nel punto seguente in quanto essi non richiedono obbligatoriamente
nuovi stanziamenti finanziari.
Essi
riguardano:
a)
l'attribuzione alle U.L.S. o transitoriamente ai
singoli comuni delle competenze dei Patronati scolastici (10) e degli E.C.A ,
ferma restando la impossibilità di sopprimere detti enti con legge regionale,
In definitiva si tratta di conservare a detti enti solo i compiti di erogare
prestazioni in denaro, in base a decisioni prese dai comuni. In tal modo
verrebbe anche ad essere limitato il potere politico degli enti suddetti,
rendendo più facile, ad esempio, la riconversione dei
loro patrimoni, spesso ingenti, per la creazione di servizi alternativi (ad
esempio di comunità alloggio inserite nelle comuni case di abitazione per
minori, adulti e anziani);
b) l'attribuzione ai comuni o alle province (problema
da approfondire) dei compiti dei consorzi provinciali per l'istruzione tecnica
(vedere il punto precedente);
c) l'attribuzione alle U.L.S.
delle funzioni di controllo degli istituti pubblici e privati di vigilanza,
ferma restando alle Regioni quelle di vigilanza;
d)
la definizione degli interventi nei riguardi delle persone che
e) le norme applicative della legge
sulla casa n° 865 per quanto concerne la costruzione
delle case albergo, di modo che ciascuna casaalbergo comprenda alloggi
individuali e piccole comunità (al massimo di 10-12 posti) per i lavoratori, i
lavoratori immigrati, gli studenti, le persone anziane. I
comuni, ai quali la legge 865 affida le competenze per le. case albergo, avrebbero in tal modo la possibilità di
predisporre soluzioni alternative per gli handicappati anziani oggi costretti
a subire il ricovero in istituti;
f)
l'attribuzione alle U.L.S. di tutti i compiti
sanitari, sociali, ricreativi e culturali nei confronti delle persone
ricoverate negli istituti pubblici e privati di assistenza,
esclusi quelli di competenza di altri enti (ad es. mutue), in modo da ridurre
le funzioni degli istituti al solo ricovero. Questi servizi dovranno
essere svolti nell'ambito dei servizi dell'U.L.S.
rivolti a tutti i cittadini;
g)
l'istituzione presso i comuni centri di formazione professionale (CAP) di corsi
per handicappati nei casi in cui essi non possano o vogliano
proseguire gli studi presso le scuole superiori o non siano effettivamente in
grado di frequentare i corsi comuni dei C.A.P.
Provvedimenti
legislativi che richiedono stanziamenti finanziari della Regione
Si
ritiene che, stante l'attuale situazione, la migliore impostazione di una legge
regionale per l'avvio di una reale riforma sia quella di fornire incentivi
economici alle U.L.S. e ai comprensori che provvedono
alla istituzione di servizi alternativi. Ad evitare
che questi servizi non siano înseribili nelle U.L.S,
e poi nei comprensori occorrerebbe che l'emanazione della legge fosse preceduta
o almeno avesse luogo contemporaneamente alla
zonizzazione del territorio.
Le
incentivazioni potrebbero riguardare:
a) la costituzione delle U.L.S.
o la fusione dei comuni della zona in uno solo.
Si ricorda al riguardo che
b)
la istituzione da parte del comune o del consorzio di
comuni di ciascuno dei seguenti interventi:
-
assistenza domiciliare sanitaria e sociale alle persone e nuclei familiari (11) ;
-
medicina scolastica;
-
affidamenti familiari a scopo educativo e comunità alloggio
(6-8 posti al massimo) per i minori in situazione di abbandono non adottati e
per quelli che non possono continuare a vivere nel proprio nucleo familiare (12);
- affidamenti a scopo adottivo in collaborazione con i
tribunali per i minorenni;
-
comunità alloggio per anziani (10-12 posti al massimo)
inserite in modo sparso nelle comuni case di abitazione (13);
-
assistenza sanitaria, ospedaliera e farmaceutica agli handicappati fisici,
psichici, sensoriali nei casi in cui dette prestazioni non siano fornite da altri enti.
c)
istituzione di laboratori protetti di zona con capienza massima di 20 posti per
gli handicappati per i quali non sia effettivamente attuabile oggi
l'inserimento nel lavoro comune. f laboratori protetti
dovrebbero essere aperti anche a lavoratori non handicappati. Per l'inserimento
nel lavoro degli handicappati medi e lievi potrebbe
essere studiata la possibilità di erogare una integrazione salariale nei casi
in cui il rendimento lavorativo sia molto inferiore a quello medio dei
lavoratori non handicappati (vedere al riguardo l'iniziativa della Provincia
di Modena).
Si
osserva che le U.L.S. ipotizzabili in Italia sono
circa 1100 (55 milioni di abitanti diviso per 50.000
abitanti in media per ciascuna U.L.S.). Pertanto, se
in ogni U.L.S. viene
istituito un laboratorio protetto di 20 posti al massimo, il numero massimo
complessivo degli handicappati frequentati i laboratori protetti sarebbe di 20
x 1100 = 22.000 e cioè largamente sufficiente ad accogliere tutti quelli gravi
e gravissimi.
*
* *
Non
si ritiene invece che sia utile l'erogazione di prestazioni economiche, salvo
il caso in cui detto intervento sia risolutivo, in quanto
Formazione,
riqualificazione, aggiornamento e riconversione degli operatori sociali (14)
È
di tutta evidenza che la creazione di servizi alternativi non è possibile
senza la presenza di idoneo personale. Inoltre occorre
provvedere, e questo è un problema di importanza
primaria, alla riqualificazione, aggiornamento e riconversione del personale
in servizio. Infatti il cambiamento dei contenuti dei
servizi e il cambiamento dei contenuti della formazione non possono che
procedere contemporaneamente. Si ritiene inoltre che il problema della
formazione degli operatori sociali debba essere affrontato inquadrandolo
nell'ambito di tutta la formazione professionale. Su questo argomento
vedasi l'articolo pubblicato in questo numero.
(1) Sulla ripartizione
in circoscrizioni dei comuni con popolazione superiore ai 60.000 abitanti,
nella scorsa legislatura era stata presentata il 26-2-1971 alla Camera dei Deputati
una interessante proposta di legge (n. 3143), sottoscritta dai capi gruppo
parlamentari dei partiti dell'arco costituzionale (Andreotti,
Bertoldi, Bozzi, Ceravola, Ingrao, Orilia e Orlandi). Essa prevedeva l'elezione diretta del Consiglio
di circoscrizione da parte degli elettori residenti nella circoscrizione, il
trasferimento dagli uffici comunali delle «funzioni attinenti ai servizi che si
svolgono nella circoscrizione e che più direttamente riguardano gli interessi
della popolazione della zona, con particolare riferimento alle seguenti
materie: gestione del patrimonio e del demanio comunale, opere di urbanizzazione primaria e secondaria, lavori pubblici in
genere e verde pubblico, servizi igienico-sanitari e
di nettezza urbana, servizi anagrafici e di polizia urbana, attività
culturali, servizi scolastici e servizi sociali in genere, servizi tributari,
altri servizi di interesse locale».
La proposta è
decaduta per fine legislatura e finora purtroppo non è stata ripresentata.
(2) È il caso del
progetto di legge n. 85 di iniziativa dei consiglieri regionali lombardi
Leone, Molteni e Scaroni
per la creazione della agenzia autonoma regionale per lo sport sociale e
l'attività motoria.
(3) Pur essendo
d'accordo con i principi ispiratori, non possiamo però concordare con il
contenuto della proposta dei comprensori di cui al progetto di legge n. 48 del
27-9-1972 dei consiglieri regionali piemontesi del P.C.I. Rivalta
e altri, concernente «Individuazione ed istituzione dei comprensori» in
conseguenza del fatto che, come prevede l'art. 6, le funzioni sono limitate ai
seguenti compiti:
a) partecipare alla formazione ed
all'aggiornamento del piano regionale secondo le modalità previste dalla legge
sulle procedure per la formazione del piano di sviluppo regionale;
b) predisporre il piano comprensoriale di
sviluppo ed il relativo piano urbanistico, espresso in forma di piano
territoriale di coordinamento, esteso al territorio dell'intero
comprensorio;
c) individuare, in concorso con gli organi regionali, gli
ambiti sub-comprensoriali in cui si articola il piano comprensoriale;
d) concorrere all'attuazione del piano regionale per
quanto ha attinenza al territorio comprensoriale;
e) realizzare - di concerto con gli Enti
locali e con gli organismi sub-comprensoriali - il piano comprensoriale di
sviluppo ed il piano territoriale di coordinamento;
f) esprimere pareri sulle questioni incidenti sulla
programmazione regionale e sub-regionale;
g) promuovere e coordinare l'attività degli
organi sub-comprensoriali del proprio territorio individuati nel piano
comprensoriale.
Inoltre la
dimensione demografica prevista nel progetto di legge è estremamente
variabile: si passa infatti dai 2 milioni di abitanti del comprensorio di
Torino ai 90.000 di quello di Borgosesia. Ora, dato
che la dimensione demografica media delle Unità locali dei servizi
è di circa 50.000 abitanti, non si comprende quali servizi possano essere
svolti dal comprensorio di Borgosesia.
Ma soprattutto è
inaccettabile l'impostazione di tipo economicistico e
la conseguente mancata presa in considerazione dei servizi sociali, sanitari,
scolastici, ecc.
Infine la prevista
definizione da parte del comprensorio, in concorso con gli organi regionali,
degli ambiti sub-comprensoriali in cui si articola il piano comprensoriale, è
lesiva delle autonomie locali e in definitiva contrasta con tutto il discorso
politico dell'Unità locale dei servizi.
(4) Nel documento le U.L.S. sono chiamate Unità locali di sicurezza sociale. Si
tratta soltanto di una denominazione diversa.
(5) Intendiamo evidentemente
un'università diversa: la gestione politica, in una prospettiva di
democratizzazione, deve essere affidata all'organo politico-amministrativo del
comprensorio, devono essere superate le facoltà con l'istituzione dei
dipartimenti e infine occorre uno stretto legame dell'università con la realtà
lavorativa e sociale.
(6) Vedasi al riguardo
il documento «Ristrutturazione dei servizi della Provincia di Torino», in Prospettive assistenziali,
n. 17, pag. 17 e segg.
(7) Una legge simile è
stata emanata dalla Regione Emilia-Romagna.
(8) V. l'editoriale
del n. 20 di Prospettive assistenziali.
(9) Si veda al
riguardo la deliberazione consiliare della Regione Emilia-Romagna
dell'8 giugno 1972.
(10) Vedansi al
riguardo in questo numero le leggi della Regione Umbria n. 2 e 5 del 10 gennaio
1973.
(11) Si veda al
riguardo in questo numero la legge della Regione Toscana «Provvidenze
a favore dei Comuni e loro consorzi per l'assistenza domiciliare alle persone
anziane». A nostro avviso però l'assistenza domiciliare andrebbe estesa
a tutte le persone e nuclei familiari che ne hanno bisogno.
(12) Vedasi al riguardo
la delibera della Provincia di Torino
del 17 maggio 1971 pubblicata sul n. 16 di Prospettive
assistenziali.
(13) Vedasi la legge
della Regione Umbria «Norme per l’assistenza a favore di
minori, anziani e inabili al lavoro», riportata in questo numero.
(14) Utili indicazioni
per quanto concerne la disciplina delle norme trasferite alle Regioni dai
decreti delegati sulla formazione professionale possono essere tratte dalla
legge della Regione Lombardia n. 21 del 17 luglio 1972 riportata in questo
numero e dalla legge della Regione Toscana n. 8 del 31 maggio 1972, molto
simili. Si noti anche l'ampiezza delle competenze delle Regioni in materia di formazione professionale.
www.fondazionepromozionesociale.it