Prospettive
assistenziali, n. 21, gennaio-marzo 1973
ATTUALITÀ
LE
COLONIE: STRUTTURE ANCORA TRADIZIONALI PER UN SOGGIORNO DI VACANZA
JOLE
MEO SOSSO
La colonia è sorta come istituzione
assistenziale, la cui legislazione per il diritto del bambino alla vacanza
risale al 1926. La legge, istitutiva dell'ONMI, affermava essere la colonia a
favore dei bambini poveri, a scopo medico-curativo, e sotto il controllo del
Ministero dell'interno.
Nel 1958 una nuova legge affidava ai
Patronati scolastici il compito di organizzare la vacanza dei ragazzi ribadendone l'orientamento ancora assistenziale e
discriminatorio, riconfermando essere il bambino (povero) oggetto di
elargizione temporanea di alimenti e di aria buona per poter superare
ritemprato quelle difficoltà scolastiche che sino a quel momento vengono solo a
lui imputate. Ancora una volta la soluzione delle contraddizioni
rimanda a colpevolizzazioni individuali o familiari
o medico-sanitarie e non sociali, senza permettere a questo bambino di
diventare lui soggetto di diritto, inserito in una visione globale in cui il
tempo libero è «tempo utile» per la sua formazione ed il suo processo
educativo.
Oggi la colonia non appare cambiata;
ancora oggi si assiste ad una vacanza assistenziale
per i bambini poveri; emarginante nei confronti del
contesto territoriale ove si svolge; un soggiorno per l'aria buona per i figli
dei dipendenti di una qualche azienda; un intervento paternalistico nei
confronti dei figli del proletariato e del sottoproletariato; ancor oggi è
gestita per la maggior parte da associazioni assistenziali, da enti vari, che
ricoprono vuoti dell'intervento pubblico.
La colonia non
risponde affatto alle esigenze del tempo libero del ragazzo perché
ricopre solo 20-30 giorni delle vacanze estive che sono molto lunghe da noi
(tre mesi) ; inoltre vi partecipano solo minori dai 6 ai 12 anni ricoprendo,
quindi, una piccola percentuale di bisogni (secondo le statistiche solo un
terzo dei bambini da
Così come tutti i servizi per
l'infanzia, anche la colonia potrebbe essere rivalutata se diventasse un
servizio sociale di base collegato con l'attività scolastica, sportiva,
ricreativa e considerasse l'infanzia finalmente come soggetto di diritti riconosciuti e non più oggetto di cure pietistiche
e paternalistiche.
Ma finché questo bambino, settorializzato, classificato, catalogato in strutture
arretrate e mortificanti, lontano dalla famiglia assente per motivi di lavoro,
con una scuola autoritaria distante dai processi
evolutivi sociali, con una casa non a misura d'uomo, in una città priva di verde,
avrà una vacanza di tipo colonia, troverà in essa ripetute le esperienze
alienanti e negative delle strutture sopra dette. Bisognerà allora orientarsi
verso una nuova politica per l'infanzia con servizi partecipati e non
tecnocratici in cui partecipazione voglia dire
possibilità di scelta, di decisione, di programmazione da parte dell'ente
pubblico e degli utenti.
Né si dovrà considerare la vacanza
come un tempo di evasione o di recupero di forze alla
fatica della scuola per non continuare nella vecchia concezione che vuole il
tempo diviso, in parte, fruttuoso e valido ed in parte ricreativo-evasivo;
non possiamo frantumare il bambino, decomporlo perché il bambino è uno in
tutti i momenti del vivere sociale: pedagogico-culturale-scolastico-ricreativo.
La realtà è che il bambino vive in una situazione spesso negativa: risvegli mattutini obbligati,
riposi serali ritardati, pasti veloci (tra rimbombi di radio e tv), perché è
coinvolto nella vita faticosa ed alienante degli adulti, e in questa
situazione la sua personalità ne viene soffocata e viene alterato il suo
sviluppo psico-fisico. Vive insomma in uno stato di subordinazione palese o meno,
che diminuisce il suo senso critico, e la sua
possibilità di partecipazione al mondo che lo circonda, accentuando
l'insoddisfazione delle sue esigenze fondamentali di libertà ed autoaffermazione.
Ora le colonie che costituiscono,
per la maggior parte dei ragazzi che non hanno altre
alternative o che desiderano fare un'esperienza di gruppo, l'unica possibilità
di soggiorno organizzato per una vacanza estiva, hanno invece mantenuto
l'aspetto tradizionale assistenziale e, salvo qualche eccezione, si presentano
come una cattiva ripetizione di esperienze d'autoritarismo; proprio per la loro
impostazione gerarchica-verticistica esistente
all'interno dell'organizzazione (direttore-assistenti-minori),
esse appaiono come una esperienza amorfa e di massa (500/100 ragazzi in una
colonia, 25-30 minori affidati ad una assistente).
Il bambino vive qui in una
situazione di isolamento rispetto al paese ospitante
(divieto di circolare all'interno del paese e itinerari prestabiliti) con
nessuna possibilità da parte sua di sentirsi agente del proprio tempo libero,
ma solo e piuttosto esecutore di attività prestabilite.
Che la funzione educativa debba partire dai bisogni del bambino e dai suoi interessi,
sembra trovare tutti consenzienti, ma in pratica, anche in vacanza, dove
dovrebbe trovare spazio primario l'esigenza di libertà, troviamo il bambino che
deve scandire le sue ore al ritmo del fischietto che ora gli ordina di fare il
bagno, ora lo richiama: gli orari sottendono tutto l'ordinamento della colonia,
dove la passeggiata deve essere fatta in fila per due.
A livello locale ed aziendale
troviamo invece alcune esperienze che tentano nuovi modelli. Ne possiamo
distinguere due tipi:
- uno che si ricollega al modello
tradizionale con finalità sanitarie, assistenziali ed
educative, con gestione controllata in cui si ricerca personale qualificato
con tentativi di aprire rapporti con l'esterno (utenti e tecnici) ;
- uno strutturato in modo del tutto
nuovo: cioè vacanza realizzata con l'apporto di tutta
una comunità sociale gestita all'insegna del rispetto della libertà e delle
esigenze dei ragazzi.
In questi due tipi di colonie «nuove»
troviamo ad operare i CEMEA (centri di esercitazione
ai metodi di educazione attiva) che operano in Italia dal 1950, e che si sono
inseriti a livello nazionale ed operano nella maggior parte delle aziende; ed
i Centri Rousseau sorti in Francia nel 1968 ed
affermatisi in Italia all'insegna del recupero del tempo libero giovanile.
I CEMEA sono stati chiamati da
aziende più sensibili ad un discorso nuovo per rinnovare le proprie colonie e
le innovazioni apportate sono state: sostituzione della squadra con piccoli
gruppi (massimo dieci bambini per assistente), gruppi
che a loro volta partecipano per i giochi al grande gruppo (non più di 50
bambini) in modo da poter raggiungere un certo affiatamento con gli adulti e
la possibilità di un incontro tra minori ed adulti, ognuno con la propria
originalità.
Questo aspetto, che è il più
qualificante dei metodi dei CEMEA, trova il suo limite nell'impostazione
generale delle colonie che resta in un quadro burocratico tale da non
consentire ai ragazzi (all'infuori dell'attività di gioco già organizzato) una espressione di vita a livello individuale; il bambino
infatti deve vivere e fare ogni cosa insieme agli altri bambini: al mare, in
acqua solo per un quarto d'ora e tutti insieme; alla passeggiata tutti insieme,
con itinerari prestabiliti e così via. Quindi il
ruolo dell'assistente, che con il corso preparatorio ha acquisito qualche tecnica
in più, resta invariato rispetto a quello tradizionale perché si riscopre
ancora una volta sorvegliante di un bambino che non deve disturbare
l'organizzazione, deve fare ogni cosa con ordine, deve essere disciplinato,
deve avere orari fissi.
Teoricamente gli sarà stato
insegnato che deve consentire ai bambini una certa libertà, in pratica ciò non
è possibile perché si trova a vivere con tante
persone, in una struttura che non conosce bene e che è delimitata da regole
fisse: di natura igienico-sanitaria (serie nella loro
finalità, non adatte alle circostanze specifiche della colonia, perché rigide)
o di funzionalità pratica che sacrifica i bambini ed il personale alla struttura,
perché si è sempre fatto così.
Rieccoci dunque al problema di fondo, all'ordinamento che presiede le colonie: i CEMEA
portano sì nelle colonie una loro impostazione tecnicistica
e funzionale, ma non entrano nel merito del regolamento generale, ignorando sia
nei confronti del personale che nei riguardi dei ragazzi l'aspetto più
importante, quello che diventa il lato oscuro che mortifica qualsiasi
esperienza. È pur vero che una regola ci vuole in tutte le strutture, perché ne
vengano chiariti e favoriti i rapporti umani (anche i
ragazzi quando giocano si danno le regole), ma queste devono basarsi sulla responsabilità
di ciascun operatore e non sul rapporto gerarchico che è sempre rigido, né
sulla tecnica più o meno valida dei giochi. Se il problema lo
si affronta solo da un punto di vista tecnico, il discorso diventa esclusivamente
riformista e più funzionale al tipo di colonia tradizionale, senza eliminarne
i difetti.
Per quanto riguarda il secondo tipo
di colonia, esso è portato avanti soprattutto dai Centri Rousseau,
che sperimentano su scala più piccola dei CEMEA, non seno inseriti in alcuna azienda, operano in proprio realizzando soggiorni di
vacanza in campeggi ed in viaggi all'estero, sotto il segno di una pedagogia
che impegna l'adolescente ed il bambino in un discorso critico con la realtà
basata sull'uso della responsabilità e della libertà, stimolandone le energie
creative. Si mira ad una impostazione pedagogica
avanzata con un lavoro di organizzazione fatto con i ragazzi, spingendo questi
verso una autonomia individuale e di gruppo, quest'ultima regolata dalle
assemblee ove si discute di organizzazione, di problemi pratici di rapporti con
gli altri, di problematiche individuali e collettive.
I ragazzi trovano nell'esperienza Rousseau l'ambiente più adatto ai loro desideri di indipendenza, di ricerca del nuovo, di vita libera, di
spontanea iniziativa, di sana fatica fisica e non ultimo il piacere di vivere
in comunità e farsi degli amici, riscoprendo i propri limiti, tramite gli
altri ragazzi e gli adulti educatori che si pongono tra di loro come persone con
maggiori esperienze e ai quali i ragazzi si rivolgono con fiducia perché non
si sentono giudicati. Il ragazzo, tramite l'assemblea, è indotto a ripensare le
proprie esperienze, i propri comportamenti ed a introiettare í valori non imposti da alcuna autorità, ma
maturati da ciascuno in libero ripensamento. I divieti vengono dal gruppo; la
somma dei limiti da porsi per vivere in comunità emerge dalle discussioni e
dall'esperimentare praticamente ogni giorno un modo
di vivere. Da questo tipo di esperienza vengono fuori
ragazzi maturi, che sono passati attraverso vari errori di organizzazione e di
comportamento. È una regola pedagogica alla rovescia, cioè
attraverso una esperienza guidata i ragazzi si autoeducano.
Certo in questo tipo di colonia bisognerà ancora inventare «le regole del gioco»
per non disperdersi in un discorso che a volte può diventare solo permissivo o
accademico.
La carenza
di questi centri é di essere avulsi dal contesto delle istituzioni educative e
di non essersi ancora posti il discorso del tempo libero come tempo utile
legato alla scuola e ai servizi di base. È necessario perciò, affinché qualcosa
cambi nell'ambito delle colonie esistenti e dei nuovi esperimenti, che a breve
e a medio termine queste organizzazioni (CEMEA e Centri
Rousseau) , oltre a portare avanti un discorso
educative e tecnicistico, incidano a livello di
strutture affinché:
- la presenza di bambini in una
colonia non superi il numero di 80/100;
- si personalizzino i momenti di
vita dei bambini;
- si prepari il personale educativo
che deve partecipare anche al momento organizzativo;
- ci sia una gestione orizzontale e
non gerarchica;
- ci siano assemblee di ragazzi,
genitori e lavoratori in genere per programmare le attività;
- siano ammessi alla
vacanza tutti i ragazzi anche gli handicappati.
Ma guardando più a lungo termine
dobbiamo fare in modo che le Regioni, le quali hanno competenza sulle colonie
estive e invernali e sulla loro vigilanza, coordinino e verifichino le varie
esperienze e deleghino gli enti locali (Comuni e Consorzi di Comuni) a
rispondere dell'organizzazione e della copertura completa del tempo libero
garantendo standards minimi a tutela del diritto del
bambino, trasformando la colonia assistenziale in servizio sociale collegato alle attività scolastiche ed extrascolastiche, giungendo anche
al superamento delle colonie aziendali. Se un primo passo può essere la loro
gestione da parte di lavoratori, questo momento andrebbe poi superato per non
continuare a dividere i bambini a seconda dell'appartenenza
del padre a questa o quell'azienda. La vacanza deve essere garantita a tutti i
bambini, considerandola uno degli interventi dei vari
settori delle attività sociali affidate agli enti locali che lo scelgono come
impegno, proprio perché l'organizzazione del tempo libero per i ragazzi è
momento di continuità del processo educativo formativo durante tutto il corso
dell'anno.
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