Prospettive
assistenziali, n. 21, gennaio-marzo 1973
NOTIZIARIO DELL'UNIONE
ITALIANA PER
A PROPOSITO DI SCUOLE SPECIALI (1)
A proposito di scuole speciali
diciamo subito che non siamo d'accordo con il signor Bellani
della zona 18 di Milano (cfr.
Prospettive sociali e sanitarie n.
19/72) che auspica la ristrutturazione delle scuole speciali e la diffusione
dei centri specialistici per la diagnosi precoce di qualsiasi
infermità perché l'infermità va vista sotto due aspetti: una di
carattere meramente sanitario e una di carattere sociale. Finora la società ha
sempre considerata la differenziazione naturale come differenziazione anche sociale. Così
ci si è trovati a scegliere soluzioni differenziate
per le varie categorie di bisogni, settorializzando
servizi e persone, pensando ingenuamente di reinserirli poi alla fine (della
terapia?) nell'ambito della società dalla quale li avevamo esclusi per poterli
meglio curare. Abbiamo considerato l'handicap di quella persona e non la
globalità di essa perdendo di vista gli aspetti umani
e sociali, e puntando su strutturazioni razionalizzanti. Ma tale impostazione è servita a poco, perché da essa è derivata
la formazione di équipes specialistiche diagnostiche
e non terapeutiche e soprattutto schiere di handicappati rimasti sempre tali:
emarginati nelle scuole speciali (e non solo una minima parte, perché la
maggioranza è emarginata socialmente, sanitariamente,
culturalmente) ove non hanno la possibilità di
socializzare con i normali. È un discorso questo che porta lontano e abbraccia
tutto l'aspetto emarginante dell'attuale società portata ad isolare tutto
quanto costituisce un problema, che non riesce a contenere né a risolvere dal di dentro, ma lo mette accanto, scegliendo soluzioni
tecniche razionali perché è più facile e non mette in discussione l'intero
sistema.
Ma per restare nel campo delle
scuole speciali non si può volere la loro
ristrutturazione perché moltiplicheremmo gli attuali ostacoli funzionali e
ratificheremmo, anche se forse in buona fede, lo stato di emarginazione
perenne.
Certo per ora non si possono abolire
perché non si distrugge senza prima offrire delle
alternative, ma tra dire non abolire, e dire invece potenziare e
ristrutturare, c'è una bella differenza. Come tecnici e responsabili si deve lottare perché l'handicappato riceva nell'ambito della
scuola normale tutte quelle terapie atte a facilitargli la frequenza insieme
agli altri bambini. Egli ha bisogno di compagni normali per socializzare e
sentirsi emotivamente accettato in modo da rendere al massimo delle sue
possibilità; e poi ha bisogno di attenzione
individuale, di qualche cura particolare che possano facilitargli la frequenza
con gli altri. Ed ecco l'alternativa: accanto all'insegnante,
la figura di insegnante specialistica e la presenza, a scopo terapeutico per
maestra e minore, di specialisti capaci di rimuovere gli ostacoli psicologici
che impediscono all'handicappato e agli altri la possibilità di comunicare e
di accettarsi reciprocamente.
Certo ci vorranno strumenti adatti
anche per l'insegnamento; ma si è visto che in qualche scuola questo è stato
fatto: nella scuola normale hanno messo le classi
speciali per l'insegnamento individualizzato e particolare, è questo un primo
passo. Ma si è anche andato oltre: il bambino handicappato è stato inserito
nella classe normale (non più di venti alunni) seguendo le lezioni di tutti e
quando la sua resistenza psicologica gli impediva di protrarre l'attenzione, lì
accanto una maestra specializzata provvedeva ad occuparlo
in attività meno faticose con didattica particolare. Bisogna puntare alla
ristrutturazione della scuola perché la presenza dell'handicappato diventi una
cosa normale e non solo un esperimento. Occorre passare da una scuola selettiva
a scopo nozionistico, ad una scuola orientatrice e promotrice della personalità degli alunni.
Anche le norme legislative ministeriali
per la scuola sembrano aver fatto dei passi avanti. La legge del 23-9-71 n. 820
dice che il numero massimo di alunni che possono
essere affidati ad un solo insegnante non può essere superiore a 25 (a 10 per
le pluriclassi) ; è istituito il ruolo di insegnanti per le attività integrative e per gli insegnamenti speciali con lo scopo di
contribuire all'arricchimento della formazione dell'alunno e all'avvio della
scuola a tempo pieno (art. 1) ; scuola a tempo pieno e non scuola e
doposcuola, per la ristrutturazione di tutta l'attività scolastica e far posto
appunto ad insegnamenti speciali, fra cui la cura individuale di alunni in
difficoltà. L'altra circolare del 25 agosto 1971 n. 257 evidenzia obiezioni «sulla
validità dell'azione formativa del disadattato, quando questi sia inserito in
un gruppo di coetanei che presentano analoghe carenze».
Cioè si fa una obiezione di fondo alla pedagogia
differenziale e si riconosce più valida una pedagogia di «relazione in ambiente
normale». La circolare poi del 29-7-71 n. 4408 auspica il recupero degli
alunni disadattati in classe normale con l'assistenza di una équipe, che da strumento prevalentemente diagnostico deve
diventare soprattutto strumento di recupero e trattamento (nell'équipe infatti compaiono anche tecnici
della riabilitazione: educazione psicomotoria, fisiokinesiterapia,
logoterapia, ecc.). Alla stessa si richiede anche la
supervisione cioè un aiuto psicologico agli insegnanti
per renderli consapevoli dei loro atteggiamenti, della dinamica del loro
rapporto con i ragazzi.
Questo nuovo orientamento è appena
agli inizi e bisogna tutti contribuire perché diventi la prassi, perché
finalmente la scuola sia aperta a tutti e abbia gli strumenti adatti a
consentire agli handicappati la frequenza senza orientarsi invece a consolidare
l'attuale situazione. Ci si deve adoperare perché gli esperimenti in atto
nelle scuole normali si moltiplichino e perché tutto lo sforzo economico e
tecnico sia orientato in tal senso e non per costruire
altre scuole speciali o ristrutturare le esistenti.
JOLE MEO SOSSO
POLITICA DI EMARGINAZIONE DELLA PRO JUVENTUTE (1)
Egr.
Mons. Ernesto Pisoni
Presidente della
Fondazione «Pro-Juventute» Piazzale R. Morandi 6
MILANO
Egregio Presidente,
Come Le avevo detto a voce
nell'incontro del maggio scorso e come ripetutamente questa Unione
ha scritto su Prospettive assistenziali, siamo decisamente contrari a tutte
quelle iniziative che deresponsabilizzano gli enti locali, che separano di
fatto gli handicappati dai cosiddetti normali. Appoggiamo invece tutte le iniziative dirette al pieno inserimento degli
handicappati nelle strutture comuni (casa, scuola, sanità, lavoro, ecc.) e
alla presa di coscienza della comunità dei problemi dei più deboli.
Pertanto desidero informarla che questa Unione non può accettare l'istituzione da parte
della Pro Juventute a Cuneo o in altre zone di centri
ambulatoriali per spastici poiché ritiene che essi debbano frequentare gli
asili nido, le scuole materne e dell'obbligo e che all'interno di dette
strutture ad essi debbano essere fornite le necessarie prestazioni
specialistiche, prestazioni previste d'altra parte dai D.P.R. 11-2-61 n. 264 e
22-12-1967 n. 1518 sulla medicina scolastica.
Parimenti questa Unione
ritiene che il Centro di Torino della Pro Juventute
dovrebbe essere gradualmente soppresso inserendo i ragazzi nelle normali
strutture e, per quelli privi di sostegno familiare, istituendo comunità
alloggio per minori per i quali non è effettivamente possibile il ritorno o
la permanenza in famiglia.
Questa Unione ritiene infine che
dovrebbe essere salvaguardato il patrimonio di esperienza
del personale che lavora nel centro di Torino e che dovrebbe essere assicurata
la continuità lavorativa nelle nuove strutture.
Si resta a disposizione per
eventuali ulteriori chiarimenti e per ogni
collaborazione.
Il segretario generale
Torino, 16 gennaio
1973
DECISA
«La
“Casa Serena” pensionato per 200 anziani si farà... A questa
umanitaria iniziativa assistenziale non sono rimasti insensibili anche
l'Amministrazione provinciale di Parma che ha concesso un contributo di venti
milioni...
Questa Unione non ritiene
l'iniziativa per nulla umanitaria perché un istituto
di 200 persone, per di più posto alla periferia della città, è segregante per
gli anziani nella misura in cui essi vengono a perdere la propria libertà che è
già poca, riducono ancora l'area della propria esperienza, limitano i propri
contatti sociali, così da perdere una propria prospettiva esistenziale. Nella
lettera che ]'Unione ha inviato all'Assessore di Parma, si consigliano perciò
altre alternative.
La
segreteria di questa Unione, presa visione
dell'articolo apparso sulla Gazzetta di Parma del
27-12-72 dal titolo «Decisa la costruzione del pensionato ONPI» esprime la più
viva perplessità sull'iniziativa e soprattutto sull'appoggio politico e
finanziario dato dal Comune di Bardi e dall'Amministrazione provinciale di
Parma.
Nel
convegno del 6-7 maggio 1971 «Contro l'istituzionalizzazione, la
discriminazione e l'esclusione dei minori», organizzato dall'Amministrazione
Provinciale di Parma, era stata giustamente presa posizione
contro il ricovero dei minori e contro gli enti di assistenza (ONMI, ENAOLI,
ECA, ecc.).
Non
si comprende pertanto perché venga appoggiato un carrozzone tipo
l'ONPI, che funziona in modo del tutto analogo agli enti sopra indicati.
Inoltre
non si comprende per quale motivo gli anziani debbano
essere sistemati in case di riposo e cioè in ghetti uguali agli istituti per
minori.
Circa
le alternative, si unisce il ciclostilato redatto
dalle Segreterie provinciali di Torino CGIL, CISL, UIL e da questa Unione e si
gradirebbe che sia l'Amministrazione di Parma, sia il Comune di Bardi lo
Prendessero in considerazione, attuando le iniziative prospettate nel
documento.
Si
ricorda che
Si
resta a disposizione per ogni utile collaborazione e si porgono i migliori
saluti.
Torino, 9 gennaio 1973
(1) La politica di
emarginazione della «Pro-Juventute» emerge non solo
dalle iniziative di cui alla lettera che pubblichiamo, ma anche dal modo con
il quale l'ente ha chiuso nel
Sulla vicenda
suddetta vedasi anche in questo numero l'articolo di Don Piero Gallo, Coerenza cattolica, nella rubrica «Non
siamo i soli a dirlo».
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