Prospettive assistenziali, n. 21, gennaio-marzo 1973

 

 

NOTIZIE

 

 

1° CONVEGNO NAZIONALE SUL TEMA: «DALLA SCUOLA SPECIALE ALLA SCUOLA PUBBLICA INTEGRATA»

 

A Cosenza dal 18 al 20 giugno 1972 si è tenuto il 1° Convegno nazionale su un tema di estrema attualità: «Dalla scuola speciale alla scuola pub­blica integrata». Sono stati presentati gli esperi­menti realizzati a Bari, Cosenza, Cutrofiano (Le), Putignano (Ba) nell'anno scolastico 1971-72, con l'immissione nelle scuole elementari statali di alunni spastici provenienti dalla scuola speciale dei Centri di rieducazione motoria.

Ottima la relazione della dottoressa Nina D'A­mato sull'esperienza di Cosenza (pubblicata in A.I.A.S. Notiziario, n. 2, 1972).

Al termine del Convegno è stata approvata la seguente mozione: «Il 1° Convegno di Studio sul tema: dalla scuola speciale alla scuola pubblica integrata», svoltosi a Cosenza dal 18 al 22 giugno 1972;

 

rilevato

 

«che gli esperimenti di scuola integrata realiz­zati a Bari, Cosenza, Cutrofiano (Le), Putignano (Ba) nell'anno scolastico 1971-1972, hanno per­messo, con l'ausilio e le garanzie offerti dal li­vello specialistico dell'équipe riabilitativa, l'im­missione nelle scuole elementari statali di un primo gruppo di spastici cerebrolesi provenienti dalla scuola speciale dei Centri di rieducazione motoria;

 

constatato

 

«che gli interventi specialistici, strettamente correlati e coordinati a quelli pedagogici, sono risultati indispensabili per una efficace matura­zione dei singoli ragazzi e per il loro processo di apprendimento;

 

impegna

 

«gli organi pubblici ed in particolare il Ministe­ro della Pubblica Istruzione, ad adottare opportu­ni provvedimenti affinché l'iniziativa di alcune Se­zioni dell'Associazione Italiana per ]'Assistenza agli Spastici, sia fatta propria in modo che la stessa legge n. 820 del 24 settembre 1971, (1) adeguatamente interpretata, permetta l'allarga­mento delle sperimentazioni al fine di ottenere la generalizzazione di questo nuovo tipo di scuo­la integrata, ancorata e sostanziata dall'acquisi­zione di metodi riabilitativi, a lungo sperimenta­ti dall'équipe specializzata dei Centri di riabilita­zione motoria e che hanno consentito un pieno riscontro reale nell'integrazione speciale dell'e­tà scolare».

 

(1) Si tratta della legge che prevede, fra l'altro, l'istituzione della scuola elementare a tempo pieno.

 

 

COMUNITA' ALLOGGIO

 

Abbiamo indicato più volte le comunità allog­gio come una delle alternative al ricovero in isti­tuto dei minori, per i quali sia impossibile la per­manenza in famiglia e non sia attuabile l'adozione o l'affidamento familiare a scopo educativo. Que­ste comunità alloggio, da inserire in modo spar­so nelle comuni case di abitazione, debbono pe­rò essere uno dei servizi dell'Unità locale. Ne ab­biamo infatti denunciato i limiti qualora, come nel caso di Torino, esse funzionino senza essere collegate con gli altri servizi di quartiere. Pur tuttavia esse hanno dimostrato in modo concre­to e incontrovertibile che l'istituto di ricovero è del tutto superato, scatenando così la reazione delle autorità preposte «alla tutela dei minori», come è documentato nella lettera inviata dagli educatori delle comunità di Torino (circa 15) agli assessori all’assistenza e ai capi gruppo consi­liari della Regione Piemonte e della Provincia di Torino. La lettera è rimasta finora senza risposta.

 

A Torino in questi ultimi anni abbiamo assistito al boom delle microcomunità, in cui la maggio­ranza degli Enti pubblici o privati sembrava aver improvvisamente scoperto l'antidoto alla repres­sione ed all'emarginazione delle istituzioni totali. Le esperienze in questo campo insegnano che le microcomunità, ponendo il «disadattato» all'interno di un gruppo primario, rifiutando tecni­che obbiettivanti l'educando, ma utilizzando in­vece un rapporto di identificazione controllata in gruppo, permettono recuperi fino ad ora conside­rati quasi impossibili dalla psichiatria organici­stica.

Infatti, minori diagnosticati come «irrecupe­rabili», che in pochi anni avevano fatto il giro delle varie istituzioni educative e psichiatriche, hanno potuto trarre un giovamento stabile per il solo fatto che all'interno delle microcomunità si è cercato di dare risposte dirette ed individua­lizzate ai loro «bisogni» anche implicandosi con loro per poi riguadagnare la distanza terapeutica con il controllo all'interno dell'équipe educativa.

Nonostante questi risultati indubbiamente po­sitivi ed inconfutabili, ci pare giusto evidenziare alcuni limiti, facilmente superabili qualora venis­sero istituiti gli idonei servizi di cui diremo più avanti.

Purtroppo, molto spesso le osservazioni criti­che sul tipo di quelle più avanti esplicitate sono state interpretate come un fallimento totale del­le comunità, venendo così a travisare il discorso portato avanti dagli educatori, che era volto non alla soppressione delle comunità, ma bensì alla loro più utile, positiva e precisa collocazione all'interno di un disegno di ristrutturazione dei ser­vizi assistenziali.

Ciò che gli educatori, dapprima quelli della co­munità alloggio di via Giolitti 4, e poi successi­vamente quelli dell'Unità Educativa di via Cellini 2 e della Comunità Giovanile di via Brofferio 1, hanno stigmatizzato, al fine di migliorare i servizi per i minori, si può qui riassumere in pochi cen­ni (1).

a) Il personale educativo assistenziale che viene utilizzato non è fin dall'inizio preparato a questo specifico lavoro e soprattutto è sottopo­sto ad uno stress emotivo molto superiore a quello riscontrabile nelle istituzioni tradizionali.

b) I Servizi Sociali dei vari Enti hanno ini­ziato ad utilizzare le comunità come estremo ri­medio per quei casi che le risorse istituzionali esistenti rifiutavano, riducendo in tal modo le co­munità alla funzione di valvola di sicurezza degli istituti, divenendone garanzia di sopravvivenza invece di costituirne una forma nuova ed alterna­tiva più efficace.

c) Inoltre poiché mancano le istituzioni so­ciali infrastrutturali che favoriscano l'inserimen­to esterno dei minori, e poiché gli operatori delle comunità sono messi in condizione di non potersi inserire né coinvolgere nel discorso educativo ed assistenziale della zona circostante, le micro­comunità rischiano di diventare delle «gabbie d'oro» più moderne ed efficienti dell'istituto, ma non meno disadattanti.

d) Difficoltà di carattere burocratico che si manifestano in tutti i contatti con gli Enti con cui si deve collaborare, in quanto si opera con indi­rizzi diversi. Gli educatori operanti nelle predet­te comunità avevano individuato il superamento di queste difficoltà nella istituzione di queste co­munità come strumento complementare e vica­riante ad una serie di altri interventi nella fami­glia, nella scuola, nei centri di tempo libero, nei servizi per l'adozione speciale, nei centri base di quartiere, ecc., e in definitiva nella costituenda unità locale dei servizi.

In questa ottica si erano presi dei contatti con altri Enti e si era prospettato un decentramento delle comunità, e dei loro operatori, in due quar­tieri di Torino, «Le Vallette» e «Vanchiglia-Van­chiglietta» dove si era verificato che esistevano quelle condizioni necessarie per iniziare la speri­mentazione di un nuovo tipo di assistenza globa­le, decentrata e partecipata.

Attualmente, la comunità di via Cellini ha già chiuso, altre tre, quelle dell'Ente Comunità Al­loggio della Provincia di Torino, hanno fondi solo fino alla fine del 72, e senza altri interventi non si intravedono possibilità di continuazione; c'è poi il rischio che altre comunità debbano chiude­re per la mancanza di sovvenzioni, con il perico­lo che:

- Vengano meno gli attuali interventi, sia pure non ottimali, delle comunità,

- Non si assicuri il miglioramento delle prestazioni con l'inserimento delle comunità fra i vari servizi di quartiere,

- Non venga utilizzato il personale delle comunità, già oggi assai scarso, ed anzi venga messo in condizione di cercare lavoro in altri campi.

I firmatari del presente documento chiedono perciò un incontro con gli assessori e i capi grup­po dei consigli Regionale e Provinciale per verifi­carne la volontà circa l'utilizzazione delle comu­nità come strumento rieducativo e sul loro futu­ro inserimento in strutture decentrate.

Torino, 20 novembre 1972

 

(1) Per una più ampia documentazione sono a disposizione altri documenti.

 

 

UNA INOPPORTUNA TELEFONATA ALL'ON. GO­TELLI (1)

 

La notizia apparsa su l'Unità del 2 u.s. lascia sbigottiti: secondo le dichiarazioni fatte dall'On. Gotelli alla riunione del Consiglio nazionale dell'ONMI, essa avrebbe ricevuto una telefonata di congratulazioni dalla presidenza della Repubblica per la sentenza che l'ha mandata assolta nel pro­cesso di appello dalle accuse che erano state formulate dal pretore Infelisi per l'omessa vigi­lanza delle migliaia di istituti di assistenza all'infanzia.

La telefonata di congratulazioni, anche se fatta a titolo personale, è pur sempre un fatto grave perché non è mai possibile scindere nettamente le prese di posizione personali dalle responsabi­lità derivanti da una carica politica di tale impor­tanza. Pertanto può rappresentare una inammis­sibile interferenza sull'operato della magistratu­ra e il fatto è tanto più grave in quanto il procedi­mento non è ancora chiuso. È infatti facoltà della Procura della repubblica di ricorrere alla cassa­zione per l'annullamento della decisione di asso­luzione.

O forse la telefonata è stata fatta proprio per far capire ai magistrati che questa possibilità non deve essere da essi presa in considerazione?

Poiché il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, incari­cato anche delle promozioni e dei trasferimenti dei magistrati, l'interrogativo meriterebbe una risposta.

Grato della pubblicazione della presente, ti sa­luto cordialmente.

GIANNI FRECCERO

(1) Lettera pubblicata su l'Unità del 28 dicembre 1972.

 

 

I SINDACATI E L'ASSISTENZA AGLI HANDICAP­PATI

 

Dal sindacato CGIL - scuola di Trento abbiamo ricevuto il seguente documento:

«In data 15 marzo è apparso sull'Alto Adige, in cronaca di Borgo Valsugana, un articolo, il cui titolo “Il problema dei subnormali riguarda tutta la società” appariva sollecitante e attuale.

In esso si riportavano gli interventi di Cava­gnoli, funzionario dell'assessorato provinciale al­le attività sociali e sanità e dell'assessore pro­vinciale alle attività culturali Lorenzi nel dibatti­to che aveva per tema: “Attività assistenziale, agli handicappati”. Dall'articolo appare chiaro che il tema generale dell'assistenza agli handi­cappati si è ristretto al problema dei subnormali. Ciò è tutt'altro che casuale vista la serie di ini­ziative prese dalla Provincia in questo campo e in un momento in cui si è ampiamente reclamiz­zata sulla stampa la trasformazione della Piccola Opera di Levico (i vecchi clienti sono venuti a mancare) da istituto di “rieducazione” per disa­dattati sociali a istituto di rieducazione per sub­normali (nuovi clienti). Per questa ristrutturazio­ne sarà necessario un intervento finanziario della Provincia, la cui entità non è ancora nota. Non si depreca l'intervento della Provincia nel campo assistenziale, che va anzi potenziato, ma si de­preca il modo come esso si attua. Per i soggetti con deficit personali addebitabili all'età, a parti­colari caratteristiche psico-fisiche e sensoriali, o comunque in difficoltà, deve essere effettuata una svolta radicale in senso contrario all'emargi­nazione. È, cioè, necessario evitare l'isolamento degli anziani, dei minori disadattati, bambini ab­bandonati, focomelici, spastici, subnormali ecc. nei rispettivi centri o istituti e favorirne, invece, la massima socializzazione. Queste persone de­vono poter convivere con tutte le altre e utiliz­zare gli stessi spazi sociali e gli stessi servizi (sociali, sanitari, scolastici, ricreativi, addestra­mento professionale, abitazione, ecc.) ; inoltre le particolari esigenze e le prestazioni specialisti­che debbono essere soddisfatte e rispettivamen­te fornite nell'ambito di servizi comuni, non più con servizi di “categoria”. Mentre la realizzazio­ne di tutto ciò appare sempre più giusta, necessa­ria ed urgente, c'è una tendenza della politica assistenziale della Provincia non a smantellare gli istituti “emarginanti” esistenti, ma a farli pro­liferare.

Cavagnoli, dopo aver presentato il quadro tri­ste e sconfortante del mondo dei minorati, ri­chiama alle loro responsabilità morali ed umane soprattutto i genitori o comunque i familiari dei subnormali. Tutti i guai si fanno ricadere sulla famiglia che non vuole vedere e porsi il proble­ma, che si vergogna del figlio subnormale, che anziché aiutarlo nel suo processo evolutivo lo danneggia ulteriormente.

La denuncia di questi atteggiamenti sicura­mente sbagliati e controproducenti non giustifi­ca, però, lo scaricare ogni colpa o responsabilità sulla famiglia: essa si trova normalmente a do­ver affrontare da sola questo problema ed è il contesto sociale in cui essa si trova che la con­dizione a vivere in quel modo e non in un altro il problema del figlio handicappato.

Ci sono centinaia di migliaia di famiglie italia­ne, soprattutto di lavoratori, che si rovinano, let­teralmente, dal punto di vista economico, quando hanno un figlio minorato. Succede spesso che l'intero salaria di un membro della famiglia sia speso per cure e terapie nel tentativo di ottenere una riabilitazione o un ricupero. Non la famiglia deve essere investita di questo problema, atomi­sticamente, ma la società nel suo insieme, la struttura stessa della società. Non è ulteriormen­te possibile ignorare che le responsabilità non sono certo dei singoli individui e che la inumana condizione in cui gli handicappati sono costretti a vivere è il frutto di una politica assistenziale paternalistica, dietro la cui facciata umanitaria­-altruistica si nascondono la palude dello sfrut­tamento dell'assistenza, il monopolio delle isti­tuzioni religiose, il sottogoverno clientelare, in­dispensabili strumenti di potere della classe do­minante.

A questo punto, “delittuoso e mostruoso” non è certo il comportamento delle famiglie, come sostenevano i due relatori, ma il fatto che siano loro, l'uno come tecnico, l'altro come politico, legati al potere, responsabili a livelli diversi del­la programmazione e della politica dell'assisten­za della Provincia, ad accusare di inefficienza del­le “autorità” che non sono affatto generiche, e delle quali, a livello provinciale condividono tutte le responsabilità.

Si vuole far leva unicamente su responsabilità morali, umane, sulla dedizione e sull'amore, quando il nostro sistema assistenziale presenta una serie di caratteri obiettivi che è utile riassu­mere: la finalità repressiva (non per nulla il Mi­nistero degli Interni vi ha un ruolo di primo pia­no), la sua discrezionalità, che si lega tanto alla finalità di controllo, quanto all'utilizzo clientela­re, il suo taglio classista, lesivo della dignità dell'assistito, la struttura emarginante delle istitu­zioni chiuse, la gestione centralizzata e burocra­tizzata e insieme però frammentaria, per l'artico­lazione degli interventi in ordine ad astratte ca­tegorie e non alla persona unitariamente consi­derata. Da tutto ciò conseguono la rigidità, lo schematismo, le sovrapposizioni ed i vuoti, la deresponsabilizzazione, l'impersonalità. Tanto la finalità di controllo come quelle più strettamente assistenziali tendono coerentemente non ad aiu­tare il soggetto a reinserirsi come componente attiva libera nei rapporti sociali, ma piuttosto ad estraniarlo definitivamente, sia attribuendogli un sussidio da fame che lo lasci vegetare passiva­mente ai margini della società, sia isolandolo in istituzioni apposite, inglobalizzanti e totalizzan­ti, da cui non sia più in grado di disturbare oltre il conveniente i processi sociali ed economici. Tutto questo è coerente per una società capitali­stica a base individualistica, selettiva e competi­tiva; una società fatta a misura del profitto e non dell'uomo e dei suoi bisogni, la quale attraverso raffinati meccanismi selettivi emargina e segre­ga chi non è funzionale ai suoi “valori”.

Se andiamo a vedere quale è la provenienza sociale del quasi mezzo milione di persone ricoverate negli istituti in Italia (che sono quei gioielli di istituti di cui più volte ha dovuto oc­cuparsi anche la magistratura), scopriamo che esse sono quasi totalmente membri di famiglie di lavoratori. È un altro aspetto, fra i più dolorosi della collocazione subalterna che i lavoratori hanno nel nostro paese.

È ora che la classe operaia si faccia carico di questo problema, che lo affronti dal proprio pun­to di vista, senza delegarlo a quei tecnici che avallano “scientificamente” l'emarginazione. Alle lotte per nuovi rapporti di produzione, occu­pazione, casa, scuola, sanità, per un nuovo asset­to del territorio, la classe operaia deve aggiunge­re la lotta per il controllo degli interventi politi­co-economici nel delicatissimo settore dell'assi­stenza».

Sindacato CGIL-scuola di Trento

 

 

OSSERVAZIONI SUL RAPPORTO PRELIMINARE DELL'IRES PER IL PIANO DI SVILUPPO DEL PIEMONTE 1970-1975

 

Con queste osservazioni l'A.I.A.S., il Club Gio­vani Spastici, l'Associazione italiana sclerosi multipla, la Lega antipolio, l'A.N.F.Fa.S. di Torino hanno aderito al documento presentato su questo argomento dall'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e per la lotta contro l'emar­ginazione sociale.

 

L'Associazione Italiana Assistenza Spastici se­zione di Torino e le altre Associazioni sopra elen­cate, presa visione del rapporto preliminare dei - l'Ires per il piano di sviluppo del Piemonte 1970­1975, pongono, come premessa essenziale per l'elaborazione di questo piano di sviluppo, la pre­cisa volontà ed impegno politico di seguire la li­nea programmatica dello sviluppo economico so­ciale volto al soddisfacimento delle esigenze in­dividuali e comunitarie, della partecipazione de­mocratica alle decisioni politiche, della integra­zione delle persone non produttive, dei servizi non emarginanti aperti a tutti i cittadini.

 

Osservazioni relative al capitolo concernente l'assistenza sociale

Superato il concetto di beneficenza che ha ani­mato finora gli interventi verso i cittadini in par­ticolari condizioni di bisogno socio-economico o di insufficienza psico-fisica, è necessario giunge­re al concetto di superamento dell'intervento as­sistenziale con una politica veramente sociale che elimini l'emarginazione, inserendo tutti i cittadini nella vita comunitaria.

A tale scopo risulta evidente l'importanza dell'attuazione di un dispositivo di servizio unitario che si individua nell'Unità Locale dei servizi sa­nitari e sociali che risponda a particolari esigen­ze socio-territoriali e consenta un'efficienza di prestazioni globali e onnicomprensive (preventi­ve, curative, riabilitative e formative), mante­nendo i soggetti nel loro naturale ambiente di vita.

Queste Unità Locali dei servizi sanitari e so­ciali devono essere gestite dai Comuni e Con­sorzi di Comuni e la loro creazione è l'unica pos­sibilità di intervento che permetta la progressiva deistituzionalizzazione degli handicappati rico­verati, consentendo loro una continuità di inter­venti riabilitativi e formativi specialistici, che attualmente rimangono uno degli scopi principali del ricovero di questi minorati.

I servizi non realizzabili a livello di Unità Lo­cale dei servizi sanitari e sociali, dovranno esse­re affidati ai Comprensori, presso i quali è auspi­cabile una dotazione per i casi di intervento cu­rativo e riabilitativo di alta specializzazione.

Nei casi in cui il ricorso all'assistenza presso le famiglie non sia possibile, si chiede alla Re­gione Piemonte di creare piccole Comunità allog­gio o focolari integrati nel tessuto sociale.

Per assicurare la presenza di idonei operatori sociali nei servizi è indispensabile ed urgente che la Regione Piemonte provveda alla program­mazione e legislazione in merito alla formazione degli operatori sociali (il rapporto Ires a questo proposito non si è pronunciato) con l'aggiorna­mento e la riqualificazione o la riconversione del personale esistente.

In particolare è urgente la creazione, nell'am­bito di questa formazione di operatori, di un cor­so per terapisti della riabilitazione, la cui man­canza oggi è particolarmente sentita da migliaia di persone bisognose di trattamenti riabilitativi.

Legata al problema dell'inserimento sociale degli handicappati è l'abolizione delle barriere ar­chitettoniche (D.M. 21-3-1971) che consenta alle persone con difficoltà motorie, a coloro che de­vono spostarsi in carrozzella, agli anziani, l'ac­cesso agli edifici pubblici, alle scuole ed agli al­loggi a loro destinati. A tale proposito si richiede che la Regione Piemonte elabori un regolamento edilizio che metta in attuazione la legge 30-3­1971, n. 118.

 

Osservazioni relative al capitolo concernente l'istruzione

Il rapporto Ires giustamente rivaluta il momen­to formativo-culturale della scuola e noi sottoli­neiamo l'importanza che questo servizio sia re­so a tutti senza esclusioni dei ragazzi con mino­razioni fisiche, psichiche e sensoriali per i quali chiediamo che, fra le attività formative scolasti­che vengano inserite le prestazioni di fisio-tera­pia, logopedia, ginnastica preventiva.

A questo riguardo chiediamo che la Regione Piemonte stimoli e favorisca l'istituzione ed i servizi di medicina scolastica veramente efficien­ti (questi sono già obbligatori per i Comuni in base ai D.P.R. 11-12-1961 n. 264 e 22-12-1967 n. 1518) che forniscano tutti i trattamenti necessa­ri e specialistici agli handicappati.

Questo servizio dovrebbe seguire il fanciullo handicappato fin dagli asili nido, scuole materne e d'obbligo, fino ai corsi di addestramento pro­fessionale, permettendo il loro inserimento nel­le normali strutture, in classi integrate, con una continuità ed efficienza di terapia.

Per quanto concerne la scuola d'obbligo occor­re giungere alla progressiva riduzione delle clas­si speciali e differenziali, integrando il più pos­sibile gli handicappati nelle classi normali e non prendendo come pretesto per l'emarginazione il rifiuto degli allievi normo-dotati e dei relativi ge­nitori, rifiuto che secondo la nostra esperienza, è in molti casi di dimensioni limitate non pregiudi­zievoli ad un efficiente inserimento. Anche per i corsi di addestramento professionale chiediamo che la Regione Piemonte impegni i Comuni ad attuare iniziative simili a quella presa dal Co­mune di Torino per favorire l'inserimento degli handicappati nei normali corsi di preparazione professionale. Per quanto concerne i problemi degli handicappati al termine delle scuole d'ob­bligo e dei corsi di addestramento professionale, il Club dei Giovani spastici propone, nei casi in cui l'handicap psico-fisico non sia molto grave, l'inserimento presso le normali industrie, se­condo quanto stabilito dalla legge n. 482, inseri­mento che deve essere fatto rispettare, con l'ap­poggio delle forze sindacali, dagli organi respon­sabili della tutela del lavoro.

Nei casi molto gravi o gravissimi si chiede la creazione di centri occupazionali nei quali venga favorita al massimo l'attività produttiva, con un'integrazione salariale che l'attuale legislazio­ne regionale non prevede. Per evitare l'emargi­nazione di questi soggetti nei centri dovrebbero anche essere iscritti dei normo-dotati.

 

Osservazioni relative al capitolo concernente la previdenza sociale

Per quanto riguarda le pensioni chiediamo alla Regione Piemonte che stabilisca un aggancia­mento ai salari di tutte le pensioni (non solo di quelle contributive e di invalidità) e che, tramite i Comuni, provveda all'integrazione di quelle in­feriori al minimo vitale.

 

Osservazioni relative al capitolo concernente la difesa e promozione della salute

Siamo perfettamente d'accordo coi rapporto dell'Ires sulla necessità di un reale raccordo fra la prevenzione, la cura e la riabilitazione. Il mo­mento preventivo non deve essere limitato al mo­mento diagnostico terapeutico, ma deve essere «teso ad investire le cause che producono le insorgenze morbose e le situazioni di rischio» (rapporto Ires pag. 89). Per lo spastico in parti­colare l'importanza del momento preventivo deve essere esercitato nei primissimi mesi di vita; a questo proposito sarebbe opportuno inserire nel­le Unità locali dei servizi sanitari e sociali appa­recchiature diagnostiche elettroencefalografiche.

A conclusione delle nostre osservazioni l'AIAS e le Associazioni sottoelencate dichiarano di ade­rire pienamente al più ampio documento presen­tato dall'Unione Italiana per la promozione dei diritti del minore e per la lotta contro l'emargina­zione sociale che tratta più specificamente ogni argomento.

 

www.fondazionepromozionesociale.it