Prospettive
assistenziali, n. 21, gennaio-marzo 1973
NOTIZIE
1° CONVEGNO NAZIONALE SUL TEMA: «DALLA SCUOLA SPECIALE ALLA
SCUOLA PUBBLICA INTEGRATA»
A Cosenza dal 18 al 20 giugno 1972
si è tenuto il 1° Convegno nazionale su un tema di estrema
attualità: «Dalla scuola speciale alla scuola pubblica
integrata». Sono stati presentati gli esperimenti realizzati a Bari, Cosenza, Cutrofiano (Le), Putignano (Ba) nell'anno scolastico 1971-72, con l'immissione nelle
scuole elementari statali di alunni spastici
provenienti dalla scuola speciale dei Centri di rieducazione motoria.
Ottima la
relazione della dottoressa Nina D'Amato sull'esperienza di Cosenza (pubblicata
in A.I.A.S. Notiziario, n. 2, 1972).
Al termine del Convegno è stata approvata
la seguente mozione: «Il 1° Convegno di Studio sul tema: dalla scuola speciale
alla scuola pubblica integrata», svoltosi a Cosenza
dal 18 al 22 giugno 1972;
rilevato
«che gli esperimenti di scuola integrata realizzati a Bari,
Cosenza, Cutrofiano (Le), Putignano
(Ba) nell'anno scolastico 1971-1972, hanno permesso,
con l'ausilio e le garanzie offerti dal livello
specialistico dell'équipe riabilitativa, l'immissione
nelle scuole elementari statali di un primo gruppo di spastici cerebrolesi provenienti dalla scuola speciale dei Centri di
rieducazione motoria;
constatato
«che gli interventi specialistici, strettamente correlati e
coordinati a quelli pedagogici, sono risultati
indispensabili per una efficace maturazione dei singoli ragazzi e per il loro
processo di apprendimento;
impegna
«gli organi pubblici ed in particolare il Ministero della
Pubblica Istruzione, ad adottare opportuni
provvedimenti affinché l'iniziativa di alcune Sezioni dell'Associazione
Italiana per ]'Assistenza agli Spastici, sia fatta propria in modo che la
stessa legge n. 820 del 24 settembre 1971, (1) adeguatamente interpretata,
permetta l'allargamento delle sperimentazioni al fine di ottenere la
generalizzazione di questo nuovo tipo di scuola integrata, ancorata e
sostanziata dall'acquisizione di metodi riabilitativi, a lungo sperimentati
dall'équipe specializzata dei Centri di riabilitazione
motoria e che hanno consentito un pieno riscontro reale nell'integrazione
speciale dell'età scolare».
(1) Si tratta della
legge che prevede, fra l'altro, l'istituzione della scuola elementare a tempo
pieno.
COMUNITA' ALLOGGIO
Abbiamo
indicato più volte le comunità alloggio come una delle alternative
al ricovero in istituto dei minori, per i quali sia impossibile la permanenza
in famiglia e non sia attuabile l'adozione o l'affidamento familiare a scopo
educativo. Queste comunità alloggio, da inserire in modo sparso nelle comuni
case di abitazione, debbono però essere uno dei
servizi dell'Unità locale. Ne abbiamo infatti
denunciato i limiti qualora, come nel caso di Torino, esse funzionino senza essere
collegate con gli altri servizi di quartiere. Pur tuttavia esse hanno
dimostrato in modo concreto e incontrovertibile che l'istituto di ricovero è
del tutto superato, scatenando così la reazione delle autorità preposte «alla
tutela dei minori», come è documentato nella lettera
inviata dagli educatori delle comunità di Torino (circa 15) agli assessori all’assistenza
e ai capi gruppo consiliari della Regione Piemonte e della Provincia di Torino.
La lettera è rimasta finora senza risposta.
A Torino in questi ultimi anni
abbiamo assistito al boom delle microcomunità, in cui
la maggioranza degli Enti pubblici o privati sembrava
aver improvvisamente scoperto l'antidoto alla repressione ed all'emarginazione
delle istituzioni totali. Le esperienze in questo campo insegnano che le microcomunità, ponendo il «disadattato» all'interno di un
gruppo primario, rifiutando tecniche obbiettivanti
l'educando, ma utilizzando invece un rapporto di identificazione
controllata in gruppo, permettono recuperi fino ad ora considerati quasi
impossibili dalla psichiatria organicistica.
Infatti, minori diagnosticati come «irrecuperabili»,
che in pochi anni avevano fatto il giro delle varie istituzioni educative e
psichiatriche, hanno potuto trarre un giovamento stabile per il solo fatto che
all'interno delle microcomunità si è cercato di dare
risposte dirette ed individualizzate ai loro «bisogni» anche implicandosi con
loro per poi riguadagnare la distanza terapeutica con il controllo all'interno
dell'équipe educativa.
Nonostante questi risultati
indubbiamente positivi ed inconfutabili, ci pare
giusto evidenziare alcuni limiti, facilmente superabili qualora venissero
istituiti gli idonei servizi di cui diremo più avanti.
Purtroppo, molto spesso le
osservazioni critiche sul tipo di quelle più avanti esplicitate sono state
interpretate come un fallimento totale delle comunità, venendo così a
travisare il discorso portato avanti dagli educatori, che era volto non alla
soppressione delle comunità, ma bensì alla loro più
utile, positiva e precisa collocazione all'interno di un disegno di
ristrutturazione dei servizi assistenziali.
Ciò che gli educatori, dapprima
quelli della comunità alloggio di via Giolitti 4, e poi successivamente quelli dell'Unità
Educativa di via Cellini 2 e della Comunità Giovanile
di via Brofferio 1, hanno stigmatizzato, al fine di
migliorare i servizi per i minori, si può qui riassumere in pochi cenni (1).
a) Il personale educativo assistenziale che viene utilizzato non è fin dall'inizio
preparato a questo specifico lavoro e soprattutto è sottoposto ad uno stress
emotivo molto superiore a quello riscontrabile nelle istituzioni tradizionali.
b) I Servizi Sociali dei vari Enti
hanno iniziato ad utilizzare le comunità come estremo rimedio per quei casi
che le risorse istituzionali esistenti rifiutavano, riducendo in tal modo le comunità
alla funzione di valvola di sicurezza degli istituti,
divenendone garanzia di sopravvivenza invece di costituirne una forma nuova ed
alternativa più efficace.
c) Inoltre poiché mancano le
istituzioni sociali infrastrutturali che favoriscano
l'inserimento esterno dei minori, e poiché gli operatori delle comunità sono
messi in condizione di non potersi inserire né coinvolgere nel discorso
educativo ed assistenziale della zona circostante, le microcomunità rischiano di diventare delle «gabbie d'oro»
più moderne ed efficienti dell'istituto, ma non meno disadattanti.
d) Difficoltà di carattere
burocratico che si manifestano in tutti i contatti con gli Enti con cui si deve
collaborare, in quanto si opera con indirizzi diversi. Gli educatori operanti
nelle predette comunità avevano individuato il
superamento di queste difficoltà nella istituzione di queste comunità come
strumento complementare e vicariante ad una serie di altri interventi nella
famiglia, nella scuola, nei centri di tempo libero, nei servizi per l'adozione
speciale, nei centri base di quartiere, ecc., e in definitiva nella costituenda
unità locale dei servizi.
In questa ottica
si erano presi dei contatti con altri Enti e si era prospettato un
decentramento delle comunità, e dei loro operatori, in due quartieri di
Torino, «Le Vallette» e «Vanchiglia-Vanchiglietta»
dove si era verificato che esistevano quelle condizioni necessarie per iniziare
la sperimentazione di un nuovo tipo di assistenza
globale, decentrata e partecipata.
Attualmente, la comunità di via Cellini ha già chiuso, altre tre, quelle dell'Ente Comunità
Alloggio della Provincia di Torino, hanno fondi solo fino alla fine del 72, e
senza altri interventi non si intravedono possibilità di continuazione; c'è poi
il rischio che altre comunità debbano chiudere per la mancanza di sovvenzioni,
con il pericolo che:
- Vengano meno gli attuali
interventi, sia pure non ottimali, delle comunità,
- Non si assicuri il miglioramento
delle prestazioni con l'inserimento delle comunità fra i vari servizi di
quartiere,
- Non venga
utilizzato il personale delle comunità, già oggi assai scarso, ed anzi venga
messo in condizione di cercare lavoro in altri campi.
I firmatari del
presente documento chiedono perciò un incontro con gli assessori e i capi gruppo dei consigli Regionale e Provinciale per verificarne la
volontà circa l'utilizzazione delle comunità come strumento rieducativo e sul loro futuro inserimento in strutture
decentrate.
Torino, 20 novembre 1972
(1) Per una più ampia
documentazione sono a disposizione altri documenti.
UNA INOPPORTUNA TELEFONATA ALL'ON.
GOTELLI (1)
La notizia apparsa su l'Unità del 2 u.s. lascia sbigottiti:
secondo le dichiarazioni fatte dall'On. Gotelli alla
riunione del Consiglio nazionale dell'ONMI, essa avrebbe ricevuto una
telefonata di congratulazioni dalla presidenza della Repubblica per la sentenza
che l'ha mandata assolta nel processo di appello
dalle accuse che erano state formulate dal pretore Infelisi
per l'omessa vigilanza delle migliaia di istituti di assistenza all'infanzia.
La telefonata di congratulazioni,
anche se fatta a titolo personale, è pur sempre un fatto grave perché non è mai
possibile scindere nettamente le prese di posizione personali dalle responsabilità
derivanti da una carica politica di tale importanza. Pertanto può
rappresentare una inammissibile interferenza
sull'operato della magistratura e il fatto è tanto più grave in quanto il
procedimento non è ancora chiuso. È infatti facoltà
della Procura della repubblica di ricorrere alla cassazione per l'annullamento
della decisione di assoluzione.
O forse la telefonata è stata fatta
proprio per far capire ai magistrati che questa possibilità non deve essere da essi presa in considerazione?
Poiché il Presidente della Repubblica
presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, incaricato anche delle
promozioni e dei trasferimenti dei magistrati, l'interrogativo meriterebbe una
risposta.
Grato della pubblicazione della
presente, ti saluto cordialmente.
GIANNI
FRECCERO
(1) Lettera pubblicata
su l'Unità del 28 dicembre 1972.
I SINDACATI E L'ASSISTENZA AGLI HANDICAPPATI
Dal sindacato CGIL - scuola di
Trento abbiamo ricevuto il seguente documento:
«In data 15 marzo è apparso
sull'Alto Adige, in cronaca di Borgo Valsugana, un articolo, il cui titolo “Il problema dei subnormali riguarda tutta la società”
appariva sollecitante e attuale.
In esso si
riportavano gli interventi di Cavagnoli, funzionario
dell'assessorato provinciale alle attività sociali e sanità e dell'assessore
provinciale alle attività culturali Lorenzi nel dibattito
che aveva per tema: “Attività assistenziale, agli handicappati”. Dall'articolo
appare chiaro che il tema generale dell'assistenza agli handicappati si è
ristretto al problema dei subnormali. Ciò è tutt'altro
che casuale vista la serie di iniziative prese dalla
Provincia in questo campo e in un momento in cui si è ampiamente reclamizzata
sulla stampa la trasformazione della Piccola Opera di Levico
(i vecchi clienti sono venuti a mancare) da istituto di “rieducazione” per disadattati
sociali a istituto di rieducazione per subnormali (nuovi clienti). Per questa
ristrutturazione sarà necessario un intervento finanziario della Provincia, la
cui entità non è ancora nota. Non si depreca l'intervento della Provincia nel
campo assistenziale, che va anzi potenziato, ma si depreca
il modo come esso si attua. Per i soggetti con deficit personali addebitabili
all'età, a particolari caratteristiche psico-fisiche e sensoriali, o comunque in difficoltà, deve essere effettuata una svolta
radicale in senso contrario all'emarginazione. È, cioè,
necessario evitare l'isolamento degli anziani, dei minori disadattati, bambini
abbandonati, focomelici, spastici, subnormali ecc. nei rispettivi centri o
istituti e favorirne, invece, la massima socializzazione. Queste persone devono
poter convivere con tutte le altre e utilizzare gli stessi spazi sociali e gli
stessi servizi (sociali, sanitari, scolastici, ricreativi, addestramento
professionale, abitazione, ecc.) ; inoltre le
particolari esigenze e le prestazioni specialistiche debbono essere
soddisfatte e rispettivamente fornite nell'ambito di servizi comuni, non più
con servizi di “categoria”. Mentre la realizzazione
di tutto ciò appare sempre più giusta, necessaria ed urgente, c'è una tendenza
della politica assistenziale della Provincia non a smantellare gli istituti “emarginanti”
esistenti, ma a farli proliferare.
Cavagnoli, dopo aver presentato il quadro triste
e sconfortante del mondo dei minorati, richiama alle loro responsabilità
morali ed umane soprattutto i genitori o comunque i
familiari dei subnormali. Tutti i guai si fanno ricadere sulla famiglia che non
vuole vedere e porsi il problema, che si vergogna del figlio subnormale, che
anziché aiutarlo nel suo processo evolutivo lo danneggia ulteriormente.
La denuncia di questi atteggiamenti
sicuramente sbagliati e controproducenti non giustifica, però, lo scaricare
ogni colpa o responsabilità sulla famiglia: essa si trova normalmente a dover
affrontare da sola questo problema ed è il contesto
sociale in cui essa si trova che la condizione a vivere in quel modo e non in
un altro il problema del figlio handicappato.
Ci sono centinaia di migliaia di
famiglie italiane, soprattutto di lavoratori, che si rovinano, letteralmente,
dal punto di vista economico, quando hanno un figlio minorato. Succede spesso
che l'intero salaria di un membro della famiglia sia
speso per cure e terapie nel tentativo di ottenere una riabilitazione o un
ricupero. Non la famiglia deve essere investita di questo problema, atomisticamente, ma la società nel suo insieme, la
struttura stessa della società. Non è ulteriormente possibile ignorare che le
responsabilità non sono certo dei singoli individui e che la inumana
condizione in cui gli handicappati sono costretti a vivere è il frutto di una
politica assistenziale paternalistica, dietro la cui facciata umanitaria-altruistica si nascondono la palude dello sfruttamento
dell'assistenza, il monopolio delle istituzioni religiose, il sottogoverno
clientelare, indispensabili strumenti di potere della classe dominante.
A questo punto, “delittuoso e
mostruoso” non è certo il comportamento delle famiglie, come sostenevano i due
relatori, ma il fatto che siano loro, l'uno come tecnico, l'altro come
politico, legati al potere, responsabili a livelli diversi della
programmazione e della politica dell'assistenza della Provincia, ad accusare di inefficienza delle “autorità” che non sono affatto
generiche, e delle quali, a livello provinciale condividono tutte le
responsabilità.
Si vuole far leva unicamente su
responsabilità morali, umane, sulla dedizione e sull'amore, quando il nostro
sistema assistenziale presenta una serie di caratteri
obiettivi che è utile riassumere: la finalità repressiva (non per nulla il Ministero
degli Interni vi ha un ruolo di primo piano), la sua discrezionalità, che si
lega tanto alla finalità di controllo, quanto all'utilizzo clientelare, il suo
taglio classista, lesivo della dignità dell'assistito, la struttura emarginante
delle istituzioni chiuse, la gestione centralizzata e burocratizzata e
insieme però frammentaria, per l'articolazione degli interventi in ordine ad
astratte categorie e non alla persona unitariamente considerata. Da tutto ciò
conseguono la rigidità, lo schematismo, le
sovrapposizioni ed i vuoti, la deresponsabilizzazione,
l'impersonalità. Tanto la finalità di controllo come quelle più strettamente assistenziali tendono coerentemente non ad aiutare il
soggetto a reinserirsi come componente attiva libera nei rapporti sociali, ma
piuttosto ad estraniarlo definitivamente, sia attribuendogli un sussidio da
fame che lo lasci vegetare passivamente ai margini della società, sia
isolandolo in istituzioni apposite, inglobalizzanti e
totalizzanti, da cui non sia più in grado di disturbare oltre il conveniente i
processi sociali ed economici. Tutto questo è coerente per una
società capitalistica a base individualistica, selettiva e competitiva;
una società fatta a misura del profitto e non dell'uomo e dei suoi bisogni, la
quale attraverso raffinati meccanismi selettivi emargina e segrega chi non è
funzionale ai suoi “valori”.
Se andiamo a vedere quale è la provenienza sociale del quasi mezzo milione di
persone ricoverate negli istituti in Italia (che sono quei gioielli di istituti
di cui più volte ha dovuto occuparsi anche la magistratura), scopriamo che
esse sono quasi totalmente membri di famiglie di lavoratori. È un altro
aspetto, fra i più dolorosi della collocazione
subalterna che i lavoratori hanno nel nostro paese.
È ora che la classe operaia si
faccia carico di questo problema, che lo affronti dal proprio punto di vista,
senza delegarlo a quei tecnici che avallano “scientificamente” l'emarginazione.
Alle lotte per nuovi rapporti di produzione, occupazione, casa, scuola,
sanità, per un nuovo assetto del territorio, la classe operaia deve aggiungere
la lotta per il controllo degli interventi politico-economici
nel delicatissimo settore dell'assistenza».
Sindacato
CGIL-scuola di Trento
OSSERVAZIONI SUL RAPPORTO
PRELIMINARE DELL'IRES PER IL PIANO DI SVILUPPO DEL PIEMONTE 1970-1975
Con
queste osservazioni l'A.I.A.S.,
il Club Giovani Spastici, l'Associazione italiana sclerosi multipla,
L'Associazione Italiana Assistenza
Spastici sezione di Torino e le altre Associazioni sopra elencate, presa
visione del rapporto preliminare dei - l'Ires per il
piano di sviluppo del Piemonte 19701975, pongono, come premessa essenziale per
l'elaborazione di questo piano di sviluppo, la precisa volontà ed impegno
politico di seguire la linea programmatica dello sviluppo economico sociale
volto al soddisfacimento delle esigenze individuali e comunitarie, della
partecipazione democratica alle decisioni politiche, della integrazione delle
persone non produttive, dei servizi non emarginanti aperti a tutti i cittadini.
Osservazioni relative al capitolo concernente l'assistenza sociale
Superato il concetto di beneficenza
che ha animato finora gli interventi verso i cittadini in particolari
condizioni di bisogno socio-economico o di insufficienza
psico-fisica, è necessario giungere al concetto di superamento dell'intervento
assistenziale con una politica veramente sociale che elimini l'emarginazione,
inserendo tutti i cittadini nella vita comunitaria.
A tale scopo risulta
evidente l'importanza dell'attuazione di un dispositivo di servizio unitario
che si individua nell'Unità Locale dei servizi sanitari e sociali
che risponda a particolari esigenze socio-territoriali e consenta
un'efficienza di prestazioni globali e onnicomprensive (preventive, curative,
riabilitative e formative), mantenendo i soggetti nel loro naturale ambiente
di vita.
Queste Unità Locali dei servizi
sanitari e sociali devono essere gestite dai Comuni e Consorzi di Comuni e la
loro creazione è l'unica possibilità di intervento
che permetta la progressiva deistituzionalizzazione
degli handicappati ricoverati, consentendo loro una continuità di interventi
riabilitativi e formativi specialistici, che attualmente rimangono uno degli
scopi principali del ricovero di questi minorati.
I servizi non realizzabili a livello
di Unità Locale dei servizi sanitari e sociali,
dovranno essere affidati ai Comprensori,
presso i quali è auspicabile una dotazione per i casi di intervento curativo
e riabilitativo di alta specializzazione.
Nei casi in cui il ricorso
all'assistenza presso le famiglie non sia possibile,
si chiede alla Regione Piemonte di creare piccole Comunità alloggio o focolari integrati nel tessuto sociale.
Per assicurare la presenza di idonei operatori sociali nei servizi è indispensabile ed
urgente che
In particolare è urgente la
creazione, nell'ambito di questa formazione di operatori,
di un corso per terapisti della riabilitazione, la cui mancanza oggi è
particolarmente sentita da migliaia di persone bisognose di trattamenti
riabilitativi.
Legata al problema dell'inserimento
sociale degli handicappati è l'abolizione
delle barriere architettoniche (D.M. 21-3-1971) che consenta
alle persone con difficoltà motorie, a coloro che devono spostarsi in carrozzella,
agli anziani, l'accesso agli edifici pubblici, alle scuole ed agli alloggi a
loro destinati. A tale proposito si richiede che
Osservazioni relative al capitolo concernente l'istruzione
Il rapporto Ires giustamente
rivaluta il momento formativo-culturale della scuola
e noi sottolineiamo l'importanza che questo servizio sia
reso a tutti senza esclusioni dei ragazzi con minorazioni fisiche, psichiche
e sensoriali per i quali chiediamo che, fra le attività formative scolastiche
vengano inserite le prestazioni di fisio-terapia, logopedia, ginnastica
preventiva.
A questo riguardo chiediamo che
Questo servizio dovrebbe seguire il fanciullo handicappato fin dagli asili nido, scuole materne
e d'obbligo, fino ai corsi di addestramento professionale, permettendo il loro
inserimento nelle normali strutture, in classi integrate, con una continuità
ed efficienza di terapia.
Per quanto concerne la scuola d'obbligo occorre giungere alla
progressiva riduzione delle classi speciali e
differenziali, integrando il più possibile gli handicappati nelle classi
normali e non prendendo come pretesto per l'emarginazione il rifiuto degli
allievi normo-dotati e dei relativi genitori,
rifiuto che secondo la nostra esperienza, è in molti casi di dimensioni
limitate non pregiudizievoli ad un efficiente inserimento. Anche per i corsi di addestramento
professionale chiediamo che
Nei casi molto gravi o gravissimi si
chiede la creazione di centri occupazionali nei quali venga
favorita al massimo l'attività produttiva, con un'integrazione salariale che
l'attuale legislazione regionale non prevede. Per evitare l'emarginazione di
questi soggetti nei centri dovrebbero anche essere iscritti dei normo-dotati.
Osservazioni relative al capitolo concernente la previdenza sociale
Per quanto riguarda le pensioni
chiediamo alla Regione Piemonte che stabilisca un
agganciamento ai salari di tutte le pensioni (non solo di quelle contributive
e di invalidità) e che, tramite i Comuni, provveda all'integrazione di quelle
inferiori al minimo vitale.
Osservazioni relative al capitolo concernente la difesa e promozione
della salute
Siamo perfettamente d'accordo coi rapporto dell'Ires sulla necessità di un reale raccordo
fra la prevenzione, la cura e la riabilitazione. Il momento preventivo non
deve essere limitato al momento diagnostico terapeutico, ma deve essere «teso
ad investire le cause che producono le insorgenze morbose e le situazioni di
rischio» (rapporto Ires pag. 89). Per lo spastico in particolare l'importanza
del momento preventivo deve essere esercitato nei primissimi mesi di vita; a
questo proposito sarebbe opportuno inserire nelle
Unità locali dei servizi sanitari e sociali apparecchiature diagnostiche elettroencefalografiche.
A conclusione delle nostre
osservazioni l'AIAS e le Associazioni sottoelencate
dichiarano di aderire pienamente al più ampio
documento presentato dall'Unione Italiana per la promozione dei diritti del
minore e per la lotta contro l'emarginazione sociale che tratta più
specificamente ogni argomento.
www.fondazionepromozionesociale.it