Prospettive assistenziali, n. 22, aprile-giugno 1973

 

 

DOCUMENTI

 

CGIL, CISL, UIL DI TORINO

DOCUMENTO SULL'ASSISTENZA PSICHIATRICA

 

 

Premessa

Già nel Convegno "I Problemi della scuola" e poi in quello "Dall'assistenza emarginante ai ser­vizi sociali aperti a tutti", svoltisi nel maggio e nel luglio 1971 a Torino, promossi unitariamente dalla CGIL-CISL-UIL, le ACLI, i Comitati di Quar­tiere, l'Unione Italiana per la promozione dei di­ritti del minore, l'Associazione per la lotta con­tro le malattie mentali, abbiamo avuto modo di denunciare apertamente come l'attribuzione agli Enti elettivi: Regione, Provincia, Comuni, di fun­zioni innovative, in questi campi come in altri settori, quali quelli della sanità, dell'igiene men­tale, incontri una resistenza accanita da parte di precise l'orzo governative, politiche ed ammini­strative.

La stessa cosa abbiamo dovuto constatare in tutto il corso del Convegno promosso dall'Unio­ne Regionale delle Province Piemontesi sui temi "Dell'assistenza psichiatrica nel quadro del ser­vizio sanitario nazionale"; nel pubblico dibattito, svoltosi alla Galleria d'arte moderna, sulla “Fab­brica della follia” su iniziativa dell'Associazione per la lotta contro le malattie mentali; in tutti gli incontri avvenuti fra rappresentanze qualificate fra la Regione Piemonte e le Organizzazioni Sin­dacali quando esse hanno presentato concrete proposte relative ai servizi per l'igiene e la pre­venzione dai rischi da ambiente sociale, alla me­dicina del lavoro, per il controllo degli ambienti di lavoro e la prevenzione dei rischi da lavoro, ai servizi di protezione dell'infanzia e maternità, di prevenzione, cura e riabilitazione, in generale ed in particolare per gli anziani; infine, per una radicale ristrutturazione dell'assistenza psichia­trica.

In quelle sedi, tra l'altro, abbiamo avuto occa­sione di esprimere il nostro disaccordo, con quanto stavano facendo il governo, il Ministero dell'interno e, in altri campi, quello della sanità, e altri dicasteri, in relazione alla promulgazione dei decreti delegati.

Che avessimo ragione lo dicono le cose poi av­venute. Infatti alle Regioni sono state trasferite solo una parte minima delle competenze statali, sia in materia di sanità che in materia di assi­stenza.

Non è la prima volta che denunciamo la irrazio­nalità e le profonde carenze esistenti in campo sociale. Ne fanno fede i documenti elaborati e presentati al CIPE, ai governi, alla Regione Piemonte, alla Provincia ed al Comune di Torino; le diverse prese di posizione; le lotte promosse unitariamente dalle nostre organizzazioni, col so­stegno di diversi partiti, nell'arco di tempo che va dal 1988 ad oggi.

Né ci soffermeremo sul grande valore delle prime proposte avanzate su questi problemi da gruppi di operatori di avanguardia. Né ci attar­deremo sulle prime esperienze e sui conseguen­ti parziali risultati positivi acquisiti all'interno di un acuto scontro di classe e di un travagliato processo ancora in corso, in tutti i campi, dalla scuola ai servizi di protezione dell'infanzia e della maternità; dai servizi per minori in stato di bisogno a quelli per l'igiene e la prevenzione dai rischi da ambiente sociale; dal controllo degli ambienti di lavoro alla prevenzione dai rischi di lavoro; dai servizi per gli anziani e gli handicap­pati, alla attuazione e realizzazione di una nuova linea in campo psichiatrico; dai servizi di pre­venzione, cura e riabilitazione fino alla realizza­zione di un reale servizio sanitario nazionale.

 

Contraddizioni del D.P.R. 14-1-1972 n. 4

Ci corre però l'obbligo, ancora una volta, di de­nunciare la mancata corrispondenza a queste no­stre proposte del D.P.R. 14-1-1972 n. 4, relative al trasferimento di poteri alle Regioni in materia di sanità. In questo trasferimento non sono inclu­se le decisive funzioni esercitate, in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, da Enti ed Istituti pubblici mentre è noto che a norma dell'art. 117 della Costituzione tali poteri sono di esclusiva competenza delle Regioni.

È altrettanto noto che ancora oggi la stragran­de maggioranza delle funzioni statali, in tale ma­teria, viene esercitata non già dall'Amministra­zione diretta dello Stato, e cioè dal Ministero del­la sanità, ma da una serie numerosa di enti pub­blici creati appositamente dallo Stato; precisa­mente da enti mutualistici: INAM, ENPAS, ecc.; da altri enti pubblici: INPS, INAIL, ecc., i quali, anch'essi, assolvono funzioni di assistenza sani­taria ed ospedaliera.

Orbene, lasciare inalterate le funzioni di tali Enti, come l'art. 4 del decreto sopra citato pre­vede, rappresenta un grave colpo ai poteri che l'art. 117 della Costituzione attribuisce alle Re­gioni. Non solo. È un atto apertamente ostile alla riforma sanitaria rivendicata dai lavoratori e dal­le nostre organizzazioni. Ma vi è di più. L'art. 4 già citato, oltre a conservare le attribuzioni de­gli organi dello Stato a questi enti pubblici, a non procedere alla loro soppressione, accenna ad un loro futuro riordinamento. Nel caso in cui ciò venisse attuato, si riproporrebbe una linea di "riforma sanitaria" contro la quale il movimento sindacale si è sempre unitariamente battuto, poi­ché sarebbe basata su aziende regionali (maga­ri sottoposte al controllo delle Regioni) simili alle aziende municipalizzate.

 

La riforma che rivendichiamo

Le nostre organizzazioni negano la sopravvi­venza di qualsiasi ente, compresi quelli ospeda­lieri, erogatori di assistenza sanitaria in modo avulso da dirette responsabilità delle Regioni, e, attraverso di esse, dei Comuni e delle Province.

Rivendichiamo una riforma basata sulla respon­sabilità diretta della protezione assistenziale e sanitaria da parte delle Regioni, gestita tramite le Unità Sanitarie Locali, collegate fra di loro, raccordate funzionalmente con gli altri servizi di carattere sociale (asili nido, altri servizi per l'infanzia, servizi di aiuto familiare, di assistenza agli handicappati psichici, agli anziani, ecc.) ; in sostanza servizi sanitari, socio-assistenziali in­tegrati fra di loro (Unità Locale dei Servizi), co­me meglio é specificato nel documento unitario CGIL-CISL-UIL, presentato al C.I.P.E. nel dicem­bre 1970, le cui tesi sono state ribadite nel do­cumento presentato a tutte le forze politiche, amministrative e locali, da CGIL-CISL-UIL-ACLI, Unione Italiana per la promozione dei diritti del minore, Associazione per la lotta contro le malat­tie mentali.

Appunto in questo ultimo documento si riven­dica l'unitarietà di tutti i servizi ed interventi so­ciali a livello sia politico che tecnico, onde evi­tare il riprodursi di fenomeni di divisione e set­torializzazione, e cioè si rivendica:

- la gestione dei servizi a livello locale (Uni­tà Locale dei Servizi o comprensori);

- il riconoscimento del diritto alla protezio­ne sociale;

- un complesso sistema sanitario preventivo, curativo e riabilitativo;

- la scuola (ad iniziare da quella prescola­stica) vista come momento di informazione e formazione a carattere globale e permanente;

- un diverso uso e assetto del territorio, in modo da dare importanza al complesso delle at­trezzature sociali, rispetto al contesto delle re­sidenze e delle attività produttive;

- una nuova impostazione della ricerca scien­tifica, destinata a fini sociali.

 

Impegni che richiediamo a tutte le forze pubbliche

Per quanto riguarda l'assistenza sociale, le nostre organizzazioni rivendicano da tutte le for­ze politiche precisi impegni perché possano ve­rificarsi convergenze politiche tali da favorire al più presto:

a) il passaggio alle Regioni di tutte le compe­tenze assistenziali (fatta eccezione soltanto per le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività delle Regioni che attengono alle esigen­ze di carattere unitario che restano allo Stato) attualmente esercitate dalla Presidenza del Con­siglio dei Ministri, dal Ministero degli interni e dagli altri ministeri, compreso il settore rieduca­tivo attualmente di competenza del Ministero di grazia e giustizia (ferma restando beninteso la competenza dell'autorità giudiziaria) ;

b) il passaggio alle Regioni delle funzioni, dei finanziamenti, dei beni e del personale degli En­ti pubblici assistenziali nazionali e locali, com­presa l'A.A.I., il fondo amministrato da detto En­te proveniente dalla gestione UNRRA, e gli altri Enti assistenziali, compresi quelli finanziati in tutto o in parte dagli utenti, quali l'ENAOLI, l'ONPI;

c) che le attività di salute pubblica, che richie­dono una organizzazione e una gestione superio­re a quelle delle Unità Sanitarie Locali, siano coordinate e regolate da leggi regionali, secondo lo spirito e la lettera dello stesso Statuto della Regione Piemonte.

 

Richieste che avanziamo alla Regione Piemonte

Alla Regione Piemonte si richiede una coeren­za con il proprio Statuto che, per quanto riguarda l'autonomia e lo sviluppo economico-sociale e la programmazione, all'art. 4, dice: «La Regione esercita la propria azione legislativa, regolamen­tare ed amministrativa per coordinare e svilup­pare i servizi sociali con particolare riguardo al­la salute, alla sicurezza e all'assistenza sociale».

Ecco perché con profonda amarezza abbiamo dovuto constatare che il primo bilancio della Re­gione invece è stato un atto puramente di ordi­naria amministrazione che recepisce in modo acritico quello che prima, in materia di assisten­za e sanità, facevano le Prefetture, i medici pro­vinciali, le miriadi di enti pubblici e privati. Quindi, nei fatti, è un atto politico-amministrati­vo che mantiene le cose come stanno, nonostan­te che tutti sappiano che questi enti fanno parte di un sistema in disgregazione tenuto in vita all'unico scopo di favorire una politica cliente­lare.

Secondo le nostre organizzazioni il bilancio della Regione dev'essere (o diventare) un atto di assunzione di precise responsabilità e scelte po­litico-amministrative per far cambiare il modo di vivere delle popolazioni: per collocare in modo diverso l'uomo nella fabbrica, nel quartiere, nel­la società. Deve essere uno strumento politico che determina diversi rapporti tra le classi so­ciali ed eroga in modo nuovo l'assistenza, la sa­nità, l'istruzione, ecc... Uno strumento che si va­le, facilitandola, della partecipazione democra­tica delle rappresentanze qualificate dei citta­dini: consigli di fabbrica, comitati di quartiere, associazioni, enti e che riesce a costruire un ti­po nuovo di politica ed uso del territorio.

Ribadiamo quindi la necessità che la Regione Piemonte traduca in atti concreti lo spirito e la lettera di quanto prevede il suo Statuto relativa­mente alla tutela della salute dei cittadini, lad­dove afferma «che la Regione promuove ed attua un'azione legislativa e regolamentare intesa a creare ed organizzare gli strumenti più efficaci per un preciso intervento a tutela della salute dei cittadini e specificatamente a favorire la par­tecipazione dei comitati di fabbrica, dei lavora­tori, delle categorie professionali alla gestione degli organismi e degli strumenti antinfortunisti­ci, di medicina preventiva, di igiene generale, di igiene mentale, nonché di medicina preventiva e riabilitativa».

Chiediamo che la Regione Piemonte, con la massima urgenza e la più sollecita gradualità, usi interamente i nuovi poteri costituzionali che in qualche modo tendono al superamento dell'at­tuale sistema assistenziale e sanitario.

La gestione sociale, aperta, organica ed unita­ria dei servizi sociali e sanitari, richiede innanzi­tutto un reale coinvolgimento dei lavoratori ed in particolare di quelli addetti alle strutture oggi esistenti. Si richiede pertanto la creazione urgen­te di organismi, democraticamente controllati, che consentano una loro adeguata formazione professionale, con gli opportuni aggiornamenti e riqualificazioni utilizzando appieno i poteri confe­riti alla Regione Piemonte dal decreto delegato sull'istruzione professionale.

 

La svolta da farsi: la prevenzione

Una vera prevenzione non la si può concepire limitata al settore sanitario. Essa va estesa ov­viamente all'assetto dei territorio, alla garanzia del necessario economico per vivere (piena oc­cupazione e pensioni), alle condizioni di lavoro, alla scuoia, al tempo libero, ecc...

Particolare rilevanza deve essere data ai pro­blemi che riguardano i minori per i quali due sono le premesse indispensabili:

1. l'unicità degli interventi degli Enti che ope­rano nella zona (U.L.S.).

2. la depsichiatrizzazione degli interventi.

Si deve scongiurare in ogni modo un grosso pericolo che può derivare dalla costituzione di Unità Locali dei Servizi tecnocratici in cui i tec­nici sanno e decidono tutto e quindi i cittadini sono solo oggetto del loro intervento.

Siamo decisamente contrari che la Regione, la Provincia, gli Enti Locali continuino a portare avanti i loro interventi in materia assistenziale e sanitaria tramite «Commissioni tecniche» che escludono la reale partecipazione delle Orga­nizzazioni Sindacali e dei rappresentanti delle forze sociali interessate.

 

Atti legislativi che si richiedono alla Regione

La caotica situazione esistente nel campo del­la sanità e della assistenza, che determina spa­ventosi costi sociali e negative spesso irrepa­rabili conseguenze su migliaia di persone, non consente che, nell'attesa del trasferimento in­tegrale dei poteri alle Regioni, tutto rimanga co­sì come è, o che siano affrontati solo parziali mi­glioramenti.

La liquidazione di servizi sclerotizzati deve avere inizio immediatamente superando qualsia­si tentazione tecnocratica, sviluppando il massi­mo impegno democratico nei rapporti con l'opi­nione pubblica, le Amministrazioni locali, sia in merito alla situazione attuale sia in relazione alle iniziative che la Regione intende prendere a livello legislativo ed amministrativo, in modo che siano attuati i principi di partecipazione espressi dallo Statuto della Regione Piemonte.

Ecco perché sollecitiamo la Regione stessa ad utilizzare pienamente i nuovi poteri, comunque conferitegli dal D.P.R. 14-1-1972 n. 4, in modo da superare, nei fatti, l'attuale sistema assistenzia­le e sanitario.

Questi nuovi poteri comportano una avveduta utilizzazione:

a) degli ufficiali sanitari dei Comuni e dei Con­sorzi dei Comuni (non più organi periferici del Ministero della Sanità ma della Regione) ;

b) degli uffici e delle competenze dei medici provinciali;

c) delle attribuzioni degli argani centrali e pe­riferici dello Stato in ordine al Comitato Provin­ciale di coordinamento delle attività ospedaliere, delle Commissioni Provinciali di Vigilanza su­gli Ospedali Psichiatrici, dei Consorzi anti-tuber­colari, delle funzioni amministrative concernen­ti l'assistenza sanitaria agli invalidi civili, la pro­filassi, l'assistenza sanitaria nelle scuole.

Proprio in base a questi nuovi poteri, comun­que attribuiti dal D.P.R. 14-1-1972 n. 4 alle Regio­ni, sarebbe auspicabile che la Regione stessa di­stinguesse la sua azione da quelle di altre strut­ture burocratiche oggi esistenti: enti ospedalie­ri, opere pie, cliniche private (ed alla cui soprav­vivenza siamo decisamente contrari), che eroga­no l'assistenza psichiatrica e dovrebbero pro­muovere l'igiene mentale.

Sarebbe oltremodo positivo che sia nel campo della tutela sanitaria che nei luoghi di lavoro, la Regione differenziasse sostanzialmente i suoi in­terventi da quelli operati oggi dall'INAIL e dall'ENPI, rifiutando comportamenti paternalistici, in modo da realizzare concretamente un rapporto nuovo, dialettico, creativo con la classe operaia, i Consigli dei delegati, i lavoratori, circa l'utiliz­zazione e la generalizzazione dei libretti sanitari e personali, dei libretti di rischio da ambiente di lavoro, la registrazione dei dati ambientali e bio­statistici.

In via immediata, e cioè in tempi brevi, chie­diamo alla Regione precisi atti legislativi affin­ché:

a) a partire dal 1973, nell'ambito della Regione Piemonte sia possibile erogare l'assistenza medico-farmaceutica-ospedaliera in forma diret­ta (con possibilità per gli assistiti di opzione di­versa) per tutti gli attuali assistiti dai vari enti mutualistici;

b) siano soppressi gli attuali limiti di 180 gior­ni di assistenza per i lavoratori dipendenti;

c) l'assistenza generica-specialistica-farmaceu­tica-ospedaliera, attraverso i Comuni, sia eroga­ta ai non abbienti, come già avvenuto per i lavo­ratori autonomi;

d) entro il primo semestre 1973 la Regione, avvalendosi delle attuali competenze, prefiguri le unità sanitarie locali e le unità locali dei ser­vizi le quali nell'ambito del proprio territorio, erogheranno l'assistenza sanitaria assumendo i compiti sanitari delle mutue e abolendo, come sopra è precisato, gli attuali limiti temporali.

Inoltre la Regione deve assumere l'impegno per il superamento nei fatti e quindi per l'abro­gazione della legge 1904 che configura il malato mentale come un escluso e il personale con re­sponsabilità solo di custodia.

 

Occorre una nuova coraggiosa politica nel campo dell'assistenza

Per iniziare ed attuare concretamente una nuo­va politica nel campo dell'assistenza occorre operare per:

- la progressiva eliminazione delle attuali istituzionalizzazioni (ospedali psichiatrici com­presi) ;

- bloccare la costruzione e l'acquisto di nuo­vi istituti tradizionali per minori, anziani, handi­cappati, (gerontocomi, psicogerentocomi, convit­ti per spastici, subnormali, per ciechi, ecc.).

Occorre invece:

- istituire servizi alternativi, non dopo, ma contestualmente allo sviluppo coordinato dei ser­vizi di base assicurando la continuità delle pre­stazioni necessarie e cioè:

a) garanzia del necessario economico per vi­vere;

b) assistenza domiciliare per minori, anziani, handicappati, ecc.;

c) piena applicazione dei D.P.R. sulla medici­na scolastica e quindi abolizione delle classi dif­ferenziali e delle scuole speciali;

d) promozione, a seconda dei casi, dell'ado­zione e dell'affidamento familiare a scopo edu­cativo dei minori;

e) applicazione delle nuove leggi: casa, asi­li nido, ecc., in modo che siano previsti focolari per minori, anziani, nei comprensori di case di comune abitazione;

f) creazione di servizi culturali, ricreativi, sportivi, di tempo libero aperti a tutti i cittadini;

g) utilizzo dell'istituto della delega da parte degli Enti Locali: Comuni, Consorzi di Comuni, per la creazione delle Unità Locali dei Servizi;

h) riconoscimento dei comitati di controllo de­mocraticamente espressi;

i) progressivo assorbimento da parte degli En­ti Locali delle funzioni oggi svolte dalle altre isti­tuzioni: ONMI, ONPI, Patronati Scolastici, ECA, EPAB, case di rieducazione, centri di assistenza ai carcerati e alle loro famiglie.

 

Richieste specifiche per l'assistenza psichiatrica

Per quanto riguarda l'assistenza psichiatrica si chiede alla Regione che, valendosi degli stru­menti che già dispongono la Provincia ed i Co­muni:

a) accerti le cause di ricovero per motivi eco­nomici, per mancanza di servizi, ecc., allo scopo di attuare la progressiva eliminazione delle isti­tuzionalizzazioni negli ospedali psichiatrici pub­blici e privati. Si è contrari al trasferimento de­gli attuali degenti, specialmente anziani, in altri gerontocomi, psico-gerontocomi. Ciò richiede l'immediata attuazione di una politica che bloc­chi sia la costruzione di nuovi ospedali psichia­trici o geriatrici o gerontocomi ecc. che l'istitu­zione di enti ospedalieri psichiatrici per lungo degenti. Si ribadisce la necessità di interpretare la recente legge sulla casa prevedendo, tra l'al­tro, focolari per handicappati psichici nelle co­muni case di abitazione;

b) dia inizio a sperimentazioni, non isolate, in materia di servizi sanitari e sociali, privilegiando l'intervento preventivo e il settore dei minori che non deve collocarsi come campo di intervento disaggregato da quello degli adulti.

Dette sperimentazioni, fra l'altro, richiedono che sia assicurata l'unità delle responsabilità dei momenti ospedalieri ed extra-ospedalieri. A ta­le scopo si dovranno creare in ciascuna zona (Unità Locale dei Servizi) delle équipes le qua­li dovranno avere il compito di occuparsi di tutti gli utenti, compresi i lungodegenti. Tali équipes si dovranno occupare dei ricoverati negli ospe­dali psichiatrici in base al territorio di loro com­petenza come fase intermedia per giungere alle future unità locali dei servizi operanti in ciascu­na zona.

Ecco perché consideriamo come obiettivi in­termedi gli attuali settori all'interno dei quali già operano delle équipes, specialmente per quanto riguarda il loro aspetto extra-ospedaliero ed il loro intervento anti-manicomiale.

In sostanza secondo noi, non si tratta di di­struggere quanto di positivo vi può essere negli attuali settori, ma piuttosto partire da essi per prefigurare le U.S.L.

Si tratta quindi di stabilire un collegamento organico dei servizi attualmente di competenza della Provincia, o svolti dal Comune di Torino, o da altri Comuni, sia pure a livello di assistenza domiciliare, in modo da costruire di fatto, dal basso, le U.L.S. evitando la polverizzazione e la settorializzazione degli interventi, la moltiplica­zione degli enti.

Si tratta, allorquando si effettuano (o si effet­tueranno) nuovi investimenti in campo sanitario di costruire ospedali di zona, con sezioni psi­chiatriche, in modo da evitare il ricovero ospe­daliero fuori zona delle persone con disturbi psi­chici, assicurando in tal modo, nel quartiere, la continuità tra intervento ospedaliero ed extra ospedaliero, senza creare strutture monodisci­plinari che si sono dimostrate per la loro stessa natura segreganti.

Si tratta di rendere sistematici i già citati ser­vizi alternativi: garanzia del necessario econo­mico per vivere; assistenza domiciliare; piccoli pensionati; interventi ambulatoriali, équipe di zo­na per minori e adulti, inseriti nel territorio del­le U.L.S.

Ecco perché insistiamo che la Provincia fac­cia confluire nei servizi di zona, la parte volon­taria del personale degli ospedali psichiatrici, il personale del Centro di igiene mentale e dei suoi dispensari, il personale del Centro psico­medico pedagogico, I.P.I.M.; del servizio di medi­cina scolastica, ecc...

Si tratta di dare piena attuazione ai D.P.R. 11­2-1961 n. 264 e 22-12-1967 n. 1518 sulla medicina scolastica con funzioni dirette alla non emargi­nazione dei casi difficili, con la gestione diretta da parte dei Comuni e dei Consorzi dei Comuni (quindi non del Ministero della pubblica istru­zione) in collaborazione con l'Amministrazione Provinciale.

 

A proposito dei settori psichiatrici attuati dalla Provincia di Torino

Dopo l'assemblea pubblica svoltasi in via Giu­lio il 22 novembre 1972 per l'iniziativa della Pre­sidenza degli Ospedali Psichiatrici di Torino una domanda si pone: «la Provincia di Torino è se­riamente intenzionata a realizzare settori, ope­ranti nel campo psichiatrico, su tutto l'arco della Provincia stessa per instaurare un tipo nuovo di assistenza psichiatrica incentrata sui principi della prevenzione cura e riabilitazione tali da «costituire una reale alternativa alle attuali isti­tuzioni manicomiali» e da «realizzare servizi psichiatrici di zona idonei ad essere successiva­mente integrati nel contesto del futuro servizio sanitario nazionale?».

Ci permettiamo di esprimere delle perplessità al riguardo, in quanto molti atti passati e recen­tissimi della Giunta Provinciale, come per esem­pio la proposta di convenzione tra Provincia e Opera Pia interessante solo due settori: Torino 1° Centro e Torino 3° Est, dimostrerebbero il con­trario.

D'altra parte se veramente la Provincia di To­rino ha il fermo proposito di creare 11 settori psichiatrici, di nominare 11 direttori (uno per ogni settore), numero X di primari ed aiuti e se questo proposito si realizzasse non contestual­mente, ma al di fuori del complessa dei servizi assistenziali, sanitari, socio-economici che si debbono fin d'ora prevedere per le future Unità Locali dei Servizi operanti in ciascuna zona, tut­to ciò farebbe sorgere in noi serie preoccupazio­ni e una netta opposizione.

A nostro avviso la prospettiva a cui deve ten­dere l'odierna attività della Provincia dev'essere:

a) volta a provocare progressivamente la ri­duzione, e quindi la eliminazione dei ricoveri non indispensabili negli ospedali psichiatrici e nelle cliniche private;

b) nella fase attuale di transizione, e fino a quando le unità locali dei servizi non saranno in grado di funzionare completamente, indirizzata ad una immediata ristrutturazione dei reparti ma­nicomiali, ristrutturazione che non va intesa co­me sforzo efficientistico volto a conservare il manicomio, ma come creazione delle condizioni per il suo superamento.

Infatti, continuando ad esistere, così come è, il manicomio funzionerà sempre e inevitabilmen­te da luogo di segregazione per coloro cui ser­vizi esterni (finché embrionali o incompleti) non saranno in grado di provvedere, con la conse­guenza di un ulteriore deterioramento della si­tuazione sia dei ricoverati che del personale ad­detto. Al contrario, nell'ambito di reparti trasfor­mati in comunità terapeutica, si renderanno pos­sibili:

a) la risocializzazione dei lungodegenti, pre­messa indispensabile per la loro dimissione o il loro affidamento a strutture esterne ed interme­die (comunità alloggio, centri occupazionali, ecc.) ;

b) la creazione di condizioni di vita e terapeu­tiche adeguate per quei lungodegenti che non risultassero dissimili entro breve termine;

c) il contenimento, entro certi termini di tem­po minimo, dei nuovi ricoveri che si rendano in­dispensabili;

d) la riqualificazione del personale.

Quindi, la prospettiva a tempi più lunghi non deve essere l'istituzione, le strutture, e il per­sonale dei soli settori psichiatrici, ma la istitu­zione, le strutture ed il personale delle Unità Lo­cali dei Servizi, nelle quali va inserito anche il settore psichiatrico.

Ecco perché non siamo disponibili ad avallare operazioni che si limitano a uno o due settori; che nei fatti privilegino uno o due settori, su tut­ti gli altri; che operino diversificazioni tra i va­ri tipi di assistenza erogata, tali da far diventare un tipo di assistenza di serie A ed un altro tipo di assistenza di serie B, con conseguenze nega­tive per i pazienti, i loro familiari ed in partico­lare, la collocazione e la preparazione professio­nale del personale sanitario e ausiliario; in fine, siamo decisamente contrari a che Collegno, o al­tri posti di ricovero, diventino dei cronicari, sep­pure meglio verniciati.

Pensiamo che la futura attività operativa sia eventualmente della Provincia di Tarino che di costituendi Consorzi tra più comuni, non dovrà essere riferita a 11 settori ma:

- al territorio (50.000 abitanti circa) delle unità locali dei servizi favorendo la più larga partecipazione democratica dei vari gruppi so­ciali e dei cittadini. Presupponendo che nelle zo­ne si costituiscano équipes psichiatriche nella proporzione ottimale di 1:50.000 abitanti circa (e si confermino o si completino le équipes già ope­ranti in tali situazioni), ogni équipe, completa di tutto il personale necessario, dovrà prendere in carico sia la popolazione adulta che minorile e scegliere, come sede di primo impianto un am­bulatorio dove già vi siano presidi sociali signi­ficativi per il quartiere.

La sua azione dovrà andare oltre la competen­za psichiatrica tradizionalmente intesa, proprio per il principio di prevenzione. Il campo di inter­vento preventivo dovrà riguardare tutte le strut­ture disadattanti del quartiere (ambiente di la­voro, scolastico, asili nido, ecc.) e penetrare quindi nelle fabbriche, nelle scuole, ecc.

A tale scopo le équipes dovranno formare dei collettivi di lavoro con i comitati di quartiere di zona, con le forze sindacali e sociali interessate, con gli operatori degli altri servizi di zona. È at­traverso il lavoro di questi collettivi che dovran­no essere individuate le nuove strutture neces­sarie, o la modifica o la soppressione di quelle esistenti, secondo le ipotesi di strutturazione dei servizi di zana già elencati.

Quindi la programmazione di infrastrutture av­verrà dopo l'insediamento delle équipes nella zona, rifiutando in tal modo le scelte a tavolino che passano sulla testa dei reali bisogni della gente ed impediscono la sperimentazione insie­me ai vari gruppi e alle varie forze sociali.

È in questo quadro di carattere generale che le zone potranno essere gestite, per delega del­la Regione, transitoriamente dalla Provincia (fi­no a quando non funzioneranno le U.L.S.), avendo l'accortezza che il personale attualmente in ser­vizio presso i vari istituti, enti, o distaccato pres­so la Provincia, continui a mantenere tutti i di­ritti acquisiti, abbia garantita l'applicazione di tutti i miglioramenti economici-normativi deri­vanti da accordi sindacali, in analogia ai dipen­denti degli enti di provenienza.

È in questo modo chiarissimo che deve espri­mersi l'apposita convenzione da stipularsi tra la Provincia e l'Opera Pia degli Ospedali Psichiatri­ci, soprattutto perché operiamo in carenza della riforma sanitaria. Ecco perché siamo contrari a che il rapporto di lavoro del personale, di cui si vale (o potrà valersi) la Provincia non continui a far capo alla istituzione da cui attualmente di­pende finché non troverà pieno, garantito ed ana­logo inserimento negli organici e nel trattamen­to economico-normativo previsti da detta riforma.

Siamo, infine, dell'avviso che al personale de­vono essere assicurate tutte le garanzie per lo svolgimento del proprio lavoro.

Un capitolo particolare di grande, decisiva im­portanza, riguarda la formazione, la qualificazio­ne e l'aggiornamento professionale degli opera­tori sanitari ed ausiliari per la formazione, qua­lificazione e aggiornamento professionale degli operatori; accanto e gradualmente a sostituzio­ne delle scuole tradizionali, dovranno preveder­si e sorgere delle nuove scuole di preparazione e formazione del personale, controllate da apposi­ti organismi democratici. Al riguardo va tenuto presente che il recente accordo A.N.E.O.P. ha sta­bilito dei precisi indirizzi in materia di riqualifi­cazione e preparazione del personale di assi­stenza, che per esempio, la Regione Toscana ha fatti propri. È in questo ambito che chiamiamo in causa la responsabilità della Regione Piemonte.

La stessa struttura, la vita interna dell'équipe di lavoro, dev'essere tale da permettere la for­mazione permanente degli operatori ed il conti­nuo controllo del loro lavoro, del livello del ruo­lo tecnico e contemporaneamente della loro at­tività e funzione sociale.

 

I problemi del finanziamento e la riduzione dei costi di gestione

È indubbio che per realizzare le proposte di ri­forma avanzate dalle nostre organizzazioni, nei campi assistenziali e sanitario, sorgono imme­diatamente, e sorgeranno ancor più nel tempo, vasti problemi di finanziamento.

L'assistenza diretta da noi rivendicata; l'inter­vento pubblico nel settore dei farmaci; il finan­ziamento relativo alle nuove strutture locali, al­la prevenzione dai rischi di lavoro e ambientali, alla protezione ospedaliera, farmaceutica, specia­listica; la liberazione dai bilanci degli enti mu­tualistici di quote importanti da utilizzare per i proposti miglioramenti; la eliminazione di parte degli attuali obblighi gravanti sugli Enti Locali per la parte di cittadini disoccupati, pensionati, non possono che essere assunti «in toto» dal­lo Stato, attraverso la costituzione di un fondo nazionale garantito dalle entrate tributarie dello Stato stesso, alimentate da un sistema fiscale basato su dei criteri di progressività, nella con­tnibuzione dei cittadini, stabiliti dalla Costitu­zione.

Un altro problema immediatamente si pone.

Ed è quello di saper utilizzare intelligentemen­te e con sagacia i rilevanti fondi, le cifre, in cer­ti casi considerevoli, già a disposizione, e cioè messe a bilancio dai vari enti pubblici e privati, dagli Enti Locali: Regione, Province, Comuni, in materia di assistenza e sanità.

Le nostre organizzazioni sono profondamente convinte che si tratti prioritariamente di favorire una partecipazione di massa, democratica, dal basso, di tutte le componenti sociali interessate alla soluzione positiva di questi problemi, per scongiurare guasti umani, sociali, che col tempo possono diventare irreparabili.

È possibile eliminare la dispersione degli in­terventi, la proliferazione degli enti, a vantaggio di una univocità di direzione e delle prestazioni, e quindi evitare dannosi sprechi.

È possibile realizzare notevoli economie a van­taggio di un complesso di servizi socio-econo­mici, assistenziali, sanitari, imperniati su di una concezione nuova di far assistenza, di erogare la sanità che è quella della prevenzione, cura, riabilitazione.

Ecco perché, in definitiva, le nostre organizza­zioni ritengono realistiche le proposte avanzate non soltanto perché sono sostenute da grandi masse di lavoratori impegnati a fondo per rinno­vare il nostro tessuto sociale, da insigni medici, psichiatrici, pedagogisti e assistenti sociali, psi­cologi, ecc. ma perché è possibilissimo realiz­zarle, sia pure con la dovuta gradualità, se è fer­ma, precisa la volontà politica, amministrativa, appunto di realizzarle.

 

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