Prospettive
assistenziali, n. 22, aprile-giugno 1973
NON SIAMO I SOLI A
DIRLO
COMUNI E COMPRENSORI
Per
gli interessanti elementi di valutazione offerti, pubblichiamo un ampio
estratto della relazione del Prof. Umberto Pototschnig, riportata su Cronache Parlamentari Siciliane, n. 9-10, 1972, pag. 723 e segg.
Avvertiamo
che quando il Prof. Pototschnig
parla di «comprensori», si riferisce a quel che noi chiamiamo «Unità locali»
(Vedansi al riguardo soprattutto l'editoriale del numero 20 di Prospettive assistenziali).
Il tema proposto alla nostra
riflessione in questa «tavola rotonda» è solo apparentemente limitato. Il
discorso sui comprensori e sugli analoghi livelli di gestione dei servizi
pubblici coinvolge in verità l'intero quadro dell'organizzazione amministrativa
a livello locale. Vengono in gioco così, sotto un profilo e sotto un altro,
tutti i problemi relativi al riassetto degli enti
locali esistenti, alla più conveniente distribuzione delle funzioni, alla
delimitazione dei rispettivi ambiti territoriali, nonché più in generale ai
rapporti tra
Mi auguro di poter dimostrare, con
quanto dirà, che porsi oggi il problema dei comprensori non soltanto
non è prematuro, ma è assolutamente necessario ed urgente, se vogliamo aiutare
le Regioni a definire correttamente, sin da questa prima fase della loro vita,
il proprio modo di essere e di operare. È oltremodo significativo,
del resto, che la formazione dei comprensori sia prevista da quasi tutti gli
statuti delle Regioni a diritto comune, faccia parte cioè a pieno titolo - se
così posso dire - della costituzione materiale delle Regioni, come momento irrinunciabile
di un disegno organizzatorio ritenuto essenziale per
il conseguimento delle finalità stesse che
Sotto il profilo giuridico e
istituzionale, d'altronde, le norme degli statuti
relativi ai comprensori sono divenute ormai norme di legge dello Stato,
pienamente efficaci e operanti al pari di ogni altra disposizione legislativa,
onde per il giurista diventa non solo possibile ma doveroso trarre da esse tutte
quelle indicazioni che la loro interpretazione consente.
Le esigenze dei
comprensori
Si tratta, è ben vero, di norme che
specie se ci si limita a una prima lettura, sembrano
indicative assai più di quanto i comprensori non devono essere, che non delle
caratteristiche positive che sono loro richieste. È certo, ad esempio, che i
comprensori non vengano prefigurati né come un quarto
livello di governo, accanto alle Regioni, alle province e ai comuni, né come un
ente territoriale, dotato al pari di questi, di propri poteri e funzioni, e
nemmeno come una semplice circoscrizione amministrativa di decentramento
regionale. Ma già il rifiuto di tutte queste ipotesi ha un suo risvolto positivo: è segno che i comprensori rispondono a
necessità diverse da quelle cui si suole far fronte con figure organizzatorie di quel tipo e che il collegamento tra essi
e
In questa medesima direzione
spingono, del resto, le esigenze affiorate negli
ultimi anni in vista del riassetto dei più importanti servizi pubblici. È noto
come il problema dei comprensori o di analoghi livelli
di gestione si sia ripresentato puntualmente, da qualche tempo in qua, ogni
qualvolta si è cercato di abbozzare le linee di riforma di questo o di quel
servizio, pur nell'ambito di materie destinate ad essere trasferite - o già trasferite
in questo frattempo - alle Regioni. Basta pensare alle unità sanitarie locali,
la cui collocazione di massima a metà strada tra la
provincia e il comune, eccezion fatta naturalmente per i grandi agglomerati urbani,
postula chiaramente un'organizzazione di tipo comprensoriale. Ed è indicativo
anzi come proprio per le unità sanitarie locali siano state
prospettate le configurazioni giuridiche più disparate: da quella che vorrebbe
farne degli enti locali, dotati di propria personalità giuridica (al pari degli
enti ospedalieri), a quella che vorrebbe ridurle a meri servizi gestiti consorzialmente dai comuni interessati, eventualmente a
mezzo di azienda speciale, o farne invece articolazioni periferiche della
stessa Regione. Senonché le
oscillazioni e le incertezze su questo punto non si superano, in verità, se non
affrontando globalmente il tema dei rapporti tra Regione ed enti locali e
collocando in questo, che è il suo quadro naturale, il problema generale dei
comprensori.
Le medesime esigenze si ripropongono infatti per l'auspicata riorganizzazione dei
servizi relativi all'assistenza; anche per essi infatti si prospetta sempre
più di frequente, com'è noto, la istituzione di cosiddette unità locali dei
servizi sociali, da situare a un livello che non può che essere, ancora una
volta, almeno in. linea di massima, quello del comprensorio. E le stesse ragioni
vengono invocate per una diversa e più razionale
organizzazione locale del turismo: si paria infatti di comprensori di sviluppo
turistico, che del resto la legislazione sul Mezzogiorno già prevede, sia pure
come mere delimitazioni territoriali rilevanti per la localizzazione di
determinati interventi pubblici, ma a cui la futura legislazione regionale
pensa già come nuovo e diverso livello di azione, sostitutivo di quello rigido
e inadeguato cui sono costretti oggi gli enti provinciali per il turismo. Né
sostanzialmente diverso è il problema, affiorato di recente, dei
distretti scolastici: avvertita l'esigenza che vi sia un organismo in
grado di assicurare una vera e propria «gestione» della scuola, il livello
prescelto è ancora una volta quello del comprensorio.
I comprensori crocevia
obbligati per l'articolazione territoriale
Dagli esempi addotti si può ricavare
invece una diversa e importante indicazione: e cioè
che i comprensori parrebbero costituire ormai il crocevia obbligato per
l'articolazione territoriale di tutti quei servizi che hanno bisogno di essere
predisposti e distribuiti ai cittadini secondo un disegno programmatorio
ben preciso. L'intervento della Regione in materia di assistenza
sanitaria, di assistenza sociale, di sviluppo delle attività turistiche, di
disciplina territoriale, di trasporti, e via dicendo, non è neppure pensabile
oggi, se vuole essere efficace, se non sulla base di piani o programmi, in
grado di indirizzare e di coordinare l'azione regionale sulla base di una
valutazione globale dei bisogni presenti nei diversi luoghi e tra le diverse
categorie di cittadini. Senonché,
nel momento stesso in cui
I comprensori nelle
regioni a statuto speciale
Ma la prova definitiva del
collegamento che esiste tra la struttura comprensoriale e un processo di
programmazione generale o settoriale si attiene, già
in diritto positivo, se appena si guarda ai pochi esempi di comprensori che
sono stati riconosciuti sino ad oggi e che tuttavia sono già abbastanza
significativi se considerati nel loro insieme. Comincerò col ricordare che
entrambe le Regioni a Statuto speciale che hanno adottato una propria legge
organica in materia urbanistica, il Trentino Aldo Adige e il
Friuli Venezia Giulia, hanno previsto, per una pianificazione
territoriale comprendente più comuni e tale da soddisfare alle necessità - dice
la legge - di un loro «coordinato sviluppo economico e sociale», la formazione
di comprensori, pur nel rispetto delle linee generali tracciate a livello
superiore dal piano regionale o dal piano provinciale. Altro esempio si ritrova
in quella legislazione meridionalistica che ha dato vita
alle «aree» o ai «nuclei» di sviluppo industriale, cioè a una rete di zone di
concentrazione degli interventi pubblici, affidando ciascuna a un apposito
consorzio, in grado di eseguire, sviluppare e gestire le opere di attrezzatura
della zona, di redigere per essa un piano regolatore e di assumere - aggiunge
la legge - ogni altra iniziativa ritenuta utile per lo sviluppo industriale
della zona. Si tratta anche qui di una struttura che si colloca a livello comprensoriale
e che risponde a obiettivi perseguiti in un quadro di
programmazione economica.
Un terzo e ultimo esempio da citare
si ritrova nella recente legge contenente nuove norme sui territori montani.
L'obiettivo finale che questa legge si propone, quello di promuovere la
valorizzazione delle zone montane, viene perseguito
infatti favorendo - dice l'articolo 1 - attraverso le comunità montane, la
partecipazione delle popolazioni alla predisposizione e all'attuazione dei
programmi di sviluppo e dei piani territoriali dei rispettivi comprensori
Possiamo dire
che già esiste, dunque, in diritto positivo, un orientamento abbastanza
definito, favorevole non solo al riconoscimento dei comprensori, ma ad una
loro collocazione in un certo ambito e in vista di determinati obiettivi. E
che si tratti di un orientamento rispondente a reali
esigenze della vita amministrativa locale, è dimostrato dal fatto che anche là
dove la legge ancora non prevede i comprensori, i comuni e le province hanno
cercato di surrogarli, inventando di testa propria la istituzione di consorzi o
addirittura di associazioni volontarie, aventi come proprio scopo quelli
tipici del comprensorio. Proprio le esperienze realizzate in provincia di
Pavia sono significative in questo senso: basta citare
il Consorzio per il piano intercomunale pavese, o il Centro intercomunale Basso
Pavese, o il Consorzio, pure intercomunale, per un piano di sviluppo dell'Alta
Lomellina, sorto sin dal
Certo, un disegno così ambizioso era
destinato a scontrarsi di fatto - come l'esperienza ha
presto dimostrato - con le difficoltà derivanti sia dall'ordinamento entro il
quale gli enti locali sono tuttora costretti, sia dalla mancanza, anche agli
altri livelli, di un tipo di intervento pubblico sufficientemente omogeneo con
le finalità di una siffatta organizzazione. L'avvento delle Regioni è peraltro
il fatto nuovo, in grado di superare, almeno in gran parte, queste difficoltà.
E non senza motivo gli statuti hanno rivendicato proprio alla Regione il
compito di promuovere e di favorire la formazione dei comprensori e di altre forme associative tra gli enti locali. Se si
accetta, come ormai generalmente si pensa, che
Ma qui si affaccia il primo problema
che occorre approfondire e che è quello degli strumenti e delle forme
giuridiche attraverso le quali
Dico subito che a mio avviso la
conclusione da trarre non deve essere questa, ma un'altra: e cioè
che il rapporto tra
Il che è quanto dire
che la ricerca degli strumenti e delle forme giuridiche attraverso le quali
Prima di lasciare quest'ultima in
disparte, conviene spendere tuttavia qualche parola su due materie di
competenza regionale che hanno sicura attinenza al tema che stiamo
esaminando.
Circoscrizioni
comunali e ordinamento degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione
La prima è quella delle
circoscrizioni comunali. È questa una competenza che viene
ritenuta tradizionalmente di poco conto, come se da parte della Regione si
trattasse soltanto di gestire quella che potremmo chiamare l'anagrafe dei
comuni. È probabile invece che anche questa competenza debba essere concepita
in una prospettiva dinamica, che non è tanto di
semplice registrazione dell'assetto territoriale esistente e dei piccoli aggiustamenti
che esso può richiedere di volta in volta, quanto di ordinata organizzazione e
distribuzione dei servizi su aree più vaste, in armonia con i programmi
regionali e comprensoriali.
La recente legge francese del luglio
1971, sulle fusioni e sui raggruppamenti di comuni, è abbastanza indicativa
dell'ampio spazio di manovra che la competenza in una materia pur così limitata
finisce col consentire. Mi limito a ricordare che, in base a
questa legge, in ogni dipartimento dev'essere
predisposto, entro un limite di tempo prestabilito, sulla base di una serie di
rilevazioni compiute sui singoli comuni, un vero e proprio piano delle fusioni
da realizzare e delle altre forme di cooperazione intercomunale da promuovere.
Anziché procedere poi alla fusione pura e semplice, i consigli municipali
possono decidere di addivenire alla istituzione di uno
o più comuni «associati», la quale comporta di diritto il «sezionamento
elettorale», la creazione di un sindaco-delegato, l'istituzione di una sezione
autonoma, con propria personalità giuridica, del bureau d'aide sociale, a cui viene
devoluto il patrimonio già spettante al vecchio comune; viene istituita inoltre
una commissione consultiva, che può avanzare proposte al sindaco su qualsiasi
affare riguardante la popolazione o il territorio del comune «associato» e a
cui il consiglio municipale può affidare inoltre il compito di vigilare sul
buon funzionamento di dotazioni o servizi posti a disposizione della
collettività.
Certo, la
competenza regionale
in materia di circoscrizioni comunali non consente probabilmente, allo stato
attuale dell'ordinamento, di dar vita a figure analoghe; ma il disegno di
legge predisposto in questa materia dall'Assessorato agli enti locali della
Regione lombarda costituisce già un apprezzabile passo avanti verso una
gestione più articolata di questa competenza, ad esempio quando prevede che
contestualmente alla istituzione di un nuovo Comune o alla variazione delle
circoscrizioni esistenti, la legge regionale possa disporre l'assegnazione di
una o più funzioni.
Senza dubbio, non è usando questi
poteri, cioè facendo pendere sui comuni la spada di Damocle della fusione, che
Le regioni promuovano
la formazione dei comprensori
Ed è qui che si affaccia il compito
nuovo delle Regioni, un compito gravoso ma insieme affascinante: quello di
poter governare non solo col consenso, ma con la
partecipazione degli amministrati. Occorre cioè che le
leggi regionali di programmazione si articolino in modo tale che comuni e
province possano ravvisare l'opportunità e la convenienza di associarsi,
sapendo che ciò consentirà loro di concorrere a determinare ben più sensibilmente
le linee di tutto l'intervento pubblico sulle collettività da loro
amministrate; occorre cioè che il sistema di programmazione prescelto sia tale
da lasciare spazio alla valutazione e alla sintesi politica degli interessi
locali, così come essi si esprimono a livello delle comunità di base. Ciò deve
essere possibile sia nella fase ascendente che in
quella discendente della programmazione regionale; ossia tanto nel momento
della individuazione degli obiettivi e delle loro priorità, quanto nel momento
della loro realizzazione e attuazione, secondo quella distinzione che è ormai
ben nota e su cui non merita soffermarsi.
da UMBERTO POTOTSCHNIG,
Comuni, comprensori e altre forme
associative fra gli enti locali, in Cronache
parlamentari siciliane, n. 9-10, 1972, pag. 723 e segg. (estratto).
www.fondazionepromozionesociale.it