Prospettive
assistenziali, n. 22, aprile-giugno 1973
SPECCHIO NERO
LE CASE DI RIEDUCAZIONE: NUOVO SERBATOIO PER IL PUGILATO
ITALIANO
In un paese dove il 97% dei
cittadini non pratica lo sport ma ne concepisce solo
l'aspetto agonistico, è logico che non ne sia riconosciuto il ruolo ricreativo
e culturale, né gli aspetti salutistici educativi, ma solo l'aspetto più
negativo: il giro di interessi che esso muove. Se il discorso agonistico non ci interessa, quello di presenza dell'educazione fisica nel
settore scolastico, del riconoscimento del ruolo ricreativo (tempo libero),
degli enti di promozione sportiva e di libero associazionismo, del controllo
democratico e sindacale dei servizi dello sport, pensiamo debba articolarsi in
una nuova configurazione che dia maggior impulso alle società sportive e passi attraverso
gli strumenti periferici degli enti locali e della Regione.
Si eviterebbe forse che discorsi
così pericolasi come quello pronunciato dall'On.
Franco Evangelisti, Presidente dello Federboxe,
passino inosservati. Riportiamo dal Corriere
della Sera del 30-9-72: Constatato che il miglioramento delle condizioni sociali
ha portato al fatto che «a nessuno piace più farsi dare dei pugni in faccia»,
l'Onorevole suggerisce «un piano per portare il
pugilato nelle scuole, a livello di difesa personale o di esibizione pura e
semplice (!!!)», piano che a detta dell'oratore «dovrebbe
servire a vincere molte ostilità e paure» (a chi infatti potrebbe far paura
una scuola di picchiatori?). Ma l'organizzatore
pugilistico Rodolfo Sabbatini, dubbioso di questa propaganda
scolastica, rincalza: «Quanto alle scuole la battaglia mi sembra persa in
partenza, non voglio sembrar cinico, ma il pugilato bisogna
portarlo nei riformatori».
In quanto a cinismo l'Onorevole non
vuole essere scavalcato: «Anche questo - spiega ai
suoi interlocutori della Federboxe, - è nei progetti
propagandistici federali. Anzi posso dire che ormai
siamo arrivati al punto della selezione finale. In un elenco di
istituti di correzione, stiamo per scegliere i primi tre: saranno
distribuiti geograficamente, uno al nord, uno al centro, ed uno al sud».
Premesso che nelle carceri italiane
è impossibile persino fare quattro passi, date le strutture edilizie di tipo
borbonico, dubitiamo che iniziative del genere rientrino come crede il signor Sabbatini «in criteri di rieducazione e di reinserimento
sociale». Temiamo invece, che sotto il discorso della boxe nei riformatori, ci
sia un discorso più sottile che si inserisce
perfettamente nella logica repressiva e ricattatoria del sistema penitenziario.
Dice il magistrato Neppi Modona (1): «La struttura del progetto Gonella
ricalca fedelmente il regolamento Rocco e fa proprio
il disegno realizzato con successo dall'attuale sistema carcerario di
emarginare materialmente e moralmente il detenuto dalla realtà della vita
sociale sì da farne un escluso che trovi la sua ragione di vita solo all'interno
dell'istituzione carceraria».
Rieducare e reinserire i ragazzi del
riformatorio portandovi il «Ring» vuol dire portare un tipo di
alienazione-repressione che ci è ormai stata descritta da molta
pubblicistica (chi non ricorda il film bellissimo Rocco e i suoi fratelli?), a meno che in molti operatori carcerari
si sia cristallizzato il concetto di poter decidere della «pelle» del detenuto,
oltre che quello di bollarlo per sempre come «un delinquente con tare
psicologiche» (giudizio che spesso ha quale logica conseguenza l'internamento
nei manicomi criminali).
Non vorremmo che l'ingaggio dei
pugili che il signor Sabbatini cerca nei riformatori
(«solo lì si possono trovare ragazzi ancora alla ricerca di quegli incentivi e
stimoli di promozione sociale che sono la molla necessaria per affrontare il
pugilato agonistico») sia quello che l'America ha cercato nel ghetto negro: una opportunità di facili guadagni data ad una collettività
isolata priva di alcun potere di contrattazione, in una condizione di
soggezione assoluta, in un'enclave pattugliata dalla polizia (in riformatorio
dai carcerieri), e alla mercé dello sfruttamento interno ed esterno, il
passaggio da un ghetto ad un altro ghetto.
(1) Cfr. G. NEPPI MODONA, Carceri:
una riforma peggio che inutile,
1971.
UNA GIORNATA PER DIVENTAR PAZZI
Roma, 24 gennaio
1972, assemblea al Santa Maria della Pietà, il così chiamato «ospedale
psichiatrico» della capitale: ecco, in sintesi, quanto è emerso. «Arriva il malato ed entra in un
locale sovraffollato; il letto non c'è, una specie di giaciglio da carcerato
privo di coperte; per vestito trova una casacca a righe (l'abito dei pazzi), quasi sempre logora e misera; il vitto è pessimo, il
personale insufficiente, e, per andare al gabinetto, sono necessarie lunghe
code». Il menù? Questo: «ore 8, una ciotola di orzo,
latte e pane raffermo; 12,30, minestra scotta e fredda, senza sale, carne di maiale
quasi tutta osso e grasso; ore 17,30, un uovo sodo, bocconcino, frutta».
L'ambiente: «Infissi vecchissimi da cui passano vento e pioggia; molti malati
dormono per terra su materassi stesi prima di coricarsi; capacità
dell'ospedale, 1000 posti letto, presenza giornaliera di malati, 2060; per far
fronte ai problemi più gravi occorrono subito: 18 medici; 120 unità di assistenza, 20 assistenti sociali, 110 ausiliari di
reparto, 8 autisti per ambulanze, 900 operai». All'8° padiglione, dove sono
ricoverati bambini subnormali, gli occhi increduli della commissione permanente
di assistenza della Provincia di Roma nel corso di
una ispezione hanno visto quanto segue: «bambini legati coi piedi ai
termosifoni o ai tubi dell'acqua; altri scalzi e seminudi, sdraiati per terra
come bestioline incapaci di difendersi; un bimbo
ferito e intriso di sangue perché lasciato incustodito, molti sporchi di feci,
dovunque un puzzo insopportabile, mentre una sola infermiera era adibita a
curare 24 bambini per sedici ore al giorno e nell'intero padiglione era assicurata
la presenza di un solo dottore»!
da L'Assistenza
sociale,
n. 1, gennaio-febbraio, 1972, pag. 10 e 11.
«BAMBINI IN CASA O VI CACCIO VIA»
Gent.ma
Via L. Ghini
10 - A/18
ROMA
Con la presente la diffido ancora,
per un’ultima volta, a tener presente che i bambini vanno tenuti in casa e che
non devono sostare nel cortile, sia per non dare fastidio, con i loro giochi e
le loro grida, agli altri inquilini e sia per non
arrecare danni alle piante ed ai fiori.
L'avver-to che, in
difetto, sarò costretto a dare esecuzione al mandato già ricevuto e a convenirla
davanti al Giudice per ottenere il rilascio dell’appartamento.
In ogni modo le comunico, sin da
ora, che
Con distinti saluti.
Roma, 3/11/1972
da Paese Sera del 14 novembre 1972.
www.fondazionepromozionesociale.it