Prospettive
assistenziali, n. 22, aprile-giugno 1973
ATTUALITÀ
UN'ESPERIENZA
DI SCUOLA INTEGRATA
JOLE MEO SOSSO
I.
La nostra rivista ha affrontato
sotto vari punti di vista il problema dell'emarginazione nella scuola e dell'integrazione
dei disadattati e degli handicappati nelle strutture scolastiche comuni.
Non solo si è affrontato il problema
partendo da posizioni teoriche, ma si
sono confrontati i principi con la realtà attraverso alcune ricerche; si sono proposte nuove
soluzioni legislative globali, come pure si sono esaminate le attuali norme per quanto già possono consentire l'integrazione
scolastica. In particolare si sono riferite le esperienze più significative al riguardo.
Una tendenza che emerge ormai
chiaramente è quella della «scuola
integrata», nel duplice significato di scuola a tempo pieno e di scuola in cui operano integralmente sulla personalità dell'alunno
e in integrazione reciproca di funzioni insegnanti, educatori e specialisti.
Tale scuola, a nostro avviso, può
risolvere al suo interno pressoché tutti i problemi degli alunni del territorio, potendo
prestare quei servizi generali e specialistici necessari anche agli handicappati.
Questo è possibile in una scuola di città o di un centro abbastanza
consistente.
Il problema è di
più difficile soluzione nei piccoli centri e nelle piccole scuole,
anche a causa della grande «dispersione» della scuola elementare nell'attuale
struttura scolastica. La tendenza a concentrare le piccole scuole, soprattutto
le scuole uniche pluriclassi, in «scuole consolidate» e a pieno tempo,
dovrebbe essere incoraggiata anche per superare i pericoli della selezione e della emarginazione, nonché della istituzionalizzazione
degli handicappati, abitanti nei piccoli centri.
È noto che in alcuni Stati si è ricorso in questi casi anche a insegnanti specializzati a domicilio presso le famiglie o «volanti»,
cioè che si spostano fra varie scuole.
In una realizzazione effettiva delle
équipes, previste dal Regolamento di medicina
scolastica, il problema dei piccoli centri può essere risolto nel Consorzio fra Comuni (Unità locale dei
servizi): l'équipe, composta non solo di personale diagnostico, ma integrata anche con personale terapeutico, può mettersi a disposizione di più scuole,
favorendo l'integrazione scolastica degli handicappati.
Ma anche la scuola a tempo pieno può
presentare altre possibilità di soluzioni, in convergenza con quelle
precedenti. Infatti gli insegnanti, addetti alle
«attività integrative» e agli «insegnamenti speciali» (previsti dalla legge 239-1971,
n. 820), pur restando a disposizione di tutti gli alunni della scuola, possono
dedicarsi in particolare alla riabilitazione e al ricupero degli alunni
handicappati.
Riportiamo un esempio di una scuola
integrata attuata in simili condizioni.
II.
In questo senso si è mosso un
piccolo paese montano del Piemonte dove il recupero degli handicappati è
attuato con la frequenza della scuola di tutti, in cui non ci sono classi
speciali, ma una «maestra speciale» per l'aiuto
didattico individuale.
Si è partiti da un caso particolare:
da una bambina con grave handicap psichico impossibilitata a frequentare una
scuola normale perché ritenuta irrecuperabile. Seguita fin dalla nascita da un
neuropsichiatra e sottoposta a visita specialistica
da parte dell'équipe provinciale del Centro di igiene mentale di Torino, la diagnosi grave ne
consigliava l'inserimento in una scuola speciale. Al tentativo di
istituzionalizzarla, la reazione della bambina è stata negativa: rifiuto di
alimentarsi e una prostrazione psichica che non si
era mai registrata sino ad allora.
Il fatto aveva costretto ad una
riflessione: essenzialità dell'ambiente familiare affettivo soprattutto per una handicappata; essenzialità di non subire traumi di
allontanamento dall'ambiente sociale umano che procurava alla bimba quella sicurezza
necessaria alla padronanza dell'ambiente che la circondava, necessità di
ritrovarsi con altri bambini privi del suo handicap oggetti di imitazione
positiva, stimolanti ad una corretta socializzazione.
Il caso non poteva esser visto da
solo, esso andava inserito nel contesto della
comunità, ma questo richiedeva un lavoro da farsi con i responsabili della
scuola, con i responsabili dell'Ente locale, con le famiglie, con i tecnici
tutti.
Nel 1970, grazie al servizio sociale
della ditta dove lavora il padre della minore, la bambina viene inserita nella locale scuola materna, partendo dalla
convinzione che solo il contatto con gli altri bambini avrebbe consentito alla
piccola di socializzarsi e di iniziare un processo di apprendimento. È una
prima occasione di socializzazione, che è stata possibile con l'intervento
economico del centro di Igiene mentale e della ditta
che ha consentito di pagare un'insegnante di scuola speciale, e che porterà la
minore ad acquistare una regolarità di comportamento a tavola, diminuzione di
scatti nervosi, controllo degli sfinteri, ed in seguito anche ad una conoscenza
dei primissimi elementi grafici con tentativi di costruzione fraseologica. A
questo punto il caso viene sottoposto al direttore
didattico per l'inserimento della minore nella scuola normale. D'accordo con
questo e con l'insegnante, viene sperimentata la
frequenza nella prima classe che ha un numero di alunni poco elevato. Una
frequenza non a pieno ritmo: la minore viene cioè
considerata come uditrice, essendo per lei un primo approccio con l'ambiente
scolastico e per l'insegnante un primo tentativo di cimentarsi con un caso
difficile senza l'assillo di consentirne l'apprendimento nozionistico. Passa
così un secondo anno di vita socializzante per la minore
che, sottoposta a visita di controllo da parte dell'équipe
medico-psico-pedagogica alla fine dell'anno
scolastico, ne riceve un giudizio complessivo che suona così: «grazie ad un
valido intervento educativo scolastico si nota un sensibile sviluppo delle
resi due possibilità intellettive; c'è stato un miglioramento netto della
socializzazione ».
È nell'estate del 1972 che la minore
viene ammessa in un soggiorno di vacanza marino insieme ad
altri bambini, soggiorno che ha ulteriormente migliorato le capacità
comportamentali e dialoganti della stessa ed ha consentito a tutti i partecipanti
di prendere coscienza del problema degli handicappati, dando ai bambini la
possibilità di sentirsi solidali con la compagna che viene così considerata ben
presto una di loro.
Le difficoltà maggiori si sono
presentate all'inizio del nuovo anno scolastico 1972-73
quando la frequenza della bambina avrebbe dovuto essere regolare anche
per quanto riguarda l'apprendimento. Con una classe più numerosa di quella
dell'anno prima, l'insegnante richiedeva un aiuto didattico maggiore per poter
consentire la frequenza a pieno ritmo della minore. È bensì vero che la legge
del 31-3-71 prevede l'ammissione nella scuola normale degli invalidi fisici e
psichici e la legge della medicina scolastica fa
obbligo ai Comuni di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono la frequenza
scolastica agli alunni, ma una applicazione concreta deve poter rimuovere
difficoltà economiche e funzionali insite nella situazione attuale della nostra
società.
Come risolvere allora il caso di
quella bambina, come riuscire a smuovere una situazione dannosa proprio nei
confronti di chi più ha bisogno della solidarietà concreta e rispettosa della società, come rispondere al dettame costituzionale ed
alle leggi che pure hanno considerato la necessità che gli handicappati
frequentino la scuola di tutti? Si è cominciato a parlarne con il Sindaco del
Comune, con il patronato scolastico, con gli insegnanti, con
Prima sono l'azienda e la cassa
mutua ad intervenire a favore del dipendente consentendo un contributo che non
fosse solo sussidio, ma diventasse promozionale a
favore della scuola e di tutta la popolazione scolastica della zona,
nell'ambito della Valle.
Poi, d'accordo con i genitori degli
alunni, il Comune, il patronato scolastico, la direzione didattica e gli
insegnanti hanno permesso l'esperimento. A questo
punto è la stessa famiglia della bambina handicappata ad acquistare il
materiale didattico speciale a favore di tutta la scuola e non solo per la sua
bambina. La delibera del patronato scolastico, che ha assunto l'insegnante,
consente una attività integrativa scolastica a favore
di tutti gli alunni ed evita il ricovero della bambina, molto più dispendioso,
che provocherebbe, con l'allontanamento dalla famiglia, un grave danno
affettivo nuocendo al recupero della bambina stessa.
A questo punto non ci sono più gravi
remore psicologiche; tutti sono d'accordo che questo sia il modo migliore di
agire; il Comune si dice disposto, anche in collaborazione con altri comuni
della Valle, a rendere efficace il servizio di medicina scolastica, e ne
richiede i contributi alla Regione ed alla Provincia; si vuole però un servizio
che si esplichi in terapia più che in diagnosi, che
permetta la presenza nella scuola di personale interdisciplinare per
consentire appunto la frequenza a tutti i minori normali e non. È un modo
questo perché la scuola sia finalmente il centro di interesse
di tutti non più chiusa in un atteggiamento nozionistico, ma aperta alla
collaborazione per la formazione degli uomini di domani.
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