Prospettive assistenziali, n. 23, luglio-settembre 1973

 

 

PROPOSTE DI LEGGE

 

LEGGE QUADRO DI RIFORMA DELL'ASSISTENZA

 

 

PROPOSTA DI LEGGE N. 1609 PRESENTATA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI L'1-2-1973 DAGLI ON. FOSCHI E ALTRI PARLAMENTARI D.C. (1)

 

Relazione

Onorevoli colleghi! - Riteniamo che l'urgenza di una radicale riforma dell'assistenza non debba essere sottoli­neata, tanto è diffusa l'esigenza di un profondo mutamento della sua stessa concezione, come logica conseguenza del processo di sviluppo democratico portato avanti nel nostro paese nel corso di questi anni.

La crisi dell'assistenza infatti non è riducibile all'inade­guatezza delle strutture e delle risorse, essendo queste piuttosto l'effetto che non la causa della crisi in atto. Ciò che è mutato è proprio l'atteggiamento di fronte alle si­tuazioni di difficoltà del cittadino e spesso di conseguente emarginazione; non ci si vuole più limitare ad «assistere» ad esse nel duplice significato di esservi presente senza partecipazione o di esserlo solo per temperarne in qual­che modo la gravità.

La coscienza democratica accetta sempre meno di es­sere neutrale od indifferente rispetto alle carenze oggetti­ve delle strutture civili, culturali, sociali, sanitarie, economiche, eccetera... che spesso contribuiscono a determina­re situazioni di difficoltà e processi di emarginazione.

L'obiettivo che si vuole perseguire è quello della eli­minazione delle cause di queste situazioni e di questi processi.

In questa visione la politica e la struttura dei servizi assistenziali deve contribuire a garantire effettive condi­zioni di autonomia, di libertà, di assunzione di responsabi­lità dei cittadini.

Occorre perciò passare dall'attuale situazione ad un sistema di servizi utilizzabili dal cittadino come diritto sog­gettivo e concreta condizione per portare avanti il suo pro­cesso di autonomo sviluppo personale e di inserimento sociale.

Una politica di intervento per settori ha risposto alla lo­gica dell'espansione quantitativa delle prestazioni, avendo riguardo alle categorie di cittadini considerati per più ra­gioni bisognosi di assistenza; ma oggi, una coscienza ed un'esperienza più mature esigono che si vada verso un si­stema di servizi aperto a tutti, articolato non per catego­rie, ma per specializzazione di interventi, e rifiutando il concetto di servizi per «poveri» o «bisognosi».

Ai pubblici poteri non attiene esercitare atti di benefi­cenza nei confronti del cittadino; essi devono esercitare dei doveri ed offrire dei servizi perché il rapporto tra i pubblici poteri ed i cittadini non può determinare mai per questi una condizione di passività.

 

Compiti e responsabilità dei poteri pubblici in materia di assistenza sociale.

Questo mutamento qualitativo nella concezione delle strutture assistenziali risponde ad una visione corretta­mente democratica del rapporto tra cittadino e sistema dei poteri pubblici e costituisce una chiara testimonianza del processo di maturazione sociale e politica portato avanti nel corso di questi anni.

Un processo che fa registrare il continuo accrescersi della sfera dell'interesse pubblico e quindi del potere pub­blico, ma anche la consapevolezza che tale accrescimento non deve identificarsi con una automatica espansione di strutture statuali e centralizzate.

È in questa realtà che l'attuazione dell'ordinamento re­gionale acquista, anche per quanto riguarda la riforma dell'assistenza, una prospettiva di grande significato istitu­zionale e politico e costituisce un'occasione decisiva per portare avanti l'attuazione di uno Stato democratico, che faccia delle autonomie locali e del pluralismo sociale, il suo punto di forza.

È nostra convinzione che l'attuazione di questo tipo di società e di Stato costituisca una condizione oggettiva per una reale riforma dell'assistenza, ed è anche per que­sto che nel presente disegno di legge si è cercato di de­lineare un sistema dei poteri pubblici in materia di assi­stenza e servizi sociali, ispirato al rispetto del ruolo delle autonomie locali e del valore rappresentato dal pluralismo sociale.

Una riforma sull'assistenza sociale secondo i princìpi enunciati non può trovare piena attuazione se non nel qua­dro di un organico sistema di sicurezza sociale e di un moderno assetto dei servizi sanitari.

Vi è infatti tra questi tre aspetti un'interdipendenza es­senziale tale da esigere che le scelte da fare in ciascuno di questi settori non possano prescindere dagli indirizzi se­guiti negli altri.

Si pone così il problema di assicurare al vertice del si­stema dei poteri pubblici un efficace centro decisionale che nel presente disegno di legge viene identificato in un nuo­vo Ministero della Sicurezza Sociale cui dovrebbero esse­re devolute tutte le attribuzioni già spettanti agli altri Mi­nisteri in materia di sanità, previdenza sociale ed assisten­za sociale.

Il coordinamento in un unico dicastero di tutte le com­petenze indicate, dovrebbe consentire una più organica attuazione della funzione di indirizzo e programmazione dello Stato in collegamento con le iniziative delle Regioni alle quali la Costituzione riserva in materia di servizi sa­nitari e sociali un ruolo primario.

Questa proposta di modifica risponde nelle intenzioni dei proponenti non solo ad esigenze di maggiore razionali­tà degli strumenti di interventi del potere statuale, ma so­prattutto a quello di favorire una impostazione coerente e completa della politica di sicurezza e promozione sociale che deve caratterizzare uno Stato democratico.

Fatta questa scelta profondamente innovativa, il dise­gno di legge precisa la funzione di indirizzo del potere sta­tuale nel quadro del piano nazionale di sviluppo economico e sociale e la competenza a definire gli standards e la tipizzazione di prestazioni dei servizi sociali, nonché i pro­fili professionali del personale da utilizzare nei servizi so­ciali.

Le competenze regionali sono precisate sotto il profilo legislativo e di programmazione, con particolare riferi­mento alle caratteristiche delle Unità locali dei servizi so­ciali, ed al coordinamento ed al controllo sia delle inizia­tive assistenziali pubbliche che di quelle gestite dai privati.

Rilevanti le competenze di programmazione ed operative attribuite al comune, o al consorzio di comuni e ben moti­vatamente, per quel principio fondamentale che non deve l'ente maggiore fare ciò che può fare l'ente minore ed anche perché la dimensione comunale è quella nella quale naturalmente si realizza la partecipazione democratica ad un più diretto rapporto con le esigenze dei cittadini. Ai comuni e ai consorzi di comuni spetta di garantire attra­verso l'istituzione delle Unità locali dei servizi sociali la presenza dei necessari servizi assistenziali.

Completando il disegno relativo alle competenze proprie dei poteri pubblici, il disegno di legge prevede che la pro­vincia deve assicurare quei servizi socio-assistenziali che per livello di specializzazione, tipo di utenza ed ambito ter­ritoriale non siano utilmente realizzabili dalle Unità locali dei servizi sociali.

 

L'Unità locale dei servizi sociali.

L'Unità locale dei servizi sociali costituisce la struttura operativa fondamentale della struttura assistenziale e per la sua capillarità è destinata a divenire il tessuto connet­tivo, in coordinamento con le Unità sanitarie locali.

Essa è dotata di autonomia nella gestione tecnica senza peraltro intaccare la responsabilità propria del comune o del consorzio di comuni di cui essa è espressione. Si è ritenuto di adottare questa formula per rispondere a due irrinunciabili esigenze: conservare integro il ruolo di sin­tesi rappresentativa ed il conseguente potere politico pro­prio del comune e d'altra parte mettere a disposizione del­le comunità locali strutture sufficientemente agili e facil­mente adeguabili ad esigenze che, come quelle cui debbo­no far fronte i servizi sociali, sono estremamente e rapi­damente mutevoli.

Proprio per assecondare questa esigenza di costante adeguamento alle necessità, il disegno di legge prevede che la direzione tecnica delle Unità locali di servizio socia­le sia affiancata da una commissione consultiva composta da rappresentanti delle formazioni sociali operanti nel ter­ritorio con il compito di partecipare attivamente alla mi­gliore realizzazione dei servizi.

Sarà dunque compito dell'Unità locale dei servizi sociali garantire un positivo rapporto con i cittadini utenti dei ser­vizi, per favorire il loro autonomo sviluppo superando ogni cristallizzazione delle emarginazioni che di fatto si deter­minano in ragione delle condizioni di bisogno e di difficoltà.

In coerenza a questo obiettivo nel disegno di legge ci si è preoccupati di affermare che i servizi sociali devono ope­rare prioritariamente attraverso la famiglia, limitando per­ciò alle situazioni non altrimenti risolvibili l'istituzionaliz­zazione sia dei minori che degli anziani e degli inabili.

 

Programmazione e pluralismo operativo.

Momento unificante di questo articolato sistema dei po­teri pubblici in materia di assistenza e servizi sociali è una seria metodologia di programmazione. Si prevede per que­sto che la programmazione nazionale degli obiettivi da rea­lizzare non potrà farsi senza un collegamento organico con le programmazioni regionali e queste a loro volta dovran­no tenere conto sia degli obiettivi generali che insieme avranno concorso a determinare, sia delle indicazioni emergenti dalle responsabilità operative dei comuni e del­le province.

La metodologia della programmazione è anche il modo positivo di affermare il valore e la modernità della conce­zione pluralistica che è interesse della democrazia rispet­tare e sostenere.

Una società non dimostra di aver maturato un più pro­fondo senso sociale rafforzando le sue strutture statuali, ma dandosi un sistema articolato di poteri pubblici capace di mobilitare, utilizzare, guidare le energie della società ci­vile verso fini di interesse pubblico.

Pluralismo democratico significa capacità di mettere in movimento, nella prospettiva unificante dell'interesse co­mune, le iniziative espresse dalla società civile nella va­rietà delle sue libere articolazioni.

In coerenza a questi convincimenti è stato affrontato il problema sia delle istituzioni pubbliche di assistenza e be­neficenza, sia delle iniziative dei privati in materia di as­sistenza e servizi sociali.

Per le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, si prevede che conservino la personalità giuridica e l'ordi­namento interno quelle istituzioni che per le caratteristiche dell'attività assistenziale svolta e la efficiente organizza­zione strumentale e di personale, garantiscono il perse­guimento dei propri scopi in aderenza alle indicazioni del programma regionale; vengono invece dichiarate estinte quelle che non rientrino in questo profilo. Conseguente­mente le Regioni dovranno entro due anni procedere ad una ricognizione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza esistenti e definire un piano di ristrutturazio­ne globale procedendo a questo fine secondo appropriate procedure.

In merito al problema dell'assistenza promossa e gesti­ta dai privati, il disegno di legge, in ottemperanza ad un preciso dettato costituzionale, riafferma la legittimità dell'assistenza privata e definisce il suo ruolo nel quadro del­la primaria responsabilità dei poteri pubblici.

Si prevede a tal fine l'istituzione del registro delle isti­tuzioni private di utilità sociale a cui si potrà essere iscrit­ti previo accertamento delle condizioni prescritte. Con ta­le iscrizione, l'istituzione ha diritto, qualora lo richieda e ne ricorrano le condizioni, ad essere utilizzata per l'attua­zione dei programmi socio-assistenziali, sottoponendosi però ai conseguenti controlli ed agli oneri previsti in sede di programmazione e di coordinamento dei servizi sociali.

Come si vede, la soluzione adottata si ispira coerente­mente alla concezione pluralistica della Costituzione, che consente un corretto superamento dell'artificiosa polemica tra assistenza pubblica ed assistenza privata.

Questa polemica ha motivazioni che non trovano più una valida ragione di sussistere in una situazione tanto profondamente mutata, sia sotto il profilo storico-politico che delle concezioni ideali.

Nessuno, oggi, pensa all'assistenza privata come un'a­rea di esperienze e di iniziative estranee od indifferenti al­le finalità dell'interesse comune, così come nessuno pen­sa che l'attuazione di esse possa dipendere esclusivamen­te dal sistema dei poteri pubblici, senza attiva partecipa­zione ed integrazione di iniziative della società civile.

Nel suo significato più autentico il pluralismo assisten­ziale di cui la libertà è garanzia, non si identifica con fra­zionamento o disarticolazione di interventi e risorse, ma al contrario è convergenza di libere iniziative, di differen­ziate esperienze, di positiva ricerca di nuove tecniche ope­rative, indirizzando tutto ciò al servizio delle comunità e quindi realizzando la finalizzazione delle iniziative promos­se dai privati verso obiettivi di interesse comune il cui momento di sintesi, di espansione e di guida è affidato al­la responsabilità del potere pubblico.

Nessuna difesa di aree privilegiate, nessun intenzionale conflitto di interessi è dunque da ravvisare in questa im­postazione ed è auspicabile che essa sia compresa ed ac­colta per ciò che è e vuole essere nel quadro dell'assetto democratico del Paese.

 

Scioglimento degli enti nazionali assistenziali di diritto pubblico.

La logica del presente disegno di legge-quadro di rifor­ma dell'assistenza sociale, implica con il superamento di strutture settoriali e di categoria, lo scioglimento degli en­ti pubblici nazionali assistenziali che pure, in situazioni di­verse e spesso con scarsità di mezzi, hanno operato in modo costruttivo.

Lo scioglimento di questi enti non va dunque motivato con giudizi sommari a loro carico, ma con i nuovi obietti­vi da perseguire in materia di servizi sociali, per i quali ap­pare più congeniale il ruolo degli enti locali nel quadro delle particolari competenze assegnate dalla Costituzione alle Regioni.

Nel disegno di legge si prevede che a tale scioglimento si proceda entro due anni dalla sua entrata in vigore, de­volvendo alla Regione ed agli altri enti locali territoriali, secondo le rispettive competenze, i patrimoni ed i beni strumentali degli enti; analogamente si prevede per il per­sonale da essi dipendente.

Anche gli enti comunali di assistenza vengono soppres­si ed i loro patrimoni devoluti ai comuni.

 

Nuova disciplina delle prestazioni economiche di assistenza sociale a carattere obbligatorio e continuativo.

Affrontando la riforma dell'assistenza sociale, non po­teva non essere preso in considerazione il problema delle prestazioni economiche di assistenza sociale a carattere obbligatorio e continuativo.

Tali prestazioni già non rispondono più al criterio di be­neficenza perché configurano un chiaro diritto soggettivo e si collocano in un quadro di sicurezza sociale. Permane tuttavia una disparità di erogazione ed una categorizzazio­ne superata facente capo a diversi enti gestori di queste prestazioni.

Nel presente disegno di legge si è inteso portare alle sue logiche conseguenze la tendenza unificante già avvia­ta, per giungere in un tempo ragionevolmente breve ad una pensione sociale generalizzata per tutti i cittadini indi­genti ed impossibilitati al lavoro a causa di anzianità o di menomazioni fisiche, psichiche, sensoriali.

Si afferma così che a decorrere dal 1° gennaio 1974 le prestazioni economiche di assistenza sociale, obbligatorie e continuative erogate sotto forma di assegni di assistenza o di accompagnamento e di pensioni di inabilità, sono ero­gati dall'INPS con le modalità previste per le pensioni so­ciali. Entro due anni dall'entrata in vigore della presente legge si dovrà inoltre procedere ad unificare il livello qua­litativo delle prestazioni economiche e di assistenza socia­le a favore dei cittadini inabili o con ridotte capacità lavo­rative e sprovvisti di reddito sufficiente ed a delegare alla competenza amministrativa delle Regioni, che si avvarran­no a tal fine delle unità locali dei servizi sociali, gli accer­tamenti per la erogazione di tutte le prestazioni economi­che e continuative.

 

Fondo nazionale per i servizi sociali.

Per far fronte agli oneri il disegno di legge prevede l'i­stituzione di un fondo nazionale per i servizi sociali, che è costituito da tutti i capitoli di spesa iscritti nel bilancio dello Stato, comunque attinenti ad attività di beneficenza e di assistenza, ordinaria e straordinaria. Nel fondo conflui­scono altresì gli stanziamenti erogati dallo Stato per le attività assistenziali e di beneficenza svolte dagli enti pub­blici e nazionali; i contributi dello Stato all'ENAOLI ed all'ONPI; gli utili delle lotterie nazionali ed i patrimoni finan­ziari degli enti nazionali soppressi.

È probabile che tale fondo non sia sufficiente per far fronte ad un adeguato sviluppo dei servizi sociali, ma è certo che un passo decisivo sarà compiuto con la sua isti­tuzione, superando decisamente l'attuale disarticolazione di spesa, causa non ultima dell'inadeguatezza dei servizi assistenziali.

 

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Onorevoli colleghi, nell'affidare al vostro esame la pre­sente proposta di legge, i presentatori confidano che essa possa essere accolta come un costruttivo contributo per la definizione di una legge-quadro di riforma, la cui urgen­za non ha bisogno di essere, ancora una volta, sottolineata e che appare indilazionabile non solo per l'inadeguatezza del sistema attuale, ma anche per fissare un positivo pun­to di riferimento per la piena ed organica attuazione delle competenze che in materia di assistenza è ormai attribuita alle Regioni.

Essa è frutto di una attenta riflessione sull'ampio dibat­tito che in ordine al problema di una moderna politica di promozione e di sicurezza sociale si è svolto ed è tuttora in atto nel paese, nella volontà di cogliere ogni possibile apporto positivo, in un impegno per altro di coerenza ri­spetto ad una concezione personalistica e solidaristica alla quale esplicitamente i proponenti si richiamano, nella con­vinzione che essa costituisca il presupposto etico e civile di un vero assetto democratico.

 

Testo della proposta di legge

Princìpi generali

 

Art. 1.

La presente legge disciplina l'assistenza sociale in con­formità ai diritti sanciti dalla Costituzione nei confronti di tutti i cittadini; definisce l'ambito del pubblico intervento; garantisce la libertà di esplicazione dell'assistenza gestita dai privati e ne assicura il coordinamento con quella gesti­ta dallo Stato e dagli altri enti pubblici qualora essa con­corra al perseguimento degli obiettivi fissati dai poteri pubblici competenti.

 

Art. 2.

L'assistenza sociale garantisce, nel quadro della sicu­rezza sociale, l'effettivo diritto dei cittadini alla prevenzio­ne ed alla rimozione delle situazioni e delle cause che ostacolano il pieno e libero sviluppo della loro personalità.

A tal fine sono predisposti idonei servizi ed interventi armonizzati con i servizi sanitari e scolastici e con le po­litiche sociali della famiglia, del lavoro, della casa, dell'assetto territoriale.

 

Art. 3.

La utilizzazione dei servizi e degli interventi di cui al precedente articolo prescinde da ogni riferimento a deter­minate categorie e deve realizzarsi quanto più possibile attraverso il nucleo familiare, nel normale ambiente di vi­ta e con la partecipazione dell'avente diritto, nel rispetto della sua dignità e libertà; deve altresì essere garantita all'assistito la possibilità di scelta motivata dalle prestazio­ni, purché ciò non produca obiettive difficoltà tecniche e ingiustificato aggravio di oneri.

 

Competenze dello Stato

 

Art. 4.

Le competenze in materia di sanità, previdenza sociale, assistenza sociale devono fare capo ad una unica struttura organica dell'amministrazione che realizzi il coordinamento dei settori costituenti la sicurezza sociale, lo snellimento e l'acceleramento delle procedure, il decentramento agli uffici periferici di attribuzioni spettanti agli organi centrali.

A tal fine è istituito il Ministero della Sicurezza Socia­le che assorbe le competenze dell'attuale Ministero della Sanità e quelle già spettanti agli altri Ministeri in materia di previdenza sociale e di assistenza sociale.

Con successiva legge da emanare entro due anni dall'entrata in vigore della presente legge saranno determina­ti le competenze, i servizi e l'ordinamento del nuovo Mi­nistero.

 

Art. 5.

Al fine di determinare gli indirizzi generali in materia di assistenza e servizi sociali da includere nel piano naziona­le di sviluppo economico è costituita presso il ministro della sicurezza sociale che la presiede una commissione consultiva composta da un assessore e da un rappresen­tante degli operatori sociali designato da ciascuna delle regioni a statuto ordinario ed a statuto speciale.

 

Costituzione di un comitato interministeriale provvisorio

 

Art. 6.

Fino all'attuazione del Ministero della sicurezza sociale di cui all'articolo 4 è costituito presso la Presidenza del Consiglio un comitato interministeriale composto dai mi­nistri o dai rispettivi sottosegretari a ciò delegati, degli interni, della sanità, del lavoro e previdenza sociale per as­solvere alle funzioni di competenza statale indicate dalla presente legge e per procedere alla progressiva unifica­zione delle rispettive competenze secondo quanto fissato dall'articolo 4.

Al fine di garantire un organico collegamento con le Re­gioni, tale comitato sarà affiancato da una commissione consultiva composta da un assessore e da un rappresen­tante degli operatori sociali designati da ciascuna delle Regioni a statuto ordinario ed a statuto speciale.

 

Art. 7

Spetta allo Stato:

1) definire i livelli minimi e la tipizzazione di presta­zione dei servizi sociali;

2) indicare, sentite le rappresentanze e le associa­zioni interessate, i profili professionali del personale da utilizzare nei servizi sociali;

3) svolgere di intesa con le regioni e con le istitu­zioni specializzate ricerche ed indagini finalizzate allo stu­dio ed alla soluzione dei problemi assistenziali di rilevanza nazionale;

4) predisporre, in base alle vigenti leggi, idonei in­terventi in caso di calamità o per altre esigenze di carat­tere eccezionale e straordinario;

5) regolare le questioni di ordine internazionale ed i rapporti con organismi stranieri ed internazionali;

6) provvedere agli oneri per l'assistenza degli stra­nieri in relazione alle convenzioni internazionali e in con­formità a quanto disposto dal secondo comma dell'arti­colo 12.

 

Ordinamenti e competenze regionali

 

Art. 8.

Le regioni hanno autonoma potestà legislativa in materia di assistenza sociale nei limiti dei princìpi stabiliti dalla presente legge ed emanano, ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 117 della Costituzione, norme di attuazione delle leggi della Repubblica aventi per oggetto il perse­guimento delle finalità di cui al precedente articolo 2 nelle materie che non rientrano nella potestà legislativa delle regioni.

 

Art. 9.

Le regioni curano la programmazione dei servizi so­ciali assicurando con apposite procedure che gli obiettivi di sviluppo tengano conto delle indicazioni fornite dai co­muni, dalle province, dagli altri enti locali, nonché dalle formazioni sociali, dagli esperti e dagli operatori sociali qualificati nel settore.

 

Art. 10.

Spetta alle regioni:

1) definire le caratteristiche, le dimensioni e l'am­bito territoriale dell'Unità locale dei servizi sociali di cui agli articoli 10, 11 e 12;

2) indicare i tipi dei servizi, i criteri e le modalità per il razionale assetto delle strutture operative, per il coordinamento delle iniziative assistenziali pubbliche ed an­che di quelle disciplinate dagli articoli 18, 19, 20, 21 e 22;

3) stabilire con legge i criteri di corresponsione per periodi limitati, da parte delle unità locali dei servizi so­ciali, di assegni straordinari eventualmente integrati dai necessari servizi, per i cittadini che si trovino in situazio­ne di emergenza individuale e familiare, al fine di favorire il definitivo superamento delle stesse;

4) sostenere le spese relative alle prestazioni di cui all'articolo 12;

5) promuovere e sostenere le iniziative in atto, da assumere per la formazione, l'aggiornamento e la qualifi­cazione degli operatori sociali;

6) curare la tenuta del registro delle istituzioni di utilità sociale (articolo 19);

7) disciplinare la vigilanza sulle attività assistenziali.

 

Competenze comunali e organizzazione locale dei servizi sociali

 

Art. 11.

I comuni ed i consorzi di comuni al fine di garantire la presenza dei necessari servizi sociali assistenziali istitui­scono le Unità locali dei servizi sociali, definite con legge regionale sentiti i comuni e le province interessate.

Con legge regionale vengono stabiliti:

1) il regolamento dell'Unità locale dei servizi sociali intesa come speciale organizzazione tecnica con propria gestione non dotata di autonoma capacità giuridica;

2) l'ambito territoriale di competenza dell'Unità lo­cale determinato a livello subcomunale, comunale o inter­comunale - in coordinamento con le Unità sanitarie loca­li - in modo da garantire, per omogeneità di strutture eco­nomico-sociali e per dimensioni ed effettiva possibilità di comunicazione, il migliore accesso ai servizi e la parteci­pazione ai cittadini;

3) le dotazioni di attrezzature e di personale, in re­lazione ai programmi stabiliti dalla regione, dai comuni e dai consorzi di comuni;

4) la sfera di intervento delle Unità locali le quali dovranno, comunque provvedere nell'ambito del proprio territorio e nel quadro della programmazione, in coordina­mento con le Unità sanitarie locali, a:

a) svolgere attività di segretariato sociale;

b) svolgere attività di consultorio familiare per la

consulenza interdisciplinare diagnostica e di primo tratta­mento per tutti i casi riferibili all'esperienza familiare.

c) fornire interventi di ordine economico per ur­genti necessità e servizi adeguati per particolari condizioni di difficoltà in cui versino i singoli cittadini e le famiglie, inclusi i servizi di assistenza domiciliare;

d) svolgere opera di vigilanza nei confronti delle iniziative assistenziali pubbliche e quelle di cui all'arti­colo 20.

 

Art. 12.

Il consiglio comunale e gli organi del consorzio dei co­muni nominano il direttore tecnico dell'Unità locale dei servizi sociali che esercita le attribuzioni conferitegli da disposizioni legislative e di regolamento e dal consiglio comunale o dagli organi del consorzio.

La partecipazione dei cittadini alla programmazione ed alla gestione dei servizi è assicurata da una commissione consultiva che affianca il direttore tecnico ed è composta da rappresentanti designati dalle formazioni sociali ope­ranti nel territorio, e dagli operatori sociali qualificati nel settore.

Con legge regionale vengono regolamentate le attività e le competenze del direttore tecnico dell'Unità locale dei servizi sociali, della commissione consultiva ed i criteri per l'elaborazione e l'approvazione dei bilanci preventivo e consuntivo e del programma di attività dell'Unità locale, che dovranno essere approvati dal consiglio del comune o dagli organi del consorzio dei comuni.

 

Art. 13.

L'Unità locale dei servizi sociali è tenuta ad erogare le sue prestazioni anche nei confronti dei cittadini non resi­denti, quando l'intervento sia determinato da particolari condizioni di necessità e di urgenza e in relazione al ser­vizio richiesto, salvo rivalsa delle spese nei confronti delle regioni in cui l'assistito abbia abituale residenza.

Sono altresì ammessi a fruire dei servizi sociali gli stra­nieri, che agli effetti delle leggi assistenziali siano assimi­lati ai cittadini italiani ovvero che risultano appartenenti a Stati per i quali sussista il trattamento di reciprocità.

 

Art. 14.

Le province assicurano quei servizi socio-assistenziali che per livello di specializzazione, tipo di utenza e ambito territoriale non siano utilmente realizzabili dalle unità lo­cali dei servizi sociali.

La regione stabilisce le norme generali per la eventua­le costituzione di consorzi tra province e comuni e plurali­tà di province.

 

Pubbliche istituzioni assistenziali

 

Art. 15.

Le Regioni, entro un biennio dall'entrata in vigore della presente legge, per i fini di cui ad precedente articolo, adottano apposito piano che, in conformità agli obiettivi della programmazione regionale e sentiti i comuni e gli enti interessati, disponga in ordine alla sopravvivenza, trasformazione, fusione ed estinzione delle istituzioni pub­bliche di assistenza e di beneficenza.

Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza che per l'attività assistenziale svolta, per l'efficiente organizzazione strumentale e di personale, possono garantire il perseguimento dei propri scopi in aderenza ai fini di cui alla presente legge, conservano la personalità giuridica e l'ordinamento interno.

Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza pos­sono essere dichiarate estinte se i loro fini istituzionali o il livello dei loro servizi sociali non vengono riconosciuti idonei.

In caso di estinzione, la devoluzione dei beni deve av­venire secondo le indicazioni contenute nello statuto dell'ente o, in loro mancanza, a enti o istituzioni pubbliche similari.

Le Regioni, nello stesso termine, stabiliranno le proce­dure per il trasferimento dei beni e del personale che conserva in ogni caso il grado ed il trattamento economico raggiunto alla data del trasferimento stesso.

 

Art. 16.

Gli enti comunali di assistenza sono soppressi e le do­tazioni relative sono trasferite al rispettivo comune per essere destinate alla costituzione ed all'attività delle uni­tà locali dei servizi sociali.

 

Private iniziative assistenziali

 

Art. 17.

È garantita la libertà di costituzione e di attività alle as­sociazioni, fondazioni ed altre istituzioni con finalità di as­sistenza e di servizio sociale promosse da privati, da enti ecclesiastici e da enti assistenziali di ogni confessione re­ligiosa.

 

Art. 18.

È istituito presso l'assessorato regionale competente il registro delle istituzioni private di utilità sociale. L'atto costitutivo e lo statuto delle istituzioni di cui all'articolo precedente devono essere depositati con la richiesta di iscrizione presso gli uffici dell'assessorato competente. L'iscrizione nel registro delle istituzioni private di utilità sociale è disposta con decreto del presidente della giunta regionale previo accertamento delle condizioni stabilite a norma della presente legge e delle leggi regionali, sentiti i comuni della Regione nel territorio dei quali l'istituzione opera.

Contro la mancata iscrizione è ammesso ricorso ai tri­bunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato. Con tale iscrizione l'istituzione ha diritto, qualora lo richieda, a partecipare alla programmazione ed alla at­tuazione dei programmi socio-assistenziali.

 

Art. 19.

La cancellazione delle istituzioni private di utilità so­ciale dal relativo registro può essere disposta previo diffi­da e con decreto motivato dal presidente della giunta re­gionale su proposta dell'assessore competente, quando venga riscontrata una grave violazione della norma di legge e di regolamento o la grave inadempienza degli obblighi assistenziali.

Avverso tali provvedimenti è ammesso ricorso ai tribu­nali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato.

Le istituzioni di utilità sociale, se convenzionate o co­munque fruenti di contributi finanziari pubblici, sono sotto­poste per quanto concerne l'attività assistenziale ai conse­guenti controlli ed agli oneri previsti in sede di program­mazione e di coordinamento dei servizi sociali.

 

Art. 20.

Le convenzioni stipulate fra gli enti locali e le istituzioni private di utilità sociale dovranno escludere qualsiasi for­ma di subappalto.

Le rette dovranno essere adeguate alle prestazioni da valutarsi in rapporto alle esigenze dei soggetti ed alle spe­se generali fisse ed, a parità di prestazioni, uguale per tut­te le istituzioni private di utilità sociale operanti nel terri­torio della regione.

Nel quadro degli indirizzi della regione, il comune o i consorzi, su proposta o parere delle Unità locali dei servizi sociali competenti per territorio, può disporre incentivi a favore delle istituzioni di utilità sociale per la trasforma­zione, la qualificazione e l'istituzione di servizi.

 

Art. 21.

Le amministrazioni delle istituzioni di utilità sociale debbono presentare annualmente - all'ente convenzionan­te e alla regione - appositi rendiconti per la parte relativa ai finanziamenti pubblici.

 

Fondo nazionale per i servizi sociali

 

Art. 22.

Viene istituito il fondo nazionale per i servizi sociali, che è costituito da tutti i capitoli di spesa iscritti nel bi­lancio dello Stato, comunque attinenti ad attività di bene­ficenza e di assistenza, ordinarie e straordinarie.

Nel fondo nazionale per il servizio sociale confluiscono altresì:

a) gli stanziamenti erogati dallo Stato per le attività assistenziali e di beneficenza svolti dagli enti pubblici nazionali;

b) i contributi di cui al decreto-legge 23 marzo 1948, n. 327 e alla legge 14 aprile 1956, n. 307 (ENAOLI), nonché alle leggi 4 aprile 1952, n. 218 e 20 febbraio 1958, n. 55 (ONPI);

c) gli utili delle lotterie nazionali;

d) i patrimoni finanziari degli enti nazionali soppres­si ai sensi dell'articolo 25 della presente legge.

Il fondo nazionale per i servizi sociali costituito da ap­positi capitoli iscritti nello stato di previsione delle spese del Ministero della sicurezza sociale distinti per la spesa corrente e per quella in conto capitale, viene ripartito fra le singole regioni.

 

Art. 23.

Limitatamente ai primi due anni finanziari successivi all'entrata in vigore della presente legge, il fondo è ripar­tito fra le regioni con i criteri fissati dall'articolo 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281.

Successivamente la ripartizione annuale fra le regioni del fondo nazionale per i servizi sociali verrà stabilita sul­la base di un piano pluriennale, approvato dal CIPE e sen­tita la Commissione di cui all'articolo 5 con riferimento agli obiettivi fissati dall'articolo 2 della presente legge.

Con le modalità di cui al precedente comma ed in cor­relazione con il programma economico nazionale ed i pia­ni di sviluppo di ciascuna regione si stabiliscono i parametri per il riparto fra le regioni del fondo nazionale per i servizi sociali.

I parametri devono essere definiti numericamente per ciascuna regione tenendo conto della situazione economi­ca, sociale e demografica o dei livelli funzionali e struttu­rali dei servizi.

 

Scioglimento degli enti nazionali assistenziali di diritto pubblico

 

Art. 24.

Entro due anni dall'entrata in vigore della presente leg­ge, gli enti nazionali assistenziali ed assimilabili di diritto pubblico, cessano dalle loro funzioni.

Il Governo della Repubblica, previo parere di apposita Commissione parlamentare composta da nove deputati e nove senatori è delegato ad emanare entro tale periodo uno o più decreti aventi valore di legge, con l'osservanza dei seguenti criteri direttivi.

1) Devoluzione alle regioni od agli altri enti locali territoriali, secondo le rispettive competenze, dei patrimo­ni immobiliari e dei beni strumentali ai servizi degli enti di cui al primo comma.

2) Trasferimento del personale degli enti di cui so­pra alle Regioni o al Ministero della Sicurezza Sociale con­servando ad essi in ogni caso il grado, la funzione ed il trattamento economico raggiunti all'entrata in vigore dei decreti di cui al secondo comma.

 

Nuova disciplina delle prestazioni economiche di assistenza sociale a carattere obbligatorio e continuativo

 

Art. 25.

A decorrere dal 1° gennaio 1975 le prestazioni economi­che di assistenza sociale, obbligatorie e continuative, ero­gate sotto forma di assegni di assistenza o di accompa­gnamento e di pensioni di inabilità ai soggetti di cui alle leggi 26 maggio 1970, n. 381; 27 maggio 1970, n. 382; 30 marzo 1971, n. 118 sono erogate dall'INPS con le modalità previste dall'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 per le pensioni sociali.

Ai titolari degli assegni e delle pensioni di cui al primo comma del presente articolo si applicano gli aumenti per perequazione automatica delle pensioni e le norme sull'as­sistenza malattia secondo quanto disposto dall'articolo 2 del decreto-legge 30 giugno 1972, n. 267, nel testo modifi­cato dalla legge di conversione dell'11 agosto 1972, n. 485.

Restano ferme le norme e le modalità sull'accertamento delle condizioni per il diritto alle prestazioni economiche di cui alle leggi 26 maggio 1970, n. 382 e 30 marzo 1971, n. 118.

L'onere delle pensioni di inabilità e degli assegni di cui al primo comma del presente articolo è a carico del fondo sociale dell'INPS in cui affluiranno, a decorrere dal 1° gen­naio 1975, le somme a tale scopo stanziate dalle citate leggi.

 

Art. 26.

Entro due anni dall'entrata in vigore della presente leg­ge, il Governo della Repubblica è delegato ad emanare uno o più decreti aventi valore di legge ordinaria per:

a) unificare il livello quantitativo delle prestazioni economiche e di assistenza sociale a favore dei cittadini inabili o con ridotte capacità lavorative e sprovvisti di red­dito sufficiente.

b) definire unitariamente le modalità e criteri degli accertamenti per l'erogazione di tutte le prestazioni econo­miche e continuative, delegandoli alla competenza ammi­nistrativa delle regioni che si varranno a tal fine delle Uni­tà locali dei servizi sociali;

c) definire un unico sistema per le prestazioni eco­nomiche e assistenziali, stabilendone parametri quantitativi nel contesto del sistema previdenziale mutualistico a base contributiva.

 

Disposizioni finali

 

Art. 27.

Tutte le norme in contrasto con la presente legge sono abrogate.

 

 

 

(1) Questa proposta di legge è identica sia nella relazione che nel testo a quella presentata al Senato il 12-2-1973 (N. 830) dalla Sen. Falcucci e altri Parlamentari D.C.

 

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