Prospettive
assistenziali, n. 23, luglio-settembre 1973
NOTIZIE
UNA SATIRA A BUON MERCATO?
Riceviamo e
pubblichiamo
Caro Direttore,
la stima e l'amicizia - che mi hai
dimostrato da quando ci siamo conosciuti, e che ho sempre ricambiato con uguale
sentimento - mi induce a scriverti per formulare alcune riserve circa l'articolo,
a pag. 89 del n. 20 (ottobre-dicembre 1972) della rivista da te diretta, dal
titolo: «Dove corri, ragazzo? Fermati, ché ti educo».
Conoscendo il mio modo di pensare e
il mio carattere, non avrai difficoltà ad escludere ch'io
intenda assumere la difesa, ufficiale o privata, del Prof.
Luigi Volpicelli, che peraltro non ne ha affatto
bisogno dal momento che la sua reputazione ha ben altre e solide basi, nel
mondo accademico e nella società.
La verità è che, essendo stato informato
della sua amarezza per la satira a buon mercato, usata nei suoi confronti, mi
sono ricordato che, poco tempo prima della pubblicazione
della malevola nota della tua rivista, avevo partecipato ad una tavola rotonda
nella sede della scuola diretta dal Prof. Volpicelli.
Erano in discussione gli istituti di
rieducazione con le loro luci (poche, e in via di
definitivo offuscamento) e le loro ombre (molte, dense e pesanti), anche a
causa delle gravi responsabilità del potere politico e burocratico e della
incapacità della società esterna - costituita prevalentemente dalla
cosiddetta «maggioranza silenziosa» - di rinunciare ai «ghetti», che essa
stessa genera, sostiene e alimenta, scaricando sulle sue vittime «fastidiose»
il suo, più o meno, inconscio sentimento di colpa.
Di fronte alla constatazione del
fallimento di strutture inidonee - per il loro
carattere repressivo e afflittivo - al recupero
psicologico e sociale di ragazzi, considerati indiscriminatamente come
disadattati (a che cosa? e perché? Il discorso su
questi interrogativi si fa vago e sfuggente da chi vuole alleviare la propria
cattiva coscienza); ed a parte la incapacità o
l'impossibilità di offrire alternative immediate, con il risultato di distruggere
quel poco di buono che c'era e di non poter disporre del nuovo che non esiste;
è stata presa in considerazione la possibilità - nella situazione esistente e
destinata a diventare ogni giorno più drammatica - di battere altre vie che
possano condurre al superamento dell'indifferenza, della rassegnazione,
dell'inerzia e, soprattutto, della prevaricazione, autoritaria o paternalistica,
dei responsabili, diretti o indiretti, della situazione stessa.
È agevole allora comprendere il
duplice richiamo del Prof. Volpicelli
ai detentori del potere: a perseguire molto più severamente i trafficanti
della droga che non le loro vittime; e, più in generale, ad assumere di fronte ai giovani atteggiamenti dettati dalla comprensione e dalla
tolleranza, sulla base appunto di quell'analisi (che il Prof.
Volpicelli fa, sia pure sommariamente ed entro i limiti
di un comunicato stampa che doveva essere pubblicato prima che discusso) delle
strutture della società, matrice appunto della violenza e del delitto.
Non si tratta di trasformare il
poliziotto in educatore: per aspirare a quest'ultima qualifica ci vuole ben
altro; e non sarà certo la sicumera del «Catone» di turno ad insegnarlo a chi
ha speso tutta la vita ad affermarlo e a ripeterlo.
Si tratta, più semplicemente, di
ottenere, o tentare di ottenere, da tutti quelli che, in un modo e nell'altro,
s'incontrano o si scontrano con i giovani, una maggiore disponibilità a capire
sempre di più e a giudicare sempre di meno, uno sforzo per rendersi conto del
maggior costo, umano e sociale, che un sistema prevalentemente repressivo
comporta rispetto ad un comportamento consapevolmente tollerante e attivamente
sostenitore delle risorse positive e autonome di
personalità in evoluzione.
Dobbiamo aspettare che il
rinnovamento della società avvenga per decreto del principe o per moto
rivoluzionario; o dobbiamo agire nella società, nelle
sue basi e nelle sue articolazioni, così come si presentano, cercando di
modificarle e di orientarle verso una mentalità e un comportamento diversi? Mi
pare che la preferenza spetti alla seconda ipotesi, nella quale ben può trovare
posto un'opera di sensibilizzazione degli organi, direttivi
ed esecutivi, di polizia: sia perché hanno le mani in pasta e le avranno fino a
che non si avvereranno le aspettative escatologiche dei profeti della
palingenesi del genere umano; sia per tentare di sottrarli all'amaro e secolare
destino di garanti esclusivi dell'ordine e della sicurezza pubblica e di
persecutori permanenti degl'indifesi e degli oppressi.
Ecco perché mi sembra ingiusto,
oltre che maldestro sul piano di una valutazione semplicemente umana e
civile, irridere ai tentativi di modificare i modi di vedere, di sentire e di
agire delle persone costituenti determinate componenti, che agiscono
profondamente nel tessuto politico e sociale della
comunità, e di ricordare loro che l'autorità, di cui sono investiti, è al
servizio dei cittadini.
La libertà e la giustizia, come
presupposti della pace sociale, si costruiscono, non relegando persone e
gruppi in compiti esclusivamente negativi, ma riconoscendone e stimolandone l'attività di aiuto e di protezione, che pure viene continuamente
invocata e di cui si lamenta con petulanza l'insufficienza.
La politica dello struzzo, del
rifiuto pregiudiziale, della diffidenza sistematica o dell'avversione preconcetta non può certo giovare alla costruzione di
una società migliore, che tutti auspichiamo, di quella società del dialogo e
della solidarietà, la quale rifiuta ogni forma di esclusione e di
emarginazione e per la quale la tua rivista, e le associazioni di cui è
espressione, si battono.
Roma, 28 maggio 1973.
GIUSEPPE SANTARSIERO
Volentieri
riportiamo le riserve al nostro articolo del n. 20 di Prospettive assistenziali, del Cons. Santarsiero, solamente castigati dalla lunghezza della
polemica che ci obbliga a ribadire molto brevemente per economia. Rifiutiamo innanzitutto
l'appellativo di Catone poiché, ben conoscendone la
difesa delle classi privilegiate (Catone, Origines), la sua valutazione del potere come
monopolio di una classe ristretta (Cicerone, De Repubblica), il suo trasferire in termini morali il
gioco di forze sociali ed economiche (G. Cesare, De Bello
Civili) proprio lui sarebbe dal nostro
articolo ancor più amareggiato del Prof. Volpicelli, In quanto alla nostra sicumera riportiamo la
bibliografia di opere universitarie da cui abbiamo tratte le nostre tesi:
«C'è
una grande funzione che da secoli ha continuato a
prender dimensioni nuove ed è la funzione sorveglianza - correzione.
Sorvegliare gli individui e correggerli nei due significati del termine, ossia
punirli e pedagogizzarli...» (1)
«Affidare
alla polizia una attività preventiva è un'arma a
doppio taglio, ampliando smisuratamente l'ambito del potere di polizia da un
lato, non si offre alcun criterio discretivo per poter qualificare la potestà
di polizia in confronto con gli altri poteri amministrativi e dall'altro canto
accrescendo eccessivamente la sfera delle funzioni di polizia si rende
praticamente assai difficoltoso qualsiasi sindacato tendente ad accertare la
rispondenza del provvedimento amministrativo» (2). «Oggi la polizia rimane una attività che
assomma in sé l'occhiuta vigilanza, la bieca repressione e la prevenzione
mistificatoria: attività che si combinano diversamente tra loro a seconda
dello specifico settore su cui agiscono; della caratterizzazione del corpo
armato che le opera; della situazione politica che di volta in volta le
determina...» (3)
«Esiste
una solidarietà naturale tra polizia e magistratura...» (4). «La missione più importante e più cara però della Polizia è quella di
tenere perpetuamente d'occhio le classi malvage e pervertite» (5). Potremmo continuare
con un'analisi dei manuali in uso nelle scuole di polizia da cui non è
difficile concludere che ciò che ai poliziotti viene insegnato
è la diffidenza verso il cittadino, sfruttando la loro provenienza dal
sottoproletariato. Ma poiché siamo stati chiamati in causa per un'opera di
sensibilizzazione degli organi di polizia, diciamo chiaramente che questa non
passa attraverso miglioramenti giuridici, economici, normativi (certamente
necessari) a civili come vorrebbe il Cons. Santarsiero, ma passa attraverso un profondo cambiamento
sociale che provochi una radicale modifica del ruolo che oggi i poliziotti,
anche indipendentemente dalla loro volontà, sono
tenuti ad assolvere.
CONTRO
In
questi giorni è in discussione presso la competente commissione del Senato il
disegno di legge, N.
OGGETTO: Disegno di
legge n, 301 «Aumento del contributo ordinario all'Ente
nazionale sordomuti».
Siamo un'associazione formata da
genitori di bambini sordi, insegnanti, operatori sanitari e sociali che ha per
scopo la promozione di idonei interventi per
Seguiamo, particolarmente per quanto
concerne la legislazione direttamente o
indirettamente connessa con il problema di nostro interesse
- sanità, istruzione, assistenza - l'attività del Parlamento
nel quale abbiamo trovato disponibilità ed attenzione per i problemi dei
bambini sordi.
Ciò ci è
stato chiaramente dimostrato in occasione della discussione, presso la
competente commissione della Camera, della proposta di legge n. 665 per la «statizzazione
delle scuole per sordomuti». Uniamo alla presente la copia della nostra lettera
del 16 novembre ai Parlamentari interessati alla proposta (6) nonché quella del documento presentato dalla nostra e dalle
associazioni di genitori di bambini sordi ai membri della Commissione
Istruzione della Camera.
Come abbiamo espresso in quel
documento, non sono certo gli istituti per sordomuti che scarseggiano in
Italia: tra statali e privati ve ne sono oltre 60 e già alcuni di questi hanno
problemi per il, fortunatamente, diminuito numero di
bambini ricoverati. Ciò che invece scarseggia veramente sono le alternative agli istituti, quei presidi, cioè, di carattere
medico-pedagogico che consentano l'azione di recupero del bambino sordo senza
staccarlo dalla sua famiglia e dal mondo degli udenti; alternative che,
oltretutto, producono risultati notevolmente migliori ma che esistono,
purtroppo, solo per i bambini sordi delle famiglie con più possibilità
economiche.
Consideriamo perciò quanto meno anacronistica la proposta di legge in oggetto
perché in buona parte motivata, come si legge nella relazione che
l'accompagna, dal desiderio dell'Ente Sordomuti di ampliare istituti esistenti
e di crearne addirittura dei nuovi.
Parimenti anacronistiche, a nostro
avviso, le altre motivazioni della stessa per le iniziative di carattere assistenziale perché non considera minimamente come nella
coscienza del Paese sia ormai maturo un modo totalmente differente di concepire
quest'ordine di problemi che trova significativa e valida espressione nelle
diverse proposte di riforma della assistenza esistenti presso i due rami del
Parlamento, tutte concordi nella soppressione degli enti nazionali che
attualmente la gestiscono.
Quanto sopra, com'è nei principali
scopi della nostra associazione, per contribuire a meglio informare chi ha la
responsabilità, primo fra tutti il Parlamento di
decidere e, soprattutto, affinché nell'assistenza, questo aspetto così
importante della convivenza civile, si chiuda definitivamente con gli interventi
parziali e settoriali, tanto onerosi quanto inefficaci, per finalmente
intraprendere la strada di un adeguato, organico sistema di servizi sociali.
ASSOCIAZIONE per i BAMBINI SORDI
Via della Scrofa 64 - Roma
Allegato
Promemoria
presentato dai rappresentanti delle Associazioni di
genitori di Genova, Firenze, Milano, Roma, Treviso e Verona in occasione dell'incontro
sulla proposta di legge per la statizzazione delle scuole per sordomuti
avvenuto il 13 Dicembre 1972 con Deputati membri della Commissione Istruzione
al quale hanno partecipato anche i dirigenti dell'Ente Nazionale Sordomuti e
rappresentanti degli istituti sordomuti.
Le cause di sordità nei bambini sono
molteplici: rosolia materna, vaccinazioni, strangolamenti da cordone
ombelicale, conseguenze di meningite, encefalite, cause ereditarie, genetiche
ecc.
La sordità costituisce un grave
handicap per il bambino poiché lo isola dal suo
ambiente sonoro. Gravi perciò ne possono essere le conseguenze psicologiche e
sociali: mutismo, disadattamento ecc.
Per prevenire al massimo dette
conseguenze occorre un intervento precoce
che, mediante gli apparecchi acustici,
consenta l'utilizzo dei quasi sempre presenti residui
auditivi e una pedagogia adatta che
faccia largamente appello ai genitori e ad équipes di
pedagogisti, audiologi, ortofonisti, audioprotesisti e psicologi.
Allorché si
verificano queste condizioni il bambino, benché sordo, sviluppa il suo
linguaggio e si inserisce normalmente nella società.
Non esistono
statistiche sicure sul numero - in Italia - delle persone sorde comprese da
zero a sedici anni (età dell'obbligo scolastico per i bambini sordi), si
calcola in ventimila il numero approssimativo.
Per mancanza degli
idonei presidi psico-medico-pedagogici che
assicurino le condizioni di cui sopra, dell'intervento di prevenzione ne beneficia,
dato il costo, la minoranza dei bambini sordi provenienti dalle famiglie più
dotate culturalmente ed economicamente. Detti bambini vengono messi
in condizioni di accedere e frequentare le classi speciali delle scuole normali
o, addirittura, le classi normali. Gli altri, la maggioranza, arrivano alle
soglie della scuola dell'obbligo con insufficiente linguaggio e con problemi
psicologici.
Le scuole, a parte quelle - in
numero assai limitato - esistenti nei plessi scolastici normali, sono quasi
tutte a carattere d'internato ubicate presso i cosiddetti «istituti per sordomuti».
Questi sono circa sessanta di cui tre statali (Milano, Roma, Palermo), sei
gestiti dalle amministrazioni provinciali e i rimanenti da opere pie, enti,
privati ecc. ed in massima parte convenzionati con il Ministero della P.I.
Il loro livello pedagogico è
mediamente basso sia per l'insufficiente preparazione del personale insegnante
che per la loro resistenza alle nuove metodologie nonché
per l'insufficiente dotazione di idonei sussidi. Anche i convitti sono in genere scadenti.
Il rendimento scolastico dei bambini
sordi in questi istituti si riduce, oltre che per le conseguenze del distacco
e della lontananza dalla famiglia, per l'ovvia insufficienza
di stimoli dell'ambiente di segregazione. Ciò poteva trovare una sua
giustificazione trent'anni fa ma non adesso con le attuali acquisizioni di
natura scientifica e le risorse che, nel complesso, il Paese destina
al recupero dei bambini sordi.
Purtroppo però detti problemi, come
quasi tutti quelli delle persone nate sorde, vengono
tuttora demandati dalla legge alla competenza dell'Ente Nazionale Sordomuti che
ignora, nella sostanza, il concetto di prevenzione e di integrazione. Mentre
non ha fatto niente per istituire e promuovere l'istituzione di centri di
prevenzione del sordomutismo e per istruire le famiglie dei bambini sordi, si
è dato un gran da fare per realizzare un certo numero di istituti
sul tipo e del livello anzidetto e che sono compresi nell'elenco allegato alla
proposta di legge.
E proprio l'E.N.S. e le opere pie
che gestiscono detti istituti, in alcune riunioni, hanno elaborato il disegno
di legge di cui si tratta esclusivamente per scopi di «carattere economico ed
amministrativo» (vedere «Effeta» - mensile dell'Opera Gualandi
N. 12 dicembre '70 e N. 2 febbraio '71).
Gli aspetti da rilevare di questa
proposta di legge sono:
- ricalca pedissequamente, per la
convenienza a citarlo come precedente, il testo della legge per la
statizzazione della scuola dei ciechi emessa venti anni fa in condizioni e per
situazioni completamente diverse,
- lascia, in
definitiva, tutte le decisioni alle competenze dell'ente proprietario
dell'istituto,
- assume al completo tutto il personale attualmente in servizio indipendentemente dal
titolo di studio e dalla preparazione specifica ripetenda un procedimento che
costituisce una delle cause maggiori del basso livello didattico degli
istituti,
- non specifica i requisiti in base
ai quali i diversi istituti sono stati inseriti nell'elenco allegato alla
proposta di legge né quali dovrebbero essere per quelli che la potranno
richiedere successivamente, come previsto,
- apre la porta per fare estendere
lo stesso trattamento a tutti gli istituti.
Si tratta di una proposta dannosa
perché mirante a confermare e consolidare strutture rivelatesi spesso
negative per un effettivo recupero del bambino sordo che, in modo tanto
arretrato quanto inesatto, insiste a chiamare «sordomuto». È una ulteriore iniziativa nell'ambito di quel «frammentarismo legislativo» cui la proposta pretende
ovviare perché completamente fuori da una visione unitaria dei reali problemi
del bambino sardo e priva di considerazione delle tristi esperienze di decine
e decine di migliaia di famiglie. Una iniziativa che
coinvolgerebbe negativamente lo Stato ed ostacolerebbe lo sviluppo della
legislazione in questo campo «ferma da circa mezzo secolo» (come si legge nella
relazione accompagnatoria della proposta) per effetto, in buona parte,
dell'Ente sordomuti e degli istituti che hanno elaborato quel disegno di legge.
Ciò che occorre invece è una
maggiore osservanza da parte degli organi responsabili delle vigenti leggi,
specie di quella sulla medicina scolastica e quelle per l'inserimento nelle
scuole normali, ma soprattutto quello auspicato nuovo assetto della scuola,
della sanità e dei servizi sociali che tenga nel
giusto conto i bisogni di tutte le persone in difficoltà e, fra queste, i
nostri bambini sordi.
SERVIZI DOMICILIARI PER GLI ANZIANI: UNA VALIDA ALTERNATIVA AL RICOVERO O UN ALTRO PARCHEGGIO?
Pubblichiamo
il documento del 28-5-1973 sottoscritto dai Sindacati
provinciali enti locali CGIL, CISL, UIL, dai delegati della ripartizione
assistenza del Comune di Torino e dai pensionati dei centri sociali.
Più
volte su Prospettive assistenziali abbiamo sostenuto
che anche i servizi nuovi, quali quelli ambulatoriali, possono essere
altrettanto emarginanti di quelli destinati al ricovero
È
il caso dei servizio di assistenza domiciliare, che
viene riservato esclusivamente agli anziani e non aperto a tutte le persone e nuclei
familiari che ne hanno la necessità.
È
il caso dei cosiddetti Centri sociali istituiti dal Comune di Torino e
frequentati solo dagli anziani «assistiti» e non concepiti come centri di
quartieri (luogo di incontro della gente e sede dei
servizi).
Testo del documento
CGIL, CISL, UIL
Il Comune di Torino ha istituito in
quattro zone della città (Centro Storico, Borgo Po, Borgo San Paolo, Lucento) Centri Sociali per anziani con servizi di assistenza domiciliare.
Da alcuni mesi è
in funzione un Centro di Servizi di base nella zona Vanchiglia
Vanchiglietta, come prima sperimentazione di servizi
aperti a tutti i cittadini, nell'intento di superare la «categorizzazione»
degli interventi.
Il «dichiarato» scopo di questi
servizi è quello di evitare il ricovero obbligato degli anziani negli Istituti
e lo sradicamento dal loro ambiente.
Ma
è sufficiente aprire i Centri per offrire concrete possibilità di scelte
alternative al Ricovero?
I
PENSIONATI HANNO RISPOSTO DI NO.
Infatti:
- I centri funzionano con un numero
ridotto di operatori sociali (assistenti sociali,
infermieri, assistenti familiari) mentre la domanda dei servizi che viene dai
quartieri aumenta sempre di più, da ciò deriva:
a) l'impossibilità di articolare turni di lavoro (anche festivi e notturni)
nell'intero arco della giornata compatibilmente con le esigenze degli utenti;
ciò crea un senso di insicurezza che riflette indubbiamente il timore della
scelta inevitabile del ricovero;
b) la necessità di privilegiare le persone con reddito insufficiente;
c) l'impossibilità di prevedere
prestazioni domiciliari a pagamento, con la conseguenza che i Centri vengono percepiti dalla popolazione del quartiere, quindi
dagli anziani stessi, come i «Centri dei poveri».
- Il personale che lavora presso i
Centri Sociali per anziani e le assistenti familiari
del Centro di servizi di base di Vanchiglia-Vanchiglietta
non sono inquadrati nella pianta organica dei dipendenti comunali, con tutte
le conseguenze negative che derivano da un rapporto di lavoro come incaricati
fuori ruolo. In particolare le assistenti familiari, a cui è fatto obbligo di
conseguire un titolo di qualificazione con la frequenza al Corso comunale
legalmente riconosciuto, non ha ancora una collocazione
che tenga conto delle reali mansioni.
Da questa situazione emerge
chiaramente che l'Amministrazione Comunale (che non è solo l'Assessorato
all'Assistenza) sta realizzando esperimenti con tali limiti organizzativi e di
funzionamento che non è possibile non solo verificare la validità degli interventi, ma quella stessa «volontà politica» di
realizzare nuove risposte ai bisogni sociali.
Quindi emerge l'interrogativo se la
«vera» volontà politica sia quella di gestire nuovi
servizi impostati sulla linea delle riforme oppure quella di realizzare - e lo
avvertono gli anziani stessi - una forma più moderna della beneficenza pubblica,
o peggio, una ambigua strategia politica per dimostrare che «qualcosa si fa»
(anche se male).
Le Organizzazioni Sindacali
richiedono pertanto provvedimenti immediati quali:
- un piano organico di sviluppo e di
potenziamento dei servizi sociali e sanitari
decentrati nei quartieri aperti a tutta la popolazione;
- la destinazione
dei servizi previsti a tutti i cittadini del quartiere indipendentemente dalle
loro condizioni economiche;
- la localizzazione degli attuali
centri sociali per anziani in strutture aperte a tutta la popolazione, anche
per quanto riguarda le attrezzature culturali e ricreative, per evitare lo
«spostamento» della segregazione degli anziani dal ricovero in un Centro
isolato dalla vita della comunità, anche in accoglimento delle istanze provenienti dai quartieri;
- il potenziamento del personale dei
centri e l'immediato inserimento in ruolo degli operatori
sociali con rapporto di incarico.
Le Organizzazioni Sindacali pongono
come condizione necessaria, per l'apertura dei servizi attualmente in fase di organizzazione nei quartieri di Regio Parco, Cit Turin, S. Salvario,
l'adozione dei provvedimenti richiesti in queste rivendicazioni.
(1) MICHEL FOUCAULT
(professore del College de France, co-fondatore del G.I.P. Gruppo di informazione sulle prigioni),
Esprit, aprile-maggio 1972.
(2) P. VIRGA (studioso
di diritto), La potestà di polizia, Giuffrè, Milano, 1954, pag. 9.
(3) A. D'ORSI
(laureato all'Università di Torino), La
polizia, Feltrinelli, Milano, 1972, pag. 84.
(4) L. BASSO, Il dissenso
alla sbarra, L'Astrolabio, dicembre 1969.
(5) L. SALERNO, Enciclopedia
di Polizia, Hoepli, Milano
(6) Pubblicata sul n.
21 di Prospettive assistenziali, pag.
92 e segg.
www.fondazionepromozionesociale.it