Prospettive
assistenziali, n. 23, luglio-settembre 1973
DOCUMENTI
SENTENZA
SULLE LAVORATRICI MADRI ADOTTIVE
IL PRETORE
DI BOLOGNA DR. FEDERICO GOVERNATORI HA PRONUNCIATO LA SEGUENTE SENTENZA NELLA
CAUSA CIVILE PROMOSSA DA:
Balice Dima in Grillini elettivamente domiciliata in
Bologna, presso e nello studio degli avv.ti Lucio Solatti e Luigi Stortoni, che la rappresentano e difendono in giudizio come da mandato a
margine all'atto di citazione (Attrice).
Contro
S.p.a. Grimeca in persona dell'amministratore
unico Angiolino Grillini, elettivamente
domiciliata in Bologna, presso e nello studio dell'avv. Ornello
Ossorio che unitamente al dr. proc. Ermes Montani, la
rappresenta e difende in giudizio come da mandato in calce alla copia
notificata dell'atto di citazione (Convenuta).
In punto a:
«Reintegrazione nel
posto di lavoro e risarcimento danni»
Conclusioni
Il procuratore dell'attrice chiede e
conclude:
«Ogni contraria istanza
disattesa, udirsi:
1) dichiarare che l'art.
2) dichiarare la
nullità del licenziamento intimato all'attrice il 25 ottobre 1972 perché in
violazione della legge 30 dicembre 1971 n. 1204;
3) condannare all'immediata
reintegrazione nel posto di lavoro non appena decorso il periodo di assenza di cui all'art. 7 Legge 20-5-1970 n. 300;
4) condannare al
risarcimento dei danni da liquidare secondo il dettato di legge e le risultanze
di causa. In
ogni caso entro i limiti della competenza pretorile.
Con vittoria di spese».
Il procuratore della Società
convenuta chiede e conclude:
«Piaccia all'ill.mo Sig. Pretore di
Bologna, ogni contraria domanda, tesi ed istanza
reietta, previa ogni declaratoria di legge e del caso, respingere le domande
proposte dalla sig.ra Balice Dima. Vinte le spese».
Svolgimento del
processo
Dima Balice
in Grillini ha chiamato a giudizio
Il 20 ottobre 1972
La società Grimeca
aveva risposto con lettera 21 ottobre affermando che «la legge citata riguarda
solo le lavoratrici che hanno generato i figli, e non quelle che li hanno adottati».
Sulla questione dell'applicabilità
della legge richiamata al caso, dopo la produzione di documenti, la causa è
passata in decisione.
Motivi della decisione
1) «La lavoratrice ha diritto di
assentarsi dal lavoro, trascorso il periodo di astensione
obbligatoria di cui alla lettera c) dell'art. 4 della presente legge, per un
periodo, entro il primo anno di vita del bambino, di sei mesi, durante il quale
le sarà conservato il posto.
La lavoratrice ha diritto, altresì,
ad assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino di età
inferiore ai tre anni, dietro presentazione di certificato medico.
I periodi di assenza
di cui ai precedenti commi sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi
gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o gratifica
natalizia».
Questo il testo
integrale dell'art. 7 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204.
Il Pretore ritiene tale norma
applicabile nel caso, come sostiene l'attore.
2) Particolare oggetto della tutela
dell'art. 7 citato, di cui si chiede l'applicazione
nel presente giudizio, non è solo o preminentemente l'interesse della
lavoratrice ad assistere il proprio figlio, ma l'interesse della nuova creatura
venuta al mondo, nel particolare e delicato momento del suo primo sviluppo
fisico e psichico, ad avere nella misura più ampia possibile l'insostituibile
e continua presenza della madre.
Tale interesse, oggettivamente
considerato, costituisce la base del diritto della lavoratrice madre di
assentarsi dal lavoro, proprio perché è considerato prevalente, per evidenti
ragioni sociali, sul diritto del datore di lavoro alla prestazione
del dipendente.
La dimostrazione di quanto si
asserisce è fornita in modo chiaro dal capoverso dello stesso articolo, che
prevede il diritto all'assenza dal lavoro della madre nel caso di malattia del
bimbo, fino ai tre anni di età di questo: è cioè l'interesse
del bambino ad ispirare tale norma.
Risulta altresì evidente che tali norme
sono una diretta applicazione dei principi costituzionali che regolano la
famiglia, ed il dovere e diritto dei genitori di «mantenere, istruire, ed
educare i figli», e in particolare della direttiva richiamata all'art. 31 cpv.
Costituzione, per cui
Individuata così sommariamente la
ragione della norma va ricercato l'ambito della sua
applicazione.
La legge 5 giugno 1967, n. 431, sull'adozione
speciale, con tutte le sue articolate disposizioni, oltre che a dare attuazione
ai generali principi costituzionali sopra richiamati provvede alla complementare
specifica attuazione della norma dell'art. 30 cpv. della Costituzione, secondo
cui «nei casi di incapacità dei genitori, la legge
provvede a che siano assalti i loro compiti».
È per questa ragione che i
presupposti fondamentali che devono esistere perché si renda possibile
l'adozione speciale di un minore consistono nello
stato di abbandono materiale e morale di un bambino da parte dei genitori, e
nella volontà e nella idoneità di una diversa coppia di coniugi di diventare
padre e madre di tale bambino in luogo dei genitori naturali (assumendone
tutti i diritti e i doveri), sotto il controllo e per decisione del Tribunale
per i Minorenni. Sotto il profilo giuridico l'adozione
speciale ha l'effetto di attribuire all'adottato «lo stato di figlio legittimo
degli adottanti» (art. 314/26 C.C.) di conseguenza attribuisce ai genitori
adottivi il diritto-dovere di allevare, mantenere, istruire ed educare il
figlio loro affidato.
Ecco dunque stabilito lo scopo e
l'effetto della adozione speciale: fare diventare il
bambino abbandonato figlio, a tutti gli effetti, dei genitori adottivi; far
diventare i coniugi adottivi genitori del bambino, sotto tutti gli aspetti.
E quando si dice a tutti gli effetti, sotto tutti gli
aspetti, si intende appunto menzionare la applicazione
di tutte le norme che regolano il rapporto tra genitori e figli nel nostro
ordinamento, e ciò indipendentemente dalla specifica collocazione sistematica
delle norme che disciplinano particolari aspetti del rapporto tra genitori e
figli.
Ecco dunque chiarito brevemente come
e perché l'art.
L'obiezione del contenuto, secondo
il quale la legge 30-12-1971 n. 1204 si applicherebbe
solo alle lavoratrici che abbiano generato un figlio, ha senso solo ove le
disposizioni della legge, facciano riferimento esplicito e inequivocabile al
fatto fisico della generazione, e alle sue conseguenze dirette, e siano
rivolte a regolare l'interesse alla tutela sanitaria della lavoratrice madre,
nel senso biologico del termine. L'obiezione non ha invece consistenza e
fondamento ove si voglia genericamente e indistintamente riferire alle norme
che prendono in diretta considerazione l'interesse
alla tutela del bambino neonato, anche se - naturalmente - in rapporto con la
madre. Sotto questo profilo non si possono porre differenze, dal punto di
vista legale, e sotto l'aspetto, preso in considerazione dalla legge,
dell'interesse del bambino, tra la lavoratrice che ha generato e la lavoratrice
che ha adottato il bambino: il rapporto, sotto il profilo giuridico, viene regolato in modo uniforme, con l'applicazione diretta
della norma, in virtù di una necessaria interpretazione sistematica.
Infatti l'interesse del bambino, quale
costituzionalmente e legislativamente assunto ad
oggetto della tutela, è realmente identico nei due casi: ogni diversità
sarebbe palesemente discriminatoria, irrazionale e perciò stesso incostituzionale.
Vale la pena di esemplificare per
rendere chiaro il ragionamento.
È evidente che le norme della legge
30-12-1971 n. 1204 che prendono in riferimento i fatti
della gestazione e del parto (quali ad esempio gli artt.
2, 3, 4, 5) non trovano applicazione nel rapporto di adozione;
ma non vi è ragione umana e giuridica che consenta di differenziare ragionevolmente
la madre naturale dalla madre adottiva, ad es., per
quanto attiene al diritto della lavoratrice di assentarsi dal lavoro «durante
le malattie del bambino di età inferiore a 3 anni, dietro presentazione di
certificato medico», di cui all'art. 7 cpv. della legge citata!
Inoltre, non si può argomentare
(come fa il convenuto) dalla asserita specialità delle
leggi di tutela della maternità della lavoratrice e sull'adozione
l'impossibilità di una interpretazione sistematica delle norme.
Nel nostro diritto, infatti, l'art.
14 delle disposizioni sulla legge in generale esclude solo la
applicazione analogica delle leggi penali e di «quelle che fanno
eccezioni a regole generali ed altre leggi». E a ben vedere, per quanto si è
detto prima, le disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri e quelle
sull'adozione speciale non sono norme che facciano
eccezione a regole generali o ad altre leggi: esse sono applicazioni di
direttive costituzionali. In particolare la legge sulla tutela delle
lavoratrici madri si colloca nel quadro della generale
direttiva dell'art. 3 cpv. della Costituzione, che affida alla Repubblica, - e
perciò al Parlamento che fa le leggi, come al giudice che deve applicarle nei
casi concreti -, il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e
sociale del Paese.
Non è necessario insistere sul fatto
che la tutela della lavoratrice per l'adempimento dei doveri della maternità
(e più ancora se questa sia consapevole e volontaria, quale
è prevista dalla adozione speciale), è un interesse che favorisce lo sviluppo
della persona nel quadro della comunità. La tutela della paternità e della
maternità adottiva si traduce comunque di fatto nella
protezione del bambino abbandonato, che viene appunto affidato a coniugi che
appaiono maturi per il compito della sua formazione, anche per sottrarlo ai
deleteri ben conosciuti effetti della carenza affettiva e della istituzionalizzazione
dei minori. Per questa ragione la disciplina dell'adozione speciale ha assunto
un più spiccato carattere pubblicistico, attesa la funzione più significativamente
sociale attribuita alla famiglia adottiva.
3) Risolta dunque la questione
dell'applicazione dell'art.
Il Pretore ritiene che la norma sia
applicabile anche all'affidamento preadottivo di cui
all'art. 314/20 C.C.; anzi,
per meglio far aderire le norme alle intenzioni del legislatore e alle
esigenze della realtà tutelata, giudica che la norma si applichi anche all'affidamento
temporaneo di cui all'art. 314/6 C.C., quale è quello
disposto dal Tribunale dei Minorenni di Bologna a favore dei coniugi il
10-10-1972, (come risulta dal provvedimento agli atti) proprio perché la
necessità di una particolare tutela dell'infante, nei primi mesi della sua
vita, non deve essere posposta alle altrettanto ragionevoli esigenze di cautela
e di ponderatezza che conducono ad una programmata durata del procedimento che
si conclude col decreto di adozione.
Genitori non ci si
improvvisa: le difficoltà dell'apprendere ad adempiere il compito di
allevare, mantenere, educare ed istruire i figli valgono anche per i genitori
adottivi. La formazione della famiglia adottiva richiede del tempo; oltre alle
verifiche e agli accertamenti che precedono lo stesso affidamento, la stessa
possibilità dell'abbinamento del minore abbandonato ad una coppia di coniugi
aspiranti all'adozione, e cioè la formazione della
famiglia adottiva viene controllata in concreto dal Tribunale anche e
soprattutto nella fase dell'affidamento temporaneo preadottivo.
Sotto l'aspetto giuridico
l'affidamento, sia ai sensi dell'art. 314/6 sia ai sensi dell'art.
314/20, crea un rapporto nuovo rispetto alla situazione preesistente tra il
bambino e gli affidatari, e tra gli affidatari, il bambino e i terzi.
Senza entrare in particolari,
superflui agli effetti di questa decisione, si può osservare che tali rapporti
giuridici anticipano, senza trasformazioni radicali, ma come effetti
interinali e provvisori di una fattispecie in formazione, gli effetti del
decreto di adozione: né potrebbe essere logicamente
differente.
Sotto l'aspetto giuridico-formale
tale fenomeno è ben conosciuto; basti richiamare come esempio, per rimanere
nella materia dei provvedimenti riguardanti la tutela delle persone, gli
effetti interinali nei procedimenti di inabilitazione
e di interdizione. Anche in questi casi si opera sullo
status dell'individuo, con effetti nei confronti di terzi, nei limiti della
necessità di tutela dei diritti fondamentali della persona.
Nello stesso modo questo giudice
ritiene che possano essere anticipati in via provvisoria all'affidamento preadottivo, temporaneo o definitivo,
gli effetti giuridici dell'instaurazione del rapporto di filiazione, (che
vedrà la sua definitiva stabilizzazione con l'adozione), tra il bambino affidato
e gli affidatari, aspiranti genitori adottivi, in quello che è lo scopo
principale immediato e sostanziale dell'adozione speciale e la ragione stessa
dell'affidamento: la cura della salute fisio-psichica
del minore nel suo primo anno di vita. Ciò, come è ben
noto, ed è stabilito legislativamente, presuppone la
possibilità di una continua, assidua presenza ed assistenza della madre.
Ove non si ritenesse possibile
l'applicazione della norma dell'art.
Ecco perché non può non trovare
applicazione anche all'affidamento preadottivo l'art.
L'interpretazione adottata trova
conforto nel parere espresso dall'Adunanza Generale del Consiglio
di Stato, II sezione, 19-2-1970, n.
Anche in questo caso era stato
eccepito che la legge non avrebbe espressamente disciplinato l'aggiunta di
famiglia per li minori affidati: ma così non si teneva conto della interpretazione sistematica delle norme.
Vale anche la pena di notare che il
parere del Consiglio di Stato è stato adottato dall'Amministrazione dello
Stato, come risulta dalla circolare del Ministero del
Tesoro del 27-3-1971 n. 19.
Inoltre, va considerato che la
stessa interpretazione, con specifico riferimento all'applicazione dell'art. 7 della legge 30-12-1971 n. 1204, è stata fatta
propria da alcune amministrazioni locali di questa regione (si cita per tutte
la deliberazione n. 17091 del Consiglio comunale di Bologna del 7 maggio 1973
approvata all'unanimità) e dal Comune di Milano, anche in relazione
all'affidamento temporaneo preadottivo.
4) Risolta così la prima e
fondamentale questione di diritto del presente giudizio il Pretore ritiene che
per poter decidere sugli altri aspetti della controversia sia necessario
compiere attività istruttoria: pertanto si provvede a
ciò con separata ordinanza.
P. Q. M.
Il Pretore
Decidendo parzialmente la
controversia, dichiara che l'art.
provvede con separata ordinanza per la prosecuzione
della causa.
Bologna, 24-5-1973.
IL PRETORE (dr.
Federico Governatori)
www.fondazionepromozionesociale.it