Prospettive
assistenziali, n. 24, ottobre-dicembre 1973
DOCUMENTI
ELEMENTI PER UNA LEGGE OUADRO DI INIZIATIVA DELLE
REGIONI IN MATERIA DI FORMAZIONE DEL PERSONALE DEI SERVIZI SANITARI
Pubblichiamo,
per intero, gli elementi per una legge-quadro di iniziativa
delle Regioni in materia di formazione del personale dei servizi sanitari.
Sono elementi messi a punto in questo anno da un
comitato di esperti, nominato dagli assessori alla sanità e all'istruzione, a
seguito del convegno interregionale tenutosi a Perugia il 14-15/10/72, e che
ci paiono vadano conosciuti e meditati per le proposte che contengono: tra
queste una riaffermazione della piena competenza regionale in materia di
formazione del personale dei servizi sanitari; l'obiettivo di una nuova scuola
media superiore alla quale possa affiancarsi un secondo canale formativo,
quello regionale, strettamente raccordato con il mondo del lavoro in modo da assicurare
una circolarità tra formazione scolastica e formazione professionale, e da
creare, in un più stretto rapporto scuola-regione, le condizioni per avviare
concretamente la costruzione di un sistema di formazione permanente.
RELAZIONE
1. Conformemente all'incarico
demandatogli in occasione del Convegno interregionale di Perugia del 14-15
ottobre 1972, il gruppo di lavoro ha messo a punto
alcuni elementi per la discussione di una proposta di legge-quadro sulla formazione
del personale dei servizi sanitari.
2. Poiché la mozione conclusiva del
Convegno di Perugia recepiva il quadro problematico
offerto dal documento di base presentato per quel dibattito, il gruppo dà per
acquisite le coordinate politico-culturali del
problema. Pertanto gli elementi di riferimento su cui si basa il seguito del discorso sono:
- l'innalzamento
del livello minimo della formazione di base di tutto il personale;
- la distinzione tra il momento
culturale e il momento professionalizzante della preparazione che dà accesso
alle carriere sanitarie, così da consentire il passaggio da uno all'altro dei
vari orientamenti della scuola media superiore, l'acquisizione di un titolo di
studio di istruzione secondaria, e l'accesso all'università
(oltre che la necessaria base culturale per l'aggiornamento);
- la polivalenza della formazione
professionale, quale condizione indispensabile per semplificare e
possibilmente unificare i ruoli, per abolire le gerarchie, per la
qualificazione e la riqualificazione permanenti, sganciate dalla necessità di
rispettare profili professionali statici specie quando
questi non abbiano più nessun significato nella realtà operativa del momento.
3. Altri elementi strutturali delle
proposte che seguono si ritrovano:
- nella decisa riaffermazione della
piena competenza regionale in materia di formazione del personale dei servizi
sanitari, conformemente al dettato costituzionale e alla lettura dei decreti
delegati per l'assistenza sanitaria e per l'istruzione
professionale (l);
- nella definizione e delimitazione
precisa delle competenze assegnate al livello centrale dello Stato e alle
regioni, così da evitare da un lato (attraverso una contitolarità
dei poteri) la sopraffazione di fatto dell'autonomia regionale, e da consentire
dall'altro alle regioni di esercitare con pienezza la
potestà organizzatoria al loro interno e di
partecipare «alla pari» alla formazione delle decisioni legislative che riguardino
materie di competenza regionale.
4. Si ritiene che il provvedimento
da chiedere al Parlamento consiste in una legge-quadro
più che in una legge-quadro di riforma.
A parere del gruppo le questioni di fondo riguardanti
il ruolo del personale nei servizi sanitari come conseguenza della
riorganizzazione dei servizi sanitari stessi, e quelle concernenti la struttura
organizzativa dell'istruzione scolastica superiore, che stanno a monte delle
scelte specifiche in materia di formazione professionale, debbono trovare posto
nella legge-quadro di riforma sanitaria e nella legge (o nelle leggi) di
riforma della scuola. Quindi in questo discorso specifico non occorre, a
parere del gruppo, che vengano esplicitati i contenuti
specifici dell'una e dell'altra riforma, pur dovendo risultare i legami tra le
scelte proposte e i filoni che caratterizzano le rivendicazioni più
qualificanti che le Regioni avanzano in altre sedi a livello della sanità e
della scuola, per da,re coerenza a tali interventi legislativi.
In particolare per quanto riguarda
la riforma della scuola media superiore, il gruppo ritiene opportuna una
preliminare riconferma dell'orientamento emerso dal Convegno, soprattutto in presenza di un progetto, quale quello presentato in
questi giorni dal Governo, che lascia in vita tutti i diversi e separati
canali di istruzione previsti nell'attuale ordinamento scolastico dopo la
scuola media inferiore, limitandosi ad un semplice cambio di etichetta.
L'obiettivo di fondo da perseguire rimane una nuova scuola
media superiore articolata in un corso biennale ed in un successivo corso
triennale aventi carattere e strutture unitarie, non finalizzati alla
certificazione di abilità o di conoscenze professionali specifiche, e nella
quale il primo biennio costituisca il prolungamento della scuola dell'obbligo.
Una scuola, cioè, che non fornisca «prodotti finiti»
ed alla quale si affianchi un secondo canale formativo, quello regionale,
strettamente raccordato con il mondo del lavoro, in modo da assicurare un
elevato grado di circolarità tra formazione scolastica (generale) e formazione
extrascolastica (professionale) .
Gli studi secondari dovranno però offrire la possibilità di esperienze pre-professionali a vari livelli. Il problema del raccordo
tra formazione scolastica e formazione professionale
deve risolversi nell'ambito di uno stretto rapporto scuola-regione.
È in questo quadro di riforma che possono trovare risposte adeguate ed esaurienti le esigenze
prospettate al punto 2) per la formazione degli operatori socio-sanitari.
5. Una prima questione che si pone è
quella della estensione da dare al concetto di «servizio
sanitario», si tratta di stabilire se debba trattarsi solo delle prestazioni
tradizionalmente sanitarie o se non si debba affrontare anche la preparazione
del personale per quei servizi socioassistenziali che, sempre più numerosi,
vengono reclamati nelle varie fasi della difesa della salute; oppure, ancora
più estensivamente e in un quadro prospettico di sicurezza sociale, se non si debba
risolvere in un'unica problematica «sanitaria e sociale» la protezione del
cittadino dal bisogno, così da lavorare su una ipotesi di unificazione
operativa e di determinazione di un ruolo unico, se pure articolato, di
«operatori sociali».
Su questo aspetto
il gruppo propone di adottare un criterio non restrittivo ma neppure troppo
estensivo, che abbia come punto di riferimento il servizio sanitario e le sue
connessioni più immediate con quelle prestazioni socioassi-stenziali che
(specie nella fase dell'educazione sanitaria e in quella della riabilitazione)
sono inscindibili dall'intervento sanitario nel senso che la loro essenza ne
determina il fallimento.
6. Un altro problema che riguarda
ancora l'oggetto della legge è se si debba prendere
in considerazione tutto il personale dei servizi sanitari o soltanto il
personale non laureato.
Il gruppo non ha una
opinione al riguardo, e ritiene che la scelta debba essere demandata
agli assessori, limitandosi ad esprimere alcune considerazioni a favore dell'una
e dell'altra soluzione.
Milita a favore della scelta globale la considerazione che dal punto di vista del
servizio (e degli utenti) il campo degli operatori non può essere spaccato in
due sezioni corrispondenti al livello degli studi; esso infatti sotto certi
aspetti è unitario, e sotto altri si articola funzionalmente anche all'interno
di questi due gruppi.
Inoltre la regione non può
disinteressarsi della preparazione professionale dei medici e degli altri
laureati, se non si vuole che il dettato costituzionale divenga strumento per una definitiva sanzione della subalternità del ruolo dei
«non laureati» rispetto a quello dei laureati, nel momento in cui solo nei
confronti dei primi venisse ammessa la competenza regionale. Infine una netta separazione
normativa tra questi due settori si concilia male con l'esigenza
di assicurare la mobilità dei ruoli non salo orizzontalmente ma anche
verso l'alto.
Una scelta limitata al personale non
laureato potrebbe essere giustificata, per converso,
dal rischio che la globalità della disciplina legislativa possa perpetuare
l'egemonia del ruolo dei laureati rispetto agli altri, egemonia di cui è impregnata
tutta la realtà attuale e - quel che più conta - tutta la tradizione «culturale»
del nostro Paese.
Si potrebbe anche scegliere una
terza via, consistente nell'accettare l'unitarietà della problematica ma nel
rinviare la disciplina legislativa a due distinti provvedimenti. Va tenuto
presente per altro che la difficoltà dei rapporti attuali tra regioni ed
esecutivo centrale suggerisce di non spezzettare eccessivamente
l'incontro-scontro tra questi due livelli.
7. Partendo dal presupposto che
togliere è molto più facile che aggiungere, il gruppo prospetta una soluzione
che si muove nell'ipotesi di una scelta globale. In base a ciò, la legge-quadro dovrebbe fissare innanzi
tutto il principio che spettano alle regioni la formazione, il tirocinio
abilitante, la qualificazione, l'aggiornamento e la riqualificazione del
personale non laureato, nonché il tirocinio abilitante e l'aggiornamento del
personale laureato.
I termini usati precedentemente
esprimono concetti diversi: la formazione indica la preparazione precedente al
titolo di studio, il tirocinio abilitante è quello che consente l'accertamento
delle idoneità ad esercitare la professione, la qualificazione consiste
nell'acquisizione di capacità operative specifiche all'interno delle singole
professioni, l'aggiornamento non ha bisogno di spiegazioni, e la
riqualificazione è un intervento formativo per riconvertire un operatore da un
ruolo ad un altro.
Un problema aperto è se le regioni
debbano reclamare anche la competenza sulle specializzazioni del personale
laureato: da un punto di vista strettamente logico la cosa non farebbe una
grinza, tuttavia considerazioni realistiche potrebbero suggerire di rivendicare
per ora, in sede di riforma universitaria, il diritto alla programmazione dei
corsi di specializzazione lasciando all'università la competenza di organizzarli, salvo stabilire nel quadro delle convenzioni
con gli ospedali forme coordinate di gestione.
8. La legge-quadro dovrebbe poi
elencare in positivo le materie di attribuzione
statale indicando in prima approssimazione:
1) la formazione del personale
laureato;
2) la disciplina giuridica delle
professioni sanitarie;
3) la
determinazione dei requisiti per l'ammissione ai corsi di formazione
professionale del personale non laureato;
4) la determinazione dei relativi curricula;
5) la determinazione delle materie
fondamentali di insegnamento, sempre relativamente ai
corsi di cui al punto 3;
6) la determinazione della durata
del tirocinio e del livello standard di attività da
svolgere durante questa fase;
7) gli esami di idoneità
per l'esercizio delle professioni sanitarie.
Si dovrebbe stabilire che il
Parlamento, almeno per le materie di cui ai punti 2-3-4-5
e 6, dovrebbe legiferare sentito il consiglio sanitario nazionale, organo del
servizio sanitario nazionale.
In attesa della riforma, le
attribuzioni del consiglio sanitario nazionale potrebbero essere assolte da
un comitato costituito da 10 deputati, 10 senatori e 20 rappresentanti delle
regioni (il numero potrebbe essere raddoppiato così da lasciare spazio alle
minoranze regionali): il comitato potrebbe avere sede presso il Ministero alla
sanità e avvalersi dell'apparato tecnico amministrativo dello stesso.
Le funzioni di indirizzo
e coordinamento, quando non si esprimano con leggi della Repubblica,
dovrebbero essere esercitate dagli organi statali sentito il comitato di cui sopra.
Successivamente la legge-quadro dovrebbe
specificare la nuova normativa per ciascuna delle singole voci che sono
oggetto di riserva statale.
8.1. Formazione del
personale sanitario laureato.
La legge-quadro dovrebbe innanzi
tutto rinviare all'ordinamento degli studi universitari, prevedendo inoltre la
delega alle regioni delle funzioni relative al convenzionamento tra il servizio sanitario e le università
per quanto concerne l'utilizzazione dei complessi convenzionati ai fini della
formazione dei medici. Al riguardo, la legge-quadro dovrebbe fissare i seguenti
principi:
a) base «regionale» delle
convenzioni, con inclusione di tutte le istituzioni sanitarie pubbliche
riconosciute idonee alla formazione dei medici;
b) gestione «democratica» a livello
amministrativo e tecnico, con riguardo quindi anche alla definizione del modo
come utilizzare tutte le strutture sanitarie utili alla formazione dei medici;
c) inclusione nella programmazione
sanitaria regionale del presidi assistenziali ritenuti
funzionali alla formazione dei medici, con particolare riguardo al
numero e alla destinazione dei posti-letto.
Quanto sopra fa riferimento al
sistema sanitario vigente e quindi agli istituti giuridici sanciti nella legge
132, ma è recepibile nel nuovo sistema sanitario qualora dovesse
intervenire la riforma. Più in generale, per riprendere e sviluppare un tema
già affrontato in precedenza, questa legge non dovrà essere legata alla
riforma sanitaria nel senso che la riforma debba
esserne necessariamente la premessa; essa dovrebbe essere congegnata in tutte
le sue parti in modo da poter trovare applicazione fin d'ora, instaurando però
una normativa che non sia in contrasto con i principi della riforma sanitaria
ma che - al contrario - ne faciliti l'attuazione.
8.2. Disciplina
giuridica delle professioni sanitarie di livello non universitario.
Questa è la parte forse più delicata
di tutta la legge in quanto, al limite, il fatto stesso di prevedere una
disciplina giuridica per una professione rientra in una logica corporativa e
limita la capacità di adeguamento dei ruoli operativi
all'evolversi delle situazioni. D'altra parte, però, le società moderne non
hanno fatto tabula rasa del concetto di professione inteso in senso protezionistico,
per cui abolire la disciplina giuridica nel nostro
caso sarebbe una fuga in avanti del tutto velleitaria, e probabilmente errata:
infatti la tutela giuridica sul modo come vengono compiute attività sanitarie
che spesso sono anche paramediche (nel senso originario della parola)
rappresenta una garanzia che la società ha il diritto di pretendere.
Superato questo scoglio, si affaccia
un'altra questione sostanziale: quante professioni prevedere? Anche qui, al
limite, se si persegue l'obiettivo del «ruolo unico» si dovrebbe individuare
una sola professione, così come esiste una sola
professione medica (per lo meno in Italia, ché in altri Paesi la laurea in
medicina non è polivalente). Il gruppo, però, ritiene realistico porre come
obiettivo l'accorpamento di tutte le mansioni
prevedibili in quattro professioni:
a) personale di assistenza
sanitaria diretta (si potrebbe anche dire: personale infermieristico, qualora
si ritenga che tale parola abbia ormai acquisito un significato autonomo e non
sia più agganciata al concetto di «infermo») ;
b) personale dei servizi tecnici;
c) personale di assistenza
sociale, da cui si diversifica un ulteriore:
d) personale specializzato nelle terapie riabilitative e nelle funzioni di lungodegenza.
Una regolamentazione a parte,
definita con legge, dovrebbe determinare quali operazioni «paramediche» (2)
possono essere espletate nell'ambito di ciascuna delle
professioni disciplinate, allargandone il più possibile la gamma allo scopo di
abolire l'ausiliarietà di queste professioni nei confronti
della professione medica e consegnando inoltre agli operatori la piena
responsabilità di ciò che fanno.
Successivamente al titolo professionale, corsi
«qualificanti» istituiti con leggi regionali, dovrebbero permettere di
acquisire, dopo un periodo di servizio da stabilire, particolari qualifiche
che costituiscono titolo preferenziale (e non requisito) per l'accesso ai
posti corrispondenti, con validità estesa a tutto il territorio nazionale. Un
punto delicato è come impedire che l'acquisizione di queste qualifiche
rimbalzi sul trattamento economico riproducendo
sostanzialmente l'attuale ventaglio retributivo e vanificando di fatto il
principio del ruolo unico: il gruppo ritiene che l'inquadramento parametrale debba essere rigorosamente uniforme (ci si
riferisce ovviamente al personale che opera nei servizi sanitari pubblici) e
che in una prospettiva di eccedenza dell'offerta sulla domanda il fatto di
prevedere dei titoli preferenziali sia sufficiente a mettere in moto il
meccanismo della qualificazione. D'altra parte fin che la domanda eccede
l'offerta nessun sistema garantirà la qualificazione,
come dimostrano tutte le acrobazie che le amministrazioni ospedaliere sono
costrette a fare per assicurare comunque il personale accorrente.
Il gruppo ha discusso in particolare
se questo schema si adatti anche al caso delle
ostetrichelevatrici e a quello del personale addetto a funzioni didattiche,
concludendo affermativamente. Naturalmente questa normativa comporta l'abolizione
della distinzione tra «professioni sanitarie e ausiliarie» ed «arti ausiliarie
delle professioni sanitarie».
8. 3. Requisiti per
l'ammissione ai corsi.
Nessun problema particolare si pone
a questo riguardo, se non che in attesa della riforma
dell'istruzione secondaria si è indotti a prevedere, per le professioni di cui
alle lettere a), b) , e c) del punto precedente, una scolarità base di 10 anni,
mentre per il personale specializzato dei servizi di riabilitazione il gruppo
concorda sul requisito della licenza di scuola media superiore (o diploma
equipollente).
Non dovrà essere previsto nessun
limite massimo di età.
8.4. Curriculum.
La legge-quadro dovrebbe, in ogni
caso, prevedere per il personale di assistenza
sanitaria diretta, per quello dei servizi tecnici e per il personale di
assistenza sociale corsi di durata triennale.
Triennali, ma successivi al compimento del ciclo
degli studi medi-superiori, dovrebbero essere anche i
corsi per il personale specializzato nelle terapie riabilitative salvo che non
si tratti di persone già diplomate in uno dei corsi sopra previsti, nel qual
caso il curriculum potrebbe essere biennale.
Più in generale, la legge-quadro
dovrebbe prevedere le condizioni atte a favorire l'accesso a tutti questi
corsi da parte di studenti provenienti da altri indirizzi formativi
(riconoscimento dei curricula già effettuati, previ eventuali esami o altri accertamenti integrativi per
le materie non comprese nei curricula di provenienza,
etc.).
Il punto centrale del discorso è
come saldare il momento culturale con quello
professionalizzante. Il gruppo propone due soluzioni:
a) alla fine del corso viene sostenuto un esame di stato per l'accertamento della
formazione culturale, avente tutti gli effetti giuridici della licenza di
scuola media superiore;
b) l'esame finale, abilitante alla
professione, ha il valore anche di licenza di scuola media superiore, con
tutti gli effetti di cui sopra.
La distinzione tra queste due
soluzioni verrà precisata al punto seguente. Interessa
qui mettere in rilievo come la scelta che il gruppo propone sia quella di una «coabitazione» tra formazione culturale,
gestita nell'ambito dell'amministrazione scolastica, e formazione professionale,
gestita nell'ambito dell'amministrazione sanitaria. Anche questo punto risulterà più chiaro dal seguito del testo.
8.5. Determinazione
delle materie fondamentali di insegnamento.
La terminologia «materie
fondamentali» essendo alquanto equivoca, occorre adottare un criterio
oggettivo se non si vuole rischiare di ridurre al minimo l'ambito della
legislazione regionale di dettaglio.
Il gruppo propone che la
legge-quadro definisca come «fondamentali» da un lato le materie a contenuto
culturale accorrenti perché la preparazione scolastica possa concludersi con un esame che faccia conseguire la licenza di
scuola media superiore (per es.: italiano, storia,
geografia, lingue estere, matematica etc.). e dall'altro
quelle che contengano le «istituzioni» (o fondamenti) per l'apprendi mento
delle nozioni occorrenti alle specifiche professioni (es.:
biologia, fisica, chimica, anatomia e fisiologia, biochimica, patologia e
cliniche generali, igiene e microbiologia, diritto sanitario etc.) . La legge-quadro
dovrebbe fissare il rapporto numerico tra le ore dedicate alle materie
«fondamentali» e il totale delle are di insegnamento
(teorico e pratico) .
Questo criterio salvaguarda la
possibilità che le regioni articolino la parte
restante dell'insegnamento con piena autonomia.
Un altro criterio potrebbe essere
quello di determinare con legge-quadro tutte le
materie, specificando poi i programmi per le sole fondamentali. Ciò
risponderebbe ad un'eventuale obiezione per cui con
il primo criterio non si assicurerebbe uniformità di preparazione in tutto il
territorio della Repubblica. Tutto considerato, però,
la prima soluzione appare più soddisfacente anche dal punto di vista degli
interessi generali, data la maggiore elasticità e tempestività della
legislazione regionale nei confronti di quella statale.
8.6. Durata del
tirocinio abilitante.
Questo è un altro punto centrale di
tutto il discorso. La questione a mante è se, una volta ammesso il principio
che ci deve essere un accertamento «pubblico» in
merito alla capacità di esercitare una professione sanitaria (a livello di
laurea universitaria e non), tale accertamento debba consistere in un esame o
in una valutazione più complessa.
Il gruppo opta
per questa seconda soluzione, e indica nel tirocinio «abilitante» il metodo attualmente
più idoneo allo scopo, e nella regione l'istituzione cui legittimamente spetta
gestire questa importante funzione, nell'ambito di una legislazione statale di
principio che determini innanzi tutto la durata del tirocinio ed inoltre alcune
modalità di esso, come per esempio: sua ripartizione nei servizi sanitari ospedalieri
ed extra-ospedalieri, orario di lavoro, assegno (da porsi a carico del bilancio
dello Stato); ciò mentre spetta alle regioni determinare le sedi idonee nonché
il numero dei posti disponibili in ciascuna sede, in rapporto con le piante
organiche del personale (i posti per il tirocinio debbono essere ovviamente in
aggiunta rispetto ai fabbisogni assistenziali), le rotazioni nei singoli
servizi, e l'assegnazione di prestazioni inerenti al diritto allo studio (pasti
e trasporti gratuiti, buoni-libro etc.).
Ciò premesso, il punto è se tale
tirocinio abilitante debba precedere o seguire il
conseguimento del diploma scolastico; attualmente, come è noto, il tirocinio
per i medici è successivo alla laurea e la legge ospedaliera lo prolunga oltre
i limiti finora stabiliti. Il che sta suscitando reazioni tra gli studenti ed
i laureati, perché di fatto il corso di medicina è
stato portato a 7 anni.
L'assegnazione di un compenso entro
limiti minimi e massimi parametrati sul trattamento
economico base sancito nei vari contratti di lavoro
dovrebbe allontanare, se non eliminare, le preoccupazioni di ordine economico,
per cui il gruppo opta per un tirocinio abilitante successivo al corso degli
studi a condizione che vengano assicurati sia l'assegno che le altre prestazioni
assistenziali di pertinenza regionale.
Questa soluzione ha il vantaggio di
separare nettamente la gestione statale, che si conclude
con l'esame di licenza di scuola superiore, dalla gestione regionale che
provvede all'accerta merito dell'idoneità all'esercizio professionale, il che
potrebbe agganciarsi ad un momento successivo attraverso l'inclusione diretta
in ruoli regionali e la conseguente semplificazione delle procedure
concorsuali.
8.7. Abilitazione
all'esercizio professionale
Nell'ipotesi di una gestione
distinta del momento professionalizzante rispetto a quello
culturale, lo Stato dovrebbe ugualmente riservarsi il rilascio
dell'autorizzazione all'esercizio professionale così da garantire le esigenze
di unitarietà per ciò che è di sua specifica competenza. Naturalmente
l'esistenza del tirocinio abilitante deve determinare
modalità particolari di accertamento, che non può consistere nell'esame
tradizionale ma deve prendere in considerazione le relazioni di valutazione
dell'attività svolta in precedenza.
Da quanto precede risulta
pienamente giustificata la delega alle regioni delle funzioni statali in
materia.
9. La parte finale della legge, infine, dovrebbe contenere i
principi per la legiferazione regionale.
9.1. Dovrebbe essere ribadito innanzi tutto il meccanismo costituzionale di
esercizio delle funzioni amministrative, come risulta dall'articolo 118, ma
anche come discende dalle modalità organizzatorie
sancite nei singoli statuti regionali: in sintesi la legge potrebbe limitarsi
ad affermare che le regioni esercitano le loro funzioni delegandole di norma
agli enti locali o affidandole ad enti da esse istituiti, l'esercizio diretto
(e quindi l'amministrazione attiva) essendo l'eccezione.
Nell'un caso e nell'altro dovrebbe risultare che spetta a tali enti curare l'organizzazione dei
corsi e delle altre iniziative formative e vigilare sul loro andamento nonché,
nel caso di enti locali «delegatari», rilasciare le
autorizzazioni all'esecuzione delle singole iniziative sulla base di piani pluriannuali adottati dai consigli regionali; la regione
dovrebbe riservarsi l'autorizzazione allo svolgimento del tirocinio per il
personale medico, in quanto questo tipo di programmazione si esaurisce
difficilmente in un ambito territoriale definito, ma investe in misura
considerevole strutture sanitarie a territorialità regionale.
9.2. Finora si tratta di funzioni
«amministrative» che non investono ancora il moda
come attuare i corsi. Premesso che la legge dovrebbe parlare di corsi e non di
scuole, onde evitare la creazione di strutture permanenti le quali - una volta
istituite - continuerebbero a produrre personale secondo il loro clichè, anche
quando non ve ne fosse più bisogno, si pane la
necessità di definire le scelte riguardo alle sedi formative.
Il gruppo propone al riguardo una soluzione articolata che presenta praticamente due
alternative:
- istituti scolastici di istruzione superiore;
- sedi formative appositamente
costituite.
Insomma, le regioni (o gli enti
delegati) possono rilasciare le autorizzazioni a scuole secondarie statali
oppure a istituti regionali, ai quali la legge-quadro
conferisce automaticamente la parificazione con gli istituti statali di
istruzione superiore.
In ogni caso la legge regionale
determina i programmi di insegnamento, le ore
riservate a ciascuna materia e quelle di applicazione pratica, fissando
altresì i requisiti che debbono essere posseduti dalle istituzioni sanitarie
presso le quali è svolta la parte pratica dell'insegnamento: ritorna qui il
concetto della «coabitazione» prima specificato, nel senso che la parte
culturale ed istituzionale richiede un ambiente scolastico, e quella
professionalizzante un ambiente dove si svolgano attività sanitarie.
Ovviamente le sedi formative appositamente costituite potrebbero anche coincidere con quegli
enti ai quali
9.3. In questo quadro di ampia discrezionalità di scelte da parte delle Regioni,
si potrebbe ammettere che la legge sia più rigida per i corsi di formazione
del personale terapista della riabilitazione, specificando che le relative
autorizzazioni siano rilasciate preferenzialmente
(anche se non esclusivamente) agli ospedali che hanno convenzioni con le
università, e ciò perché a questo punto (dato che siamo a un livello successivo
alla scuola secondaria superiore) il momento professionalizzante prevale
nettamente su quello culturale generale.
In ogni caso la legge regionale
dovrebbe fissare, al solito, i programmi di insegnamento,
il numero delle ore per materia, le modalità di apprendimento pratico, etc.
9.4. Sempre alla legge regionale
dovrebbe essere affidata la determinazione dei requisiti per l'autorizzazione
allo svolgimento del tirocinio abilitante, con riferimento alla capienza delle
istituzioni autorizzate, alla loro dotazione in personale
e in attrezzature tecniche e didattiche, etc.
9.5. Con legge regionale dovrebbero
essere istituiti quei corsi di qualificazione per particolari mansioni
all'interno delle singole professioni, ai quali si faceva
riferimento in precedenza.
9.6. Sempre la legge regionale
dovrebbe determinare infine le condizioni per l'esercizio effettivo del
«diritto» all'aggiornamento e alla riqualificazione del personale in servizio:
comando o distacco, riduzione dell'orario di lavoro, permessi straordinari
retribuiti etc. Queste iniziative formative
dovrebbero essere autorizzate, e l'autorizzazione data di preferenza alle
strutture sanitarie pubbliche, sulla base dei programmi annuali adottati dai
consigli regionali.
9.7. Alla legge regionale dovrà
essere rinviata la determinazione delle modalità di gestione partecipata dei
corsi, allo scopo di assicurare la presenza degli allievi nelle varie fasi di formazione delle decisioni in ordine alle organizzazioni e alla
attuazione delle iniziative formative.
9.8. Piena autonomia dovrebbe essere
lasciata alle regioni nella determinazione delle modalità
di finanziamento dei corsi, la legge-quadro limitandosi ad ammettere in linea
di principio che possano essere istituiti appositi fondi sanitari con
contribuzione obbligatoria degli enti che utilizzano il personale sanitario.
9.9. Infine la legge-quadro dovrebbe
prevedere l'istituzione su base regionale di organismi
misti, composti da rappresentanti della regione e dal corrispondente organo
periferico del ministero della pubblica istruzione per la determinazione dei
provvedimenti che incidono sulle rispettive amministrazioni, indicando con
precisione poteri e modi di funzionamento; ciò perché nei casi in cui le sedi
formative siano individuate presso istituti statali di istruzione superiore,
dovrebbero spettare all'amministrazione scolastica le spese per quanto è di sua
competenza istituzionale.
(1) Tale
riaffermazione dovrebbe avere un supporto legislativo che la renda
inequivocabile e pienamente operante prima ancora della adozione della
legge-quadro sulle professioni. A tale scapo il gruppo propone una immediata iniziativa delle regioni che porti, prima
dell'inizio dell'anno scolastico 1973/74, al varo di un provvedimento di legge
che sancisca:
a) La competenza
esclusiva delle Regioni al rilascio ed alla revoca delle autorizzazioni di
funzionamento per scuole e corsi previsti dalla legislazione vigente per il
conseguimento della abilitazione alle «professioni
sanitarie ausiliarie ed alle arti ausiliarie delle professioni sanitarie»;
b)
La potestà delle Regioni a disciplinare l'ordinamento interno di tali scuole e
corsi ed a determinarne gli indirizzi didattici, nell'ambito dei programmi
ministeriali;
c)
La competenza legislativa delle Regioni a determinare le modalità per la
promozione sul lavoro a qualifiche superiori a quelle possedute dal personale in
servizio, salvo accertamento dell'idoneità conseguita, attraverso i normali
sistemi di Stato previsti dalla legge per le corrispondenti qualifiche. (In questo modo si porrebbe fine alla ricorrente
legislazione statale di «sanatoria» e si creerebbero le condizioni per avviare
concretamente la costruzione di un sistema di formazione permanente).
(2) Poiché il termine
«paramedico» può ingenerare equivoci, si intende per operazione paramedica, in
prima approssimazione, quella che viene espletata da personale non laureato,
sull'organismo umano a scopo diagnostico, curativo o correttivo, nonché sul
materiale biologico o che porta alla fabbricazione di manufatti protesici e
correttivi in genere.
www.fondazionepromozionesociale.it