Prospettive assistenziali, n. 24, ottobre-dicembre 1973

 

 

LIBRI

 

 

E. GERMANO, E. TAUBER, A. SANSA, V. VITRÒ, L'adozione speciale nei suoi aspetti medico­psico-sociali e giuridici, U.T.E.T., Torino, 1971, pag. 286, L. 5.000.

 

Si sa che i magistrati, spesso chiusi nella tor­re di avorio della loro preparazione giuridica, mol­te volte ignorano o conoscono solo grossolana­mente gli aspetti psico-sociali del problema del­la giustizia: le loro sentenze ne sono una prova eloquente, sia nel campo degli adulti che in quel­lo dei minori.

Giustamente pertanto il libro dell'U.T.E.T. con­tiene una premessa medico-psico-sociale intro­duttiva ai problemi giuridici dell'adozione.

È su questa premessa (di ben 138 pagine - la metà del libro) su cui ci preme soffermare e at­tirare l'attenzione del lettore, perché sulla parte giuridica non abbiamo rilievi sostanziali da fare.

Ma numerose e gravi sono le perplessità che suscita la parte medico-psico-pedagogica curata da E. Tauber. Innanzi tutto il problema dell'infan­zia abbandonata resta avulso da cause socio-po­litiche. Infatti l'esposizione dell'infante e l'ab­bandono del minore sono definiti «sistema, anti­co quanto la società, usato da quelle madri che, ritenendosi costrette a disfarsi del figlio e inca­paci di assumersi il peso morale di un omicidio o nella speranza di offrirgli una estrema chance di sopravvivenza, lo affidano al fato». Mentre studi etnologici, in particolare quelli condotti da M. Mead, hanno sfatato la comoda (soprattutto sul piano politico) affermazione che vorrebbe far risalire esclusivamente all'uomo, e non princi­palmente al sistema sociale, i mali della società, qui si è ancora alla ricerca di una chiave fatali­stica.

Con tale impostazione non vi è da stupirsi che il Tauber arrivi ad affermare che i bambini «cui nulla manca per essere definiti in abbandono» siano addirittura «legioni» (pag. 10) e che pro­ponga, per prevenire l'abbandono, non una diver­sa politica sociale, ma solo il potenziamento e perfezionamento dei servizi di assistenza alle gestanti e madri nubili. Servizi che dovrebbero provvedere «non solo e non tanto ad un ricovero della gestante (...) , quanto a fornire ad essa le informazioni ed il sostegno socio-assistenziali necessari perché possa, con serenità ed in piena conoscenza di causa, prendere la decisione più valida riguardo al riconoscimento o meno del na­scituro».

Se riconosciamo che in alcuni casi questo in­tervento di chiarificazione possa anche essere necessario, è ben evidente che i problemi di fon­do riguardano l'eliminazione della miseria eco­nomica e culturale, la creazione di servizi per l'infanzia, la disponibilità di case con basso af­fitto, idonee possibilità lavorative, ecc.

Di questo non si occupa il Tauber, a cui preme sottolineare «non appare azzardato affermare che nel genere umano l'abbandono della prole stia a significare che nei genitori sussiste un grave perturbamento dello psichismo, sia sul pia­no personale che su quello sociale» (pag. 31).

E come corollario ne vengono affermazioni si­gnificative di un indirizzo politico reazionario, co­me queste:

- Il bambino carenziato affettivamente «in politica sarà fatalmente un estremista (di destra o di sinistra che sia) dei peggiori, che vuole tutto e subito dalla società-madre che l'ha abbandona­to da piccolo» (pag. 21). (Lo stesso autore a pag. 131 si smentirà parzialmente quando sarà costretto a riconoscere che il ricovero in istitu­to può portare alla passività e alla mancanza di capacità critica) :

- «È fuori di dubbio che gli uomini coniugati che generano fuori del matrimonio siano in ge­nere almeno dei disadattati» (pag. 47) ;

- «Il discendente di un padre alcolizzato che violenta la figlia dodicenne, o quello del fratello e sorella montanari, abbruttiti dall'endogamia, dall'antica miseria o dalla solitudine, ci lascerà evidentemente più perplessi (per la sua adozio­ne) che non quello di fratello e sorella appena adolescenti, di cosiddetta buona famiglia, senza tare evidenziabili, che siano diventati occasional­mente amanti» (pag. 47) ;

- «è, in via di massima, assolutamente desi­derabile che la futura mamma (adottiva) rinun­ci al suo impiego, alla sua professione, per po­tersi dedicare adeguatamente al bambino» (pag. 64) ;

- «evidentemente la società si regge su principi etici generalmente validi» (pag. 79);

- «per socializzazione vogliamo intendere il condizionamento alla convivenza civile» (pag. 131).

Partendo da queste posizioni, in una visione conformistica della famiglia, è ovvia la richiesta che l'équipe addetta alla selezione dei candidati genitori adottivi conosca ai fini dell'esame della loro personalità anche «le opinioni che potran­no essere espresse (...) su argomenti disparati, dallo sport alla letteratura, dalla valutazione di fatti politici alle questioni religiose» (pag. 65).

E mentre scienziati moderni, suffragati da stu­di recenti (Graziosi, Tecce, Bovet) dichiarano la difficoltà di esprimere in modo generale il valore relativo della componente genetica e di quella ambientale, corroborando l'ipotesi che la coe­sistenza di individui decisamente diversi rappre­senti una condizione essenziale per la convi­venza e la sopravvivenza (Bovet), il Tauber fa un passo indietro ed arriva ad assurde conclu­sioni.

È contrario all'adozione in presenza di figli le­gittimi procreati (pag. 122), che colloca tra le adozioni difficili insieme a quelle interconfessio­nali, a quelle dei minori italiani all'estero (gli americani sono considerati aperti all'adozione di handicappati fisici, gli italiani no - pag. 120) e a quelle interrazziali.

Nei riguardi poi dell'adozione di bambini in­diani, coreani, ecc., il Tauber motiva la sua posi­zione con speciose argomentazioni biologiche: «singoli individui appartenenti ad una stessa specie (...), nell'ambito della riproduzione ses­suata nel regno animale, di regola si accoppia­no unicamente con individui appartenenti non solo alla stessa specie, ma alla stessa famiglia, sottofamiglia e varietà. È appunto questo com­portamento che mantiene indefinitamente, con le sue peculiari caratteristiche, ed una accanto all'altra, tante varietà che l'una dall'altra differi­scono di tanto poco» (pag. 125). Da cui è chia­ra la conclusione razzista: «È ipotizzabile che queste modalità biologiche e comportamentisti­che stiano, in campo umano alla radice di quella istintiva diffidenza che un gruppo omogeneo op­pone ad elementi estranei, dotati di caratteristi­che per qualche verso differenti» (pag. 125). Mentre proprio per l'esistenza di una vastissima variabilità genetica nelle popolazioni umane è auspicabile una società aperta.

Il Tauber è, in definitiva, non solo contrario al­le adozioni internazionali, ma anche ai matrimo­ni misti e agli stessi rapporti sessuali (o anche a rapporti sociali paritetici?) fra persone di raz­za diversa.

Per quanto concerne la selezione dei candidati genitori adottivi, l'abbinamento, la vigilanza dell'affidamento preadottivo, il Tauber porta avanti una impostazione tecnicistica, in cui il tecnico sa tutto, deve fare tutto e bambini e genitori adottivi sono semplici oggetti dell'intervento.

Il dominio del tecnico viene proposto in ogni fase, anche quando l'autore non riesce a indivi­duarne il ruolo come nel caso dell'abbinamento: «desidereremmo, a questo punto, fornire una li­sta il più possibile dettagliata dei criteri pratici a cui l'abbinamento dovrebbe informarsi, ma sia­mo spiacenti di non poterlo fare, perché non ve ne sono, né ve ne possono essere» (pag. 108).

Il Tauber, pur conoscendo solo per sentito dire l'esperienza portata avanti dall'Associazione na­zionale famiglie adottive sui gruppi di prepara­zione degli aspiranti adottanti, tenta di inficiarne la validità affermando che essi sono «gruppi evanescenti o comunque non istituzionalizzati, costituiti da persone sensibili ai problemi socia­li, senza essere in genere dei tecnici» (anche se poi è costretto a riconoscere che in ogni grup­po sono presenti - però su di un piano di pari­tà - due tecnici). Ma soprattutto il Tauber pen­sa che «non sia utile e accettabile applicare con­cetti politici a fatti che, per la natura della ma­teria e per le responsabilità che comportano, non possono prescindere da tecniche e da tecni­ci» (pag. 95-96), tentando di far credere che te­cnici e tecniche siano sempre neutrali e senza neppure tentare un'analisi più circostanziata della realtà sociale in cui oggi viene a porsi l'ado­zione.

In sostanza la lunga trattazione del Tauber, mentre non aggiunge nulla alla documentazione esistente in materia, è un pericoloso tentativo di strumentalizzare l'adozione a fini tecnocratici.

 

 

COMMISSIONE DIOCESANA PER LA PASTORALE DELL'ASSISTENZA DI TORINO, Nuove iniziati­ve assistenziali per bambini e adolescenti: l'af­fidamento familiare, la comunità-alloggio, il centro base, Ed. in proprio, Torino, 1973, pag. 31, L. 200.

 

In Italia, quando la famiglia non è in grado tem­poraneamente o definitivamente di dare al bam­bino l'affetto, la protezione e la sicurezza che gli sono indispensabili, la soluzione tradizionale di questo problema umano e sociale è stata finora l'istituto; negli ultimi anni è risultato sempre più evidente ed è stato denunciato all'opinione pub­blica che esso è uno strumento inadeguato e negativo.

Altre forme di intervento possono oggi essere:

1. l'affidamento familiare;

2. la comunità-alloggio;

3. il centro-base.

1. L'affidamento familiare consiste nell'inseri­re in una nuova famiglia il minore che presenta disadattamento psicologico, educativo o ambien­tale. La famiglia affidataria viene pagata per tale lavoro educativo. La durata dell'affidamento può essere temporanea o definitiva a seconda della possibilità del ritorno del bambino nella sua fa­miglia d'origine.

2. La comunità-alloggio è l'iniziativa per cui, in un alloggio, vivono in permanenza un gruppo di adolescenti o bambini, in numero da quattro a otto, e degli adulti (coniugi, educatori, religio­se o religiosi, ecc.) che si impegnano nella loro formazione. Nella comunità-alloggio i minori ri­mangono fino a quando sia possibile, a seconda dei casi, il ritorno nella famiglia d'origine, l'ado­zione, l'affidamento familiare a scopo educativo, o l'autonomo inserimento nella vita sociale.

3. Il centro-base è un servizio di pronto soc­corso di quartiere, per rispondere immediata­mente alle esigenze di quei minori, le cui fami­glie, ad esempio per una malattia, non possono più tenerli con sé. Il tempo di permanenza dei mi­nori al centro-base è limitato perché è previsto che tornino rapidamente nella loro famiglia. Quando ciò non è possibile il centro-base è un momento di inserimento temporaneo del minore in un ambiente educativo in attesa di una comu­nità-alloggio o una famiglia affidataria.

Consigliamo vivamente la lettura del libretto. Le copie (al prezzo di L. 200 caduna) possono essere richieste alla Commissione diocesana per la pastorale dell'assistenza, Via Vittorio Amedeo 16, Torino.

 

 

P. RONFANI - S. RIZZI, Genitori per decreto, Pan Editrice, Milano, pag. 191, L. 1.600.

 

Scritto allo scopo di divulgare i problemi ine­renti l'adozione speciale, il libro si presenta di facile lettura.

Parecchie sono però le lacune, le inesattezze e le deformazioni che non favoriscono certamen­te né l'informazione né la riflessione sui molte­plici problemi dell'adozione e dell'infanzia in si­tuazione di abbandono.

Fra le inesattezze maggiori vi sono quelle dei dati forniti:

- a pag. 59 viene affermato che «nel periodo 1951-1955 (di illegittimi) ne nacquero in Italia 28.143, mentre nel solo 1956 ne vennero alla luce 28.854». Ora i dati dell'ISTAT segnalano che gli illegittimi nati vivi sono stati 29.436 nel 1951; 29.041 nel 1952; 28.157 nel 1953; 27.901 nel 1954; 26.914 nel 1955 e cioè 141.449 nati nel periodo 1951-1955 contro la cifra fornita di 28.143. Non è pertanto nemmeno vero quanto affermato sem­pre a pag. 59 e cioè che vi sia stato un aumento degli illegittimi, mentre è vero proprio il contra­rio come confermato dai seguenti dati relativi ai nati vivi: 61.288 nel 1901; 53.304 nel 1931: 36.382 nel 1941; 29.436 nel 1951: 21.858 nel 1961 e 19.640 nel 1970 (ultimo anno di cui disponiamo dei dati ISTAT) ;

- a pag. 65 si riferisce che «negli anni 1958 e 1959, in cui si ebbe un numero elevato di ado­zioni (tradizionali) a favore di minori, nacquero in Italia 23 mila illegittimi». Per quanto concerne gli illegittimi nel 1958 ne sono nati 23.077 e 22.679 nel 1959: il numero complessivo per i due anni è pertanto di 45.756 e non di 23.000; in merito alle adozioni tradizionali, l'andamento è co­stante e i dati relativi al 1958 e al 1959 non indi­cano nulla di particolare. Infatti esse sono state:

 

Adozioni           Anno                Adozioni           Anno

1360            nel  1950                 2001          nel  1958

1291              »   1951                 2151            »   1959

1496              »   1952                 1977            »   1960

1630              »   1953                 1985            »   1961

1918              »   1954                 1917            »   1962

1619              »   1955                 2118            »   1963

1765              »   1956                 2234            »   1964

1825              »   1957                 2170            »   1965

                                                  2301            »   1966

 

Questa documentazione inesatta, generando confusione sul problema della adozione in gene­re, snatura le finalità dell'adozione speciale. L'in­chiesta non potrà favorire «la riflessione sui pro­blemi del nostro tempo» se porta testimonianze di magistrati senza tenere conto di testimonian­ze opposte. Infatti a pag. 47 si afferma che «men­tre la dottrina era ancora orientata sul carattere negoziale dell'istituto e sull'interesse dell'adot­tante», c'era però una giurisprudenza più sensibi­le che «cercava di applicare l'istituto al di là dei limiti imposti dalla legge». A questo propo­sito gli autori citano la Corte di appello di Firenze che concesse nel 1952 l'adozione ad una donna che aveva meno di 40 anni (1), senza te­ner conto che questa sentenza era fatta più nell'interesse dell'adottante che dell'adottato.

Mentre nulla viene riferito dagli autori sulle sentenze che negano ogni tutela dell'adottato, come ad esempio quella paurosamente arretrata del tribunale di Lecce del 30 ottobre 1957 che stabiliva essere causa di nullità dell'adozione la mancanza di assenso da parte del genitore na­turale dell'adottando, anche quando la filiazione naturale era stata riconosciuta o dichiarata dopo il provvedimento di adozione!

Altre inesattezze riguardano l'iter parlamenta­re della proposta di legge Dal Canton, la durata dell'affidamento preadottivo, il caso Novack, la legge istitutiva dei tribunali per i minorenni, le funzioni dei giudici tutelari, l'ammontare delle rette giornaliere dei minori istituzionalizzati, le vicende dei Celestini di Prato e di Grottaferrata, le leggi relative all'assistenza, il servizio di affi­damento familiare della Provincia di Torino, ecc. Se il taglio giornalistico avrà portato ad una facilità di lettura quella che era una ricerca so­ciologica del diritto di famiglia, non ha certo contribuito a dare dell'adozione un concetto più moderno. Infatti a pag. 136 gli autori indicano la procreatrice come la «madre vera» e a pag. 191 affermano che «la natura vuole che il figlio ven­ga allevato dalla madre». Con tali affermazioni risulta evidente che gli autori hanno dell'adozio­ne un concetto arcaico, già fatto proprio dagli antichi romani adoptio naturam imitatur.

Infine sottolineiamo che nello stesso capitolo viene trattato il lavoro svolto per l'applicazione della legge sull'adozione speciale dall'Associa­zione nazionale famiglie adottive e affidatarie e quello fatto dalla polizia femminile.

Speriamo che questo accostamento sia stato fatto solo per mancanza di informazione (è noto che l'ANFAA rifiuta ogni funzione poliziesca nei riguardi di qualsiasi intervento riguardante l'in­fanzia in situazione di abbandono) e che non in­generi confusioni ai lettori.

La stessa disinformazione porta gli autori a pag. 127 e 128 ad attribuire all'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e per la lotta contro l'emarginazione sociale, posizioni contro cui essa si è sempre battuta (ad esempio la creazione di ospizi per vecchi!).

 

 

PUBBLICAZIONI DEL CENTRO DI DOCUMENTA­ZIONE DI PISTOIA

 

È possibile una vera comunicazione alternati­va all'informazione ufficiale? La preoccupazione che un certo linguaggio, usato soprattutto nei li­bri di testo della nostra scuola, faccia correre ai giovani il pericolo che la loro capacità dialettica ne risulti compromessa o distrutta, ha spinto pe­dagogisti, maestri, studenti ad una impresa co­mune, dove in un rapporto di dialogo non autori­tario, si ritrovino insegnanti e studenti. Con que­sto obiettivo sono usciti:

- Il primo numero dei Quaderni per la scuola dell'obbligo: Magliana rossa, fatto dai ragazzi del doposcuola della Magliana di Roma L. 300.

- Idac documenti n. 1; Coscientizzazione e rivoluzione. Una intervista con Paulo Freire. Il centro di Ginevra è sorto per coordinare le atti­vità legate al lavoro dell'educatore brasiliano. Abbonamento annuo a 6 documenti dell'Istituto L. 1.000; ogni documento L. 200.

- Una rivista sulla scuola dal titolo Scuola documenti n. 1 che tratta i seguenti temi: La scuola dell'obbligo dopo Barbiana; esperienze di base: la Casella, lotta nella scuola e nel quartie­re; documenti: il metalmeccanico e la scuola, il consiglio di zona del Tiburtino. (Lire 400).

- La scuola domenicale. Servizio istruzione ed educazione della federazione delle chiese evangeliche in Italia. (L. 500 al volume). Docu­menti di esperienza di vita comunitaria e di stu­dio; schede di nuove pubblicazioni di pedagogia, psicologia, teologia; Inviti alla ricerca e alla li­bera espressione sul tema del Vangelo.

 

 

B. GUIDETTI SERRA e F. SANTANERA, Il Paese dei celestini, Istituti di assistenza sotto pro­cesso, Einaudi, Serie politica 36, 1973, pag. 278, L. 2000.

 

Il «Paese dei Celestini» di Bianca Guidetti Serra e Francesco Santanera che da anni si in­teressano dei problemi dell'infanzia disadattata ed esclusa ci porta in un mondo ignorato da molti membri della «Società del benessere».

«I Celestini - dice l'introduzione del libro -, sono i figli diseredati della nostra Società, nati nelle classi povere o poverissime, soli per la mor­te precoce dei genitori o perché non li hanno co­nosciuti, soli per l'asocialità degli stessi, asocia­lità discendente a sua volta da una eredità di manifestazioni patologiche non prevenute e non curate, da una ignoranza non corretta da una scuola formatrice e uguale per tutti...».

Che cosa fa questa nostra società per ovvia­re, dicono sempre gli autori, a questo «scanda­lo» che i Celestini esistano e che se ne creino di continuo?

«Una società come la nostra, che si vuole ri­spettosa dei diritti della persona, rifiuta, è ovvio, l'eliminazione diretta come avveniva in culture passate. Ma le soluzioni sono spesso solo in ap­parenza meno crudeli; tra queste la più frequen­te è quella del “collegio” o “istituto”. Si riuni­scono, cioè, in una collettività chiusa, quasi di necessità a regime autoritario, numerosi, anzi per lo più numerosissimi fanciulli, che nessuno vuole perché portatori di un handicap fisico, psi­chico o sociale».

Il libro, tutto basato su documenti e dettaglia­te testimonianze ci pone di fronte alla realtà di fanciulli «bisognosi ed inermi» che sono ogget­to di speculazione per i loro tutori, mezzo per truffare il prossimo, fonte di un certo potere.

Si guadagna sulle loro rette e malattie, su pre­senze inesistenti e si inganna il generoso sotto­scrittore con collette che servono principalmen­te a chi le ha istituite. Questi fanciulli spesso malnutriti sono a volte picchiati, umiliati, spinti dalla necessità alla menzogna e alla delazione dei propri compagni, col risultato di un avvili­mento durevole della loro personalità.

Il comportamento di certi «imprenditori» che hanno ricevuto dalle autorità il permesso a gesti­re istituti dai nomi celestiali inneggianti alla ca­rità e all'amore del prossimo, sembra talvolta azione compensativa di un sistema nevrotico ma­lato e l'aggressività verso le piccole vittime uno sfogo personale a smanie persecutrici. Insieme ai maltrattamenti fisici e alle condizioni antigie­niche di vita, questi operatori sociali offrono, a ragazzi più di altri bisognosi di una chiara forma­zione morale, pratiche religiose medievali e ge­neralmente un modello pedagogico basato sulla violenza e la sopraffazione.

Le leggi e le disposizioni esistenti in materia sono, in questo mondo dei «Celestini», spesso violate o rese inoperanti da pusillanimi e pavidi funzionari preposti all'ispezione che non hanno il coraggio di denunciare gli abusi o di andare a fondo dei problemi.

«Il perché della nostra raccolta, dicono gli autori, sta nella volontà di contribuire, a mezzo dell'informazione, a che tutto ciò muti».

Si rivolgono quindi ai lettori coscienti dell'im­portanza di una pubblica opinione che attraverso l'informazione documentata diventi consapevole del reale problema dell'infanzia abbandonata ed esclusa, al di fuori delle motivazioni puramente emozionali facili e passeggere.

«È il sistema che non deve consentire attività a danno di fanciulli bisognosi ed inermi».

La raccolta di queste testimonianze «non vuol essere un museo degli orrori, ma dimostrare in quante e quali deformazioni possa involversi il metodo, già di per sé negativo, dell'istituto». Ma siamo pur tuttavia presi dall'angoscia davan­ti a tanti episodi ingiusti e crudeli.

Questo vale anche per quegli istituti correzio­nali dove gli internati non ricevono educazione e preparazione al lavoro, ma solo repressione. I ragazzi di tutte queste «case» «privati delle esperienze più naturali, estraniati dai problemi reali, inseriti in una comunità artificiosa» usci­ranno portando «in modo indelebile il segno di questa loro esperienza».

La conclusione, non espressa dagli autori che si limitano sempre a presentarci dei fatti (sen­tenze raccolte, procedimenti giudiziari, istrutto­rie, in una raccolta che è ancora incompleta), ci sembra chiaramente la seguente: che gli ospiti di queste istituzioni ben difficilmente potranno realizzare se stessi.

E come potranno diventare dei genitori capaci di rompere coi modelli di cultura che li hanno condizionati e aprire nuove possibilità per i loro figli? Difficilmente diventeranno membri norma­li di una società civile, più fatalmente passeran­no ad essere clienti dei tribunali minorili e poi degli altri con reati che scandalizzeranno e preoc­cuperanno i benpensanti.

MIRIAM MONTALENTI

 

 

 

(1) Si osservi che il tribunale di Cuneo stabiliva il 30 luglio 1957 che il difetto dell'età «è causa di nullità assoluta dell'adozione». Non vi era pertanto, nemmeno per l'età, un orientamento sensibile della giurisprudenza.

 

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