Prospettive assistenziali, n. 24, ottobre-dicembre 1973

 

 

NON SIAMO I SOLI A DIRLO

 

 

RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI DI INVALIDI

 

Su questa rivista abbiamo più volte denunciato il ruolo delle associa­zioni di invalidi come schema categorizzante e quindi di discriminazione, delle strutture assistenziali; inoltre l'incapacità di controllo da parte della base sull'operato dei loro dirigenti. Lo stesso argomento è ora più ampia­mente analizzato in un articolo di cui riportiamo alcuni passi:

 

«Un'altra forma anomala di partecipazione è quella rappresentata, al­meno nella massima parte, dalle associazioni di determinate categorie as­sistenziali. Innanzitutto esse ripetono nel loro configurarsi lo stesso sche­ma categorizzante e discriminante delle strutture assistenziali, assumendo come titolo di affiliazione alla “categoria” un handicap fisico, sensoriale o psichico, proponendosi ciascuna per suo conto come “aristocrazia” de­gli assistibili, attribuendosi con veemenza il diritto ad un trattamento diffe­renziato e totale: un recente documento stilato dalle associazioni nazionali di invalidi rappresenta un esempio eloquente di questo atteggiamento.

Va ancora aggiunto che molte di queste associazioni non rappresenta­no altro, per la incapacità di controllo della base sui gruppi dirigenti e per la stessa estrazione dei dirigenti (imprestati alla categoria dal mondo po­litico o da quello accademico e da quello finanziario), che la cattura, in chia­ve clientelare, di un gruppo di persone deboli politicamente e socialmente, come singoli, ma non tanto da non poter ricompensare politicamente (se abilmente aggregati in categoria e manipolati) chi si assume il compito di agire per loro».

 

da M. SCARCELLA e E. SGROI, Partecipazione, apatia e conflitto nei rapporti fra cittadini­-utenti e istituzioni assistenziali, in Neuropsichiatria infantile, 143, aprile 1973, pagg. 287 e 288.

 

 

PERCHÉ RISTRUTTURARE LA MEDICINA SCOLASTICA

 

Il problema di una efficiente ristrutturazione del servizio di medicina scolastica ha polarizzato ultimamente l'attenzione di vari Enti locali che si sentono impegnati anche nell'ambito della futura riforma sanitaria con le sue unità sanitarie locali. Mentre alcuni Comuni possono già vantare un servizio anche se in via di sviluppo che, per le strutture esistenti permette di proseguire validamente, molti altri invece sono solo all1nizio di un tale servizio medico.

L'articolo 1 del D.P.R. 14-1-72 ha trasferito alle Regioni l'esercizio del­le funzioni amministrative già esercitate da tutti gli organi centrali e peri­ferici dello Stato in materia di medicina scolastica: è perciò di competen­za primaria con potestà normativa degli Enti locali la gestione e il coordina­mento di tale servizio, al fine di risolvere in primo luogo il grave problema degli handicappati.

Essendo la composizione sociale degli alunni di provenienza preva­lentemente operaia, si riconferma ulteriormente, per quanto riguarda il di­sadattato, il carattere discriminatorio della scuola che viene camuffato sot­to giustificazioni pseudo-scientifiche con la conseguente cristallizzazione delle problematiche infantili. Si è cercato infatti di razionalizzare le con­traddizioni della scuola creando istituzioni particolari, che dovrebbero «spianare la via» all'handicappato ed al disadattato in modo unidireziona­le, sempre in un mondo di «attività speciali», fino ad un eventuale labora­torio protetto o allo sfruttamento lavorativo normale. Inoltre, mentre è da denunciare la continua proliferazione di ricoveri ed istituti per il minore, che di fatto mantengono tale esclusione soprattutto dei medio-gravi, si do­vrebbe pensare invece, di costruire classi speciali per essi nell'ambito del­la scuola normale, di modo che il rapporto bambino normale ed handicappa­to favorisca meglio quel tipo di socializzazione che per entrambi vuol dire conoscenza di se medesimi e di realtà diverse.

Perciò gli Enti locali, con la formazione di loro équipes medico-peda­gogiche in collaborazione con le direzioni didattiche, dovrebbero interveni­re nell'ambito della scuola stessa creando un servizio di medicina scolasti­ca gestito dall'Ente locale e nelle strutture territoriali programmato per di­ventare una articolazione per l'infanzia dell'unità locale dei servizi sanitari. D'altra parte, lavorare nella scuola dall'interno creando figure nuove con significati più vasti e profondi, non è sufficiente per modificare le ca­renti strutture esistenti, se non si pongono le basi per un intervento anche esterno, attraverso gli organismi rappresentativi delle forze popolari quali possono essere i comitati di quartiere, il sindacato, le forze politiche ed i genitori.

L'intervento a livello di quartiere deve essere stabilito in collaborazio­ne con la scuola e con gli organismi dell'Ente locale a ciò preposti, cercan­do di attuare il concetto di scuola di quartiere e favorendo e preparando gli operatori ad una maggiore conoscenza dei fattori ambientali extra-scolasti­ci e consentendo la possibilità di un collegamento fra il gruppo di lavoro di una zona e relativo comitato di quartiere. Inoltre il servizio di medicina scolastica non deve essere limitato alla scuola elementare, ma ampliato alla scuola materna ed alle scuole medie superiori ed inferiori, con i rela­tivi problemi connessi, abituando così, con visite periodiche lo studente a divenire un cittadino con una coscienza sanitaria tale che anche in futuro lo spinga a controlli che potranno allora, se appoggiati da strutture sani­tarie adeguate, costituire l'inizio di un vero e proprio discorso di medici­na sociale preventiva.

Le varie esperienze che sporadicamente sorgono in talune parti del nostro paese, possono servire a costruire finalmente, senza sovrapposizio­ni di modelli, un'assistenza che soprattutto in campo infantile tenga conto dell'ambiente reale in cui abitualmente vive fino all'età lavorativa il bambi­no, e cioè la scuola, la famiglia, l'ambiente sociale. Per questo la medicina scolastica oggi non può più essere vista in modo restrittivo senza tener conto delle nuove modalità di intervento sociale per cui, non potendo più essere costituita solamente da un medico scolastico, essa deve ampliare la presenza dei suoi tecnici, direttamente gestiti dal Comune - al quale devono rendere conto del loro operato - e controllati da appositi comitati di genitori e politico-sindacali.

Sulla base dei nuovi poteri delle Regioni in questo campo, sono perciò gli Enti locali chiamati a interessarsi direttamente per la creazione funzio­nale di tali servizi ed a gestire democraticamente i problemi della infanzia, in modo che se ne permetta un valido inserimento sociale senza esclusio­ne di sorta, superando quella dicotomia discriminatoria tra normale ed anor­male, palese formula di esclusione sociale, prassi di una certa ideologia efficentistica e reazionaria.

 

da I. ROSSI, in Potere locale, 5-6, 21 marzo 1973, pag. 16.

 

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