Prospettive
assistenziali, n. 24, ottobre-dicembre 1973
SPECCHIO NERO
INDIPENDENZA DEI MAGISTRATI
da Rassegna
dei magistrati, organo dell'Unione dei magistrati italiani, marzo 1973.
narrata
da NICCOLÒ GARAVENTA
«guida morale a questi cari figlioli
ch'io mano mano affido ai
diversi rami della Marina mercantile e della Marina Militare... curati ed
educati per condurli caritatevolmente con mano pietosa paterna sulla via di quelle virtù colle quali si forma
indiscutibilmente l'uomo degno di Dio, della Patria e fattore di civiltà...».
Poiché
si torna a parlare di sussidi alla Garaventa, pubblichiamo
qualche passo tratto dai fascicoli mensili scritti ed
editi dal fondatore della Nave-scuola, lasciando al
testo tutta la sua paradossale eloquenza che indicherà al lettore la pigrizia
culturale del Prof. Garaventa (1). Giudicherà così il lettore lo scandalo, che si continuino a concentrare
forti interessi su istituzioni non solo sorpassate per l'età, ma per il
progetto educativo che nulla ha a che fare con un atteggiamento critico della
società o con una formazione di responsabilità politica e civile nell'uomo, ma
solo con l'autorità e la disciplina esercitata in nome dell'amore.
«... I genitori considerino d'altra
parte che nel fanciullo l'impulso del bene e del male
non riesce mai equilibrato e poiché nei fanciulli il male tende anzi quasi sempre
a prendere il sopravvento...». «Essi, a frotte, li vedete
agglomerarsi sulla piazza, scorazzare le strade della città della nostra bella
Italia oggidì troppo, troppo gravemente infetta. Questa categoria di ragazzi
corrotti (!) è costituita nella sua grande maggioranza
da figli di famiglie del ceto medio e del ceto operaio... ». Il perché ce lo spiega subito questo pedagogo, antesignano di teorie
razziste: «dove c'è un padre che inveisce contro l'ordine e contro la legge e
contro tutti...» (pag. 6), «essi non sono dunque messi
alla luce in comodi e sani ambienti (pag. 8) né adagiati in soffici e tiepide
culle ornate di trine e di artistici ricami, non hanno succhiato un latte puro
(la mamma è scarna e dall'aspetto sofferente) ...». «Chi è quella donna
popolana all'aspetto, ma dal viso di strega che parla sommessa a quel ragazzo
che la fissa attentamente? E forse una madre? No è una megera...» (pag. 9). Più innanzi il Prof. Garaventa si chiede come mai questi fanciulli abbiano tutta
la solidarietà dei lavoratori del porto e poiché gli sfugge completamente l'analisi,
già in quel tempo iniziata, sulla società industriale risponde: «Mistero... lo
ho il solo scopo di considerare e di curarmi dei fanciulli
indipendentemente da impulsi di questo o quel partito...».
Così dopo «aver immerso le madri infami nel petrolio per darle al fuoco... dato i turpi
uomini in pascolo ai pesci» (pag. 20), ai «poveri infelici», così rimasti, il
buon Garaventa per la gloria di Dio e della Patria,
indica la via della redenzione sulla sua Nave-scuola.
C'è qualche nostalgico che vuole continuare ad educare ed assistere in questo
modo?
(1) Osserva giustamente A. Canevaro che siamo sì alla fine dell'ottocento - inizio
novecento, ma che nel campo dell'educazione c'è già stato Don Bosco, Montessori e Dewey: è già nato
il movimento di educazione attiva e già da tempo si è avviato un discorso sul
sottoproletariato urbano.
narrata da
NICOLÒ
GARAVENTA
Perché mi
sono deciso a scrivere e a pubblicare la storia dei miei Marinaretti.
Scrivendo ho pensato sovente ai dolori non pochi e non
lievi che la mia famiglia ha sofferto per me: rivolgo ad essa
le mie parole non per compensarla di quanto ha sofferto, ma per dirle la
santità del sofferto dolore.
Dalla storia che mi
accingo a pubblicare, si rileverà facilmente come dalla fondazione della mia Istituzione a tutt'oggi,
si succedette uno svolgimento vario di avvenimenti alla macchia, pei quali per
ogni dove, tra le popolazioni, specie oggigiorno, si è formato attorno alla mia
povera persona ed alla mia Istituzione una vera leggenda. Ed
infatti venne scritto in proposito su giornali d'ogni maniera, in libri
di sociologia, su riviste nostrane ed estere, travisando scopo e ordinamento,
attribuendo a me episodii, fatti, che mai si verificarono,
emanati solo dalla fervida fantasia degli autori, trasformando insomma in leggenda
la storia vera della redenzione dei miei figliuoli adottivi senza che alcuno
abbia mai trattato del mio sistema educativo ad essi da me applicato e nel
quale sistema appunto risiede la efficacia dell'opera mia.
Nell'esposizione di
cose e di fatti scriverò con scrupolosa verità e matematica esattezza senza
risparmiare nulla, nemmeno alla mia persona, circa gli errori da me commessi e
credo da me riconosciuti, rassegnato nei dolori che ne conseguirono.
La pubblicazione verrà fatta in fascicoli mensili ciascuno dei quali consterà
di diverse parti. La prima, fra queste, la più importante, sarà dedicata alla storia dei miei marinaretti.
La seconda parte sarà guida morale a questi cari figliuoli
ch'io man mano affido ai diversi rami della Marina Mercantile e della Marina
Militare, e in essa porrò a confronto la vita del mare nei tempi antichi, in
cui la navigazione a vela regnava sovrana, colla vita del mare nei tempi
moderni in cui alla vela venne sostituito il vapore, indicando i doveri che ad
essi incombono per rispetto al grado di cui saranno man mano investiti durante
la loro carriera marittima.
La terza parte sarà
una Rivista di cose diverse.
Le prime due parti
saranno trattate nella loro pretta verità con aneddoti interessanti accanto ai
quali sarà impressa la fotografia del luogo e dei personaggi relativi.
Nella prima parte
poi specialmente - riguardante lo storia dei miei marinaretti
- esporrò per ciascuno di essi il relativo romanzo
storico omettendo ogni qualsiasi dottrinario commento, perché il modo con cui
narrerò i fatti servirà esso stesso imparzialmente quale sano e savio
insegnamento a coloro che si son fatti maestri di
psicologia e di antropologia. E l'interessante ed attraente lettura riuscirà
di grande sollievo allo spirito degli uomini di cuore
retto, poiché nulla è più poetico, più affascinante che il dedurre dalle
miserie, dalle infamie, dalle vergogne cui è infetta l'umana società, quanto è
necessario per renderla migliore. Ed a raggiungere questo santo scopo, il
pensiero e l'azione d'ogni galantuomo deve essere principalmente rivolto a
salvare i fanciulli che, per una fra le tante ragioni
che nei singoli casi rileverò, sano nell'imminente pericolo, se non vi sono già
caduti, di precipitare nella loro morale rovina con grave danno e vergogna del
proprio Paese, a grave detrimento dell'Economia Nazionale, e non ostante la
civiltà di cui oggi giorno si mena tanto vanto. Ciascun galantuomo s'imponga adunque il dovere, ch'io ritengo
richiesto da Dio, di salvare un fanciullo strappandolo dall'immorale infezione
che è la corruzione, dal delitto che ne consegue, e quale metallo allo stato
naturale lo liberi da tutto quanto è eterogeneo all'anima sua, perché non la
deturpi e non la conduca così irremissibilmente alla
perdizione, ciò che equivarrebbe a perdere il genere umano.
I
piccoli traviati in città.
Tutte le storie
degli antichi tempi ci informano che tra i popoli
antichi le leggi ed i costumi si basavano esclusivamente sul principio della
forza fisica ed erano perciò spietatamente crudeli pei bambini pei quali era
sanzionata la loro esposizione non solo, ma anche la loro soppressione.
Sappiamo che in Roma
ed in Grecia tutto era concesso. Ai padri di famiglia era accordato il diritto
della vita e della morte sui figli. Erano permessi gli abbandoni, la vendita,
le esposizioni e persino autorizzati gli aborti e gli infanticidi. Gli Arabi a
loro volta trucidavano le bambine appena nate soltanto perché femmine. Ed i fanciulli nati deboli e deformi venivano dai Romani gettati
nel Tevere o nei campi a morire di fame, mentre nell'Egitto si esponevano i
fanciulli a morire sulle sponde del Nilo. Mai il grido di dolore di questi
innumerevoli infelici veniva raccolto, nessun soccorso
giungeva mai per sentimento di morale e di umanità; ma che! se
talvolta qualcuno salvava questi bambini dalla fame e dalla morte, vi era
spinto da ignobile speculazione gettandoli in uno stato di martirio peggiore
per destinarli cioè alla schiavitù, alla prostituzione, al circo ed al mestiere
della mendicità; ed allo scopo di eccitare maggiormente la compassione e per
trarne il maggior lucro possibile, barbaramente li torturavano storpiandoli,
mutilandoli e perfino evirandoli. Quando poi essi
soccombevano, le ossa degli infelici rimanevano a pascolo degli animali.
Ma io penso che
oggigiorno e nella forma e nella sostanza, si verificano
ugualmente simili delitti sotto l'egida d'una civiltà ciarlatanescamente
strombazzata in rapporto alla grande diffusione data all'istruzione, alla
scienza e colla legge sull'istruzione obbligatoria. Gli uomini della moderna
civiltà trascurando colpevolmente il supremo dovere dell'educare,
tendono perciò a ritornare precipitosamente nello stato di barbarie, a
ritornare selvaggi, verificandosi appunto oggi abitualmente delitti per
atrocità, per barbarie, per efferatezza ancor più orrendi degli antichi e che
pur sfacciatamente si rendono palesi per tutto l'universo senza avere il
conforto di vedere i popoli cosidetti civili
scuotersi, commuoversi ed agitarsi non a semplice irrisoria protesta; ma ad
arrestare risolutamente questa terribile propaganda demolitrice d'ogni
sentimento morale che insidia le virtù più elette e le rode trascinando
spietatamente a rovina la pubblica moralità.
E come mai la
società stessa, intanto che a fosche tinte rende di pubblica ragione le gesta
degli infelici fanciulli traviati dimenticando, o
fingendo di dimenticare, d'essere essa stessa la grande colpevole, grida a
piena voce invocando per essi provvedimenti e rimedi senza però agitarsi
energicamente per attuarli?
A torme sono i fanciulli abbandonati, seviziati, fatti strumenti di
commerci immorali e delle più abbiette passioni ed uccisi. A vergogna nostra,
a vergogna dei popoli cristiani, a vergogna insomma di tutte le Nazioni
incivilite, provvediamo ad essi coll'assistere
vilmente paurosi o colpevolmente indifferenti o magari consenzienti allo
sfacciato pervertimento dei costumi, allo sfacciato dilagamento
dei vizii d'ogni materia, al moltiplicarsi insomma
spaventoso del pubblico scandalo, tollerato, anzi sanzionato da leggi dettate
sotto l'usbergo d'una libertà che nella sostanza suona libertinaggio,
intossicando così, orribile il pensarvi!, nei fanciulli le loro candide anime,
anziché curarli ed educarli per condurli caritatevolmente, con mano pietosa,
paterna sulla via di quelle virtù colle quali si forma indiscutibilmente l'uomo
degno di Dio, della Patria e fattore della vera civiltà.
Le statistiche dei
nostri tempi, prescindendo dall'assoluta verità matematica delle cifre raccolte
inevitabilmente all'incirca, dimostrano che in Italia la scuola del delitto non
è inferiore a quella delle altre Nazioni, giungendo perfino ad affermare che
essa ha il primato sugli altri Stati. A convincersene basta
gettare lo sguardo ogni mattina sui periodici della nostra Penisola.
Noi li vediamo costantemente traboccanti di fattacci d'ogni maniera:
descrizioni di risse, di ferimenti, di aggressioni con
o senza mano armata, del figlio che uccide il padre o la madre, del padre che
fa strage di tutta la sua famiglia - d'una madre naturalmente autentica che per
nascondere la vergogna d'un fallo, con atto barbaro ne fa scomparire il frutto
- del padre che assassina moralmente la figlia trasformandosi in uno
spaventoso bruto dimentico del sacro legame che ad essa lo avvince - della
madre che porta al mercato la figlia, del marito che assassina per adulterio la
moglie e viceversa - di rapimenti compiuti con agguati strategici - di bruti
che con agguati, fanno scempio di bambine e le uccidono - descrizioni di furti
con scasso e senza scasso - di scaltre associazioni di malfattori e di
ricettatori - di barbari atti teppistici per pura malvagità - di rapine - di
truffe - di estorsioni - di ricatti - di suicidi compiuti in circostanze
diversamente drammatiche e sui quali spesso la fantasia dello scrittore tesse
un romanzo illustrandolo con relative vignette. Ed è innegabile che una tal
lettura non può a meno che eccitare la curiosità
morbosa delle popolazioni onde tali suggestive descrizioni, quale goccia
costante che stillando sul marmo riesce a bucarlo, insinuandosi nella
coscienza dei fanciulli, la deturpano, l'avvelenano, trascinando l'anima alla
perdizione.
Il giornalista non
può rimanere costantemente indifferente, freddo espositore di simili delitti perché appena gli è dato di vedere scossa la
coscienza pubblica, nauseata da queste ininterrotte descrizioni, o da qualche
intricato e clamoroso processo, sia esso a porte aperte od a porte chiuse,
oppure scossa da una indignazione manifestata con atto di fiera protesta in
parlamento, allora egli pure fa fremere al momento la sua penna. Ma quel che
monta per noi è che a questa fangosa fonte di delitti si disseta il fanciullo. E si venga a persuadermi che siamo ai tempi di
libertà e di avanzata civiltà! La pubblica moralità è
così gravissimamente scossa che imperiosamente si
impone il dovere di tutelarla senza indugio alcuno. Guai a non adempierlo.
E come in caso d'incendio
tutta l'attività converge per circoscriverlo prima ed estinguerlo subito dopo
- come per contenere le acque dei fiumi facili a straripare si
inalzano resistenti argini - così è d'uopo
affrontare in nome di Dio e dell'umanità l'irrompere appunto della fiumana
impetuosa nella quale converge da tutte le parti il vizio in tutte le forme e
la più sfacciata corruzione ed arrestare con mezzi risoluti e poderosi il propagarsi
di scuole d'ogni laidezza e d'ogni immoralità che si affermano, gli autori
dicono con intento d'Arte!, in libri ripugnantemente
osceni, in stampe e cartoline pornografiche, in rappresentazioni teatrali dal
titolo «per soli uomini» o più generalmente «Serate nere» od ironicamente
«Serate allegre» oppure: «non è spettacolo per signorine» (1) e finalmente in scollacciate riproduzioni cinematografiche se
pur queste riproduzioni non riflettono fatti in rapporto alla varietà dei
delitti sopra enumerati. Sissignori, è appunto per queste pubbliche scuole
d'infamia che i fanciulli si infettano, si corrompono
l'anima, fisicamente crescendo fiacchi, snervati, abbruttiti dai vizi e da
ogni malanno. Ed è in cotal
modo che si precipita verso la distruzione della famiglia ed alla rovina della
Nazione.
Possiamo noi
rimanere impassibili di fronte a questo spaventoso stato di cose? E, ripeto,
come possiamo ardire di chiamarci una nazione veramente civile, difettando noi
dei fattori della vera civiltà i quali risiedono nella
Religione, nell'amor della Patria, nell'educare i popoli alla lealtà,
all'onestà in tutte le loro azioni, nell'amore sacro della famiglia,
nell'amare il prossimo, specie gli infelici, e finalmente nella carità che
devesi pubblicamente e privatamente estrinsecare?
Ricordiamo che la
decadenza dei costumi segna la decadenza dei popoli e
che la moralità è il fondamento della vera libertà.
Immersi come siamo
in tanta bruttura di rovinoso disordine morale, come prepareremo noi una
generazione atta a redimere il paese dai mali morali che lo insidiano
con tanta crudeltà? Lo ripeto, non vi ha che un
rimedio.
Ogni uomo onesto si
faccia sacro dovere di salvare un fanciullo. Ma chi spronerà gli uomini al compimento di tal sacro
dovere?
La risposta vien facile e naturale ricordando che quando il mondo
pagano stava per tramontare, gli idoli venivano
distrutti all'apparire di Gesù, sorgendo così in uno splendore di luce il
Cristianesimo che con quel fonte di sublime morale che è il Vangelo, operando
la redenzione degli schiavi, traendo e salvando la donna dall'abiezione, amando
di divino amore i fanciulli e proclamando l'uguaglianza e la fratellanza dei
popoli, segnava il vero progresso civile compiendo appunto il passaggio dalla
barbarie alla civiltà più raffinata.
Non ci illudiamo; senza Dio l'uomo è un materiale concorrente;
mentre l'amore cristiano, che è carità, associa gli uomini.
Gesù amò sempre in
modo singolare i fanciulli rilevando in essi la tipica
perfezione da lui annunziata, insegnandoci che in noi adulti a salvaguardia
dello svolgersi progressivo del perfezionamento morale deve imprimersi nei
nostri cuori, dico, la semplicità ed il candore del bambino: «Sinite parvulos venire ad me»
Lasciate che i fanciulli vengano a me, esclamò Gesù allorché le turbe che lo
seguivano volendo presentargli i proprii figliuoli
affinché imponesse loro le mani ed orasse, venivano dai suoi discepoli
trattenuti e sgridati.
Lasciate, lasciate che i fanciulli
vengano a me.
Addossiamoci adunque con entusiasmo cristiano
Nel fanciullo si svolge e cresce la pianta uomo, mi sia concessa
la frase. E come i fiori che, liberati dall'involucro che alla lor nascita li avvolge, germogliano manifestandosi nella
gloria della loro bellezza, così nel bambino, intanto che man mano fisicamente
si sviluppa, ugualmente si espandono tutte le facoltà dell'anima, cioè l'intelligenza, la fortezza, il giudizio e l'amore, e
come i fiori ci annunziano la primavera, così i fanciulli ed i giovanetti
costituiscono la primavera della famiglia che, vero perno della società, riflette
le sue virtù appunto nella compagine sociale.
I genitori
considerino d'altra parte che nel fanciullo l'impulso
del bene e del male non riesce mai equilibrato e poiché nei fanciulli il male
tende, anzi quasi sempre a prendere il sopravvento, perciò è dovere dei
genitori di prepararli con coscienza, criterio ed energia ad essere fortemente
resistenti al male per evitare la loro rovina non solo; ma per abituarli nello
stesso tempo al sincero amore della virtù.
Ma se questa
preparazione di difesa, o per incapacità, o per debolezza o per
trascuratezza colpevole, i genitori non la compissero?
Oh! allora guardate quelle torme di fanciulli calpestati nel
fango delle strade. Guardateli accapigliarsi audacemente percuotendosi l'un l'altro senza pietà. Ascoltate il nauseante turpiloquio,
le imprecazioni, le ingiurie colle quali accompagnano i loro atti e colle quali
inveiscono contro i passanti che osano intromettersi. Ascoltateli con quali orrende
bestemmie si minacciano. Guardateli addossati a contemplare avidamente sulle
cantonate della città, d'innanzi alle edicole dei giornali, incisioni,
illustrazioni dei delitti più atroci, o vignette indecenti su certi giornali
umoristici. Eccoli d'innanzi alle vetrine di certi negozi dove sono esposte alla
pubblica curiosità fotografie, cartoline pornografiche. Udite le loro
laide ributtanti conversazioni. Nei loro volti sciupati non è più possibile
che si manifesti rossore, vergogna e rimorso alcuno.
Essi a frotte li vedete agglomerati sulle piazze,
scorazzare le strade delle città della nostra bella Italia oggidì troppo,
troppo gravemente infetta. Questa categoria di ragazzi corrotti è costituita
nella sua grande maggioranza da figli di famiglie del
ceto medio e del ceto operaio. L'immoralità che si nasconde poi all'ombra dell'agiatezza è la più temibile come dimostrerò in alcuni dei
bozzetti che pubblicherò nelle puntate successive di questo lavoro. Perché così
ridotta questa moltitudine di infelici ragazzi? In
primo luogo dalle continue provocazioni che porge costantemente l'ambiente
pubblico e poi dall'assoluta assenza di educazione
nell'ambiente famigliare dove esiste un padre che dileggia nauseantemente
la religione - che inveisce contro la legge, contro tutto e contro tutti
manifestando il suo deturpamento morale con atti e discorsi immorali. Lo
spirito dei fanciulli viene così soggiogato dagli
stimoli esteriori pei quali i loro sensi acquistano allora prepotente bisogno
di estrinsecarsi e per soddisfarli si tuffano nella più ripugnante abiezione
costituendo il più ributtante commercio che oggi infetta, in onta alla
civiltà, tutte le classi della società moderna. Essi non hanno perciò mai
goduta gioia domestica alcuna - hanno infine abbandonata la famiglia.
Ma ecco s'avanza una enorme schiera di fanciulli assai più sventurati.
Guardateli! son miseri
fanciulli che non hanno mai vissuta la vita della famiglia. Sono orfani - sono
trovatelli - son figli di alcoolisti
- son figli di delinquenti - di carcerati - son figli di genitori depravati, abbrutiti in laidi e
malsani tugurii, in vere tane dove il fanciullo
succhia il vizio - son figli di madri, per caso, la
cui maternità è vergogna - sono fanciulli eredi di colpe famigliari.
Poveri fanciulli, essi non sono dunque messi alla luce in comodi e
sani ambienti, né adagiati in soffici e tiepide culle ornati di trine e di
artistici ricami, essi non hanno succhiato un latte puro somministrato dalla
dolcezza materna o da una robusta balia, né sono vegliati da apposita
governante od istitutrice; ogni qualvolta chiamano la mamma implorando pane -
la mamma scarna dall'aspetto gravemente sofferente - li guarda intontita - li
dondola quasi volesse distrarli...; ma nulla risponde. Giunge il padre che, se ubbriaco di alcool, batte
ferocemente la madre imprecando al figlio ed a chi lo ha generato «capite?».
Se privo di lavoro, inveisce ugualmente per dar sfogo all'odio che cova contro chi vive nell'opulenza. Una grande
parte poi di tali infelici fanciulli non ricevette mai il santo bacio, le
carezze della madre, né mai sentito perciò al mattino, all'aprire gli occhi
alla luce ed alla sera nel chiuderli al sonno, il dolce e materno invito a
lodare, a benedire Iddio e
Osservateli al
mercato ove raccattano torsoli di cavolo e frutta fracida per sfamarsi, oppure,
sempre a questo scopo, frugano nei piccoli carri della
pubblica spazzatura. Ovunque raccattano anche resti di sigaretta o mozziconi
di sigaro che cercano anche di fumare o di masticare per illudere la fame. All'ora del desinare li trovate alle porte dei conventi in
attesa d'una scodella di minestra, od innanzi alle caserme a divorare i resti
che si trovano in fondo alle gamelle dei soldati. Nell'inverno inesorabilmente
rigido e nelle prime ore delle lunghe serate, scorgete in certe strette vie, in
androni oscuri fanciulli accomunati di sesso diverso
dei quali l'anima e il corpo sono contaminati, l'una traendo l'infelice
creatura alla morale perdizione, l'altro venendo tratto all'ospedale ed alla
tomba. Quale terribile cosa! Come si stringe il cuore!
Ed in queste tristi
serate vi è dato di scorgere altri coricati lungo le vie, entro portoni, sotto
porticati di strade e di Chiese ed anche raggruppati per riscaldarsi l'un l'altro: altri invece intirizziti dal gelo o bagnati
dalla pioggia, spossati dai disagi, gemendo tutti tremanti tendono la mano ed
offrono una scatola di cerini o magari, ironia del caso, un mazzolino di fiori
per ricavare qualche soldo che è destinato ad alimentare i vizi di brutali
genitori o di vilissimi speculatori che attendono nei
loro tristi abituri dove il freddo unisce e contamina, anche per batterli se,
elemosinando, non saranno riusciti a radunare la prefissa somma. In questo
stato di permanente mendicità vengono abituati con
invenzioni d'ogni maniera ad una colpevole simulazione pel qual mezzo riescono
ad impietosire i passanti, pur ricavando talvolta soccorso per proprio conto (2).
Chi è quella donna
popolana all'aspetto; ma dal viso di strega che parla sommesso a quel ragazzo
che la fissa attentamente? È forse una madre? È una megera che ha stretto un
contratto con quel ragazzo vagabondo al quale ha
insegnato un racconto di bugiarde disgrazie perché intenerisca gli inquilini
dei caseggiati di questa o quella via, ai quali lo indirizza a batter le porte
per chiedere soccorso. Essa è in istrada che lo
attende per rapirgli il ricavato e per dare a lui una piccola ricompensa. Ed a
questo servizio spesso adibisce piccole fanciulle che
per intenerire vieppiù, accoppia ai predetti fanciulli, suggerendo loro di
fingersi fratello e sorellina.
Chi è quella donna
sfarzosamente abbigliata dal contegno di superba matrona che tiene per la mano
un bel fanciullino od una fanciulla
l'uno e l'altra vestiti con gran lusso e che con finto orgoglio trascina seco?
È una donna che ha
tolto l'uno e l'altra in imprestito dalla sua serva o
da una madre infame contro il compenso di pochi soldi, per far credere ai
giovani della giornata ed agli uomini abbrutiti che essa è una madre autentica.
Povere creaturine! Ora appaiono sfolgoreggianti
di bellezza; ma tosto che sia terminato il servizio di richiamo indossano i cenci di cui li ricopre la sciagurata madre.
Animo! o voi Signore che siete mamme immerse nell'opulenza,
accorrete, strappate quelle povere creaturine,
accarezzatele, baciatele... dite loro che quelle sciagurate le traggono alla
morte. Salvatele in nome di Dio.
Sono le dieci e
mezzo di sera. In mezzo alla grande e più popolata via della città c'è un uomo
intorno al quale stanno ragazzi d'età inferiore ai 15 anni che conversano, parmi di commercio. Indi si scostano e passeggiano a poca
distanza da quel misterioso uomo al quale man mano si avvicinano
degli uomini signorilmente vestiti e d'età diversa. Egli intuisce e dà una significativa sbirciata a un di quei ragazzi che oramai sono
ridotti a rappresentare null'altro che una merce infamemente
mercanteggiata. Il ragazzo, già bene addestrato ed
anzi profetto in simile mercato, si incammina
seguendo l'avventore, anzi l'avventore quasi sempre segue il ragazzo.
Il contratto è già
fatto. Quale orrore!
Ecco gli agenti di
P.S. - Essi vedono l'uomo misterioso - vedono il
giovinetto che si tuffa nella turpitudine - vedono l'avventore - e proseguono
indifferenti il loro cammino - Perché? Forse il caso non è contemplato negli
articoli della legge!
In un angolo della
piazza sta un ragazzo attorniato da adulti giovinastri dal triste aspetto.
Badate come ragionano con lui con vivo interesse! Come è
attento il ragazzo ad ascoltare. Approva sorridendo, direi,
compiacendosi.
Quei giovinastri
sono i barabba ed i gargagnan del
Piemonte, i teppisti in Milano, i beceri della Toscana, i canagia e i batticanafia del
Veneto, i bônoegia
(buonavoglia) ed i xattè di Genova,
i camorristi di Napoli, i Mafiosi di Sicilia, i magnaccia di Roma che insegnano a quel
ragazzo il modo di introdursi in un buco che essi nella notte praticheranno in
un muro od in un uscio per svaligiare un dato negozio od un appartamento ed il
modo di porgere la relativa refurtiva, oppure lo indirizzano a commettere un
borseggio od una rapina in quel tal modo al quale lo hanno ammaestrato in seno
alle rispettive associazioni, vere scuole di perfezionamento al delitto. Essi
poi in nome d'una fratellanza loro propria dividono il
bottino coll'ammaestrato allievo.
Un grande cartellone teatrale illustrato affisso su pei cantoni
della città attrae la mia attenzione. È un cartellone sul quale sono impresse
due figure di fanciulli. L'uno, il
maschio, abbigliato da macchiettista, dal viso contorto, dall'abito strano;
l'altro, la femmina, una fanciullina indossante un
abito assai corto e scollacciato da apparire quello che non dovrebbe essere.
Sono due artisti impareggiabili - sorprendenti - così dice
il cartellone.
M'avvio a quel
Teatro - al Teatro che dalla civiltà è stato
proclamato Tempio Sacro all'Arte. Quale troppo amara ironia! Vedo accorrere un
pubblico che constato assetato dalla più ripugnante corruzione. Esso invade
pigiandosi nel triste ambiente. L'impresario è gongolante di vedere la cassetta
traboccante di denaro. Quel pubblico indegno d'una Nazione
che pretende il nome di civile, alle oscene volgarità del piccolo macchiettista
applaude, acclama. Ai lazzi osceni delle oscene canzonette che da provetta
femmina la minuscola attrice a quel pubblico depravato offre con la più fina
malizia acquistata dalla più sfacciata scuola di corruzione, quel pubblico, dico, si abbandona ad un delirante quanto depravato
entusiasmo.
Chi ha ammaestrato
quelle due povere creature? A quale scuola hanno imparato quelle ripugnanti
gesta? I genitori li hanno familiarizzati alla turpitudine
nel Tempio Sacro all'Arte.
O voi genitori che
per eccesso di malinteso affetto, che è manifestazione di riprovevole
debolezza, offrite in premio ai vostri figliuoli una
rappresentazione illustrata da macchiette infette d'ogni immoralità o da
scollacciate canzonette musicalmente straziate da stridule voci, pensate che
voi avviate alla morte morale e fisica i vostri figliuoli.
Ma ecco, sullo
stesso palcoscenico, presentarsi un piccolo funambolo, un vero saltimbanco in erba coperto semplicemente da una maglia. Egli contorce
in tutti i modi le sue slogate membra ora
avvoltolandosi sul palco ed or contorcendosi su per corde, per sbarre, per
trapezi o camminando su fil di ferro. Il suo volto
però ha una espressione tutta particolare. Simula un
sorriso che non è quell'angelico sorriso proprio della
semplice creatura di Dio. D'un tratto, ed al minimo incidente, si irrita - diventa nervoso - vorrebbe ribellarsi - si
limita ad una smorfia - diventa imbronciato - brontola - fa infine un sorriso
ironico che significa: L'arte che professo è arte speciale, è produzione di
fame, di ceffoni, di calci, di vergate, di patimenti d'ogni maniera,
regalatimi...
E se lo interrogate,
il suo labbro non vi dirà da chi... Ma se noi volgiamo lo sguardo tra le
quinte, vedremo i genitori che stanno là vigilanti perché il piccolo funambulo eseguisca puntualmente le contorsioni, sì che
non metta in pericolo l'infame guadagno che a loro benefizio ne consegue.
E gli ufficiali di
P.S. che assistono dal palco loro destinato, e i due carabinieri che sono ritti
in fondo alla Platea che ne dicono? Nulla.
Dalla legge sul
lavoro dei fanciulli forse questi casi non sono
contemplati.
In altra sera ed in
una delle piazze centrali della città, scorgo un grande
cerchio di persone assiepate spettatrici d'una pubblica rappresentazione nella
sostanza e nel fine identica alle sopra descritte.
Una donna, madre di
due fanciulli, strimpella nervosamente una chitarra.
L'un d'essi, tredicenne, suona alla meglio un violino
di concerto colla madre. L'altro, fratellino che non tocca ancora gli otto anni
- biondo - con due occhioni riflettenti pronta
intelligenza - tanto carino che lo bacereste sul volto - sta nel mezzo del grande circolo. Egli indossa cenci
multicolori, col capo coperto da un vecchio, sudicio e strano cappello.
Egli pare un autentico macchiettista.
Il piccino
incomincia a gesticolare sforzandosi a contrarre i
muscoli della faccia per comporre delle ridicole figuraccie.
Canta intanto le sozze canzoni che la madre, dall'aspetto di vera strega, gli
ha fatte imparare a memoria con quella barbara pazienza che ognun di noi può
immaginare. Queste canzoni che egli non può ancora pronunziare con chiarezza,
le accompagna, dico, con scorretti gesti venendo
assecondato da quella melodia che aspramente traggono la madre ed il fratello
dai loro scordati strumenti.
Il pubblico assiste
attento seguendo gli atti della piccola creatura - e finalmente gli dimostra
tenerezza, compassione coprendolo di soldi. Quella parte di soldi gettati da
uomini di cuore rappresentano un preservativo dai
maltrattamenti a cui il piccino certamente è giornalmente soggetto. Il
preservativo però non ha efficacia. Quei soldi però non commuovono, né redimono
l'anima di quella strega di madre: impinguano solo materialmente
la sua borsa. Quella parte di soldi invece che sono gettati da popolo ignorante
incapace, per difetto di morale educazione d'un
qualsiasi nobile, umano sentimento, rappresentano null'altro che gli applausi
di quel pubblico che abbiamo veduto pigiato nel Teatro.
Quei figli intanto
raccolgono il denaro e lo consegnano alla snaturata madre, la quale, da vera
arpia, lo caccia con tutta indifferenza nelle tasche, come diritto alle fatiche
sopportate per deturpare moralmente le innocenti anime dei suoi figliuoli.
Il bimbo d'un tratto si arresta quasi impalato. Gli si socchiudono
gli occhi, sbadiglia per sonno e per fame. La madre inveisce con male parole
contro di lui. Il bambino stropicciando gli occhi piange -
non riesce più a contrarre i muscoli. Il fratello maggiore lo regala d'un cazzotto traducendo in pratica le invettive materne -
ed egli piangente si scuote; ma si muove come corpo affranto ed automaticamente
compie a stento il suo lavoro.
Dal pubblico
spettatore piovono altri soldi. Nessuno, nessuno però strappa, dagli artigli di
quella sciagurata madre, quelle due infelici creature. Perché?
Per effetto della moderna civiltà che si avanza a grandi passi.
Dietro al pubblico
assistono quattro guardie di pubblica sicurezza e due carabinieri di piantone
alla piazza...
Forse nemmeno questo
caso è contemplato dalla legge.
È appena suonata
mezzanotte e mi trovo sulla piazza del Teatro Massimo. D'un tratto vedo dalla
porta del palcoscenico di quel Teatro stesso uscir fuori rumorosamente uno
sciame di fanciulli d'ambo i sessi che si inseguono
imprecando, baruffandosi, lanciandosi parole e frasi oscene. Chi son dessi?
Sono fanciulli d'ambo i sessi reduci da una scuola di ripugnante
immoralità che si svolge appunto in quel Grandioso Tempio sacro all'Arte. Quale
ironia! In quell'ambiente, dico, dove conviene per coltura, per censo, per
lusso, per eleganza, la parte eletta della cittadinanza, ed in mezzo ad un
lusso scollacciato, in omaggio alla moda, in mezzo al tepore in cui è tenuto
l'ambiente stesso avvolto in un'abbagliante luce, elettrizzato dalle suggestive note dell'arte musicale che si svolge in tutte le
sue manifestazioni, in mezzo a tutti questi fattori che danno l'impronta di
civiltà, si consente che si compia uno dei più gravi delitti, la rovina morale
e fisica di infelici fanciulli d'ambo i sessi sfruttati occupandoli appunto
nei balli, nelle opere e nelle scollacciate operette quali comparse, o mimi, o
ballerini, o coristi.
E dire
che un pubblico così eletto assiste tollerando e consente divertendosi a tanto
infame delitto!
Forse la legge sul
lavoro dei fanciulli non contempla nemmeno questo
caso!
In giorno feriale e
passate appena le 14 traverso una piazzetta che trovo gremita di signori e di
signore, di ordinanze militari, di serve dall'aspetto
moderno che si accompagnano a questo, a quel fanciullo uscente dalla Scuola
Municipale che colà risiede. Vedo un nucleo di
scolaretti della prima elementare che dileggiano una giovane signora perché
dimostra il suo stato materno. La moderna civiltà esclamerebbe: Che ragazzi svegli!
Nascono proprio cogli occhi aperti! Ascoltate invece
in che modo aprono gli occhi i bambini.
M'inoltro
in un vicoletto stretto chiuso verso il quale sono
attratto da un vociare infantile. Vedo un agglomeramento di bambini e di bambine
che ballano chiassosamente al suono d'un piano forte a maniglia governato da
due figuri... mentre sento nel tempo stesso un non so
che di riso sguaiato, di parolaccie, insomma di
autentico bordello generato da femmine inquiline d'una lurida casa dalle cui
finestre esse fanno capolino in tenuta impropria. Ecco giungere a corsa
un'ondata di scolaretti - si fermano assistendo allo spettacolo tutt'altro che edificante. All'assordante piano forte, che vien trasportato in altra località del genere, succede un
giovinastro che colla chitarra accompagna il mesto canto d'una
ragazza appena quattordicenne. Dopo questo duetto, assisto ad un'altra specie
di duetto anche lui molto poco edificante, tra una
femmina affacciata alla finestra ed un bambino di circa otto anni che è in
istrada. Egli entra nel portone seguito subito dopo da una fanciulla
non ancora dodicenne che essa pure sale a restituire una cesta di biancheria.
Gli scolaretti tutto vedono - ridono maliziosamente e
motteggiano ed intanto s'infettano l'anima.
Tutti questi bozzetti
a suo tempo descriverò minutamente in maniera che
l'autorità cui spetta rilevi i provvedimenti atti a far cessare tutte queste
esteriori e scandalose provocazioni alle anime dei fanciulli e che si
verificano ogni giorno pubblicamente al cospetto di agenti di pubblica
sicurezza - specie di quelli addetti alla cosiddetta polizia dei costumi - i
quali tutti - passano indifferenti.
Ecco, io dica alla
moderna civiltà, in che modo i bambini aprono gli
occhi alla luce! E tutta questa amalgama di brutture, di infamie,
di delitti su descritti, tutto questo inquinamento nel mondo dell'infanzia si
verifica abitualmente ed anzi si aggrava giornalmente in tutte le città grandi
e piccole sotto il sereno e limpido cielo della nostra bella Italia.
I
piccoli traviati in porto.
Ma nelle città
marittime del nostro continente e delle nostre grandi isole, il male più
spaventosamente si genera e si dilaga.
A dimostrar ciò,
quantunque ne senta profondo dolore, fermo le mie
considerazioni al Porto della mia Genova dove io son
nato e dove fino ad oggi si è svolta continuamente la mia vita.
E perché nulla sfugga
alla mia mente ascendo su quel monumento «
Da
quell'altissima torre, testimone nei tempi andati e presenti di tristi e liete
vicende sì in terra che in mare, volgo lo sguardo con calma all'intorno.
Quale incanto! Com'è bella la mia Genova! Quanta
magnificenza di sontuosi e monumentali palazzi vere sedi di artistici
tesori, di marmi e di ricchezze d'ogni maniera! Ben a ragione la chiamano
Superba! In esso sta meritamente adagiata quale
maestosa e fiera Regina dominatrice del mare, sotto l'usbergo della bianca
bandiera dalla croce rossa che sul mare sventolò potente e gloriosa. Quale
pittoresco spettacolo porgono le due riviere che si
distendono a ponente ed a levante gremite di succedentisi
paesi coronati di verdeggianti colline folte di ulivi e di vigneti e provvedute
piccole palazzine improntate a moderna architettura, il tutto riflettente in
mare! Ma lo spettacolo è reso ancor più incantevole dalle nude scogliere che
alternativamente si vedono prospicienti dal lido sormontate da castelli
foggiati all'antica e formanti a dritta ed a sinistra delle insenature nelle
quali contro l'infuriar del mare sostano al riparo
barche peschereccie.
Fisso finalmente il
mio sguardo al grandioso e magnifico Porto il cui circuito sta tra l'estrema
punta del Molo Giano e l'estrema punta del Molo Lucedio, a questo Porto dove
nei tempi trascorsi, tra lo svolgersi di una vita sana e
feconda, fitti si pigiavano velieri
d'ogni classe che coi
loro intricati armamenti costituenti vere foreste d'alberi, di pennoni, di
cordami e di sartie incrociantisi ed intrecciantisi, davano chiaro concetto della difficile ed
ardita arte marinaresca. Penso che da questo Porto ammirato sì, ma pur troppo
insidiato nel suo svolgimento dall'estesa concorrenza, si addestrò
all'arte marinaresca stessa Cristoforo Colombo, il più grande dei navigatori
genovesi, che fu la coscienza più sicura ed illuminata di scopritore che il
mondo abbia dato, il genio cristiano, l'eroe eminentemente cattolico, che
guidato e sostenuto da Dio, scoperse l'America.
Penso che da questo
porto si iniziarono quali mozzi giovanetti, genovesi,
che fatti successivamente esperti ed intrepidi Capitani, divennero poi
cittadini sommi, per eroismo supremamente benemeriti della Patria.
Senonché tutta questa entusiastica visione della
mia mente che
Eppure questo Porto
è oggi celebrato per poderose costruzioni e pel
febbrile commercio che si svolge colla navigazione a vapore primeggiante su
quella a vela da noi però sempre prediletta per ragione storica e per nostra
gloria.
Eppure in questo
porto giornalmente ferve un febbrile ed enorme lavoro che si
manifesta con rumoroso ed assordante frastuono di audaci congegni e di
meravigliosi meccanismi: lavoro che si svolge sui piccoli e sui colossali
piroscafi nostrani ed esteri, i quali con continuo andirivieni man mano vengono
a riposarsi nel Porto stesso per restituire bene o male parte delle
popolazioni che emigrarono per ragioni sociali all'estero, specialmente alle
Americhe, e per aprire ad un tempo al traffico le loro stive colme d'ogni
varietà di mercanzia.
Ma lo sguardo mio
soprattutto è attratto verso le migliaia di lavoratori che ogni mattino più o meno chiassosamente si sparpagliano distribuendosi,
classificati per ogni genere di lavoro, alle calate, nelle officine, nei
capannoni delle merci, al carico e scarico dei vagoni della ferrovia che solca
in tutta l'estensione le calate stesse ed al carico e scarico dei piroscafi
d'ogni nazione che gremiscono il Porto.
Questo fremito di grande attività di lavoro che si estrinseca con disciplina
regolata dalla Magistratura che governa il Porto, veduto dall'alto della
Lanterna è sorprendente ed ammirabile.
Le mie osservazioni
però hanno ben altro scopo che da quell'altezza non m'è possibile di
conseguire.
Discendo per
osservare tutto vicinamente.
È l'alba. Il
silenzio della notte viene interrotto dal rumore
prodotto dagli equipaggi nel lavoro marinaresco. Intanto che percorrono le
calate, dai battelli e dalle chiatte che ad esse sono
ormeggiate e dai vapori vedo sbucar fuori ragazzi tra gli otto e i quindici
anni, dico, laceri, sudici, schifosamente anneriti, coi visi avvizziti, quali
ho già descritti e che quantunque si stropiccino gli occhi, pare abbiano paura
della luce. Guardano attorno trasognati, sbadigliano e lentamente s'incamminano
senza meta alcuna, errando sbrancati.
Anche da quei vagoni o da
quelle chiatte ho visto pure sbucar fuori certi figuri adulti dei quali non ho
voluto indagare la ragione della loro presenza colà.
In quei vagoni poi,
durante le mie escursioni molto mattutine fatte lungo le calate, ho visto
talvolta penetrare dei doganieri e degli Agenti di P.S. certamente in perlustrazione. È chiaro che essi avranno
conversato con quegli infelici fanciulli che vi erano sostati. E li ho visti parecchie volte uscirne fuori lasciando i
ragazzi dentro. Io allora ho supposto, il che è naturale, che forse gli agenti
non erano riusciti a persuaderli di ritornare a casa - oppure che si erano
mossi a pietà dei tristi casi che loro aveano
raccontato.
Io, a dire il vero, spinto dall'ardente desiderio di salvarli ed anche un po'
dalla curiosità a benefizio dei miei studi, ho data la caccia ad alcuni di que' ragazzi - li ho persuasi a diventar miei cari marinaretti. Li ho interrogati sul caso. Essi lo spiegarono
in modo diverso. Ma come convincersi della verità non avendo presenziato
il colloquio?
Certo è che disertarono
la casa che forse non esiste per essi o che è una tana
dove albergano fame, percosse, sevizie, lagrime, turpitudini d'ogni maniera,
paure, tormenti, dove non penetra mai un raggio di sole, dove si respira
un'aria impura, dove si soffre un caldo asfissiante, od un freddo che
intirizzisce o dove insomma regnano le tenebre dell'umanità.
Qui lungo il Porto
sotto la volta del Cielo, sotto i raggi del Sole, in mezzo all'aria marina
forse essi respirano moralmente meglio che nelle descritte tane? Tutt'altro! Eppure essi camminano
anche in mezzo ad un esempio costante di solidarietà umana la quale dovrebbe
costituire una civiltà tutta ispirata alle virtù migliori, alla Fede ed al
lavoro. Invece dobbiamo confessare con nostro dolore
che tale solidarietà nella sostanza non è ancora scevra da convenzionali
menzogne, dal più ripugnante egoismo ed è perciò ancor lontana dal raggiungere
il santo suo scopo (3).
Ad interrompere il
cammino di questi fanciulli incoscienti nell'anima e
ad ingrossarne le file, entrano dalle barriere doganali che seno distribuite
nel Porto, una buona parte dei piccoli vagabondi della città i quali tutti si
distendono lungo le differenti calate di carico e scarico - seguiamoli.
Eccone un gruppo attorno
allo sbarco delle ferramenta, raccattarne furtivamente
dei pezzi tra quelli sparsi a terra.
Guardate là una
schiera intenta a raccogliere nelle chiatte le cosidette
spassaggie
del grano! Altri con rapidità bucano un sacco di grano. Il grano cade a terra,
il ragazzo che è munito di apposito sacchetto lo
riempie.
Guardate quei
ragazzi che girano attorno alle balle di cotone, tagliano l'invoglia e ne estraggono quanto basta per coprirsi il corpo.
Altri sono intenti
ad estrarre da cassette o da ceste la frutta secca.
Sulla calata
dell'Emporio della Darsena - di merce estera e nazionale - sono accatastate a
migliaia le doghe destinate a comporre le botti, i barili, lo staio ecc. ecc.
Ivi alcuni ragazzi sono dediti ad asportarne a po' per volta una parte
introducendola impunemente in città alla presenza dei doganieri i quali -
perché si tratta di partite ciascuna di insignificante
entità - non richiedono dazio doganale oltreché non è
affar loro riflettere che quelle piccolissime
partite accumulate in un qualche deposito in città preparato dai manutengoli
adulti formano una partita di considerevole valore.
Intanto di fianco ad
un piroscafo che è ormeggiato ad una calata, sta attraccata una chiatta nella quale è immessa la mercanzia calata dalle mancine di bordo.
Sul bordo un giovinastro ritto sostiene in alto un fanciullo
il quale ficca la mano nell'oblò della cabina del Comandante o del Macchinista
e ne trae fuori un orologio con catena - un binoccolo
- un portafoglio - un paio di scarpe - quanto insomma gli si presenta alla
portata di mano. Di fianco alla chiatta c'è il compare in un battello che non è
suo, che accoglie nelle sue paterne braccia il fanciullo...
e via a rapidi colpi di remo. Tutto era bene organizzato.
Nella stagione
autunnale poi, che è appunto l'epoca in cui arrivano dalle regioni Meridionali
d'Italia i piccoli bastimenti vinattieri carichi di
botti piene di mosto, tutti questi traviati al Porto man mano li vedrete
sparsi sulla calata dove queste botti sbarcate sostano
esposte alla fede pubblica. Essi si ficcano tra esse muniti
di un succhiello più o meno autentico. Bucano la botte e nel buco introducono
un piccolissimo cannoncino dal quale aspirano a pieni polmoni quel denso e
nauseante mosto finché i vapori della parte alcoolica
inghiottita non offuscano loro la mente e li rendono ubriachi fradici. Allora
mal reggendosi sulle gambe, a stento si traggono fuori da
quel dedalo di botti, senza avere turato il buco dal quale perciò zampilla il
mosto allagando il terreno d'attorno.
Ecco là un fanciullo contratto nel viso, cogli occhi semi-chiusi,
dall'aspetto tra il riso e la nausea, che traballa, dondolandosi come nave in
burrasca, si piega sulle ginocchia e finalmente stramazza a terra come corpo
morto vicino ad altri che lo hanno preceduto e che sono già immersi in un
profondo sonno. Essi quasi sempre restituiscono al
terreno quel mosto furtivamente ingoiato.
Questo ripugnante
spettacolo si verifica costantemente alla presenza dei
guardiani della Camera di Commercio, preposti sulle calate alla tutela delle
merci, ed alla presenza dei negozianti. Perché
costoro non protestano? Perché i figuri che scorazzano le calate e dai quali
quei poveri fanciulli hanno imitato l'esempio,
minaccerebbero di coltello chi osasse il benché menomo cenno di protesta. Per
conto mio rispetto il diritto che ha l'uomo a non morir di fame e il diritto
che ha l'uomo all'acqua; non capisco però quale
diritto possa avere al vino.
E come mai, mi si
domanderà, insistentemente, possono così impunemente questi fanciulli
esercitare questo commercio di continuato furto senza che alcuno lo avverta e
lo impedisca?
È la solidarietà
umana che si estrinseca. Questi fanciulli
sono costituiti in leghe - non è forse vero? Non ve li ho indicati
ordinatamente ripartiti per ogni speciale commercio? Ma non sapete che dessi sono ammirati? Tutti i lavoratori li vedono agire,
perché quei ragazzi agiscono in mezzo a loro, anzi li guardano, li assistono,
ridono di compiacenza e li sentite esclamare: che
accidenti di ragazzi! - come lavorano bene! - come son furbi neh? Guai se qualcuno
dei commessi, de' negozianti o gli stessi guardiani ardissero una
osservazione: verrebbero minacciati anche col coltello. I
ragazzi sotto questa paterna protezione si fanno spavaldi - si
atteggiano ad eroi - e progrediscono rapidamente nella carriera.
Perché quei lavoratori li
proteggono, anzi li incitano? Siccome degli adulti non intendo
occuparmi - rispondo col dire: Mistero... lo ho il solo scopo di considerare e
di curarmi dei fanciulli perché coll'educarli sanamente, indipendentemente da impulsi di questo o quel
partito politico, noi potremo ottenere le sospirate rapide evoluzioni del
nostro incivilimento.
Ecco tutte quelle
schiere di fanciulli colla refurtiva oltrepassare le
barriere doganali, credo, profittando della distrazione degli agenti, ritornare
in città avviandosi in designate botteghe dove vigliacchi manutengoli attendono
la refurtiva che comprano a prezzo irrisorio per rivenderla a prezzo corrente
procurandosi guadagno ad usura.
Ma intanto questi
poveri infelici fanciulli hanno ricavato i soldi per
comprarsi la focaccia mattutina.
Ritornano alla
calata e se è dato loro di aver risparmiato un qualche soldo eccoli raggruppati seduti a terra con carte unte e bisunte
tra le mani e con mozziconi di sigaro o di sigaretta alla bocca tutti intenti
al giuoco.
Un colpo di cannone
dal forte del Castellaccio annunzia il mezzodì. Le assordanti sirene delle
Officine avvertono i lavoratori della sospensione del lavoro pel
pranzo. Gli equipaggi fanno altrettanto avvertiti dalla campana di bordo. Tutti
i piccoli vagabondi si distendono fulmineamente lungo le calate di poppa ai
numerosi piroscafi che vi sono ormeggiati dando la preferenza agli esteri. Ad
un per volta quali esperti ginnasti si attaccano alle
grosse gomene colle quali i piroscafi sono assicurati alla calata e li vedete
con rapidità e sveltezza per mezzo di successive ed abili sospensioni
raggiungere la poppa. Gli equipaggi seduti attorno al rancio li guardano,
sorridono, motteggiano nella loro lingua, e porgono loro da mangiare. Quel cibo che porgono - se provenisse da anime elette - potrebbesi benedire; ma quel cibo, orribile a dirsi, è un
potente veleno somministrato allo scopo di adescare quelle povere creature...
.. Ah! perché que' turpi uomini non son dati in pascolo ai pesci! E
questo morale assassinio, poiché fu fatta abitudine di retribuirlo a denari,
genera tra que' giovanetti una concorrenza che si
converte sempre in fiere risse. E mentre rilevo simili innominabili turpitudini,
mi sento preso da violenta indignazione e ad un tempo rabbrividisco ricordando
che nel Porto di Napoli, le madri stesse portano a tal macello i propri figliuoli senza distinzione di sesso e magari camuffati da monachelle o da fraticelli offrendoli ad uomini di equipaggi
esteri impregnati d'alcool ed addestrano quelle stesse povere creature a profittare
dell'adescamento per carpire a quei bruti il portafoglio o la catena o
l'orologio. Perché non si immergono quelle madri
infami nel petrolio per darle poi al fuoco? Che dico!
Riflettiamo con calma. Forse quelle madri non saranno esse stesse nate e cresciute
in un ambiente identico a quello nel quale sono nati e cresciuti i proprii figliuoli? Se per
avventura poi giungono in Porto corazzate estere, vi è dato di assistere all'ora dello sbarco degli equipaggi - detti di guardia
franca - ad un commercio veramente ripugnante. Alcuni ragazzi già in attesa alla calata, affrontano spavaldamente quei marinai
e con gesti significativi si offrono di farsi loro guida contro la ricompensa
oscillante all'incirca di lire una. Essi procedono, ed i marinai li seguono...
Quei mediatori in
erba ricevono anche la mediazione dalle persone
inquiline di quello stabilimento a cui hanno
guidato i marinai inesperti della città. E tra quelli
infelici ragazzi traviati dal trivio io ne ho veduti associati taluni
appartenenti al ceto medio. In essi si manifestavano i
frutti della moderna pubblica moralità --- della moderna educazione. Ma in nome
di Dio, dico io, questi infelici fanciulli son dessi colpevoli? Di fronte a tale stato di cose, chi
mai osa imprimere ad essi, infelici per ragion
d'ambiente, il marchio per caratterizzarli delinquenti nati? O voi - ciarlatani inventori d'una pseudo
scienza dettata esclusivamente a vostro pro' ed a
detrimento del bene della Società - chinate il capo e rispondetemi!
Questo mare magnum di
disonesto commercio organizzato, per imitazione, dal mondo piccino è costante
ed insidiosa trappola per quella turba di ragazzi uscenti dalle scuole, buona
parte dei quali corre alle calate spensieratamente rincorrendosi l'un l'altro, saltando nei battelli, arrampicandosi sui colli
di mercanzia, salendo sui vagoni in manovra, insinuandosi tra le botti del
mosto od affollandosi alle calate dove sono in partenza i piroscafi per le
Americhe. Essi oltre al costante pericolo della perdita materiale della vita,
corrono anche il pericolo di infettarsi in quello ambiente
immorale descritto per cui spesso avviene di vedere giovinetti di civile
educazione e figli di onesti operai comparire d'innanzi ai Tribunali trovandosi
così la relativa famiglia colpita nel più prezioso patrimonio che possieda,
dico nell'onore.
In tanta
costernazione essa constata troppo tardi d'essere la vera colpevole per non
avere vegliato a dovere sul proprio figliuolo.
Il fischio delle
sirene annunzia il termine della giornata
di lavoro al Porto. Uno stuolo di grossi battelli pieni zeppi di
scaricatori e caricatori del carbone sbarca alle
calate ed una squadra di altri lavoratori entrando nei battelli rimasti vuoti
va a sostituirli durante tutta la notte e così dicasi rispetto ai lavoratori
delle merci varie destinati pure a lavorare nella notte nei casi in cui urge
scaricare un dato piroscafo. Per tal modo in quest'ora
si costituisce un movimentato andirivieni, mentre la maggior parte dei lavoratori
si affolla alle barriere per uscirne e recarsi alle loro abitazioni. Tra
costoro frammischiati escono pure i ragazzi che profittando della momentanea
confusione ed eludendo la vigilanza dei doganieri, introducono in città la
merce indebitamente procurata.
Ma
ecco avvicinarsi una speciale squadra di ragazzi coperti di un sudiciume tra il
nero e l'olivastro. Essi fanno un chiasso tutto speciale -
imprecano - bestemmiano intercalando un linguaggio ripugnantemente
osceno. Ben fissandoli, nel complesso hanno l'aspetto di lavoratori e lo sono
davvero. Sono i batti sale.
Questi ragazzi a
bordo dei piroscafi sono introdotti nelle caldaie delle macchine a vapore,
specie nei denominati pozzetti, a scrostare e picchiettare le pareti sulle
quali si forma uno strato di sali rimanendo tutta la giornata in quell'ambiente
eccessivamente umido ed uscendone completamente fradici. Là
dentro dove respirano male e dove aspirano peggio si sciupano lentamente la
vita; ma questi infelici ragazzi sono però allettati dalla giornaliera
retribuzione non minore di Lire tre. Questo denaro acquistato a prezzo
della vita viene da essi sprecato in gozzoviglie,
sicché nei giorni di mancanza di lavoro sentono il bisogno d'aver continuato il
guadagno e se lo procurano allora, come già ho descritto, furtivamente sulle
calate.
Eppure dagli uomini
dell'arte si afferma che i batti sale sono
indispensabili in tal lavoro non essendo possibile nelle caldaie, ed in quei
pozzetti specialmente, introdurre degli uomini. La scienza sinora non ha
trovato modo di sopperirvi altrimenti. È certo però che questo caso non è
contemplato nella legge sul lavoro dei fanciulli.
Sento due fischi
forti, cupi, prolungati.
È l'avviso della imminente partenza d'un piroscafo alla volta delle
Americhe. M'incammino alla calata dove avviene l'imbarco
degli emigranti. Il Comandante di quel piroscafo lo ebbi
caro e distinto discepolo nelle Matematiche. Colle dovute formalità dei regolamenti,
salgo sullo scalandrone che congiunge il piroscafo colla calata e mi reco a salutare l'esperto uomo di mare. Egli nella sua
divisa d'uniforme adottata dalla Compagnia di Navigazione appare un uomo
elegante; ma se con lui conversate e ben lo fissate negli occhi molto vivaci,
nel viso abbronzato, nelle mani incallite, vi convincerete ch'egli
ha trascorso il tempo dei suoi giovani anni a lottare contro gli elementi della
natura.
Eccolo che esce dal
salone di Classe - egli mi scorge.
- Oh il mio caro
Professore! - come qui?
- Qui di passaggio ho voluto salire per augurarle un buon viaggio.
- Grazie.
Eh caro professore -
ho la testa gonfia... c'è da impazzire - bisogna sentir tutto... ficcare gli
occhi dappertutto... e far tutto. Qui bisogna che funga da Governo, da Municipio,
da Questore e perfino da... le garantisco che ne direi
di quelle! - Del resto (stringendomi la mano con effusione) mi congratulo con
lei dei bei risultati avuti... capperi! Tutti e tre capitani di lungo corso! Sciâ me ghe dixe ninte
de quelli scarmi lì fâne di
Capitanni? (4) altro
che storie! ed ho letto altresì che ne sono in corso
parecchi altri e per capitani e per macchinisti di prima classe. Ehi,
Professore! qui non si canzona. O che lo siamo...! o che non lo siamo... (e tutto
sorridente) mi saluti tanto i miei tre colleghi.
- Caro Comandante...
Lei è di buon umore.
Come mai?
- Certo, perché Ella insegna a me che prima che i miei tre giovani possano
chiamarsi tali, ora che hanno conquistato il Diploma, bisogna che compiano i
quattro anni di prescritta navigazione ed ottengano al 24° anno d'età la
relativa patente.
- Ah! quello ben s'intende; ma per amor di Dio li mandi a bordo di
bastimento a vela, neh? perché si ricordi che è solo
per questo mezzo che si diventa veri marinai... Atro che marscinin, che occialin...
che squoexetti... (5) Già lei li ha addestrati
alla vita interna di bordo - a cammina descasci (6), a tiâ de cimme, a inciastrâse e moen, i pe', e a faccia de catran e de pittûa - a vegnî neigri de pûa de carbon - ma doa bezêugna che vagan a fâ a pratica in navigazion - arrampinase sciù pe sartie - a imbroggiâ e veìe a tûtti tempi e a tutte e öe - a fâ terzaiêu
- a mangiâ do timon - a rompìse o collo zû pe-e stive - a piggiâ di corpi de
mâ in sciö muro. Alloa scì che saian boin
Capitanii. E lei l'ha proprio indovinata a
raccoglierli a bordo di una Nave - Peccato che non le abbiano
mai data una Nave atta a fare uscire dal Porto, a bordeggiare con qualunque
tempo!
- È sempre stato il
mio desiderio.
- Se ne faccia dare
una dal Governo!
- Comandante! Lei si
dimentica che noi siamo in Italia. Ascolti: In Russia, dico, viaggiano da
qualche anno due navi aventi lo scopo della mia Istituzione. Il Barone R. Bouxhoeveden sostando settimane da mattina a sera a bordo
della mia Nave-Scuola, pur ritornandovi per tre anni consecutivi, ha da me
imparato e copiato l'ordinamento ed il mio sistema educativo. A Buenos-Ayres ora stanno fondando pure una
Istituzione identica alla mia, a questa riferendosi. - Qui nella mia
bella e cara Italia - le idee ci sono, ma appena sorgono - la burocrazia le schiaccia - e le garantisco che se in me fosse
mancata la fede in Dio - non sosterrei più, come da 27 anni circa a questa
parte sostengo, le immani lotte - sicché, caro Comandante, si fa quel che si
può.
- Ha ragione - però ci vuole il suo fegato.
- Le ripeto che ci
vuole
- Ne convengo - però mi lasci dire quel che sento: scià l' è ûn bon Capitanio sens' aveì mai navegôu (7). E
sarebbe bene davvero che quei laggiù - invece di far traboccare le carceri di
ragazzi - istituissero benefiche scuole del mare come la sua e trasformassero
tutti quei poveri infelici in forti, onesti e generosi marinai - tanto più che
oggi l'Italia ne ha un grande bisogno -; ma zà predica
Berto che ti predichi a-o deserto - In Italia -
- Basta, si faccia coraggio. - Lei lo sa meglio di me: «Nemo propheta in
patria» - Scià tegne
dûo - e vedrà che un momento o l'altro la
capiranno - D'un tratto avvicinandosi a me - piano all'orecchio mi disse: Lei
che s'occupa tanto dei fanciulli, guardi un po' quei
due là - attorniati da quelle ragazzine? C'è da crederli marito e moglie. Invece sono commercianti di carne umana. Ai genitori di
quelle povere creature fanno credere che portano quelle ragazzine a lavorare in
grandi stabilimenti di biancheria, di mode, ecc. ecc. in
questa e quella città delle Americhe e che in breve tempo riescono a
guadagnarsi denari in quantità... e poi giunte lassù... c'intendiamo...
L'è tutto commercio!
dicono i moderni! (8).
- E quell'altro là attorniato da quei ragazzi? Si tratta anche
di carne venduta, di ragazzi portati al macello nelle vetrerie americane o per
essere applicati al mestiere del girovago in tutte le forme, poi ricompensati,
si capisce, con vergate, calci, fame e poi gettati a dormire addossati come i
porci, e il resto lo immagini Lei.
- Eppure hanno già
scritto tanto sull'argomento!...
- Lo scrivere non serve a nulla... per simili turpitudini non ci sarebbe altro
rimedio che legare loro una pietra al collo e buttarli a mare...
- ... Scusi, ci
vedremo al ritorno, caro Professore, è ora di salpare: stia bene, si conservi
lungamente pei suoi cari marinaretti;
il mondo è fatto così... arrivederla.
Ci stringemmo la
mano con effusione ed io m'avviai allo scalandrone attraversando quella folla
tutta pigiata che rappresentava il bello ed il brutto della civiltà odierna.
A forza di gomiti
afferro finalmente la corda d'appoggio dello scalandrone
mentre i marinai ad alta voce gridano: Chi non parte, discenda - Si parte.
Discendo e mi
arresto sulla calata pensoso e commosso. Il Comandante
è salito al suo posto al Ponte di Comando a dare
ordini. Sono mollate le cime di poppa e di prua. A bordo tra i passeggeri
specie di prua corre un fremito. Chi ride - chi piange - chi
bestemmia - chi manifesta il suo sentimento con grida che hanno del feroce.
Sul castello di poppa gremita invece di persone più o meno
agiate, è un agitare di cappelli e fazzoletti che hanno risposta sulla calata
dai parenti, dagli amici.
Quella mole che
sembra un gran mostro, si muove lentamente per uscire dal Porto - Quel chiasso
tutto speciale - quel fremito quell'agitazione va apparentemente scemando per
sostituirsi una specie, pure singolare, di malinconia - e quella folla di terza
classe che va a tentoni in cerca di ciò che non gli ha fornito la sua Patria -
la bella Italia - si accascia inebetita. Io guardo e
seguo muto quell'immane carico di carne umana e il mio sguardo, finché è
possibile, è fisso in quel gruppo di fanciulli che
trovasi sotto la tutela di infami turpi incettatori. D'un tratto mi sento le
gote irrigate da grossi goccioloni... mi volto rapidamente, alzo gli occhi ai cielo
sospirando... e rientro in città riflettendo che colpevole verso questi poveri
fanciulli è
Oh! Italia mia,
pensa, ed io l'ho constatato costantemente a bordo della mia povera Nave Scuola
«Redenzione» che nel suo scopo morale trionfa, solo in nome di Dio, in mezzo
alle più terribili tempeste della vita, pensa, dico, che tutte queste migliaia
di fanciulli alla mercè della Scuola del delitto vittime del più ripugnante ed imperante egoismo
(si afferma che oggi raggiungano la spaventosa cifra di 70.000) formano la tua
vergogna pressa le altre Nazioni che come te si vantano di civiltà, quantunque
navighino in un mare turbolento come il nostro.
Pensa che urge
provvedere per essi salvandoli, che altrimenti se ne
pigliano cura i tristi compagni già fatti esperti nel vizio per addestrarli
appunto alla scuola del delitto preparando alla Società dei delinquenti più o
meno celebri, dei sovvertitori della Società medesima e dell'ordine pubblico.
Pensa adunque, o Italia mia, che tutte le migliaia di questi
infelici fanciulli sono uomini dell'avvenire che
educati con carità, che è amore, e conseguentemente istruiti, si trasformeranno
in onesti, utili cittadini a te diletti. Pensa quante intelligenze, quanti nobili
coraggi, quanti eroismi si manifesteranno! Pensa che
col codice penale non si moralizza e che con esso non
è possibile trasformare l'umana coscienza e migliorare
Suvvia, carichiamoci
adunque della Croce e per la gloria di Dio e della
Patria, senza indugio d'un solo istante, accingiamoci
a salvare i fanciulli.
(1) Perché sul
cartellone teatrale non è stampato invece: Si invitano i genitori ad
accompagnare i loro figliuoli maschi alla scuola della turpitudine?
(2) I miei
concittadini genovesi possono assistere ad uno di questi tristi spettacoli
recandosi durante le giornate e le sere in Piazza Umberto I. Sulle scalinate
del sontuoso e monumentale Palazzo Dogale potranno
vedere ragazzi d'ambo i sessi addormentati, sdraiati vicino ad uomini e donne
d'ogni età appartenenti ai cosiddetti senza tetto. Vedranno
altri crocchi di ragazzi che con linguaggio nauseantemente
turpe, concertano di rincorrersi dando spettacolo tutt'altro
che edificante. Nelle ore pomeridiane li vedrete tutti accorrere intorno ai
carrozzoni che vengono a sostare sulla piazza per ricondurre al carcere i
prigionieri portati al mattino al processo che li
riguardava.
Intorno a quei
carrozzoni man mano giungono ad adunarsi donne di
diverse età, che non occorre qualificare. Esse si frammischiano ai ragazzi in attesa di vedere salire in vettura prigionieri di loro
conoscenza. Dello spettacolo che danno queste donne in mezzo a quei ragazzi non
descriverò, perché è facile immaginarlo. Su quella piazza,
su per quelle scalinate e lungo tutte le giornate è un andirivieni di impiegati maggiori e minori della Regia Questura e di
agenti di P.S. in divisa ed in borghese, alcuni dei quali sostano delle ore
nel grande porticato e sul portone assistendo allo svolgersi dei corsi
preparatorii che quei poveri ragazzi d'ambo i sessi compiono per acquistare il
diritto alla guardina che a pochi passi dentro al portone è preparata.
(3) Come in tutte le
Nazioni, così in Italia, sempre in omaggio alle rapide evoluzioni del nostro
incivilimento, sono stabiliti Corsi
Normali diurni e notturni di pubblica e privata
educazione morale che si svolgono nelle strade, nelle officine e nelle
famiglie e per merito di donne speciali
che pullulano a frotte ovunque e nei quali Corsi ad alta voce con bei modi di dire si insegna ai fanciulli
il modo con cui, nel loro progressivo sviluppo, devono agire.
Questi Corsi Normali
si svolgono più che mai al Porto. Le persone cui piacesse formarsene giusto
concetto sostino lungo una giornata dalle 6 alle 18 all'estremità della calata
«Ponte Morosini», che è immediatamente accanto al
caseggiato in cui hanno sede gli Uffici della R. Capitaneria del Porto e le
abitazioni di Ufficiali e di Sott'Ufficiali colle
rispettive famiglie.
(4) Le par cosa da
nulla - convertire quei traviati lì in Capitani?
(5) Altro che
bellimbusti - che occhialini - che smorfiette!
(6) Traduzione: ... A camminare scalzi, a
tirar corde - a sporcarsi le mani, i piedi ed il viso di catrame e di pittura,
a diventare neri di polvere di carbone, bisogna che ora vadano ad impratichirsi
in navigazione - a salire su per le sartie - a imbrogliare le vele in tutti i
tempi e in tutte le ore - a far terzaruoli - a
manovrare il timone - a rompersi il collo nelle stive ed a prendere dei colpi
di mare sul viso - Ed è così che diventeranno buoni Capitani.
(7) Lei è un buon
Capitano senza aver mai navigato.
(8) Qui in Italia,
specie nel Padovan, si verifica il mercato di frotte
di ragazze scelte in rapporto all'età ed allo sviluppo fisico condotte da un
sensale denominato padron
per adibirle allo sfrondamento dei gelsi e per la cura dei bachi (v. Bollettino Basso Veronese dell'Avv.
FRANCESCO DINDO.
Quale avvenire è
preparato a queste povere ragazze sparpagliate, abbandonate...!
Forse il caso non è
contemplato dalla legislazione sociale.
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