Prospettive assistenziali, n. 25, gennaio-marzo 1974

 

 

ATTUALITÀ

 

DIALOGO SULL'ASSISTENZA TRA VESCOVI E PRESIDENTE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

 

 

Vivo interesse ha suscitato lo scambio epi­stolare avvenuto nel 1973 fra i vescovi e il presi­dente della Regione Emilia-Romagna, scambio reso noto nella seduta del Consiglio regionale del 30 gennaio 1974.

I vescovi, con una procedura che non ha pre­cedenti, prendono posizione sul problema dell'assistenza, problema che si è acuito con l'isti­tuzione delle regioni.

Per la sua importanza, pubblichiamo oltre alle lettere dei vescovi e di Fanti, presidente della giunta, anche la lettera pastorale del 24 dicem­bre 1973.

I documenti episcopali assumono particolare rilievo perché firmati anche dal vescovo di Bologna che è presidente della Conferenza episco­pale italiana.

Nella lettera del 5 luglio 1973 i vescovi lamen­tano che le iniziative assunte dalla Regione Emi­lia-Romagna disattendono «quel pluralismo che la Costituzione italiana (...) prevede e nel quale si inseriscono le attività a carattere sociale pro­mosse in campo cattolico».

Tale pluralismo sarebbe disatteso attraverso l'attribuzione agli enti locali di «compiti totaliz­zanti», che «finiscono per limitare sempre più l'ambito sia della famiglia, che delle comunità intermedie e delle libere istituzioni». Viene cioè contestato dall'episcopato emiliano il fatto che la Regione Emilia-Romagna attribuisca esclusi­vamente a se stessa e agli enti locali, tramite le unità locali dei servizi sanitari e sociali, le com­petenze assistenziali. Ma il discorso si allarga dal campo assistenziale a tutte le istituzioni, so­prattutto a quelle educative, quando nella lettera pastorale si chiede per esse la garanzia di un effettivo pluralismo. Per questa richiesta i vesco­vi si appellano da un lato alla Costituzione, e dall'altro alle esigenze di evangelizzazione del­la Chiesa: «I discepoli del Signore debbono es­sere nel mondo un fermento di vita nuova e sono chiamati ad essere presenti e a operare nella vita familiare, professionale, sociale, culturale e politica, secondo lo spirito del vangelo e la dot­trina della Chiesa, ponendosi a servizio degli uomini».

Per quanto riguarda il primo punto ci si deve chiedere se lo spirito della Costituzione intenda per pluralismo quello dei centri di potere (tali sono infatti gli enti assistenziali) e il loro conso­lidamento, e non invece l'apertura ad una vera democratizzazione e alla salvaguardia di tutti i cittadini. Là dove invece la lettera pastorale par­la di «un pluralismo istituzionale e organizza­tivo» facendo riferimento a istituzioni che «si pongono all'interno del corpo sociale con fun­zioni di servizio, partecipazione e dialogo tra le sue varie componenti», il pluralismo si configura più come un accordo di convivenza che come una reale partecipazione di cittadini. E che tale pluralismo sia addirittura prevaricatore lo dimo­stra l'affermazione che «anche negli orienta­menti educativi delle scuole gestite dagli enti locali e dallo stato è irrinunciabile un orienta­mento per lo sviluppo del senso religioso», il che ribadisce, al di là del pluralismo, la richiesta o , i conferma, al di fuori delle istituzioni cattoli­che, di privilegi anche in istituzioni laiche. Po­nendosi su questa logica, l'episcopato emiliano indica chiaramente che esso intende collocare la Chiesa come istituzione, corpo sociale e orien­tamento culturale, accanto alle altre strutture laiche di tal genere, venendo meno alle stesse esigenze di evangelizzazione a cui si appella, nel momento che la Chiesa, divenuta centro di potere, viene svuotata del suo messaggio.

Basta pensare, per restare nel campo dell'as­sistenza, allo svuotamento del principio della carità, che avviene attraverso la sua identifica­zione con le opere cosiddette di carità, quali gli istituti assistenziali.

Inoltre le richieste dei vescovi non sono rigorosamente dedotte dai principi che essi stessi pongono. Infatti quando essi dicono che i cri­stiani «debbono essere nel mondo un fermento di vita nuova» o che per i cristiani «è da incorag­giare la partecipazione alla vita, ai compiti e alle strutture della società, ai servizi promossi dalla comunità e alla loro gestione; così nell'incontro, nel dialogo, nell'impegno concreto i cristiani potranno essere portatori di quei valori umani au­tentici che la rivelazione aiuta a scoprire e a vivere», tutto ciò non implica necessariamente l'esistenza di strutture cristiane, ma può ben significare semplicemente la presenza dei cri­stiani nelle strutture.

La preoccupazione, allora, dell'episcopato emi­liano per avere la Regione «disatteso» quel plu­ralismo che la Costituzione italiana prevede, è la preoccupazione di una perdita di potere, è la richiesta di una garanzia da parte del potere statale di autonomia per quegli enti privati di assistenza che la Chiesa ha sempre gestito al di fuori di ogni controllo pubblico.

È a conoscenza di tutti noi, infatti, l'assoluta chiusura degli enti privati di assistenza alla par­tecipazione dei cittadini (pubblicizzazione dei bi­lanci preventivi e consuntivi, delle deliberazioni; condizioni educative; provenienza degli assisti­ti; criteri di ammissione. ecc.). Ma non basta. Sono note infatti le «chiusure» degli istituti (spesso veri e propri reati) nei confronti delle leggi che minacciano, se osservate, di ridurre il numero di clienti. di assicurare ai bambini un trattamento idoneo, di consentire ai genitori di visitarli liberamente e non esclusivamente nelle ore (spesso limitate a 2 ogni 15 giorni) fissato dagli istituti.

Nemmeno le autorità vaticane intervengono nei confronti dei minori istituzionalizzati. Si veda al riguardo la lettera inviata il 2 febbraio 1970 alla Segreteria di stato dall'Unione italiana per la pro­mozione dei diritti del minore avente per og­getto «Inadeguata assistenza ai minori e disap­plicazione della legge sull'adozione speciale da parte delle istituzioni di assistenza» («Prospet­tive assistenziali», n. 13 e 8/9) e la risposta del tutto evasiva del 18 agosto 1970 di Mons. Benel­li, Sostituto della Segreteria di Stato.

Ancora oggi sono in atto da parte degli Istituti cattolici di assistenza vere e proprie deporta­zioni di assistiti da una regione all'altra, che, oltre a separare i bambini dal loro ambiente na­turale, impediscono di fatto alle loro famiglie di avere contatti con i loro figli.

È a difesa di tali istituzioni e non a difesa de­gli assistiti che intervengono i vescovi dell'E­milia-Romagna, nel memorandum allegato alla lettera del 5 luglio 1973 e che questa scelta sia orientata a fini di potere appare anche evidente quando essi intervengono «sulla sorte delle ope­re pie» (1).

Ed è la stessa posizione tenuta dalla Confe­renza episcopale italiana nel documento pubbli­cato sull'«Osservatore Romano» del 15 luglio 1972 (vedi «Prospettive assistenziali», n. 19).

È chiaro quindi che queste scelte non sono le nostre, e se qui non ci preme tanto difendere l'operato della Regione Emilia-Romagna, dobbia­mo però riconoscere che l'attribuzione delle fun­zioni esclusivamente agli enti locali è anche la nostra posizione. Consentire agli enti privati la gestione di questo o quel servizio, come riven­dicano i vescovi, è voler settorializzare gli inter­venti e dividere le esigenze.

Vediamo allora come risponde la Regione.

La risposta del presidente Fanti alla lettera dei vescovi appare molto corretta nel tono, nella fer­mezza con cui si ribadiscono i principi e nello spirito non dogmatico e aperto al dialogo che la ispira.

Mentre si sottolinea che il pluralismo consiste nella più ampia partecipazione di tutti alla defi­nizione delle scelte comuni e nella concezione dello stato come «né confessionale né ideolo­gico», rispettosa quindi dei più diversi orienta­menti e delle loro possibilità di esprimersi, si riconosce anche che il problema del rapporto fra potere pubblico ed enti privati è un «nodo da sciogliere» e che non si possono sempre e co­munque assumere soluzioni aprioristiche, trascu­rando anche la necessaria gradualità. Per que­sto, sottolinea Fanti, si è indicata anche «la pos­sibilità di realizzare determinati servizi o presta­zioni avvalendosi di enti o organismi di natura particolare già esistenti».

Ciò non impedisce che sia ribadito il principio secondo cui il potere pubblico ha il dovere di garantire a tutti il diritto ai servizi sociali non emarginanti e che tale dovere «non può essere più surrogato solo dall'iniziativa di organismi par­ticolari»; di conseguenza l'ente locale non può semplicemente avallare e sostenere finanziaria­mente le iniziative private, ma esso «deve con­testualmente esercitare un controllo sull'uso di tali fondi», poiché non è «né democratico né pluralistico il fatto che fondi pubblici vengano devoluti ad enti privati per il solo fatto che esi­stono».

La risposta di Fanti lascia però qualche dubbio quando dall'esposizione dei principi e dell'azio­ne della Regione, passa a rispondere alla richie­sta dei vescovi di incontri con la commissione episcopale designata per trattare il problema. Giustamente Fanti sottolinea che si deve richie­dere «nello svolgimento della vita politica e am­ministrativa nazionale, nelle sue articolazioni re­gionali e locali (...) il ripudio (...) di ogni com­mistione tra la sfera religiosa e quella tempo­rale».

Ora la richiesta della Conferenza episcopale emiliana è di un confronto non con gli enti pri­vati e gli operatori e utenti dell'assistenza so­ciale, ma direttamente con l'istituzione eccle­siastica come tale.

E non è proprio questa la deprecata commi­stione tra sfera religiosa e sfera temporale? Poiché, se il principio di tali trattative bilate­rali si generalizzasse, ne deriverebbe il passag­gio di decisioni politiche attraverso istituzioni, come la Chiesa, che politiche non dovrebbero essere in quanto rivendicanti un'assoluta auto­nomia ed eterogeneità di fondazione e di orga­nizzazione. Altra e ben diversa cosa è che dei cristiani, in quanto operanti a livello politico o sociale, pretendano giustamente di concorrere alla formazione delle decisioni. Accettando la richiesta di incontro, la giunta emiliana ricono­sce di fatto la Chiesa come interlocutore poli­tico, rappresentante e gestore degli interessi del «mondo cattolico», quasi fosse uno stato nello stato. Che tale riconoscimento sia frutto di rea­lismo politico può essere vero, ma ci si deve chiedere se tale realismo non conduca ad una politica di compromesso con centri di potere, che sono tali di fatto e non di diritto, bloccando il processo di autonomia politica delle masse cattoliche, e ridando fiato a delle istituzioni, come quelle assistenziali cattoliche, chiuse ad ogni processo di democratizzazione e che inten­dono il pluralismo come conservazione dei pro­pri privilegi.

Accettando la richiesta di incontri con i ve­scovi emiliani, il presidente Fanti ha il dovere di ribadire le linee dell'intervento pubblico che emergono dallo statuto della Regione Emilia-Ro­magna.

E se la Regione, come egli afferma, intende ispirare i propri interventi nei vari campi di com­petenza, a cominciare dall'assistenza, nel rispet­to rigoroso della Costituzione, al di fuori di ogni «commistione tra la sfera religiosa e quella tem­porale», noi ci aspettiamo che sia resa pubblica (malgrado le riserve della diocesi) l'indagine co­noscitiva degli istituti per minori, decisa con de­libera della giunta emiliana in data 26 marzo 1971 e condotta dal sociologo Vittorio Capecchi ed altri.

 

(1) Con la legge 17 luglio 1890, n. 6972 le opere pie hanno assunto la denominazione e le funzioni di istituzioni pub­bliche di assistenza e beneficenza.

 

 

I.

LETTERA PASTORALE DEI VESCOVI DELL'EMI­LIA-ROMAGNA

 

IMPEGNO COMUNITARIO A SERVIZIO DEI FRATELLI

1 - La solennità del Natale ci invita a ripensare all'amore di Dio, che in Gesù Cristo, si pone a fianco dell'uomo per svelargli la sua vocazione e la sua dignità.

È questo il lieto annuncio che ci viene dal Natale, insieme con l'invito a impegnarci per i fratelli, così come Dio si è impegnato per noi.

In questo spirito e nella proposta di rinnova­mento e riconciliazione che ci viene dall'anno santo, ci rivolgiamo ai fedeli e fratelli delle chie­se locali dell'Emilia-Romagna per segnalare al­cuni principi ed esigenze connesse con il nostra impegno di conversione e promuovere un dialogo su importanti problemi della vita pastorale.

Il tema «Evangelizzazione e sacramenti» su cui è convocata la chiesa in Italia pone in primo piano il compito della evangelizzazione, che si rivolge all'uomo del nostro tempo per offrirgli un orientamento e una parola di certezza.

2 - L'annuncio e l'impegno, che siamo chiama­ti ad accogliere e a vivere. richiedono profonda

riflessione e presa di coscienza, anche in rela­zione al momento storico in cui viviamo.

Non dimentichiamo che venticinque anni fa furono promulgati dall'ONU i diritti universali dell'uomo. Essi costituiscono un bene inaliena­bile e un punto di riferimento per tutta l'umanità nel suo cammino di ascesa e di liberazione.

A questi principi fondamentali, frutto della sag­gezza e della sofferenza dei popoli, la rivelazione cristiana porta una conferma e un potente stimolo a realizzarli.

Noi avvertiamo sempre più di essere in un periodo contrassegnato da un'acuta percezione dei limiti e dei rischi della cosiddetta civiltà dei consumi e da una crisi a livello di ideologie e di prassi che può essere superata solo con un ricu­pero dei valori dello spirito e con la ricerca più intensa di solidarietà e di comunione fraterna.

È motivo di fiducia per tutti noi il fatto, che, nonostante i numerosi problemi, vi sono molti uomini e comunità che si sforzano di attuare la giustizia nei rapporti e nelle strutture sociali, e si sta avviando una crescita di coscienza circa le responsabilità di tutti in ordine alla promo­zione dell'uomo.

3 - La chiesa segue con vivo interesse questa evoluzione, lieta che si progredisca in quel mol­tiplicarsi di rapporti nella convivenza umana che nell'enciclica «Mater et magistra» è stato chiamato «socializzazione» (1) , e che si tenda a strutture più conformi alla dignità dell'uomo e a sistemi più validi di sicurezza sociale (2).

La comunità cristiana è chiamata a esprimere oggi i valori del vangelo, impegnandosi in rap­porti nuovi, sempre più ispirati alla giustizia e alla carità che Cristo ci ha insegnato.

Più volte siamo stati interpellati sul significato e sui modi di una presenza cristiana, particolar­mente in ordine ad alcuni settori della promo­zione sociale.

Nell'ambito del programma pastorale della chiesa in Italia, vorremmo offrire alle nostre co­munità alcune riflessioni e indicazioni relative

alla testimonianza concreta di carità e all'impe­gno educativo per l'infanzia.

 

Annunzio del vangelo e promozione umana

4 - Cristo continua nella chiesa, mediante il suo Spirito, la missione ricevuta dal Padre di predicare la buona novella, annunzio dell'amore di Dio (3), di salvezza totale, di vera liberazione che reintegra in noi l'immagine di Dio.

«Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo»(4); così «nel mi­stero del Verbo incarnato trova vera luce il miste­ro dell'uomo» (5). Cristo è l'uomo nuovo, «pri­mogenito tra molti fratelli» (Rom. 8, 29).

La dignità della persona, di cui si avverte oggi più viva coscienza, pur fra tante incertezze e con­traddizioni, riceve da Cristo un valore inestima­bile. Noi crediamo che «Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua su­prema vocazione» (6).

 

Testimonianza della comunità

5 - Compito della chiesa è evangelizzare, cioè «proclamare il vangelo perché ne germogli, si dispieghi e si accresca la fede» (7); e mentre annuncia agli uomini il mistero della salvezza (cf. Ef. 3, 10), si rende «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (8).

L'evangelizzazione tende al sacramento, si compie in esso e sfocia nella testimonianza della vita che rende più facilmente intellegibile il lin­guaggio della fede e il significato dei segni sa­cramentali, specialmente quando è «testimo­nianza dell'intera comunità cristiana che, a somi­glianza della chiesa primitiva, nella vita di gioia, di carità, di sacrificio manifesta la forza del van­gelo (cf. At. 2, 46-47)» (9).

6 - L'evangelizzazione è dunque a servizio dell'uomo, proclama e tende alla sua piena libera­zione in una prospettiva che include l'orizzonte terreno e, trascendendolo, mira a fargli prendere coscienza della sua dignità e dei suoi destini ultimi. Proprio per questo, mentre proclama la salvezza che viene dall'amore di Dio, chiede che l'uomo l'accolga e s'inserisca responsabilmente in questo disegno. Ciò comporta una conversio­ne interiore e un impegno di rinnovamento, e stimola altresì a trasformare le strutture della società, perché non ostacolino, ma favoriscano lo sviluppo dell'umanità.

«L'agire per la giustizia e il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiara­mente come una dimensione costitutiva della predicazione del vangelo, cioè della missione della chiesa» (10).

Siamo convinti della necessità della promo­zione di ogni uomo, di tutto l'uomo (11), di una liberazione che cominci ad attuarsi fin d'ora, nella esistenza terrena: liberazione dal peccato e, quindi, da tutto ciò che deturpa nell'uomo l'immagine di Dio e ne impedisce la crescita co­me persona: l'egoismo, le passioni disordinate, le carenze materiali, le strutture oppressive, le ingiustizie nei rapporti pubblici e privati (12).

7 - Tutto questo, attuato in una visione cri­stiana dell'uomo e del mondo, nello spirito delle beatitudini evangeliche (13) e nella prospettiva della piena liberazione con la vittoria anche sulla morte (cf. Rom. 8, 11) (14), acquista un valore di segno e di anticipazione della libertà della gloria dei figli di Dio (cf. Rom. 8, 21 ). Per que­sto non possiamo accettare una concezione del mondo che, regolata dalla ricerca del piacere e del dominio, si ispira alla violenza e all'odio, avalla la sopraffazione, riduce la libertà. E dob­biamo assumere la logica del vangelo, che è im­pegno per la giustizia, solidarietà, servizio, con­divisione, amore fino al dono di sé, a imitazione dell'amore gratuito di Dio che si rivela a noi in Gesù, crocifisso per i nostri peccati.

Operando secondo le beatitudini siamo certi di innestarci nella forza nuova che Cristo ha im­messo nella storia e la fa volgere verso i suo; ultimi destini. «Nel suo spirito vivificati e coa­dunati, noi andiamo pellegrini incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno col disegno del suo amore: "Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quel­le della terra" (Ef. 1, 10)» (15).

 

Carità ecclesiale

8 - La chiesa, assemblea dei discepoli di Cri­sto, l'umile servitore di Iahvé, è diaconia di ca­rità che cerca l'uomo, e perciò deve rivolgersi a tutti, ma specialmente a quelli che valgono meno di fronte al monde. È un aspetto fondamentale della sua missione.

Gesù infatti predicando nella sinagoga di Na­zaret applica a sé la profezia del libro di Isaia: «Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio...» (Lc. 4, 18).

Le sue parole e il suo atteggiamento mostrano una preferenza verso i poveri, i piccoli, i malati gli «esclusi» della società, più aperti all'annun­cio del regno. Egli si identifica in loro, ne fa un sacramento della sua presenza: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt. 25, 40): afferma che il culto più gradito è costituito dall'amore, dalla misericordia (cf. Mt. 9, 13); in­tende e realizza la sua vita come manifestazio­ne dell'amore del Padre verso gli uomini (cf. Gv. 3, 16); come servizio che culmina nel dono totale di sé sulla croce: «Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc. 10, 45). E chiede che i discepoli si amino come lui li ha amati (Gv. 15, 12), per offrire al mondo un segno che lo porti a credere in lui (cf. Gv. 13, 35).

9 - L'insegnamento e la prassi apostolica ri­prendono questi motivi e li applicano alla vita della comunità. La legge di Cristo si esprime «nel portare gli uni i pesi degli altri» (Gal. 6, 2). La fede senza le opere di carità è morta (cf. Gc. 2, 15-17). «Una religione pura e senza mac­chia davanti a Dio nostro Padre è questa: soc­correre gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo» (Gc. 1, 27). S. Paolo raccomanda: «Siate solleciti per le necessità dei fratelli» (Rom. 12, 13) e include fra i carismi «il servizio di assistenza» (1 Cor. 12,28).

L'amore che univa il primo nucleo dei credenti era tale che essi volontariamente «tenevano ogni cosa in comune e chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti secondo il bisogno di ciascuno» (At. 2, 44-45) e «nessuno fra loro era bisognoso» (At. 4, 34).

Fu la necessità di provvedere al servizio delle mense a portare gli apostoli alla istituzione di uno specifico ministero: il diaconato, espressione della diaconia di carità della chiesa (cf. At. 6).

Fin dalle origini cristiane il servizio dei poveri. dei fratelli bisognosi appare associato al culto, al ministero della parola e alla frazione del pane. Così S. Paolo raccomanda la colletta per i poveri di Gerusalemme: «Ogni primo giorno della set­timana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare» (1 Cor. 16, 2). Questa colletta doveva considerarsi un «servizio in fa­vore dei santi» (2 Cor. 9, 1), «una grazia di Dio» (ib. 8, 1) e rappresentava una «liturgia» che provvedendo alle necessità dei santi, aveva un valore di «ringraziamento» a Dio (ib. 9, 12).

10 - I documenti patristici raccomandano in­cessantemente questo servizio di carità e atte­stano le molteplici opere che fioriscono intorno al vescovo e ai suoi diaconi per i poveri, le vedo­ve, gli orfani, i pellegrini, i profughi, i persegui­tati, i carcerati, i condannati alle miniere. Così si moltiplicano le iniziative di carità, che trovano la loro sorgente e la loro conclusione nell'as­semblea domenicale.

Molto significativo il richiamo della Didaché: «Non allontanare il bisognoso, anzi, fa' parte di tutte le tue cose con il fratello e non dire che sono tue personali; perché se i beni spirituali vi sono comuni, quanto più quelli materiali!» (16). In questo spirito S. Giustino ricorda di doni che venivano deposti nelle mani del celebrante per l'assistenza ai poveri (17). Il diacono che presen­tava all'altare le offerte, recava agli ammalati insieme al pane eucaristico i soccorsi della co­munità. Lo stesso catecumenato includeva l'eser­cizio della carità, e agli scrutini del battesimo si ponevano, fra le altre, queste domande: «Avete onorato le vedove? Avete visitato gli ammalati? Avete compiuto altre opere buone?» (18).

11 - Il concilio Vaticano II afferma che il nuo­vo comandamento della carità è la legge fonda­mentale dell'umana perfezione e perciò anche della trasformazione del mondo (19); ricorda che «la santa chiesa, come fin dalle sue prime ori­gini... così in ogni tempo si riconosce da questo contrassegno della carità» (20) e sollecita all’esercizio concreto dell'amore del prossimo, specie verso i deboli, gli affamati, gli stranieri, ali emarginati dalla società (21).

 

Valore di una testimonianza

12 - Le istituzioni caritative non esauriscono la diaconia di carità della chiesa, ma possono esprimerla in modo visibile e comunitario. Esse possono avere un valore sociale, ma hanno, in primo luogo, un valore religioso, profetico. Si propongono come un fatto di salvezza: la mani­festazione dell'amore gratuito di Dio che cerca l'uomo, il segno di una fraternità e di una giu­stizia nuova por-tata dai vangelo. Dividere con gli altri ciò che si ha, significa penetrare il mi­stero stesso di Cristo che si è fatto povero per farci ricchi con la sua povertà (cf. 2 Cor. 8, 9) .

È indubbio che certe realizzazioni di carità hanno svolto e possono svolgere anche una fun­zione di supplenza e di stimolo nei confronti del­la società civile. Chi però pensasse alla carità ecclesiale soltanto in termini di supplenza e provvisorietà, dimenticherebbe l'aspetto più pro­fondo della carità della chiesa, la sua connes­sione con la diaconia che Cristo, effondendo il suo Spirito, continua nel tempo a sollievo della umanità.

Potranno variare le espressioni storiche di que­sta carità: alcune possono rivelarsi superflue, altre possono rendersi necessarie. Ma non potrà mai venir meno la carità come segno e riflesso dell'amore di Dio, come dono di sé; e fin tanto che l'uomo non abbia raggiunto la sua «piena e definitiva» liberazione, questa testimonianza cri­stiana troverà un riferimento immediato nel fra­tello che ha bisogno degli altri fratelli.

In questo modo i cristiani potranno adempiere al duplice compito di animare e integrare quanto viene messo in atto dalla comunità civile per assicurare ad ogni cittadino i vari servizi so­ciali, impiegando tutti i loro sforzi perché la società assuma le sue responsabilità per la pro­mozione dei valori dell'uomo.

 

Giustizia e carità

13 - L'attenzione e l'impegno per la giustizia e la carità costituiscono una dimensione intrin­seca all'attività pastorale, perché rendono visi­bile e credibile la chiesa come comunità di amore. In modi e livelli diversi, tutta la chiesa deve sentirsi coinvolta; dalle comunità locali, al­le famiglie, alle associazioni, ai singoli fedeli; dalla testimonianza che siamo chiamati a offrire nel distacco dei beni e attraverso lo stile di vita (22), all'impegno concreto per individuare ed eliminare le cause degli squilibri sociali e della emarginazione.

La ricerca e l'attuazione della giustizia nella ripartizione dei beni, le iniziative che mirano a soddisfare i diritti della persona (alla vita, alla libertà, all'istruzione, al lavoro, alle cure sani­tarie, alla casa, ecc.) e a favorire un più largo accesso alle responsabilità sociali; l'impegno a liberare l'uomo da ogni oppressione, interna ed esterna, a trasformare, a «fare evolvere le strut­ture e adattarle ai veri bisogni presenti», tutto ciò deve considerarsi indispensabile per espri­mere e testimoniare la carità (23).

14 - Nello stesso tempo riteniamo che la ca­rità ecclesiale porta a impegnarsi, sia singolar­mente che comunitariamente, a favore dei fra­telli, con interiori motivazioni di fede, e, possi­bilmente, nei modi che sono caratteristici del cristiano (24). La carità non si accontenta di dare qualcosa, non si risolve in un servizio, sia pure tecnicamente ineccepibile, non si limita a offrire una prestazione alla quale il cittadino ha diritto; essa ricerca l'uomo, il fratello, il volto stesso del Signore in chi si trova nel bisogno, e tende a far parte di ciò che si è, non solo di ciò che si ha, condividendo la vita e portando gli uni i pesi degli altri. In questo modo la carità diventa veramente l'anima del servizio, in qua­lunque struttura si operi; non si contrappone alla promozione della giustizia, non la rende super­flua, ma la include, la alimenta, la integra (25).

 

Presenza nel mondo

15 - I discepoli del Signore debbono essere nel mondo un «fermento» di vita nuova (26) e sono chiamati a essere presenti e a operare nella vita familiare, professionale, sociale, cul­turale e politica, secondo lo spirito del vangelo e la dottrina della chiesa, ponendosi a servizio degli uomini (27).

Essi, «pur riconoscendo l'autonomia della real­tà politica, si sforzeranno di raggiungere una coerenza fra le loro azioni e il vangelo, e di dare, pur in mezzo a un legittimo pluralismo, una te­stimonianza personale e collettiva della serietà della loro fede mediante un servizio efficiente e disinteressato agli uomini» (28). Trovandosi a fianco degli altri uomini, collaboreranno nella ricerca di rapporti sociali e di sistemi che pro­muovano lo sviluppo della persona, rimuovendo ogni ostacolo e creando le condizioni più idonee.

In tal modo essi portano un contributo speci­fico alla giustizia, alla promozione dell'uomo, ag­giungendo le prospettive e il significato che l'ispirazione evangelica può dare agli sforzi umani (29).

In questo spirito di corresponsabilità è da in­coraggiare la partecipazione alla vita, ai com­piti e alle strutture della società (30), ai servizi promossi dalla comunità e alla loro gestione; così nell'incontro, nel dialogo, nell'impegno con­creto i cristiani potranno essere portatori di quei valori umani autentici che la rivelazione aiuta a riscoprire e a vivere.

 

Famiglia e opera educativa

16 - Il primo ambito in cui si attua lo sviluppo della persona è la famiglia, la quale costituisce «il fondamento della società» (31); «la prima vitale cellula della società» (32). A essa spetta primariamente lo sviluppo integrale della per­sona (33). In particolare, la famiglia cristiana esprime ed attua la missione stessa della chie­sa: «anche nelle case Gesù continua e compie oggi la sua opera di profeta e di maestro, di sacerdote, di amico e di pastore, mediante il servizio educativo dei genitori» (34).

I genitori sono dunque i primi annunciatori del vangelo ai figli: a loro, primi fra tutti, spetta l'educazione religiosa nel contesto della più am­pia comunità ecclesiale, e quindi in una reci­procità di rapporti tra famiglia e comunità ec­clesiale stessa.

17 - La missione dei genitori si svolge in col­laborazione con tutte le componenti della comu­nità civica, alla quale la famiglia deve aprirsi, partecipando alla sua vita ed utilizzandone le strutture. A sua volta, la società è chiamata a «difendere i doveri e i diritti dei genitori e degli altri che svolgono attività educativa e a dar loro il suo aiuto» (35).

Il principio della priorità della famiglia e della sussidiarietà dello stato, affermato anche dalla costituzione italiana (36), ispirerà i giusti orien­tamenti e le opportune scelte, specie per quanto riguarda l'educazione religiosa.

18 - Desideriamo ricordare quanto afferma il concilio: «Deve essere dalla potestà civile rico­nosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educa­zione, e per una tale libertà di scelta non deb­bono essere aggravati né direttamente, né indi­rettamente, da oneri ingiusti. Inoltre i diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corri­spondano alla persuasione religiosa dei genitori o se viene imposta un'unica forma di educazione dalla quale sia esclusa ogni formazione reli­giosa» (37).

La comunità cristiana affianca l'opera educativa delle famiglie nella formazione integrale della persona. Tale opera, mentre promuove la crescita della fede e della comunione ecclesiale contri­buisce al bene della società terrena e all'edifi­cazione di un mondo più umano (38).

19 - Questi principi dovranno essere tenuti presenti particolarmente in un momento in cui il moltiplicarsi dei rapporti sociali, la industria­lizzazione, l'urbanesimo, la più diffusa attività professionale della donna, fanno sentire più viva la necessità dei servizi educativi e scolastici nel periodo dell'età evolutiva. Lo stato, nelle sue varie istituzioni e articolazioni (regioni, provin­ce, comuni), è chiamato a dare una sua risposta a questi nuovi bisogni, sollecitando e aiutando l'opera e le scelte dei genitori, riconoscendone il ruolo primario nei servizi educativi che ven­gono promossi.

Particolarmente in questo campo ci sembra di fondamentale importanza il pluralismo delle isti­tuzioni educative, le quali, nella misura in cui ri­spondono alle autentiche esigenze delle fami­glie, svolgono un valido servizio e quindi debbo­no essere valorizzate e sostenute nei modi ade­guati dalla società civile. Un'effettiva pluralità di offerte costituisce un segno della libertà dell'e­ducazione e quindi un arricchimento sul piano culturale, un elemento di crescita della comunità.

In questa luce dev'essere valutato in tutta la sua importanza, anche sociale, l'impegno edu­cativo di associazioni di genitori, di gruppi e co­munità cristiane, che aiutano i genitori nell'as­solvimento dei loro compiti, particolarmente nel campo delle scuole materne, che costituiscono una vera integrazione della famiglia e attuano il primo inserimento del bambino nella società. Pluralismo e dialogo

20 - Oltre che alla famiglia, anche agli altri «corpi intermedi» (istituzioni, associazioni, gruppi, ecc.) deve essere garantito il necessario spazio con la possibilità di partecipare alla vita della società e, in questo modo, di concorrere alla realizzazione del bene comune (39).

Il principio di sussidiarietà richiede che tutte le componenti della società siano favorite e sag­giamente impiegate nei programmi pubblici, quando realizzano attività di rilevanza pubblica. «L'oggetto di ogni intervento in materia sociale è di porgere aiuto ai membri del corpo sociale, non già di distruggerli o di assorbirli» (40). Questo principio, ribadito chiaramente dal con­cilio (41), è da richiamare con maggiore insi­stenza, nella misura in cui l'iniziativa pubblica tende a dilatarsi, assorbendo sempre più le ma­nifestazioni della vita dei cittadini o rendendo difficile la realizzazione e la vita di iniziative non pubbliche, ma di valore sociale, e comunque espressive di una autentica tradizione culturale.

21 - Il pluralismo infatti ha un chiaro riferi­mento con i diritti della persona, della famiglia e dei vari gruppi sociali, diritti che lo stato è chiamato a tutelare nel loro contenuto e nel loro esercizio.

Queste istituzioni, che rispondono alle esigen­ze della persona, si pongono all'interno del corpo sociale con funzioni di servizio, partecipazione e dialogo fra le sue varie componenti.

In questo legittimo pluralismo istituzionale e organizzativo - riconosciuto anche dalla costi­tuzione italiana - si collocano le iniziative pro­mosse da cittadini, i quali, nello spirito del van­gelo, intendono realizzare, anche in forme asso­ciative, servizi rispondenti a quei diritti che lo stato deve garantire per tutti. Essi potranno così concorrere, insieme con le altre componenti della società, al bene comune, affiancando e in­tegrando quanto viene promosso dall'iniziativa pubblica, in uno sforzo sincero di rispondere a reali esigenze delle persone.

 

Problemi e indicazioni pastorali

22 - Ci rendiamo conto come l'applicazione dei principi sopra richiamati non sia sempre fa­cile, soprattutto in una società in trasformazione come la nostra.

Nell'ambito della partecipazione e del dialogo fra la società e le sue varie componenti, vi sono indubbiamente problemi che richiedono molta riflessione e opportune sperimentazioni. Accen­niamo ad alcuni:

- la concreta valorizzazione del pluralismo delle istituzioni di fronte a tendenze ad attribuire in modo esclusivo agli organi pubblici ogni ini­ziativa nel campo dell'educazione, dell'istruzione e dei vari servizi sociali;

- l'effettivo esercizio della responsabilità dei genitori in ordine alla scuoia e alle varie inizia­tive promosse per l'infanzia (es. scuola a tempo pieno, case di vacanza, ecc.) ;

- la partecipazione dei cittadini alla gestione dei servizi nel rispetto delle specifiche compe­tenze e responsabilità;

- i modi concreti per inserire nella program­mazione dei servizi le iniziative di enti non pub­blici che perseguono finalità di utilità sociale.

Altri problemi riguardano più specificamente le nostre comunità:

- il significato delle varie iniziative di ispi­razione cristiana in campo educativo, caritativo e assistenziale,

- la reciprocità di rapporti esistenti tra que­ste iniziative e la comunità cristiana.

Dovremo prendere in considerazione:

- il modo con cui le nostre comunità e i fe­deli s'impegnano per l'attuazione di rapporti so­ciali più giusti e vivono la dimensione della ca­rità;

- le situazioni di povertà o di bisogno esi­stenti nella comunità e le risposte che vi si danno;

- la testimonianza che possiamo offrire at­traverso lo stile di vita;

- la partecipazione, come cittadini, alle or­ganizzazioni e alle strutture civiche (enti locali, quartiere, ecc.) che stanno alla base della vita sociale nel nostro paese, particolarmente con l'attuazione del decentramento regionale.

Nella complessità di tali problemi, molti dei quali tuttora aperti, ci sembra che si rendano opportune alcune indicazioni, soprattutto per quanto si riferisce all'attività pastorale.

 

Superamento di ogni «esclusione»

23 - Dal principio della comune dignità della persona si deduce la necessità di superare ogni mentalità o sistema di discriminazione o esclu­sione nei confronti di quanti, bambini o adulti, si trovano per qualsiasi motivo in difficoltà (or­fani, malati, anziani, handicappati fisici e men­tali, carcerati, disoccupati, emigrati, ecc.).

Essi, in quanto persone, hanno il diritto alla piena comunicazione umana e sociale, e la co­munità deve farsene carico con opportune legi­slazioni e interventi che promuovano il rispetto della loro vita e l'inserimento nella comunità.

Questi fratelli, in quanto più deboli e più bi­sognosi, debbono occupare il primo posto nell'amore e nel servizio di tutti, particolarmente di noi cristiani che crediamo nel mistero del Cristo nascosto in essi. Anche sul piano pasto­rale si devono offrire loro le medesime possibi­lità di esperienza cristiana, inserendoli a pieno titolo nella vita della comunità ecclesiale (vita liturgica e sacramentale, catechesi, ecc.), di cui sono la parte più eletta, e limitando allo stretto indispensabile eventuali iniziative di carattere settoriale.

 

Educazione permanente

24 - La catechesi permanente a cui ci invita il programma pastorale dell'anno comporta un'edu­cazione ai valori della giustizia e all'esercizio della carità (42).

Essa si realizza nella comunità cristiana e si inserisce nell'itinerario di fede e di conversione alla parola di Dio che siamo tutti invitati a ri­percorrere, come pure fa parte integrante della iniziazione cristiana al mistero di Cristo e della chiesa.

La ricerca della giustizia, l'impegno per attuar­la a tutti i livelli e l'esperienza di carità come apertura al fratello, specialmente povero e bi­sognoso, sono essenziali per la comprensione dell'eucaristia e della chiesa. Proprio per questo tutta la comunità cristiana deve presentarsi co­me comunità d'amore, nella quale è vivo l'anelito della giustizia e l'impegno di servizio verso i fratelli.

 

Per i fratelli più bisognosi

25 - Secondo la illuminazione e il dono dello Spirito, dovremo individuare i reali bisogni delle persone e dei gruppi umani, le situazioni di po­vertà e di emarginazione che possono presen­tarsi, anche in forme nuove, nella società mo­derna, «indurita dalle competizioni e dall'attrat­tiva del successo». Verso questi fratelli deve dirigersi la nostra attenzione «per riconoscerli, aiutarli, difendere il loro posto e la loro di­gnità» (43).

Non si tratta però soltanto di rimediare a delle situazioni di emarginazione, ma di prevenirle eli­minandone le cause (44).

In questo quadro siamo chiamati a verificare e rinnovare il senso ecclesiale, le finalità, il me­todo delle istituzioni assistenziali promosse in campo cattolico, concretando l'attenzione sulle

persone e sulle loro esigenze, anche alla luce dell'esperienza e delle acquisizioni ben fondate nel campo delle scienze dell'uomo. Tali attività, il più delle volte, hanno un valore di supplenza o di integrazione ai compiti della famiglia. Proprio per questo occorre sollecitare una più viva soli­darietà e responsabilizzare maggiormente le fa­miglie, prima di tutto verso i propri componenti, specie se anziani, inabili o in situazioni di diffi­coltà; e poi verso altri che eventualmente man­chino di affetti familiari. così da tendere a solu­zioni meno generalizzate e sempre più rispon­denti alle esigenze delle singole persone.

In questa opportuna revisione potranno essere studiate anche eventuali riconversioni di atti­vità, tenendo conto particolarmente dei bisogni più urgenti e ancora scoperti nelle nostre co­munità.

26 - Con interesse e fiducia si dovranno spe­rimentare e seguire quelle iniziative che, corre­sponsabilizzando le famiglie e il gruppo umano, tendono, per quanto è possibile, a conservare o riportare la persona bisognosa (es. il minore, il malato, l'anziano, l'handicappato) nel proprio nu­cleo familiare e ambiente di vita, a offrire solu­zioni ispirate alla dimensione familiare, a inse­rirle nella vita sociale e nell'ambiente di lavoro in parità di diritti con gli altri che hanno ricevuto di più dalla vita.

Questo orientamento domanda a quanti si con­sacrano alle opere assistenziali e alle comunità cristiane, una sollecita conversione di metodi e di scelte, perché possa esprimersi in modo au­tentico la carità della chiesa.

Ad esempio, i servizi sociali aperti (assisten­za domiciliare, diurna, ecc.), purché non si risol­vano in un fatto tecnico, ma si realizzino in rap­porti interpersonali molto vivi, possono essere forme nuove di quello spirito di amore che ha sempre animato la chiesa e i suoi membri.

Assai significativa ci sembra anche l'indica­zione data dal catechismo dei bambini a propo­sito dei fanciulli rimasti senza famiglia. Il mes­saggio di Dio Padre che ha cura dei suoi figli «impegna ogni cristiano, ogni chiesa locale a favorire le adozioni, gli affidamenti e la costitu­zione di gruppi a dimensione familiare, che rea­lizzino nel modo migliore le condizioni di vita di una famiglia, di una "chiesa domestica"» (45).

27 - Che dire poi di certe situazioni di bisogno (persone sole, casi di povertà nascosta, droga­ti, ecc.) che si trovano non di rado nelle società del benessere e di elevato sviluppo tecnologico e richiedono interventi non sempre prevedibili e attuabili in modo sistematico?

Per questo campo come per gli altri sopra ri­cordati dovremo sollecitare dallo Spirito i ca­rismi per risposte e scelte vocazionali sempre più adeguate ai bisogni di oggi; dovremo mobi­litare e impiegare le energie più pronte e dispo­nibili. La riscoperta e la valorizzazione dei mini­steri ordinati alla carità ecclesiale, il diaconato e l'accolitato, potranno arricchire questa sensi­bilità e questo impegno.

 

Iniziative per l'infanzia

28 - Questo settore merita particolare atten­zione, anche alla luce delle indicazioni conte­nute nel catechismo dei bambini. Esso deve es­sere affrontato nel quadro di una crescente re­sponsabilità della famiglia, della comunità ec­clesiale e della società civile, e nell'effettivo ri­conoscimento dei «diritti universali, inviolabili e inalienabili» del bambino (46). Si dovranno rie­saminare i modi con cui viene sviluppato il senso religioso e si svolge l'educazione alla fede, al rapporto con Dio e con i fratelli. La famiglia è il primo ambiente per questa educazione, ma an­che le scuole dell'infanzia hanno una grave re­sponsabilità in questo campo.

Osserva il catechismo dei bambini: «I bambini hanno bisogno di una scuola dell'infanzia tecni­camente, moralmente e religiosamente qualifica­ta, cioè che risponda alle esigenze dell'interesse superiore della persona del bambino nella sua in­terezza e ai bisogni della società... Hanno biso­gno di trovare nella scuola educatrici ed educa­tori competenti... Devono poter entrare in una scuola, che non sia in contraddizione con le con­vinzioni più profonde delle rispettive famiglie e che sia aperta a un prudente pluralismo» (47).

Con questo auspicio desideriamo qui espri­mere l'apprezzamento per quanti operano al fine di dare alle nuove generazioni un'educazione sor­retta da quei valori umani e cristiani che fon­dano un inserimento maturo nella vita sociale.

Le scuole materne promosse da persone o istituzioni di ispirazione cattolica considereranno con particolare impegno l'educazione cristiana.

Ma anche negli «orientamenti educativi del­le scuole gestite da enti locali o dallo stato è irrinunciabile un orientamento per lo sviluppo del senso religioso» (48).

29 - In ogni caso le famiglie stesse sono chia­mate a essere «protagoniste nella realizzazione di questi orientamenti. Non può essere disco­nosciuto il loro primario diritto di intervenire, sia sul piano delle scelte di fondo, sia sul piano operativo, in tutta la vita delle scuole dell'in­fanzia, anche in vista di un'autentica libertà re­ligiosa» (49).

Ciò richiede che i genitori si rendano presenti nei vari ambiti (es. comitati scuola-famiglia, ecc.) in cui vengono affrontate e stabilite le linee educative che riguardano i loro figli e che nella gestione partecipata dei servizi sia ricono­sciuta la loro primaria responsabilità.

30 - In questo cammino non mancheranno le difficoltà. Esse possono venire dalla complessità dei problemi stessi che si affrontano, dal ritmo incalzante con cui si pongono, dalle diverse situa­zioni ed esperienze, dal grado di preparazione e maturazione della comunità.

Altre difficoltà potrebbero venire da circostan­ze esterne; così, non possiamo ignorare certe scelte o atteggiamenti in taluni settori (es. scuo­le materne, ospedali), che hanno comportato al­lontanamento o difficoltà per il personale reli­gioso impegnato in essi. Ciò è stato motivo di turbamento per noi e per le nostre comunità. Nutriamo fiducia che con la buona volontà di tutti e nel rispetto della persona e delle scelte dei cittadini si ricerchino soluzioni opportune a problemi comuni. Inoltre ci attendiamo che in tutte le scuole materne sia assicurata la con­tinuità educativa scuola-famiglia, tenendo conto della scelta religiosa operata dai genitori.

Il nostro desiderio è che quanto viene realiz­zato in campo cattolico per i vari servizi sia messo a disposizione dei cittadini e della so­cietà in spirito di collaborazione e di autentico servizio.

31 - Affidiamo questi orientamenti e riflessio­ni alla sensibilità e all'impegno delle nostre co­munità e di tutti i fedeli, chiedendo che ne stu­dino gli opportuni approfondimenti e sviluppi e assumano gli impegni conseguenti, in modo da poter avviare un dialogo fruttuoso in vista anche di ulteriori indicazioni sul piano pastorale. Essi riguardano problemi che sono di tutti e solleci­tano in gradi diversi la collaborazione di tutti.

Ciò richiede generosità e fiducia nel seguire gli impulsi dello Spirito, chiarezza di fini e di orientamenti, capacità di rinnovamento, studio e ricerca dei fenomeni e delle realtà sociali di oggi, opportune sperimentazioni, costante rife­rimento alla vita della chiesa, coordinamento e scambi di esperienze attraverso collegamenti sul piano diocesano e regionale.

32 - Un particolare pensiero amiamo infine ri­volgere a quanti, sacerdoti, religiosi e laici ope­rano nel nome cristiano nei vari settori (carita­tivo, educativa, ospedaliero, assistenziale): essi sono chiamati a offrire una testimonianza viva della carità della chiesa (50), della sua attenzio­ne per l'uomo.

A essi esprimiamo il nostro vivo apprezzamen­to e incoraggiamento per l'opera che svolgono con incondizionata dedizione e in condivisione di vita con i fratelli, nella fiducia che sappiano sempre rispondere alla chiamata dello Spirito e non si lascino abbattere dalle difficoltà: noi siamo vicini, con una intensa partecipazione, al­le loro speranze e ai loro problemi, desiderosi di offrire la nostra collaborazione.

Desideriamo attestare la nostra stima e consi­derazione per tutti coloro che nella scuola e negli altri settori della vita sociale operano nella ve­rità, nella giustizia, nell'amore e nella libertà per la salvaguardia e la crescita della persona nella convivenza umana (51).

Questa attività a favore dei fratelli, spesso compiuta a prezzo di notevole sacrificio, si inse­risce nel disegno di salvezza di Dio a riguardo dell'uomo e prepara, in qualche modo, quella condizione nuova nella quale non vi sarà più né ingiustizia, né sofferenza, né morte.

Tale prospettiva di speranza alimenta e sostie­ne, in particolare, l'impegno cristiano, là dove non vi è più alcuna speranza umana di guari­gione o di ricupero o di liberazione e la vita sembra non avere più un senso.

Questo impegno si illumina di nuova luce nella celebrazione del natale: il mistero del Figlio di Dio che ha assunto per sempre un cuore e un volto come il nostro e si è fatto solidale con ogni uomo.

 

24 dicembre 1973

I vescovi dell'Emilia e Romagna

 

 

II.

LETTERA INVIATA DAI VESCOVI AL PRESIDENTE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

 

Bologna, 5 luglio 1973

 

Ill.mo Signor Presidente,

sono trascorsi oltre due anni da quando il de­centramento regionale è divenuto operante: un periodo di tempo relativamente breve, ma pur denso di avvenimenti e ricco di sviluppi per la nostra realtà locale.

Ad esso guardano con particolare interesse anche le nostre comunità cristiane, che in que­sta situazione vivono la loro esperienza storica.

La Chiesa infatti rispetta l'indipendenza e l'au­tonomia della comunità politica. Nello stesso tempo sente il dovere di contribuire «ad esten­dere il raggio di azione della giustizia e dell'amo­re all'interno di ciascuna nazione» (Gaudium et Spes, 76) e «riconosce tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo sociale odierno: soprattutto l'evoluzione verso l'unità, il processo di una sana socializzazione e consociazione civile ed econo­mica» (Gaudium et Spes, 42). Infatti, sia la co­munità politica che la Chiesa, «anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione persona­le e sociale della stessa persona umana» (Gau­dium et Spes, 76).

Con questa consapevolezza e con questi inten­dimenti ci rivolgiamo a Lei, Signor Presidente, in quanto Vescovi e Pastori delle Chiese particolari di questa regione emiliano-romagnola, e Le tra­smettiamo un «memorandum» relativo ad alcu­ni orientamenti e provvedimenti della Regione e a fatti verificatisi in questi ultimi tempi a livello di Enti locali o pubblici, che sono motivo di preoc­cupazioni per il nostro ministero pastorale e sui quali esprimiamo le nostre riserve.

Dalla documentazione raccolta, per quanto incompleta, sembra infatti si tenda a limitare lo spazio della famiglia e sia, in realtà, disatteso quel pluralismo che la Costituzione Italiana - come anche Ella stessa ha più volte affermato - prevede e nel quale si inseriscono le attività a carattere sociale promosse in campo cattolico.

Se segnaliamo con viva premura alla Sua at­tenzione fatti, atteggiamenti, orientamenti ed esprimiamo preoccupazioni, non è per invocare privilegi o favori, né in vista di un'azione concor­renziale delle opere di ispirazione cattolica con quello che lo Stato, e, nell'attuale contesto, la Regione possono e debbono fare al fine di assi­curare ad ogni cittadino il godimento dei diritti sanciti dalla Costituzione.

Noi riteniamo che lo svolgimento della missio­ne della Chiesa nei suoi diversi ambiti (dalla famiglia alle sue molteplici istituzioni) richiede uno spazio che non può non essere garantito da una società veramente rispettosa della libertà religiosa. Molto significativo a questo proposito quanto il Concilio ha affermato: «La libertà re­ligiosa comporta che le comunità religiose non siano proibite di manifestare liberamente la vir­tù singolare della propria dottrina nell'ordinare la società e nel vivificare ogni umana attività» (Dignitatis humanae, 4). E ancora: «Deve esse­re dalla potestà civile riconosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione e per una tale li­bertà di scelta non debbono essere aggravati né direttamente né indirettamente, da oneri ingiusti. Inoltre i diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondano alla persuasione religio­sa dei genitori o se viene imposta un'unica for­ma di educazione dalla quale sia esclusa ogni formazione religiosa» (Dignitatis humanae, 5).

La nostra preoccupazione è dunque per il ne­cessario spazio che deve essere dato alla fami­glia, ai suoi contenuti educativi, al diritto dei ge­nitori di scegliere fra i vari servizi educativi e di organizzarseli (anche con opportune agevolazio­ni economiche da parte della pubblica ammini­strazione, senza essere costretti, praticamente, a usufruire soltanto di quelli gestiti dall'Ente lo­cale), in modo che siano favoriti, nella lettera e nello spirito della stessa Costituzione Italiana (cf. art. 30 e 31), i compiti irrinunciabili dei ge­nitori stessi e, nel contempo, la integrazione del­la comunità familiare nel contesto sociale. La nostra preoccupazione è per un autentico plura­lismo istituzionale (cf. Cost. It. art. 38) e, in que­sto quadro, per la necessaria libertà e il dove­roso riconoscimento delle varie iniziative pro­mosse in campo cattolico, le quali intendono concorrere al bene comune, affiancando e inte­grando quanto viene promosso dalla società ci­vile, in uno sforzo sincero di rispondere, per mo­tivazioni religiose, oltre che sociali, e in modi rinnovati, a reali bisogni, nel rispetto delle per­sone e secondo i desideri degli stessi cittadini.

Su queste preoccupazioni - di cui ci sentia­mo debitori anche alle nostre comunità, oltre alla nostra coscienza - noi Vescovi sollecitiamo la Sua attenzione, Signor Presidente, chiedendo che vengano effettivamente tenute presenti le istan­ze avanzate.

Per questi e per altri eventuali problemi che toccano da vicino le nostre comunità, ci sembra che potrebbero tornare opportuni incontri o scambi di pareri sia attraverso la nostra Com­missione Regionale per ]'Assistenza sociale, sia, eventualmente, in altre forme e modi, al fine di chiarire meglio il nostro pensiero e le nostre esi­genze.

Nello stesso tempo desideriamo esprimere - se pur ce ne fosse bisogno - il desiderio e l'im­pegno dei cattolici a promuovere e animare nella società civile ogni sforzo che tenda realmente alla crescita dei valori dell'uomo e a un sistema di sicurezza sociale secondo i principi della Co­stituzione Italiana. «La Chiesa infatti invita tutti i cristiani al duplice compito di animazione e di innovazione per fare evolvere le strutture e adat­tarle ai veri bisogni presenti» (Octogesima Ad­veniens, 50).

Le stesse iniziative che vengono promosse nel campo dei servizi sociali da istituzioni e operato­ri di ispirazione cristiana vogliono esprimere in modo visibile, nell'impulso della carità, la sensi­bilità e l'attenzione della Chiesa verso i proble­mi della giustizia.

Siamo convinti che non basta rimediare ai ma­li della società, ma che occorre prevenirli, eli­minando gli squilibri economici e sociali, ren­dendo sempre più efficienti i servizi sociali per la promozione umana, sollecitando la solidarietà, la partecipazione e l'iniziativa dei cittadini, dei gruppi e delle comunità intermedie; un impegno, questo, che affermato dalla Costituzione Italiana e rilevato anche nello Statuto della Regione Emi­lia-Romagna, trova una particolare eco nella co­scienza cristiana e risponde altresì alle aspira­zioni della gente di questa nostra terra emiliano-­romagnola.

 

 

(1) Cf. Giovanni XXIII, Enc. Mater et magistra, 45.

(2) Cf. Gaudium et spes, 42; Giovanni XXIII, Mater et magistra, 69-70; Pacem in terris, 62-63.

(3) Cf. Sacrosantum concilium, 9.

(4) Gaudium et spes, 22/1386.

(5) Gaudium et spes, 22/1385.

(6) Gaudium et spes, 10/1351; cf. pure Dei Verbum, 2-4; Gaudium et spes, 22.

(7) Sinodo dei vescovi, L'evangelizzazione del mondo contemporaneo, a cura della C.E.I., Pol. Vaticana, 1973; Regno-doc., 15/'73, p. 390.

(8) Lumen gentium, 1/281.

(9) C.E.I., Documento pastorale «Evangelizzazione e sa­cramenti», 56, Regno-doc., 15/73, p. 401; cfr. pure Ad gen­tes, 36.

(10) Sinodo dei vescovi, 1971, Documento su «La giusti­zia nel mondo», Poliglotta Vaticana, p. 6; Regno-doc., 1/73, p. 16.

(11) Paolo VI, Enc. Populorum progressio, 14.

(12) Cfr. Paolo VI, Enc. Populorum progressio, 21; Sino­do dei vescovi, 1971, cit.

(13) Cfr. Gaudium et spes, 72.

(14) Cfr. Gaudium et spes, 38 e 39.

(15) Gaudium et spes, 45/1464.

(16) Didachè, can. 4, 8.

(17) Cf. S. Giustino, I Apol. 67, 1, 6.

(18) Tradizione apostolica, 20; cf. A. Hamman, Vita liturgica e vita sociale, Milano 1969; I cristiani del secondo se­colo, Milano 1973.

(19) Cf. Gaudium et spes, 38.

(20) Apostolicam actuositatem, R/944.

(21) Cf. Gaudium et spes, 27; Apostolicam actuositatem, 8.

(22) Cf. Sinodo dei vescovi, 1971, cit.

(23) Cf. Octogesima adveniens, 50.

(24) Cf. Gaudium et spes, 27.

(25) Cf. Sinodo dei vescovi, 1971, cit.

(26) Cf. Lumen gentium, 38.

(27) Cf. Lumen gentium, 36; Gaudium et spes, 43; Sino­do dei vescovi, 1971, cit.

(28) Lettera apostolica Octogesima adveniens, 46.

(29) Sinodo dei vescovi, 1971, cit.; cf. Rinnovamento della catechesi, 21.

(30) Cf. Lettera apostolica Octogesima adveniens, 48-49.

(31) Gaudium et spes, 52.

(32) Apostolicam actuositatem, 11/952.

(33) Gravissimum educationis, 3.

(34) Il catechismo dei bambini, Edizioni Pastorali Italia­ne, Roma 1972, n. 70.

(35) Gravissirnum educationis, 3/827.

(36) Costituzione italiana, art. 30-31.

(37) Dignitatis humanae, 5.

(38) Cf. Gravissimum educationis, 3.

(39) Cf. Lettera apostolica Octogesima adveniens, 46; Enc. Mater et magistra, 52-53.

(40) Pio XI, Enc. Quadragesimo anno, AAS 23, 1931, 203.

(41) Cf. Gaudium et spes, 75.

(42) Cf. Sinodo dei vescovi, 1971, cit.

(43) Lettera apostolica Octogesima adveniens, 15.

(44) Cf. Apostolicam actuositatem, 8.

(45) Cf. Il catechismo dei bambini, cit., 77.

(46) Cf. Il catechismo dei bambini, cit., 22.

(47) Ibidem, 29.

(48) Ibidem, 86-87; cf. inoltre quanto è stato emanato per le scuole materne statali con decreto del 10 settembre 1969, n. 647.

(49) Il catechismo dei bambini, cit., 88.

(50) Cf. Perfectae caritatis, 8

(51) Cf. Pacem in terris, 18.

 

 

 

Memorandum su alcuni orientamenti, atteggia­menti e fatti in campo regionale e locale

(allegato alla lettera delle Conferenze Episcopali Emiliana e Flaminia al Presidente della Regione Emilia-Romagna, in data 5 luglio 1973)

 

Sebbene il quadro che si presenta non voglia essere completo, pare abbastanza significativo ed è sufficiente per sollevare preoccupazioni e ri­serve e suggerire alcune considerazioni e valu­tazioni.

 

1. Alcuni orientamenti e atteggiamenti della Re­gione

Alcuni orientamenti di fondo della Regione, non­ché alcuni provvedimenti legislativi o delibere della Giunta Regionale sembrano incidere diret­tamente sulla missione della famiglia o sulle ini­ziative cattoliche in campo assistenziale.

a) Innanzi tutto certi contenuti di documenti programmatici della Regione (Relazione del Pre­sidente della Giunta: 4 febbraio 1972; 8 marzo 1973; Relazione dell'Assessore ai Servizi sociali: 27 maggio 1971; Linee programmatiche del Dipar­timento della Sicurezza Sociale, 1972; Ipotesi di legge regionale per la istituzione delle Unità lo­cali dei Servizi Sanitari e sociali, dicembre 1972).

Anche un esame non troppo approfondito dei documenti sopra citati, porta a intravedere una linea di interventi nel campo dei servizi sociali che, attribuendo alla Regione e agli Enti locali compiti totalizzanti finiscono per limitare sem­pre più l'ambito sia delle famiglie, che delle co­munità intermedie e delle libere istituzioni. Non sembra infatti adeguatamente rispettato lo spa­zio che la stessa Costituzione garantisce alla famiglia, per quanto attiene alle sue scelte e re­sponsabilità di fronte ai figli (art. 30-31), quan­do si parla di «pianificazione delle nascite» (1) o si afferma «l'esigenza di una programmazione che si rivolga a tutto il tempo libero del ragaz­zo sia come personalizzazione di ogni suo mo­mento di vita, sia come interesse-partecipazione alla vita sociale» (2), o si prospetta una ge­stione sociale degli asili nido in cui non appare la funzione «primaria» dei genitori in ordine ai programmi educativi (3); come pure quando non si prevede la possibilità per i genitori di utiliz­zare servizi educativi, non gestiti dall'Ente loca­le, senza doversi sobbarcare a particolari oneri.

Infatti nelle linee programmatiche in materia di servizi viene del tutto ignorato il possibile, an­zi reale, apporto di enti non pubblici, che svol­gono però funzioni di utilità pubblica, quando in­vece in una concezione di Stato pluralistico qua­le indicata dalla Costituzione e riconosciuta dal­lo stesso Presidente della Giunta Regionale (4), una pluralità di offerte di servizi, se garantita e favorita dalla pubblica amministrazione, divente­rebbe segno e garanzia di vera democrazia, oc­casione e stimolo per un progresso nella indivi­duazione delle forme più idonee di intervento. Questo, del resto, sembra anche il senso della circolare del Ministero dell'Interno, relativa alla delega alle Regioni dell'esercizio delle funzioni amministrative statali concernenti le istituzioni private di assistenza (5).

Questa non considerazione delle iniziative edu­cative e assistenziali di pubblica utilità, promos­se da privati o da comitati di cittadini o asso­ciazioni di genitori, anche in forme di autoge­stione, equivale sostanzialmente a una esclusio­ne della loro utilizzazione nei programmi della Regione (6) ; essa viene a limitare le scelte degli stessi utenti e incide particolarmente sulle mol­te attività promosse per ispirazione religiosa (le uniche per tanti secoli!) le quali - al di là dei limiti connessi con una realtà sociale e struttu­rale in via di rapida trasformazione - contribui­scono a dare una risposta ai bisogni emergenti.

A nessuno può sfuggire che, nel settore in que­stione, una «esclusiva» dei servizi a favore de­gli Enti Locali o delle Unità Locali comportereb­be, di fatto, una gestione monopolistica dei me­desimi servizi.

Ma, al di là del significato politico, la esclusio­ne della iniziativa non pubblica comporta un im­poverimento sul piano culturale, se si tiene pre­sente che in passato, come oggi, tante iniziative di cristiani e di libere associazioni di cittadini si sono realizzate come momento qualificante e innovativo nel campo sociale.

b) Alcuni provvedimenti della Regione.

L'esclusione dell'iniziativa non pubblica dai programmi della Regione si riflette nei program­mi degli Enti locali (7) e in varie delibere e in­terventi legislativi della Regione.

Così, ad esempio, nella legge per la «Istitu­zione di un fondo per la prevenzione nei settori della medicina ed assistenza» (8) e negli inter­venti socio-assistenziali a favore di minori han­dicappati (9).

Molto significativo è pure il fatto che dopo il passaggio alla Regione dei fondi destinati all'as­sistenza non viene più riconosciuta l'attività as­sistenziale delle Scuole Materne private, la qua­le invece fruiva in precedenza di contributi del Ministero dell'Interno (10).

In altre occasioni è stata notata la «tenden­za» ad escludere l'iniziativa non pubblica da ogni prospettiva di programmi o interventi assisten­ziali (11), anche se talvolta, in seguito a passi compiuti da organismi interessati a questi settori si è avuto qualche allargamento nella sfera dei possibili interventi (12).

Anche il progetto di indagine conoscitiva degli Istituti per minori dev'essere ricordato (13). La formulazione delle domande di vari questionari lasciava intendere scopi che andavano al di là di una rilevazione di dati statistici, pur utili, anzi necessari, per cogliere problemi ed esigenze re­lative a un miglioramento dei servizi in questo settore. Fra l'altro figuravano alcune domande che, nella considerazione di vari giuristi, non ri­spettavano i diritti del minore e delle famiglie.

In quell'occasione la Commissione Regionale delle Diocesi dell'Emilia-Romagna per l'Assisten­za Sociale fece presente le sue gravi riserve, rendendosi, nel medesimo tempo, disponibile per una revisione comune delle schede proposte e per concordare le modalità di svolgimento della indagine. In questo modo si poté ovviare a molti inconvenienti, e, per quanto manchino ancora gli elementi per fare un bilancio complessivo della iniziativa, si può riconoscere in questo incontro l'indicazione per una possibile, dialettica colla­borazione tra amministrazione e operatori, i cui frutti non mancherebbero, se fosse attuata nei tempi e nei modi idonei, con rispetto reciproco e senso di responsabilità, al di fuori di ogni pre­venzione.

Inoltre appaiono gravi certe affermazioni, sia pure generiche, circa la sorte delle opere pie (14); in eventuali ristrutturazioni si dovrebbe te­nere conto delle possibili caratterizzazioni reli­giose e morali e dovrebbero essere salvaguar­date eventuali clausole, quali si ricavano dalle pie volontà dei fondatori.

 

2. A livello di Enti locali

A titolo esemplificativo si possono ricordare le note vicende relative alle decisioni che hanno comportato l'allontanamento del personale reli­gioso operante in Scuole Materne o Ospedali di­pendenti da amministrazioni di Comuni, Provin­ce o Enti pubblici di assistenza e beneficenza. Si è trattato di decisioni prese unilateralmente e senza plausibili motivi, nei confronti di persone che da lungo tempo prestavano la propria opera con grande disinteresse e abnegazione. Tali de­cisioni, in alcuni casi attuate pienamente (Ospe­dale Giovanni XXIII, Scuola Materna di Codigo­ro) , in altre in modo parziale, a seguito di accor­di con le Religiose (es. Asilo di Vergato), in altri ancora soltanto annunciate (es. Asilo di Creval­core), sollevano stupore e amarezza in tanti cit­tadini, cattolici e non, sia per le non convincenti motivazioni, sia per il modo con cui vengono pre­se (15).

Esse infatti avvengono senza una consultazio­ne della base, soprattutto delle persone diretta­mente interessate al servizio: e ciò appare tanto più grave perché contrasta con quanto più volte asserito dalla Regione circa la necessità della consultazione e del coinvolgimento delle comu­nità locali e delle forze impegnate nei relativi settori (16).

Le responsabilità dirette di queste decisioni ricadono sulle Amministrazioni locali, ma non si può non rilevare che esse si sono verificate nel breve periodo di tempo in cui si è avviato il de­centramento regionale. In effetti, viene da chie­dersi se i predetti orientamenti programmatici della Regione tendenti a considerare soltanto le iniziative gestite da Enti locali o pubblici non pos­sano avere influito, in qualche modo, sulle de­cisioni sopra ricordate.

Sempre a proposito delle Scuole Materne, men­tre in taluni casi si è avuto qualche accordo con i promotori in analoghe iniziative locali, in altri casi sono da rilevare gli insediamenti di nuove Scuole Materne comunali che si risolvono di fat­to in contrapposizione e in concorrenza a Scuole Materne già esistenti, di ispirazione religiosa, re­golarmente autorizzate e funzionanti.

Ci si chiede se in queste decisioni si tenga veramente conto dei diritti della persona, in par­ticolare degli utenti, e del significato sociale dei gruppi intermedi o se invece esse rispondano a scelte aprioristiche.

 

 

(1) Cf. Linee programmatiche del Dipartimento della Sicurezza sociale, pag. 38.

(2) Ibidem, pag. 79.

(3) Cf. Linee programmatiche ecc., pp. 68-59; cf. pure Legge sugli Asili nido (7 marzo 1973, n. 15). (4) Cf. Relazione del Presidente della Giunta Regionale, 4-2-1972, pag. 13.

(5) Circolare del Ministero dell'Interno (Direzione Generale dell'Assistenza pubblica) in data 1 dicembre 1972.

(6) Ciò è da rilevarsi anche se, di fatto, non sono mancati e non mancano alcuni casi di consultazione o utilizzazione di gruppi o iniziative promosse da enti non pubblici.

(7) Molto significativa a questo riguardo la relazione degli Assessori all'Assistenza e alla Sanità del Comune di Bologna, presentata nella seduta consiliare del 21-5-1973. In essa l'iniziativa privata è praticamente ignorata, se si eccettua qualche accenno nel campo degli handicappati.

(8) Gli stanziamenti sono previsti soltanto per Comuni, Province e loro consorzi, con la possibilità di convenzione con altri organismi pubblici (legge regionale 11 novembre 1972, n. 10).

(9) Cf. Delibera della Giunta per l’assegnazione di L. 60.000.000 (11-12-1972) a Province e Comuni per interventi socio-­assistenziali a favore di minori handicappati.

(10) Il riferimento esplicito alle Scuole Materne è stato escluso nella deliberazione relativa allo stanziamento di lire 170.000.000 per l'attuazione di interventi socio-assistenziali a favore di minori residenti sul territorio regionale (15-12-1973). nonostante precise richieste in questo senso avanzate dalla Commissione Regionale delle Diocesi dell'Emilia-Romagna per l'assistenza sociale.

(11) La prima proposta di delibera per lo stanziamento di L. 500.000.000 per l'Assistenza domiciliare agli anziani (12­4-1973) riservava il finanziamento a Comuni o ai loro consorzi. In questo senso si esprime anche la delibera approvata il 27-6-1973, pur rilevando che «il servizio di assistenza domiciliare del Comune può avvalersi della collaborazione fornita da altri enti che operano nel settore, attraverso opportuni accordi e apposite convenzioni».

(12) Cf. Delibera del 15-12-1972 per lo stanziamento di L. 170.000.000 per l'attuazione di interventi socio-assistenziali a favore di minori residenti nel territorio regionale e Delibera del 15-12-1972 per lo stanziamento di L. 94.000.000 a favore di minori residenti sul territorio regionale per realizzazione di vacanze invernali, le quali si riferiscono ad attività gestite da Comuni e Province o da Enti, Associazioni o Comitati coordinati nel programma comunale.

Cf. pure Delibera relativa allo stanziamento di L. 350.000.000 per l'erogazione di rette per assistenza estiva e invernale da assegnare alle famiglie, e di L. 100.000.000 per l'assegnazione di contributi a Comuni, Province ed Enti e Associazioni assistenziali private in ordine alla ristrutturazione di edifici da adibire all'assistenza estiva e invernale (25-5-1973).

(13) Indagine decisa con Deliberazione della Giunta in data 26-3-1971.

(14) Nella relazione del Presidente della Giunta (8 marzo 1973) si prospetta la liquidazione di tutte le opere pie: «è indispensabile procedere alla liquidazione degli enti nazionali di assistenza sociale (ONMI) nonché di tutta quella mi­riade di enti autarchici che operano a livello locale (opere pie, ECA, ecc.) e al trasferimento dei compiti, dei beni, delle dotazioni e del personale alle regioni e agli enti locali».

(15) Nel caso del Giovanni XXIII, la disdetta di convenzione è stata data alla Congregazione delle Sorelle della Mise­ricordia, dopo cinquant'anni di attività, «al fine di attuare un'organizzazione più rispondente al nuovo concetto di ospedale inteso come azienda di produzione» (lettera dell'Amministrazione in data 19 settembre 1972). In questo modo si è rifiu­tato lo schema-tipo di convenzione concordato fin dal 1970 in sede nazionale tra FIARO e FIRO.

Analoghi motivi sono stati addotti verbalmente in altri casi di disdette soltanto ventilate.

Un significato «politico» sembra avere il provvedimento di sfratto deciso dalla Giunta Comunale di Savignano sul Rubicone all'Asilo Vittorio Emanuele II (nel quale operano delle religiose come maestre di asilo) con lo scopo di «rendere libero tale fabbricato da persone e cose entro breve tempo» (cfr. Avvenire, 17 giugno 1973).

(16) Cf., fra l'altro, Relazione del Presidente della Giunta Regionale in data 4 febbraio 1972, pp. 12-15, 44-45.

 

 

 

 

III

LETTERA DI RISPOSTA INVIATA DAL PRESIDEN­TE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA AI VESCOVI

 

Bologna, 22 dicembre 1973

 

Le riflessioni che la Lettera delle Conferenze episcopali della nostra regione ha sollecitato non intendono essere qui presentate come risposte esaurienti e tanto meno definitive, quanto invece come un primo contributo ad una verifica che vo­gliamo compiere con tutto l'impegno richiesto dall'importanza degli argomenti, dall'autorità dell'interlocutore e dal suo rapporto con tanta parte delle popolazioni emiliano-romagnole.

Chiarire i nostri orientamenti e i nostri atti si­gnifica per noi ripensarli alla luce delle implica­zioni che hanno determinato, delle considerazio­ni anche critiche che hanno suscitato. Riteniamo infatti necessario elaborare e poi attuare le linee di intervento del potere pubblico con la più am­pia partecipazione di forze politiche e sociali, di organizzazioni ed enti, così da rendere possibile una verifica, ed anche un arricchimento e aggiu­stamento dei processi avviati.

La Lettera, partendo da un'analisi dell'interven­to regionale in materia di servizi sociali, pone in risalto l'emergere di problemi generali, di un qua­dro di riferimento entro il quale gli specifici pro­blemi debbono essere visti. Ne abbiamo piena consapevolezza e, anche se sarebbe presunzione voler qui esprimere questo quadro nella sua in­terezza, è opportuno richiamarne le linee essen­ziali.

1. - La Regione Emilia-Romagna - come vuole il suo statuto - intende fermamente perseguire i suoi obiettivi di intervento nell'ambito del dise­gno costituzionale, di cui le regioni sono a un tempo concreta derivazione e strumento su cui far leva per la sua compiuta attuazione. È l'impe­gno solenne di contribuire, nell'ambito delle no­stre responsabilità, alla costruzione dello stato voluto dalla Costituzione che non deve essere né confessionale né ideologico, ma democratico e pluralistico. Ciò richiede - nello svolgimento della vita politica e amministrativa nazionale, nel­le sue articolazioni regionali e locali e nei vari campi di attività della società - da parte di tutti, il superamento di ogni concezione esclusivistica e integralista, il ripudio di ogni preclusione ideo­logica così come di ogni commistione tra la sfe­ra religiosa e quella temporale, nel rispetto rigo­roso dei principi della Costituzione.

Pensiamo che il pieno attuarsi della Costituzio­ne stabilirà quel rapporto fra potere politico e so­cietà civile che può consentire l'effettivo espri­mersi di un vero pluralismo e rendere la società più profondamente ed effettivamente democratica.

A tali orientamenti la Regione intende ispira­re i propri interventi nei vari campi di competen­za, a cominciare da quello dell'assistenza, la qua­le oggi, nella Repubblica italiana, costituisce un diritto costituzionale e positivo del cittadino, a cui corrisponde un dovere del potere pubblico. È questo un dovere della società nel suo insieme che non può essere più surrogato solo dall'inizia­tiva di organismi particolari. Purtroppo, se la si­tuazione fino ad oggi è stata caratterizzata da gra­vi carenze della pubblica amministrazione, ciò è avvenuto non certo per responsabilità di chi ha spesso meritevolmente operato, ma di chi non ha fatto e da troppo tempo rimane sordo alle pressanti richieste di riforma.

La Regione ritiene anche che l'assunzione pie­na da parte degli organi pubblici del ruolo che lo­ro compete solleciti una giusta collocazione dell'attività non pubblica. di privati e di enti, quale si è venuta fin qui svolgendo. È questo un nodo da sciogliere senza deleterie contrapposizioni, ma nella comune volontà di accrescere le possibilità di soddisfare una esigenza sociale così ango­sciante e nel rispetto rigoroso di alcuni presuppo­sti di principio, quali il diritto di tutti i cittadini ai servizi sociali e alla libera scelta di essi, il do­vere primario dello stato di garantire tale diritto.

La Regione Emilia-Romagna intende pienamen­te assolvere le proprie funzioni pubbliche, anche per i servizi sociali, attraverso un largo sistema di partecipazione attiva dei cittadini, quale può esplicarsi nella «gestione sociale». Tale parte­cipazione pluralistica non deve aversi solo nell'esercizio della funzione amministrativa, ma an­che nella definizione delle finalità sociali, educa­tive, culturali dei servizi promossi direttamente dall'intervento pubblico, assicurandosi la presen­za dei diversi orientamenti ideali, dei valori uma­ni e di civiltà di cui ognuno è portatore. In tal mo­do le motivazioni, i sentimenti che hanno ispira­to e ispirano l'intervento di enti e organismi di natura non statale, lungi dall'essere emarginati o soltanto formalmente riconosciuti, divengono momento attivo anche nelle scelte e negli indi­rizzi della stessa iniziativa pubblica.

Esiste, poi, il problema specifico della colloca­zione nel quadro sopra esposto delle iniziative e attività svolte da detti enti, e in particolare da quelli istituiti dal mondo cattolico. Se è vero che province e comuni sono i diretti protagonisti di questa nuova politica dell'intervento pubblico, non è men vero che già fin d'ora, nelle modalità di attuazione dei servizi e nella stessa loro orga­nizzazione - definite poi autonomamente dagli organi locali - abbiamo indicato la possibilità di realizzare determinati servizi o prestazioni avvalendoci di enti od organismi di natura particolare già esistenti (1).

Del resto, nello stesso esercizio delle funzio­ni a noi trasferite relative a tali istituzioni, ab­biamo rifiutato un ruolo di vigilanza inteso in sen­so burocratico e fiscale, per indirizzare invece il nostro intervento alla promozione di un rapporto continuo degli enti e dei privati con le comunità locali e con i loro organi rappresentativi. Tale rap­porto troverà sanzione giuridica con il trasferi­mento agli enti locali, con delega, delle funzioni regionali.

Tipica e riassuntiva di queste considerazioni ci pare essere la politica della regione per le vacan­ze dei ragazzi, settore nel quale è ancora prepon­derante la presenza di organizzazioni private, per lo più di ispirazione cattolica. Il loro patrimonio di esperienza è apprezzabile, così come è larga­mente diffusa l'aspirazione ad un profondo muta­mento che affranchi tali servizi dalla vecchia vi­sione «assistenziale» per conferir loro un carat­tere formativo. L'elaborazione del regolamento regionale dei soggiorni di vacanza dei ragazzi e l'inizio della sua applicazione hanno visto parte­cipi consapevoli e attivi tutti questi enti, final­mente sollecitati da un potere pubblico non assen­teista, ed ha permesso alla Regione di approdare a scelte di contenuti nuovi anche sul piano ideale e culturale.

Nel citato documento di Bergamo delle regioni italiane si afferma: «Dovranno essere sciolti gli enti pubblici nazionali e gli enti autarchici isti­tuzionali (esempio EVA e IPAB) che a qualsiasi titolo svolgano attività nel campo assistenziale». È infatti constatazione unanime che l'attuale fram­mentarietà degli interventi, la polverizzazione dei centri decisionali, titolare ciascuno di una pro­pria autonomia giuridica, è ragione prima dell'or­mai cronica inefficienza del nostro sistema di as­sistenza sociale.

Pur prescindendo per ora dalla soluzione che in sede di riforma legislativa verrà data al problema sul piano nazionale, anche nella quotidiana pra­tica amministrativa vi è l'esigenza di convogliare ad unità i diversi interventi in una organica vi­sione programmatica.

Anche nei confronti delle IPAB abbiamo cer­cato di essere coerenti a questa impostazione: si tratta di un mondo estremamente composito, bisognoso di profonde ristrutturazioni, che ab­biamo cercato di fare maturare. Ci apprestiamo ora a compiere tale lavoro contestualmente a un'opera di democratizzazione dei consigli di am­ministrazione, rispettando e interpretando in sen­so evolutivo le volontà dei fondatori. Pare super­fluo dire che soltanto un esame specifico delle singole situazioni consentirà di risolvere i pro­blemi delle tavole di fondazione in relazione alla mutata realtà sociale e ambientale e alle trasfor­mazioni statutarie che si sono succedute.

2. - Riteniamo doveroso rilevare che la lettera dei Vescovi costituisce un riconoscimento dell'importanza assunta dal nuovo assetto regionale e, nello stesso tempo, del significato particolar­mente denso di novità e di speranza che la realiz­zazione di tale assetto ha assunto in Emilia-Ro­magna.

Per parte nostra riaffermiamo qui l'impegno a rispettare tutte le comunità e - istituzioni reli­giose e in particolare quelle cattoliche - nel pieno rispetto dei principi Costituzionali (artico­li 7 e 8 Costituzione), e nella persuasione che i valori di cui esse sono portatrici costituiscono parte integrante della realtà regionale, la quale - per quanto attiene alla vita civile, amministra­tiva e politica - si sviluppa attraverso il supera­mento di barriere ideologiche e di sterili con­trapposizioni pregiudiziali.

La regione rivolge anch'essa viva attenzione ai problemi della famiglia, e per quanto è nella sua competenza, soprattutto mira - come indi­ca il suo statuto - allo sviluppo dei servizi so­ciali di cui la famiglia ha diritto di godere.

Nell'attuale rapporto famiglia-società, la grave carenza dei servizi sociali a tutti i livelli incide negativamente sulle funzioni morali, educative, affettive della famiglia, compromettendone sem­pre più le possibilità di effettiva esplicazione. Questo accade, per esempio, quando si affida al­la sola famiglia la cura e il reinserimento dell'han­dicappato, o l'assistenza all'anziano, quasi si trat­tasse solo di problemi privati e non anche, e in particolare, di compiti sociali di rilevante portata. Analoga situazione si verifica, all'opposto, quando la famiglia viene completamente esautorata ed emarginata, il figlio o l'anziano allontanato dal proprio ambiente di vita per essere accolto in istituto.

Così, a proposito del processo educativo non si tratta di escludere la famiglia dall'esercizio di un suo ruolo, ma di verificarne le modalità e di assicurarne la possibilità di concreto svolgi­mento.

Ma al di là del pur necessario intervento delle pubbliche istituzioni, di fatto riteniamo che, per le tradizioni del nostro paese, per la sfera parti­colarmente delicata dell'intervento, non sia pen­sabile né giusto ostacolare l'impegno di associa­zioni, ed enti, che con le loro iniziative contribui­scano ad assicurare più ampi spazi alla esplica­zione delle funzioni della famiglia e ai vari ser­vizi di cui essa ha bisogno.

La Regione di fatto già destina, in misura non inferiore ad altre regioni similari - pur entro i limiti delle disponibilità finanziarie assicurate dal bilancio dello Stato, finora troppo ristrette, che ci auguriamo vengano presto accresciute - fon­di pubblici a iniziative di enti e privati, nel ri­spetto delle leggi nazionali e fermo restando che essa deve contestualmente esercitare un con­trollo sull'uso di tali fondi.

Possiamo assicurare che il timore di un orien­tamento «totalizzante» della Regione non è fon­dato, sia in linea di principio che di fatto. In li­nea di principio, infatti gli organi regionali sono di formazione schiettamente democratica e come tali rappresentano tutti i cittadini di ogni orientamento, ed è impegno della Regione perse­guire una sempre più piena rappresentatività, an­che affiancando gli istituti regionali organi di consultazione popolare e forme di partecipazione permanenti. Di fatto, poi, una regione così ricca di fermenti, associazioni democratiche, iniziative locali e di base offre un'irriducibile resistenza a qualsiasi pretesa totalizzante.

Vi è, infine, l'ambito dei problemi locali, altret­tanto importante, sui quali la lettera richiama l'at­tenzione con accenti preoccupati per alcune vi­cende che avrebbero coinvolto il personale reli­gioso di istituzioni assistenziali e scuole dell'in­fanzia della regione emiliano-romagnola. La Re­gione sente l'obbligo di rispettare i livelli di re­sponsabilità delle singole amministrazioni onde non venir meno alla propria fondamentale ispira­zione autonomista. Si ritiene pertanto che i pro­blemi locali debbano essere riservati alla compe­tenza delle comunità relative e dei loro organi, auspicando che anche in tali sedi si affermi un clima di confronto e di collaborazione serena e feconda. Tuttavia il problema sollevato sollecita alcune considerazioni di ordine generale. Eventuali manifestazioni di intolleranza, infatti. o de­cisioni assunte senza il consenso dei cittadini sono del tutto incompatibili con gli orientamenti e le linee di intervento da noi perseguite.

La volontà dei cittadini, degli utenti dei servizi, è fondamentale garanzia che il potere pubblico operi scelte giuste e non aprioristiche, soprattut­to per aspetti di natura così delicata: tale volon­tà deve però misurarsi ed esprimersi innanzitut­to sul tipo di servizio e sulle sue finalità. In tal modo anche nella organizzazione dei servizi pub­blici crediamo possano evitarsi incomprensioni e fratture, avvalendosi di una pluralità di collabora­zioni e di sforzi.

L'iniziativa assunta dalle Conferenze episco­pali dell'Emilia-Romagna permette di auspicare la prosecuzione e l'ampliamento di questo dialo­go. Motiveremo ancora una volta e pubblicamen­te gli orientamenti qui indicati, portando all'at­tenzione del Consiglio regionale i contenuti di questo libero e franco confronto. La Giunta re­gionale condivide la necessità di incontri oppor­tunamente preparati sui rilevanti problemi solle­vati e pertanto accoglie la proposta di un primo incontro con la commissione designata dalle Con­ferenze episcopali per precisare gli argomenti specifici.

La Regione è convinta che sia possibile assicu­rare, nell'Emilia-Romagna e in tutta l'Italia, il pro­gresso civile e il rinnovamento della società, pur­ché si abbia il coraggio di uscire dalla situazione esistente, per cercare con ferma consapevolezza le vie di una convivenza più ricca di valori umani, di solidarietà, di giustizia, di libertà.

 

(1) Il documento sottoscritto a Bergamo il 27 aprile 1971 dalle regioni sui problemi dei servizi sociali così si esprime su questo punto: «I comuni e le province attuano la programmazione regionale. I comuni esercitano la gestione dei ser­vizi direttamente o attraverso consorzi di più comuni, possono convenzionarsi con enti privati per l'esecuzione dei singoli compiti assistenziali, attraverso il pagamento dei costi di gestione ed escludendo qualsiasi forma di contributo all'incre­mento dei patrimoni».

 

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