Prospettive assistenziali, n. 25, gennaio-marzo
1974
ATTUALITÀ
DIALOGO
SULL'ASSISTENZA TRA VESCOVI E PRESIDENTE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
Vivo interesse ha suscitato lo
scambio epistolare avvenuto nel 1973 fra i vescovi e il
presidente della Regione Emilia-Romagna,
scambio reso noto nella seduta del Consiglio regionale del 30 gennaio 1974.
I vescovi, con una procedura che non
ha precedenti, prendono posizione sul problema dell'assistenza,
problema che si è acuito con l'istituzione delle regioni.
Per la sua importanza, pubblichiamo
oltre alle lettere dei vescovi e di Fanti, presidente della giunta, anche la
lettera pastorale del 24 dicembre 1973.
I documenti episcopali assumono
particolare rilievo perché firmati anche dal vescovo di Bologna che è
presidente della Conferenza episcopale italiana.
Nella lettera del 5 luglio 1973 i
vescovi lamentano che le iniziative assunte dalla Regione Emilia-Romagna
disattendono «quel pluralismo che
Tale pluralismo sarebbe disatteso
attraverso l'attribuzione agli enti locali di «compiti totalizzanti», che «finiscono per limitare sempre più l'ambito sia della
famiglia, che delle comunità intermedie e delle libere istituzioni». Viene cioè contestato dall'episcopato emiliano il fatto che
Per quanto riguarda il primo punto ci si deve chiedere se lo spirito della Costituzione
intenda per pluralismo quello dei centri di potere (tali sono infatti gli enti
assistenziali) e il loro consolidamento, e non invece l'apertura ad una vera
democratizzazione e alla salvaguardia di tutti i cittadini. Là dove invece la
lettera pastorale parla di «un pluralismo istituzionale e organizzativo»
facendo riferimento a istituzioni che «si pongono
all'interno del corpo sociale con funzioni di servizio, partecipazione e dialogo
tra le sue varie componenti», il pluralismo si configura più come un accordo di
convivenza che come una reale partecipazione di cittadini. E che tale
pluralismo sia addirittura prevaricatore lo dimostra l'affermazione che «anche
negli orientamenti educativi delle scuole gestite
dagli enti locali e dallo stato è irrinunciabile un orientamento per lo
sviluppo del senso religioso», il che ribadisce, al di là del pluralismo, la
richiesta o , i conferma, al di fuori delle istituzioni cattoliche, di
privilegi anche in istituzioni laiche. Ponendosi su questa logica,
l'episcopato emiliano indica chiaramente che esso intende collocare
Basta pensare, per restare nel campo
dell'assistenza, allo svuotamento del principio della carità, che avviene
attraverso la sua identificazione con le opere cosiddette di carità, quali gli
istituti assistenziali.
Inoltre le richieste dei vescovi non
sono rigorosamente dedotte dai principi che essi stessi pongono. Infatti quando essi dicono che i cristiani «debbono essere
nel mondo un fermento di vita nuova» o che per i cristiani «è da incoraggiare
la partecipazione alla vita, ai compiti e alle strutture della società, ai
servizi promossi dalla comunità e alla loro gestione; così nell'incontro, nel
dialogo, nell'impegno concreto i cristiani potranno essere portatori di quei
valori umani autentici che la rivelazione aiuta a scoprire e a vivere», tutto
ciò non implica necessariamente l'esistenza di strutture cristiane, ma può ben
significare semplicemente la presenza dei cristiani nelle strutture.
La preoccupazione, allora,
dell'episcopato emiliano per avere
È a conoscenza di tutti noi,
infatti, l'assoluta chiusura degli enti privati di assistenza
alla partecipazione dei cittadini (pubblicizzazione
dei bilanci preventivi e consuntivi, delle deliberazioni; condizioni
educative; provenienza degli assistiti; criteri di ammissione. ecc.). Ma non basta. Sono note infatti le
«chiusure» degli istituti (spesso veri e propri reati) nei confronti delle
leggi che minacciano, se osservate, di ridurre il numero di clienti. di assicurare ai bambini un trattamento idoneo, di consentire
ai genitori di visitarli liberamente e non esclusivamente nelle ore (spesso
limitate a 2 ogni 15 giorni) fissato dagli istituti.
Nemmeno le autorità vaticane
intervengono nei confronti dei minori istituzionalizzati. Si veda al riguardo la lettera inviata il 2 febbraio 1970 alla Segreteria di
stato dall'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore avente per
oggetto «Inadeguata assistenza ai minori e disapplicazione
della legge sull'adozione speciale da parte delle istituzioni di assistenza» («Prospettive assistenziali», n. 13 e 8/9) e
la risposta del tutto evasiva del 18 agosto 1970 di Mons.
Benelli, Sostituto della Segreteria di Stato.
Ancora oggi sono in atto da parte
degli Istituti cattolici di assistenza vere e proprie
deportazioni di assistiti da una regione all'altra, che, oltre a separare i
bambini dal loro ambiente naturale, impediscono di fatto alle loro famiglie di
avere contatti con i loro figli.
È a difesa di tali istituzioni e non
a difesa degli assistiti che intervengono i vescovi dell'Emilia-Romagna,
nel memorandum allegato alla lettera del 5 luglio 1973 e che questa scelta sia
orientata a fini di potere appare anche evidente quando essi intervengono «sulla sorte delle opere pie» (1).
Ed è la stessa posizione tenuta dalla
Conferenza episcopale italiana nel documento pubblicato sull'«Osservatore
Romano» del 15 luglio 1972 (vedi «Prospettive assistenziali», n. 19).
È chiaro quindi che queste scelte
non sono le nostre, e se qui non ci preme tanto difendere l'operato
della Regione Emilia-Romagna, dobbiamo però
riconoscere che l'attribuzione delle funzioni esclusivamente agli enti locali
è anche la nostra posizione. Consentire agli enti privati la gestione di questo
o quel servizio, come rivendicano i vescovi, è voler settorializzare gli interventi e dividere le esigenze.
Vediamo allora come risponde
La risposta del presidente Fanti
alla lettera dei vescovi appare molto corretta nel tono, nella fermezza con
cui si ribadiscono i principi e nello spirito non dogmatico
e aperto al dialogo che la ispira.
Mentre si sottolinea
che il pluralismo consiste nella più ampia partecipazione di tutti alla definizione
delle scelte comuni e nella concezione dello stato come «né confessionale né
ideologico», rispettosa quindi dei più diversi orientamenti e delle loro
possibilità di esprimersi, si riconosce anche che il problema del rapporto fra
potere pubblico ed enti privati è un «nodo da sciogliere» e che non si possono
sempre e comunque assumere soluzioni aprioristiche, trascurando anche la
necessaria gradualità. Per questo, sottolinea Fanti,
si è indicata anche «la possibilità di realizzare determinati servizi o prestazioni
avvalendosi di enti o organismi di natura particolare già esistenti».
Ciò non impedisce che sia ribadito
il principio secondo cui il potere pubblico ha il dovere di garantire a tutti il diritto ai servizi sociali non emarginanti e che
tale dovere «non può essere più surrogato solo dall'iniziativa di organismi particolari»;
di conseguenza l'ente locale non può semplicemente avallare e sostenere
finanziariamente le iniziative private, ma esso «deve contestualmente
esercitare un controllo sull'uso di tali fondi», poiché non è «né democratico
né pluralistico il fatto che fondi pubblici vengano devoluti ad enti privati
per il solo fatto che esistono».
La risposta di Fanti lascia però
qualche dubbio quando dall'esposizione dei principi e dell'azione della Regione, passa a rispondere alla richiesta dei
vescovi di incontri con la commissione episcopale designata per trattare il
problema. Giustamente Fanti sottolinea che si deve
richiedere «nello svolgimento della vita politica e amministrativa nazionale,
nelle sue articolazioni regionali e locali (...) il ripudio (...) di ogni commistione
tra la sfera religiosa e quella temporale».
Ora la richiesta della Conferenza
episcopale emiliana è di un confronto non con gli enti privati e gli operatori
e utenti dell'assistenza sociale, ma direttamente con
l'istituzione ecclesiastica come tale.
E non è proprio questa la deprecata commistione tra sfera religiosa e sfera
temporale? Poiché, se il principio di tali trattative bilaterali si
generalizzasse, ne deriverebbe il passaggio di decisioni politiche attraverso
istituzioni, come
Accettando la richiesta di incontri con i vescovi emiliani, il presidente Fanti ha
il dovere di ribadire le linee dell'intervento pubblico che emergono dallo
statuto della Regione Emilia-Romagna.
E se
(1) Con la legge 17
luglio 1890, n. 6972 le opere pie hanno assunto la denominazione e le funzioni
di istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza.
I.
LETTERA PASTORALE DEI VESCOVI
DELL'EMILIA-ROMAGNA
IMPEGNO COMUNITARIO A SERVIZIO DEI FRATELLI
1 - La solennità del Natale ci invita a ripensare all'amore di Dio, che in Gesù Cristo,
si pone a fianco dell'uomo per svelargli la sua vocazione e la sua dignità.
È questo il lieto annuncio che ci
viene dal Natale, insieme con l'invito a impegnarci
per i fratelli, così come Dio si è impegnato per noi.
In questo spirito e nella proposta
di rinnovamento e riconciliazione che ci viene
dall'anno santo, ci rivolgiamo ai fedeli e fratelli delle chiese locali dell'Emilia-Romagna per segnalare alcuni principi ed esigenze
connesse con il nostra impegno di conversione e promuovere un dialogo su
importanti problemi della vita pastorale.
Il tema «Evangelizzazione e
sacramenti» su cui è convocata la chiesa in Italia pone in primo piano il
compito della evangelizzazione, che si rivolge
all'uomo del nostro tempo per offrirgli un orientamento e una parola di
certezza.
2 - L'annuncio e l'impegno, che siamo chiamati ad accogliere e a vivere. richiedono
profonda
riflessione e presa di coscienza, anche in relazione
al momento storico in cui viviamo.
Non dimentichiamo che venticinque
anni fa furono promulgati dall'ONU i diritti universali dell'uomo. Essi
costituiscono un bene inalienabile e un punto di riferimento per tutta
l'umanità nel suo cammino di ascesa e di liberazione.
A questi principi fondamentali,
frutto della saggezza e della sofferenza dei popoli, la rivelazione cristiana
porta una conferma e un potente stimolo a realizzarli.
Noi avvertiamo sempre più di essere
in un periodo contrassegnato da un'acuta percezione dei limiti e dei rischi
della cosiddetta civiltà dei consumi e da una crisi a livello di ideologie e di prassi che può essere superata solo con un
ricupero dei valori dello spirito e con la ricerca più intensa di solidarietà
e di comunione fraterna.
È motivo di fiducia per tutti noi il
fatto, che, nonostante i numerosi problemi, vi sono molti uomini e comunità che
si sforzano di attuare la giustizia nei rapporti e nelle strutture sociali, e
si sta avviando una crescita di coscienza circa le responsabilità di tutti in ordine alla promozione dell'uomo.
3 - La chiesa segue con vivo
interesse questa evoluzione, lieta che si progredisca
in quel moltiplicarsi di rapporti nella convivenza umana che nell'enciclica «Mater et magistra»
è stato chiamato «socializzazione» (1) , e che si
tenda a strutture più conformi alla dignità dell'uomo e a sistemi più validi di
sicurezza sociale (2).
La comunità cristiana è chiamata a esprimere oggi i valori del vangelo, impegnandosi in rapporti
nuovi, sempre più ispirati alla giustizia e alla carità che Cristo ci ha
insegnato.
Più volte siamo stati interpellati
sul significato e sui modi di una presenza cristiana, particolarmente
in ordine ad alcuni settori della promozione sociale.
Nell'ambito del programma pastorale
della chiesa in Italia, vorremmo offrire alle nostre comunità alcune
riflessioni e indicazioni relative
alla testimonianza concreta di carità e
all'impegno educativo per l'infanzia.
Annunzio del vangelo e
promozione umana
4 - Cristo continua nella chiesa,
mediante il suo Spirito, la missione ricevuta dal Padre di predicare la buona
novella, annunzio dell'amore di Dio (3), di salvezza totale, di vera
liberazione che reintegra in noi l'immagine di Dio.
«Con l'incarnazione
il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo»(4); così «nel mistero
del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo» (5). Cristo è l'uomo
nuovo, «primogenito tra molti fratelli» (Rom. 8, 29).
La dignità della persona, di cui si
avverte oggi più viva coscienza, pur fra tante incertezze e contraddizioni,
riceve da Cristo un valore inestimabile. Noi crediamo che «Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il
suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua suprema vocazione» (6).
Testimonianza della
comunità
5 - Compito della chiesa è
evangelizzare, cioè «proclamare il vangelo perché ne
germogli, si dispieghi e si accresca la fede» (7); e mentre annuncia agli
uomini il mistero della salvezza (cf. Ef. 3, 10), si rende «segno e strumento dell'intima unione
con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (8).
L'evangelizzazione tende al
sacramento, si compie in esso e sfocia nella
testimonianza della vita che rende più facilmente intellegibile
il linguaggio della fede e il significato dei segni sacramentali,
specialmente quando è «testimonianza dell'intera comunità cristiana che, a
somiglianza della chiesa primitiva, nella vita di gioia, di carità, di
sacrificio manifesta la forza del vangelo (cf. At.
2, 46-47)» (9).
6 - L'evangelizzazione
è dunque a servizio dell'uomo, proclama e tende alla sua piena liberazione in
una prospettiva che include l'orizzonte terreno e, trascendendolo, mira a
fargli prendere coscienza della sua dignità e dei suoi destini ultimi. Proprio per questo, mentre proclama la salvezza che viene
dall'amore di Dio, chiede che l'uomo l'accolga e s'inserisca responsabilmente
in questo disegno. Ciò comporta una conversione
interiore e un impegno di rinnovamento, e stimola altresì a trasformare le
strutture della società, perché non ostacolino, ma favoriscano lo sviluppo
dell'umanità.
«L'agire per la giustizia e il
partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono
chiaramente come una dimensione costitutiva della predicazione del vangelo, cioè
della missione della chiesa» (10).
Siamo convinti della necessità della
promozione di ogni uomo, di tutto l'uomo (11), di una
liberazione che cominci ad attuarsi fin d'ora, nella esistenza terrena:
liberazione dal peccato e, quindi, da tutto ciò che deturpa nell'uomo
l'immagine di Dio e ne impedisce la crescita come persona: l'egoismo, le
passioni disordinate, le carenze materiali, le strutture oppressive, le
ingiustizie nei rapporti pubblici e privati (12).
7 - Tutto questo, attuato in una
visione cristiana dell'uomo e del mondo, nello spirito delle beatitudini
evangeliche (13) e nella prospettiva della piena
liberazione con la vittoria anche sulla morte (cf.
Rom. 8, 11) (14), acquista un valore di segno e di anticipazione
della libertà della gloria dei figli di Dio (cf. Rom.
8, 21 ). Per questo non possiamo accettare una concezione del mondo che,
regolata dalla ricerca del piacere e del dominio, si ispira
alla violenza e all'odio, avalla la sopraffazione, riduce la libertà. E dobbiamo
assumere la logica del vangelo, che è impegno per la giustizia, solidarietà,
servizio, condivisione, amore fino al dono di sé, a
imitazione dell'amore gratuito di Dio che si rivela a noi in Gesù, crocifisso
per i nostri peccati.
Operando secondo le beatitudini
siamo certi di innestarci nella forza nuova che Cristo ha immesso nella storia
e la fa volgere verso i suo; ultimi destini. «Nel suo spirito vivificati e coadunati,
noi andiamo pellegrini incontro alla finale perfezione della storia umana, che
corrisponde in pieno col disegno del suo amore: "Ricapitolare tutte le
cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra" (Ef. 1, 10)» (15).
Carità ecclesiale
8 - La chiesa, assemblea dei
discepoli di Cristo, l'umile servitore di Iahvé, è
diaconia di carità che cerca l'uomo, e perciò deve rivolgersi a tutti, ma
specialmente a quelli che valgono meno di fronte al monde.
È un aspetto fondamentale della sua missione.
Gesù infatti
predicando nella sinagoga di Nazaret applica a sé la
profezia del libro di Isaia: «Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi
ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto
messaggio...» (Lc. 4, 18).
Le sue parole e il suo atteggiamento
mostrano una preferenza verso i poveri, i piccoli, i malati
gli «esclusi» della società, più aperti all'annuncio del regno. Egli si identifica in loro, ne fa un sacramento della sua
presenza: «Ogni volta che avete fatto queste cose a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt. 25, 40):
afferma che il culto più gradito è costituito dall'amore, dalla misericordia (cf. Mt. 9, 13); intende e realizza la sua vita come
manifestazione dell'amore del Padre verso gli uomini
(cf. Gv. 3, 16); come
servizio che culmina nel dono totale di sé sulla croce: «Il Figlio dell'uomo
non è venuto per essere servito, ma per servire e dare
la propria vita in riscatto per molti» (Mc. 10, 45). E chiede che i discepoli si amino come lui li ha amati (Gv. 15, 12), per offrire al mondo un segno che lo porti a
credere in lui (cf. Gv. 13,
35).
9 - L'insegnamento e la prassi
apostolica riprendono questi motivi e li applicano alla vita della comunità. La
legge di Cristo si esprime «nel portare gli uni i pesi degli altri» (Gal. 6, 2). La fede senza le opere di carità è morta (cf. Gc. 2, 15-17). «Una religione
pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli
orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo» (Gc. 1, 27). S. Paolo raccomanda: «Siate
solleciti per le necessità dei fratelli» (Rom. 12, 13) e include fra i carismi
«il servizio di assistenza» (1 Cor. 12,28).
L'amore che univa il primo nucleo
dei credenti era tale che essi volontariamente «tenevano
ogni cosa in comune e chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva
parte a tutti secondo il bisogno di ciascuno» (At. 2, 44-45) e «nessuno fra
loro era bisognoso» (At. 4, 34).
Fu la necessità di provvedere al
servizio delle mense a portare gli apostoli alla istituzione
di uno specifico ministero: il diaconato, espressione della diaconia di carità
della chiesa (cf. At. 6).
Fin dalle origini
cristiane il servizio dei poveri. dei fratelli bisognosi appare
associato al culto, al ministero della parola e alla frazione del pane. Così S.
Paolo raccomanda la colletta per i poveri di Gerusalemme: «Ogni primo giorno
della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare» (1 Cor. 16, 2). Questa colletta doveva considerarsi
un «servizio in favore dei santi» (2 Cor. 9, 1), «una grazia di Dio» (ib. 8, 1) e rappresentava una
«liturgia» che provvedendo alle necessità dei santi, aveva un valore di
«ringraziamento» a Dio (ib. 9, 12).
10 - I documenti patristici
raccomandano incessantemente questo servizio di carità e attestano le molteplici opere che fioriscono intorno al vescovo
e ai suoi diaconi per i poveri, le vedove, gli orfani, i pellegrini, i
profughi, i perseguitati, i carcerati, i condannati alle miniere. Così si
moltiplicano le iniziative di carità, che trovano la loro sorgente e la loro conclusione nell'assemblea domenicale.
Molto significativo
il richiamo della Didaché: «Non allontanare il
bisognoso, anzi, fa' parte di tutte le tue cose con il fratello e non dire che sono tue personali; perché se i beni spirituali vi
sono comuni, quanto più quelli materiali!» (16). In questo spirito S. Giustino
ricorda di doni che venivano deposti nelle mani del
celebrante per l'assistenza ai poveri (17). Il diacono che presentava
all'altare le offerte, recava agli ammalati insieme al pane eucaristico i
soccorsi della comunità. Lo stesso catecumenato includeva l'esercizio della carità, e agli scrutini del battesimo
si ponevano, fra le altre, queste domande: «Avete onorato le vedove?
Avete visitato gli ammalati? Avete compiuto altre opere buone?» (18).
11 - Il concilio Vaticano II afferma
che il nuovo comandamento della carità è la legge
fondamentale dell'umana perfezione e perciò anche della trasformazione del
mondo (19); ricorda che «la santa chiesa, come fin dalle sue prime origini...
così in ogni tempo si riconosce da questo contrassegno della carità» (20) e
sollecita all’esercizio concreto dell'amore del prossimo, specie verso i
deboli, gli affamati, gli stranieri, ali emarginati dalla società (21).
Valore di una
testimonianza
12 - Le istituzioni caritative non
esauriscono la diaconia di carità della chiesa, ma possono esprimerla in modo
visibile e comunitario. Esse possono avere un valore sociale, ma hanno, in
primo luogo, un valore religioso, profetico. Si propongono come un fatto di
salvezza: la manifestazione dell'amore gratuito di
Dio che cerca l'uomo, il segno di una fraternità e di una giustizia nuova por-tata
dai vangelo. Dividere con gli altri ciò che si ha, significa penetrare il mistero
stesso di Cristo che si è fatto povero per farci
ricchi con la sua povertà (cf. 2 Cor.
8, 9) .
È indubbio che certe realizzazioni
di carità hanno svolto e possono svolgere anche una
funzione di supplenza e di stimolo nei confronti della società civile. Chi
però pensasse alla carità ecclesiale soltanto in termini di supplenza e
provvisorietà, dimenticherebbe l'aspetto più profondo della carità della
chiesa, la sua connessione con la diaconia che Cristo, effondendo il suo
Spirito, continua nel tempo a sollievo della umanità.
Potranno variare le espressioni
storiche di questa carità: alcune possono rivelarsi
superflue, altre possono rendersi necessarie. Ma non potrà mai venir meno la
carità come segno e riflesso dell'amore di Dio, come dono di sé; e fin tanto
che l'uomo non abbia raggiunto la sua «piena e definitiva» liberazione, questa
testimonianza cristiana troverà un riferimento immediato nel
fratello che ha bisogno degli altri fratelli.
In questo modo i cristiani potranno adempiere al duplice compito di animare e integrare quanto
viene messo in atto dalla comunità civile per assicurare ad ogni cittadino i
vari servizi sociali, impiegando tutti i loro sforzi perché la società assuma
le sue responsabilità per la promozione dei valori dell'uomo.
Giustizia e carità
13 - L'attenzione e l'impegno per la
giustizia e la carità costituiscono una dimensione intrinseca all'attività
pastorale, perché rendono visibile e credibile la chiesa come comunità di amore. In modi e livelli diversi, tutta la chiesa deve
sentirsi coinvolta; dalle comunità locali, alle famiglie, alle associazioni,
ai singoli fedeli; dalla testimonianza che siamo
chiamati a offrire nel distacco dei beni e attraverso lo stile di vita (22),
all'impegno concreto per individuare ed eliminare le cause degli squilibri
sociali e della emarginazione.
La ricerca e
l'attuazione della giustizia nella ripartizione dei beni, le iniziative che
mirano a soddisfare i diritti della persona (alla vita, alla libertà, all'istruzione,
al lavoro, alle cure sanitarie, alla casa, ecc.) e a favorire un più largo
accesso alle responsabilità sociali; l'impegno a liberare l'uomo da ogni
oppressione, interna ed esterna, a trasformare, a «fare evolvere le strutture
e adattarle ai veri bisogni presenti», tutto ciò deve considerarsi
indispensabile per esprimere e testimoniare la carità (23).
14 - Nello stesso tempo riteniamo
che la carità ecclesiale porta a impegnarsi, sia
singolarmente che comunitariamente, a favore dei fratelli,
con interiori motivazioni di fede, e, possibilmente, nei modi che sono
caratteristici del cristiano (24). La carità non si accontenta di dare
qualcosa, non si risolve in un servizio, sia pure tecnicamente ineccepibile, non si limita a offrire una prestazione alla
quale il cittadino ha diritto; essa ricerca l'uomo, il fratello, il volto
stesso del Signore in chi si trova nel bisogno, e tende a far parte di ciò che
si è, non solo di ciò che si ha, condividendo la vita e portando gli uni i pesi
degli altri. In questo modo la carità diventa veramente l'anima del servizio,
in qualunque struttura si operi; non si contrappone alla promozione
della giustizia, non la rende superflua, ma la include, la alimenta, la
integra (25).
Presenza nel mondo
15 - I discepoli del Signore debbono essere nel mondo un «fermento» di vita nuova (26) e
sono chiamati a essere presenti e a operare nella vita familiare,
professionale, sociale, culturale e politica, secondo lo spirito del vangelo e
la dottrina della chiesa, ponendosi a servizio degli uomini (27).
Essi, «pur riconoscendo l'autonomia
della realtà politica, si sforzeranno di raggiungere una coerenza fra le loro
azioni e il vangelo, e di dare, pur in mezzo a un
legittimo pluralismo, una testimonianza personale e collettiva della serietà
della loro fede mediante un servizio efficiente e disinteressato agli uomini»
(28). Trovandosi a fianco degli altri uomini, collaboreranno nella ricerca di
rapporti sociali e di sistemi che promuovano lo
sviluppo della persona, rimuovendo ogni ostacolo e creando le condizioni più
idonee.
In tal modo essi portano un
contributo specifico alla giustizia, alla promozione dell'uomo,
aggiungendo le prospettive e il significato che l'ispirazione evangelica può
dare agli sforzi umani (29).
In questo spirito di
corresponsabilità è da incoraggiare la partecipazione
alla vita, ai compiti e alle strutture della società (30), ai servizi promossi
dalla comunità e alla loro gestione; così nell'incontro, nel dialogo,
nell'impegno concreto i cristiani potranno essere portatori di quei valori
umani autentici che la rivelazione aiuta a riscoprire e a vivere.
Famiglia e opera
educativa
16 - Il primo ambito in cui si attua
lo sviluppo della persona è la famiglia, la quale
costituisce «il fondamento della società» (31); «la prima vitale cellula della
società» (32). A essa spetta primariamente lo sviluppo
integrale della persona (33). In particolare, la famiglia cristiana esprime ed
attua la missione stessa della chiesa: «anche nelle case Gesù continua e
compie oggi la sua opera di profeta e di maestro, di sacerdote, di amico e di pastore, mediante il servizio educativo dei
genitori» (34).
I genitori sono dunque i primi
annunciatori del vangelo ai figli: a loro, primi fra tutti, spetta l'educazione
religiosa nel contesto della più ampia comunità
ecclesiale, e quindi in una reciprocità di rapporti tra famiglia e comunità ecclesiale
stessa.
17 - La missione dei genitori si
svolge in collaborazione con tutte le componenti
della comunità civica, alla quale la famiglia deve aprirsi, partecipando alla
sua vita ed utilizzandone le strutture. A sua volta, la società è chiamata a «difendere
i doveri e i diritti dei genitori e degli altri che svolgono attività educativa
e a dar loro il suo aiuto» (35).
Il principio della priorità della
famiglia e della sussidiarietà dello stato, affermato
anche dalla costituzione italiana (36), ispirerà i giusti orientamenti e le
opportune scelte, specie per quanto riguarda l'educazione religiosa.
18 - Desideriamo ricordare quanto
afferma il concilio: «Deve essere dalla potestà civile riconosciuto ai
genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi
di educazione, e per una tale libertà di scelta non
debbono essere aggravati né direttamente, né indirettamente, da oneri
ingiusti. Inoltre i diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti
a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondano alla persuasione
religiosa dei genitori o se viene imposta un'unica
forma di educazione dalla quale sia esclusa ogni formazione religiosa» (37).
La comunità cristiana affianca
l'opera educativa delle famiglie nella formazione integrale della persona. Tale opera, mentre promuove la crescita della fede e della
comunione ecclesiale contribuisce al bene della società terrena e all'edificazione
di un mondo più umano (38).
19 - Questi principi dovranno essere tenuti presenti particolarmente
in un momento in cui il moltiplicarsi dei rapporti sociali, la industrializzazione, l'urbanesimo, la più diffusa attività
professionale della donna, fanno sentire più viva la necessità dei servizi
educativi e scolastici nel periodo dell'età evolutiva. Lo stato, nelle sue
varie istituzioni e articolazioni (regioni, province, comuni), è chiamato a
dare una sua risposta a questi nuovi bisogni, sollecitando e aiutando l'opera e
le scelte dei genitori, riconoscendone il ruolo primario nei servizi educativi
che vengono promossi.
Particolarmente in questo campo ci
sembra di fondamentale importanza il pluralismo delle istituzioni educative,
le quali, nella misura in cui rispondono alle autentiche esigenze delle famiglie,
svolgono un valido servizio e quindi debbono essere
valorizzate e sostenute nei modi adeguati dalla società civile. Un'effettiva
pluralità di offerte costituisce un segno della
libertà dell'educazione e quindi un arricchimento sul piano culturale, un
elemento di crescita della comunità.
In questa luce dev'essere
valutato in tutta la sua importanza, anche sociale, l'impegno educativo di associazioni di genitori, di gruppi e comunità
cristiane, che aiutano i genitori nell'assolvimento dei loro compiti,
particolarmente nel campo delle scuole materne, che costituiscono una vera
integrazione della famiglia e attuano il primo inserimento del bambino nella
società. Pluralismo e dialogo
20 - Oltre che alla
famiglia, anche agli altri «corpi intermedi» (istituzioni, associazioni,
gruppi, ecc.) deve essere garantito il necessario spazio con la possibilità di
partecipare alla vita della società e, in questo modo, di concorrere alla
realizzazione del bene comune (39).
Il principio di sussidiarietà
richiede che tutte le componenti della società siano
favorite e saggiamente impiegate nei programmi pubblici, quando realizzano attività
di rilevanza pubblica. «L'oggetto di ogni intervento
in materia sociale è di porgere aiuto ai membri del corpo sociale, non già di
distruggerli o di assorbirli» (40). Questo principio, ribadito chiaramente dal concilio (41), è da richiamare con maggiore insistenza,
nella misura in cui l'iniziativa pubblica tende a dilatarsi, assorbendo sempre
più le manifestazioni della vita dei cittadini o rendendo difficile la
realizzazione e la vita di iniziative non pubbliche, ma di valore sociale, e
comunque espressive di una autentica tradizione culturale.
21 - Il pluralismo
infatti ha un chiaro riferimento con i diritti della persona, della
famiglia e dei vari gruppi sociali, diritti che lo stato è chiamato a tutelare
nel loro contenuto e nel loro esercizio.
Queste istituzioni, che rispondono
alle esigenze della persona, si pongono all'interno del corpo sociale con
funzioni di servizio, partecipazione e dialogo fra le sue varie componenti.
In questo legittimo pluralismo
istituzionale e organizzativo - riconosciuto anche dalla
costituzione italiana - si collocano le iniziative promosse da
cittadini, i quali, nello spirito del vangelo, intendono realizzare, anche in
forme associative, servizi rispondenti a quei diritti che lo stato deve
garantire per tutti. Essi potranno così concorrere, insieme con le altre componenti della società, al bene comune, affiancando e integrando
quanto viene promosso dall'iniziativa pubblica, in uno sforzo sincero di
rispondere a reali esigenze delle persone.
Problemi e indicazioni
pastorali
22 - Ci rendiamo
conto come l'applicazione dei principi sopra richiamati non sia sempre
facile, soprattutto in una società in trasformazione come la nostra.
Nell'ambito della partecipazione e
del dialogo fra la società e le sue varie componenti,
vi sono indubbiamente problemi che richiedono molta riflessione e opportune
sperimentazioni. Accenniamo ad alcuni:
- la concreta valorizzazione del
pluralismo delle istituzioni di fronte a tendenze ad attribuire in modo
esclusivo agli organi pubblici ogni iniziativa nel
campo dell'educazione, dell'istruzione e dei vari servizi sociali;
- l'effettivo esercizio della
responsabilità dei genitori in ordine alla scuoia e
alle varie iniziative promosse per l'infanzia (es. scuola a tempo pieno, case
di vacanza, ecc.) ;
- la
partecipazione dei cittadini alla gestione dei servizi nel rispetto delle
specifiche competenze e responsabilità;
- i modi concreti per inserire nella programmazione dei servizi le iniziative di enti non
pubblici che perseguono finalità di utilità sociale.
Altri problemi riguardano più
specificamente le nostre comunità:
- il significato delle varie
iniziative di ispirazione cristiana in campo
educativo, caritativo e assistenziale,
- la reciprocità
di rapporti esistenti tra queste iniziative e la comunità cristiana.
Dovremo prendere in considerazione:
- il modo con cui le nostre comunità
e i fedeli s'impegnano per l'attuazione di rapporti
sociali più giusti e vivono la dimensione della carità;
- le situazioni di povertà o di
bisogno esistenti nella comunità e le risposte che vi si danno;
- la testimonianza che possiamo offrire attraverso lo stile di vita;
- la partecipazione, come cittadini,
alle organizzazioni e alle strutture civiche (enti locali, quartiere, ecc.)
che stanno alla base della vita sociale nel nostro
paese, particolarmente con l'attuazione del decentramento regionale.
Nella complessità di tali problemi,
molti dei quali tuttora aperti, ci sembra che si rendano opportune alcune
indicazioni, soprattutto per quanto si riferisce all'attività pastorale.
Superamento di ogni «esclusione»
23 - Dal principio della comune
dignità della persona si deduce la necessità di superare ogni mentalità o
sistema di discriminazione o esclusione nei confronti di quanti, bambini o
adulti, si trovano per qualsiasi motivo in difficoltà (orfani, malati,
anziani, handicappati fisici e mentali, carcerati, disoccupati, emigrati,
ecc.).
Essi, in quanto persone, hanno il
diritto alla piena comunicazione umana e sociale, e la comunità deve farsene
carico con opportune legislazioni e interventi che promuovano
il rispetto della loro vita e l'inserimento nella comunità.
Questi fratelli, in quanto più
deboli e più bisognosi, debbono occupare il primo
posto nell'amore e nel servizio di tutti, particolarmente di noi cristiani che
crediamo nel mistero del Cristo nascosto in essi. Anche sul piano pastorale si
devono offrire loro le medesime possibilità di esperienza
cristiana, inserendoli a pieno titolo nella vita della comunità ecclesiale
(vita liturgica e sacramentale, catechesi, ecc.), di cui sono la parte più
eletta, e limitando allo stretto indispensabile eventuali iniziative di
carattere settoriale.
Educazione permanente
24 - La catechesi permanente a cui ci invita il programma pastorale dell'anno comporta un'educazione
ai valori della giustizia e all'esercizio della carità (42).
Essa si realizza nella comunità
cristiana e si inserisce nell'itinerario di fede e di
conversione alla parola di Dio che siamo tutti invitati a ripercorrere, come
pure fa parte integrante della iniziazione cristiana al mistero di Cristo e
della chiesa.
La ricerca della giustizia,
l'impegno per attuarla a tutti i livelli e l'esperienza di carità come
apertura al fratello, specialmente povero e bisognoso, sono essenziali per la
comprensione dell'eucaristia e della chiesa. Proprio per questo tutta la
comunità cristiana deve presentarsi come comunità d'amore, nella quale è vivo l'anelito della giustizia e l'impegno di
servizio verso i fratelli.
Per i fratelli più
bisognosi
25 - Secondo la illuminazione
e il dono dello Spirito, dovremo individuare i reali bisogni delle persone e
dei gruppi umani, le situazioni di povertà e di emarginazione che possono
presentarsi, anche in forme nuove, nella società moderna, «indurita dalle
competizioni e dall'attrattiva del successo». Verso questi fratelli deve
dirigersi la nostra attenzione «per riconoscerli, aiutarli, difendere il loro
posto e la loro dignità» (43).
Non si tratta però soltanto di
rimediare a delle situazioni di emarginazione, ma di
prevenirle eliminandone le cause (44).
In questo quadro siamo chiamati a
verificare e rinnovare il senso ecclesiale, le finalità, il metodo delle
istituzioni assistenziali promosse in campo cattolico,
concretando l'attenzione sulle
persone e sulle loro esigenze, anche alla
luce dell'esperienza e delle acquisizioni ben fondate nel campo delle scienze
dell'uomo. Tali attività, il più delle volte, hanno un valore di supplenza o di integrazione ai compiti della famiglia. Proprio per
questo occorre sollecitare una più viva solidarietà e
responsabilizzare maggiormente le famiglie, prima di tutto verso i propri
componenti, specie se anziani, inabili o in situazioni di difficoltà; e poi
verso altri che eventualmente manchino di affetti familiari. così da tendere a soluzioni meno generalizzate e sempre più
rispondenti alle esigenze delle singole persone.
In questa opportuna
revisione potranno essere studiate anche eventuali riconversioni di attività,
tenendo conto particolarmente dei bisogni più urgenti e ancora scoperti nelle
nostre comunità.
26 - Con interesse e fiducia si dovranno sperimentare e seguire quelle iniziative che, corresponsabilizzando le famiglie e il gruppo umano,
tendono, per quanto è possibile, a conservare o riportare la persona bisognosa
(es. il minore, il malato, l'anziano, l'handicappato) nel proprio nucleo
familiare e ambiente di vita, a offrire soluzioni ispirate alla dimensione
familiare, a inserirle nella vita sociale e nell'ambiente di lavoro in parità
di diritti con gli altri che hanno ricevuto di più dalla vita.
Questo orientamento domanda a quanti
si consacrano alle opere assistenziali e alle
comunità cristiane, una sollecita conversione di metodi e di scelte, perché
possa esprimersi in modo autentico la carità della chiesa.
Ad esempio, i servizi sociali aperti
(assistenza domiciliare, diurna, ecc.), purché non si
risolvano in un fatto tecnico, ma si realizzino in rapporti interpersonali
molto vivi, possono essere forme nuove di quello spirito di amore che ha sempre
animato la chiesa e i suoi membri.
Assai significativa
ci sembra anche l'indicazione data dal catechismo dei bambini a proposito dei
fanciulli rimasti senza famiglia. Il messaggio di Dio Padre che ha cura dei
suoi figli «impegna ogni cristiano, ogni chiesa locale
a favorire le adozioni, gli affidamenti e la costituzione di gruppi a
dimensione familiare, che realizzino nel modo migliore le condizioni di vita
di una famiglia, di una "chiesa domestica"» (45).
27 - Che dire poi di certe
situazioni di bisogno (persone sole, casi di povertà nascosta, drogati, ecc.)
che si trovano non di rado nelle società del benessere
e di elevato sviluppo tecnologico e richiedono interventi non sempre
prevedibili e attuabili in modo sistematico?
Per questo campo come per gli altri
sopra ricordati dovremo sollecitare dallo Spirito i carismi per risposte e
scelte vocazionali sempre più adeguate ai bisogni di oggi;
dovremo mobilitare e impiegare le energie più pronte e disponibili. La
riscoperta e la valorizzazione dei ministeri ordinati
alla carità ecclesiale, il diaconato e l'accolitato, potranno arricchire questa
sensibilità e questo impegno.
Iniziative per
l'infanzia
28 - Questo
settore merita
particolare attenzione, anche alla luce delle indicazioni contenute nel
catechismo dei bambini. Esso deve essere affrontato nel
quadro di una crescente responsabilità della famiglia, della comunità
ecclesiale e della società civile, e nell'effettivo riconoscimento dei «diritti
universali, inviolabili e inalienabili» del bambino (46). Si dovranno riesaminare
i modi con cui viene sviluppato il senso religioso e
si svolge l'educazione alla fede, al rapporto con Dio e con i fratelli. La
famiglia è il primo ambiente per questa educazione, ma
anche le scuole dell'infanzia hanno una grave responsabilità in questo campo.
Osserva il catechismo dei bambini: «I
bambini hanno bisogno di una scuola dell'infanzia tecnicamente, moralmente e
religiosamente qualificata, cioè che risponda alle
esigenze dell'interesse superiore della persona del bambino nella sua interezza
e ai bisogni della società... Hanno bisogno di trovare nella scuola educatrici
ed educatori competenti... Devono poter entrare in una scuola, che non sia in
contraddizione con le convinzioni più profonde delle rispettive famiglie e che
sia aperta a un prudente pluralismo» (47).
Con questo auspicio
desideriamo qui esprimere l'apprezzamento per quanti operano al fine di dare
alle nuove generazioni un'educazione sorretta da quei valori umani e cristiani
che fondano un inserimento maturo nella vita sociale.
Le scuole materne promosse da
persone o istituzioni di ispirazione cattolica
considereranno con particolare impegno l'educazione cristiana.
Ma anche negli «orientamenti educativi
delle scuole gestite da enti locali o dallo stato è irrinunciabile un
orientamento per lo sviluppo del senso religioso» (48).
29 - In ogni caso le famiglie stesse
sono chiamate a essere «protagoniste nella
realizzazione di questi orientamenti. Non può essere disconosciuto il loro
primario diritto di intervenire, sia sul piano delle scelte di
fondo, sia sul piano operativo, in tutta la vita delle scuole dell'infanzia,
anche in vista di un'autentica libertà religiosa» (49).
Ciò richiede che i genitori si rendano presenti nei vari ambiti (es. comitati
scuola-famiglia, ecc.) in cui vengono affrontate e stabilite le linee educative
che riguardano i loro figli e che nella gestione partecipata dei servizi sia
riconosciuta la loro primaria responsabilità.
30 - In questo cammino non
mancheranno le difficoltà. Esse possono venire dalla complessità dei problemi
stessi che si affrontano, dal ritmo incalzante con cui si pongono, dalle
diverse situazioni ed esperienze, dal grado di preparazione e maturazione
della comunità.
Altre difficoltà potrebbero venire
da circostanze esterne; così, non possiamo ignorare certe scelte o
atteggiamenti in taluni settori (es. scuole materne,
ospedali), che hanno comportato allontanamento o difficoltà per il
personale religioso impegnato in essi. Ciò è stato motivo di turbamento per
noi e per le nostre comunità. Nutriamo fiducia che con
la buona volontà di tutti e nel rispetto della persona e delle scelte dei
cittadini si ricerchino soluzioni opportune a problemi comuni. Inoltre ci
attendiamo che in tutte le scuole materne sia
assicurata la continuità educativa scuola-famiglia, tenendo conto della scelta
religiosa operata dai genitori.
Il nostro desiderio è che quanto
viene realizzato in campo cattolico per i vari servizi sia messo a
disposizione dei cittadini e della società in spirito
di collaborazione e di autentico servizio.
31 - Affidiamo questi orientamenti e
riflessioni alla sensibilità e all'impegno delle nostre comunità e di tutti i
fedeli, chiedendo che ne studino gli opportuni
approfondimenti e sviluppi e assumano gli impegni conseguenti, in modo da poter
avviare un dialogo fruttuoso in vista anche di ulteriori indicazioni sul piano
pastorale. Essi riguardano problemi che sono di tutti e sollecitano in gradi
diversi la collaborazione di tutti.
Ciò richiede generosità e fiducia
nel seguire gli impulsi dello Spirito, chiarezza di fini e di
orientamenti, capacità di rinnovamento, studio e ricerca dei fenomeni e
delle realtà sociali di oggi, opportune sperimentazioni, costante riferimento
alla vita della chiesa, coordinamento e scambi di esperienze attraverso
collegamenti sul piano diocesano e regionale.
32 - Un particolare pensiero amiamo infine rivolgere a quanti, sacerdoti, religiosi e
laici operano nel nome cristiano nei vari settori (caritativo, educativa,
ospedaliero, assistenziale): essi sono chiamati a offrire una testimonianza
viva della carità della chiesa (50), della sua attenzione per l'uomo.
A essi esprimiamo il nostro vivo
apprezzamento e incoraggiamento per l'opera che svolgono con incondizionata
dedizione e in condivisione di vita con i fratelli, nella fiducia che sappiano
sempre rispondere alla chiamata dello Spirito e non si lascino abbattere dalle
difficoltà: noi siamo vicini, con una intensa partecipazione, alle loro
speranze e ai loro problemi, desiderosi di offrire la nostra collaborazione.
Desideriamo attestare la nostra
stima e considerazione per tutti coloro che nella
scuola e negli altri settori della vita sociale operano nella verità, nella
giustizia, nell'amore e nella libertà per la salvaguardia e la crescita della
persona nella convivenza umana (51).
Questa attività a favore dei
fratelli, spesso compiuta a prezzo di notevole sacrificio, si
inserisce nel disegno di salvezza di Dio a riguardo dell'uomo e
prepara, in qualche modo, quella condizione nuova nella quale non vi sarà più
né ingiustizia, né sofferenza, né morte.
Tale prospettiva di speranza
alimenta e sostiene, in particolare, l'impegno cristiano, là dove non vi è più
alcuna speranza umana di guarigione o di ricupero o di liberazione e la vita
sembra non avere più un senso.
Questo impegno si illumina
di nuova luce nella celebrazione del natale: il mistero del Figlio di Dio che
ha assunto per sempre un cuore e un volto come il nostro e si è fatto solidale
con ogni uomo.
24 dicembre 1973
I vescovi dell'Emilia
e Romagna
II.
LETTERA INVIATA DAI VESCOVI AL PRESIDENTE DELLA REGIONE
EMILIA-ROMAGNA
Bologna, 5 luglio 1973
Ill.mo
Signor Presidente,
sono trascorsi oltre due anni da quando
il decentramento regionale è divenuto operante: un periodo di tempo
relativamente breve, ma pur denso di avvenimenti e ricco di sviluppi per la
nostra realtà locale.
Ad esso
guardano con particolare interesse anche le nostre comunità cristiane, che in
questa situazione vivono la loro esperienza storica.
Con questa consapevolezza e con
questi intendimenti ci rivolgiamo a Lei, Signor Presidente, in quanto Vescovi
e Pastori delle Chiese particolari di questa regione emiliano-romagnola,
e Le trasmettiamo un «memorandum» relativo ad alcuni orientamenti e
provvedimenti della Regione e a fatti verificatisi in questi ultimi tempi a
livello di Enti locali o pubblici, che sono motivo di
preoccupazioni per il nostro ministero pastorale e sui quali esprimiamo le
nostre riserve.
Dalla documentazione raccolta, per
quanto incompleta, sembra infatti si tenda a limitare
lo spazio della famiglia e sia, in realtà, disatteso quel pluralismo che
Se segnaliamo con viva premura alla
Sua attenzione fatti, atteggiamenti, orientamenti ed esprimiamo
preoccupazioni, non è per invocare privilegi o favori, né in vista di un'azione
concorrenziale delle opere di ispirazione cattolica
con quello che lo Stato, e, nell'attuale contesto,
Noi riteniamo che lo svolgimento
della missione della Chiesa nei suoi diversi ambiti
(dalla famiglia alle sue molteplici istituzioni) richiede uno spazio che non
può non essere garantito da una società veramente rispettosa della libertà
religiosa. Molto significativo a questo proposito quanto
il Concilio ha affermato: «La libertà religiosa comporta che le comunità
religiose non siano proibite di manifestare liberamente la virtù singolare
della propria dottrina nell'ordinare la società e nel vivificare ogni umana
attività» (Dignitatis humanae,
4). E ancora: «Deve essere dalla potestà civile
riconosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e
gli altri mezzi di educazione e per una tale libertà
di scelta non debbono essere aggravati né direttamente né indirettamente, da
oneri ingiusti. Inoltre i diritti dei genitori sono violati se i figli sono
costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondano alla
persuasione religiosa dei genitori o se viene imposta
un'unica forma di educazione dalla quale sia esclusa ogni formazione religiosa»
(Dignitatis humanae, 5).
La nostra preoccupazione è dunque
per il necessario spazio che deve essere dato alla famiglia,
ai suoi contenuti educativi, al diritto dei genitori di scegliere fra i vari
servizi educativi e di organizzarseli (anche con opportune agevolazioni
economiche da parte della pubblica amministrazione, senza essere costretti,
praticamente, a usufruire soltanto di quelli gestiti dall'Ente locale), in
modo che siano favoriti, nella lettera e nello spirito della stessa
Costituzione Italiana (cf. art.
30 e 31), i compiti irrinunciabili dei genitori stessi e, nel contempo, la integrazione
della comunità familiare nel contesto sociale. La nostra preoccupazione è per
un autentico pluralismo istituzionale (cf. Cost. It.
art. 38) e, in questo quadro, per la necessaria
libertà e il doveroso riconoscimento delle varie iniziative promosse in campo
cattolico, le quali intendono concorrere al bene comune, affiancando e integrando
quanto viene promosso dalla società civile, in uno sforzo sincero di
rispondere, per motivazioni religiose, oltre che sociali, e in modi rinnovati,
a reali bisogni, nel rispetto delle persone e secondo i desideri degli stessi
cittadini.
Su queste preoccupazioni - di cui ci
sentiamo debitori anche alle nostre comunità, oltre alla nostra coscienza -
noi Vescovi sollecitiamo
Per questi e per altri eventuali
problemi che toccano da vicino le nostre comunità, ci sembra che potrebbero
tornare opportuni incontri o scambi di pareri sia attraverso la nostra Commissione
Regionale per ]'Assistenza sociale, sia, eventualmente, in altre forme e modi,
al fine di chiarire meglio il nostro pensiero e le nostre
esigenze.
Nello stesso tempo desideriamo
esprimere - se pur ce ne fosse bisogno - il desiderio e l'impegno dei
cattolici a promuovere e animare nella società civile ogni sforzo che tenda realmente alla crescita dei valori dell'uomo e a un
sistema di sicurezza sociale secondo i principi della Costituzione Italiana. «
Le stesse iniziative che vengono promosse nel campo dei servizi sociali da
istituzioni e operatori di ispirazione cristiana vogliono esprimere in modo
visibile, nell'impulso della carità, la sensibilità e l'attenzione della
Chiesa verso i problemi della giustizia.
Siamo convinti che non basta
rimediare ai mali della società, ma che occorre
prevenirli, eliminando gli squilibri economici e sociali, rendendo sempre più
efficienti i servizi sociali per la promozione umana, sollecitando la
solidarietà, la partecipazione e l'iniziativa dei cittadini, dei gruppi e delle
comunità intermedie; un impegno, questo, che affermato dalla Costituzione
Italiana e rilevato anche nello Statuto della Regione Emilia-Romagna,
trova una particolare eco nella coscienza cristiana e risponde altresì alle
aspirazioni della gente di questa nostra terra emiliano-romagnola.
(1) Cf. Giovanni XXIII, Enc. Mater et magistra, 45.
(2) Cf. Gaudium et spes, 42; Giovanni XXIII, Mater et magistra,
69-70; Pacem in terris,
62-63.
(3) Cf. Sacrosantum concilium, 9.
(4) Gaudium et spes,
22/1386.
(5) Gaudium et spes,
22/1385.
(6) Gaudium et spes,
10/1351; cf. pure Dei Verbum,
2-4; Gaudium et spes, 22.
(7) Sinodo dei
vescovi, L'evangelizzazione del mondo
contemporaneo, a cura della C.E.I., Pol. Vaticana, 1973; Regno-doc., 15/'73, p. 390.
(8) Lumen gentium,
1/281.
(9) C.E.I., Documento
pastorale «Evangelizzazione e sacramenti», 56, Regno-doc., 15/73, p. 401; cfr. pure Ad gentes, 36.
(10) Sinodo dei
vescovi, 1971, Documento su «La giustizia nel mondo», Poliglotta Vaticana, p. 6; Regno-doc., 1/73,
p. 16.
(11) Paolo VI, Enc. Populorum progressio,
14.
(12) Cfr. Paolo VI, Enc. Populorum progressio,
21; Sinodo dei vescovi, 1971, cit.
(13) Cfr. Gaudium
et spes, 72.
(14) Cfr. Gaudium et spes, 38 e
39.
(15) Gaudium et spes,
45/1464.
(16) Didachè, can. 4,
8.
(17) Cf. S. Giustino, I Apol. 67, 1, 6.
(18) Tradizione
apostolica, 20; cf. A. Hamman,
Vita liturgica e vita sociale, Milano
1969; I cristiani del secondo secolo,
Milano 1973.
(19) Cf. Gaudium et spes, 38.
(20) Apostolicam actuositatem, R/944.
(21) Cf. Gaudium et spes, 27; Apostolicam actuositatem,
8.
(22) Cf. Sinodo dei vescovi, 1971, cit.
(23) Cf. Octogesima adveniens,
50.
(24) Cf. Gaudium et spes, 27.
(25) Cf. Sinodo dei vescovi, 1971, cit.
(26) Cf. Lumen gentium, 38.
(27) Cf. Lumen
gentium, 36; Gaudium et spes, 43; Sinodo dei vescovi, 1971, cit.
(28) Lettera apostolica
Octogesima adveniens, 46.
(29) Sinodo dei
vescovi, 1971, cit.;
cf. Rinnovamento
della catechesi, 21.
(30) Cf. Lettera apostolica Octogesima adveniens, 48-49.
(31) Gaudium et spes, 52.
(32) Apostolicam actuositatem,
11/952.
(33) Gravissimum educationis,
3.
(34) Il catechismo dei bambini, Edizioni
Pastorali Italiane, Roma 1972, n. 70.
(35) Gravissirnum educationis, 3/827.
(36) Costituzione italiana, art. 30-31.
(37) Dignitatis humanae, 5.
(38) Cf. Gravissimum educationis,
3.
(39) Cf. Lettera apostolica Octogesima adveniens, 46; Enc.
Mater et magistra, 52-53.
(40) Pio XI, Enc. Quadragesimo
anno, AAS 23, 1931, 203.
(41) Cf. Gaudium et spes, 75.
(42) Cf. Sinodo dei vescovi, 1971, cit.
(43) Lettera apostolica
Octogesima adveniens,
15.
(44) Cf. Apostolicam actuositatem,
8.
(45) Cf. Il catechismo dei
bambini, cit., 77.
(46) Cf. Il catechismo dei
bambini, cit., 22.
(47) Ibidem, 29.
(48) Ibidem, 86-87; cf.
inoltre quanto è stato emanato per le scuole materne statali con decreto del 10
settembre 1969, n. 647.
(49) Il catechismo dei bambini, cit., 88.
(50) Cf. Perfectae caritatis, 8
(51) Cf. Pacem in terris,
18.
Memorandum su alcuni
orientamenti, atteggiamenti e fatti in campo regionale e locale
(allegato
alla lettera delle Conferenze Episcopali Emiliana e Flaminia al Presidente
della Regione Emilia-Romagna, in data 5 luglio 1973)
Sebbene il quadro che si presenta
non voglia essere completo, pare abbastanza significativo
ed è sufficiente per sollevare preoccupazioni e riserve e suggerire alcune
considerazioni e valutazioni.
1. Alcuni orientamenti
e atteggiamenti della Regione
Alcuni orientamenti di fondo della Regione, nonché alcuni provvedimenti
legislativi o delibere della Giunta Regionale sembrano incidere direttamente
sulla missione della famiglia o sulle iniziative cattoliche in campo
assistenziale.
a) Innanzi tutto certi contenuti di documenti programmatici della Regione
(Relazione del Presidente della Giunta: 4 febbraio 1972; 8 marzo 1973;
Relazione dell'Assessore ai Servizi sociali: 27 maggio 1971; Linee
programmatiche del Dipartimento della Sicurezza Sociale, 1972; Ipotesi di
legge regionale per la istituzione delle Unità locali
dei Servizi Sanitari e sociali, dicembre 1972).
Anche un esame non troppo
approfondito dei documenti sopra citati, porta a
intravedere una linea di interventi nel campo dei servizi sociali che,
attribuendo alla Regione e agli Enti locali compiti totalizzanti finiscono per
limitare sempre più l'ambito sia delle famiglie, che delle comunità
intermedie e delle libere istituzioni. Non sembra infatti
adeguatamente rispettato lo spazio che la stessa Costituzione garantisce alla famiglia,
per quanto attiene alle sue scelte e responsabilità di fronte ai figli (art.
30-31), quando si parla di «pianificazione delle nascite» (1) o si afferma «l'esigenza
di una programmazione che si rivolga a tutto il tempo libero del ragazzo sia
come personalizzazione di ogni suo momento di vita, sia come interesse-partecipazione
alla vita sociale» (2), o si prospetta una gestione sociale degli asili nido
in cui non appare la funzione «primaria» dei genitori in ordine ai programmi
educativi (3); come pure quando non si prevede la possibilità per i genitori di
utilizzare servizi educativi, non gestiti dall'Ente locale, senza doversi
sobbarcare a particolari oneri.
Infatti nelle linee programmatiche in
materia di servizi viene del tutto ignorato il possibile, anzi reale, apporto
di enti non pubblici, che svolgono però funzioni di utilità pubblica, quando
invece in una concezione di Stato pluralistico quale indicata dalla Costituzione
e riconosciuta dallo stesso Presidente della Giunta Regionale (4), una
pluralità di offerte di servizi, se garantita e favorita dalla pubblica
amministrazione, diventerebbe segno e garanzia di vera democrazia, occasione
e stimolo per un progresso nella individuazione delle forme più idonee di
intervento. Questo, del resto, sembra anche il senso della circolare del
Ministero dell'Interno, relativa alla delega alle Regioni dell'esercizio delle
funzioni amministrative statali concernenti le istituzioni private di assistenza (5).
Questa non considerazione delle
iniziative educative e assistenziali di pubblica
utilità, promosse da privati o da comitati di cittadini o associazioni di
genitori, anche in forme di autogestione, equivale sostanzialmente a una
esclusione della loro utilizzazione nei programmi della Regione (6) ; essa
viene a limitare le scelte degli stessi utenti e incide particolarmente sulle
molte attività promosse per ispirazione religiosa (le uniche per tanti
secoli!) le quali - al di là dei limiti connessi con una realtà sociale e
strutturale in via di rapida trasformazione - contribuiscono a dare una
risposta ai bisogni emergenti.
A nessuno può sfuggire che, nel
settore in questione, una «esclusiva» dei servizi a favore degli Enti Locali
o delle Unità Locali comporterebbe, di fatto, una gestione monopolistica dei medesimi servizi.
Ma, al di là del
significato politico, la esclusione della iniziativa non pubblica comporta un
impoverimento sul piano culturale, se si tiene presente che in passato, come
oggi, tante iniziative di cristiani e di libere associazioni di cittadini si
sono realizzate come momento qualificante e innovativo nel campo sociale.
b) Alcuni
provvedimenti della Regione.
L'esclusione dell'iniziativa non
pubblica dai programmi della Regione si riflette nei programmi
degli Enti locali (7) e in varie delibere e interventi legislativi della
Regione.
Così, ad esempio, nella legge per la
«Istituzione di un fondo per la prevenzione nei settori
della medicina ed assistenza» (8) e negli interventi socio-assistenziali a
favore di minori handicappati (9).
Molto significativo
è pure il fatto che dopo il passaggio alla Regione dei fondi destinati all'assistenza
non viene più riconosciuta l'attività assistenziale delle Scuole Materne
private, la quale invece fruiva in precedenza di contributi del Ministero
dell'Interno (10).
In altre occasioni è stata notata la
«tendenza» ad escludere l'iniziativa non pubblica da ogni prospettiva di
programmi o interventi assistenziali (11), anche se talvolta, in seguito a
passi compiuti da organismi interessati a questi settori si è avuto qualche
allargamento nella sfera dei possibili interventi (12).
Anche il progetto di
indagine conoscitiva degli Istituti per minori dev'essere
ricordato (13). La formulazione delle domande di vari questionari lasciava
intendere scopi che andavano al di là di una
rilevazione di dati statistici, pur utili, anzi necessari, per cogliere
problemi ed esigenze relative a un miglioramento dei servizi in questo
settore. Fra l'altro figuravano alcune domande che, nella considerazione di
vari giuristi, non rispettavano i diritti del minore e delle famiglie.
In quell'occasione
Inoltre appaiono gravi certe
affermazioni, sia pure generiche, circa la sorte delle opere pie (14); in
eventuali ristrutturazioni si dovrebbe tenere conto
delle possibili caratterizzazioni religiose e morali e dovrebbero essere
salvaguardate eventuali clausole, quali si ricavano dalle pie volontà dei
fondatori.
A titolo esemplificativo si possono
ricordare le note vicende relative alle decisioni che
hanno comportato l'allontanamento del personale religioso operante in Scuole
Materne o Ospedali dipendenti da amministrazioni di Comuni, Province o Enti
pubblici di assistenza e beneficenza. Si è trattato di decisioni prese
unilateralmente e senza plausibili motivi, nei confronti di persone che da
lungo tempo prestavano la propria opera con grande
disinteresse e abnegazione. Tali decisioni, in alcuni casi attuate pienamente
(Ospedale Giovanni XXIII, Scuola Materna di Codigoro) , in altre in modo parziale, a seguito di accordi con le
Religiose (es. Asilo di Vergato), in altri ancora soltanto annunciate (es.
Asilo di Crevalcore), sollevano stupore e amarezza
in tanti cittadini, cattolici e non, sia per le non convincenti motivazioni,
sia per il modo con cui vengono prese (15).
Esse infatti
avvengono senza una consultazione della base, soprattutto delle persone
direttamente interessate al servizio: e ciò appare tanto più grave perché
contrasta con quanto più volte asserito dalla Regione circa la necessità della
consultazione e del coinvolgimento delle comunità locali e delle forze
impegnate nei relativi settori (16).
Le responsabilità dirette di queste
decisioni ricadono sulle Amministrazioni locali, ma non si può non rilevare che
esse si sono verificate nel breve periodo di tempo in cui si è avviato il decentramento
regionale. In effetti, viene da chiedersi se i predetti orientamenti
programmatici della Regione tendenti a considerare soltanto le iniziative
gestite da Enti locali o pubblici non possano avere influito, in qualche modo,
sulle decisioni sopra ricordate.
Sempre a proposito delle Scuole
Materne, mentre in taluni casi si è avuto qualche accordo con i promotori in
analoghe iniziative locali, in altri casi sono da rilevare gli insediamenti di
nuove Scuole Materne comunali che si risolvono di fatto in contrapposizione e
in concorrenza a Scuole Materne già esistenti, di ispirazione
religiosa, regolarmente autorizzate e funzionanti.
Ci si chiede se in queste decisioni
si tenga veramente conto dei diritti della persona, in particolare degli
utenti, e del significato sociale dei gruppi intermedi o se invece esse
rispondano a scelte aprioristiche.
(1) Cf. Linee programmatiche del Dipartimento della Sicurezza
sociale, pag. 38.
(2) Ibidem, pag. 79.
(3) Cf. Linee programmatiche ecc., pp.
68-59; cf. pure Legge sugli Asili nido (7 marzo 1973,
n. 15). (4) Cf. Relazione
del Presidente della Giunta Regionale, 4-2-1972, pag.
13.
(5) Circolare del
Ministero dell'Interno (Direzione Generale dell'Assistenza pubblica) in data 1
dicembre 1972.
(6) Ciò è da rilevarsi
anche se, di fatto, non sono mancati e non mancano alcuni casi di consultazione
o utilizzazione di gruppi o iniziative promosse da enti non pubblici.
(7) Molto
significativa a questo riguardo la relazione degli Assessori all'Assistenza e
alla Sanità del Comune di Bologna, presentata nella seduta consiliare del 21-5-
(8) Gli stanziamenti
sono previsti soltanto per Comuni, Province e loro consorzi, con la possibilità
di convenzione con altri organismi pubblici (legge regionale 11 novembre 1972,
n. 10).
(9) Cf. Delibera della Giunta per l’assegnazione di L. 60.000.000 (11-12-1972) a Province e Comuni per
interventi socio-assistenziali a favore di minori
handicappati.
(10) Il riferimento
esplicito alle Scuole Materne è stato escluso nella deliberazione relativa allo
stanziamento di lire 170.000.000 per l'attuazione di interventi
socio-assistenziali a favore di minori residenti sul territorio regionale
(15-12-1973). nonostante precise richieste in questo
senso avanzate dalla Commissione Regionale delle Diocesi dell'Emilia-Romagna per l'assistenza sociale.
(11) La prima proposta
di delibera per lo stanziamento di L. 500.000.000 per
l'Assistenza domiciliare agli anziani (124-1973) riservava il finanziamento a
Comuni o ai loro consorzi. In questo senso si esprime anche la delibera approvata il 27-6-1973, pur rilevando che «il servizio di
assistenza domiciliare del Comune può avvalersi della collaborazione fornita da
altri enti che operano nel settore, attraverso opportuni accordi e apposite
convenzioni».
(12) Cf. Delibera del 15-12-1972 per lo stanziamento di L. 170.000.000 per l'attuazione di interventi
socio-assistenziali a favore di minori residenti nel territorio regionale e
Delibera del 15-12-1972 per lo stanziamento di L.
Cf. pure Delibera relativa allo stanziamento di L.
350.000.000 per l'erogazione di rette per assistenza estiva e invernale da
assegnare alle famiglie, e di L. 100.000.000 per
l'assegnazione di contributi a Comuni, Province ed Enti e Associazioni
assistenziali private in ordine alla ristrutturazione di edifici da adibire
all'assistenza estiva e invernale (25-5-1973).
(13) Indagine decisa
con Deliberazione della Giunta in data 26-3-1971.
(14) Nella relazione
del Presidente della Giunta (8 marzo 1973) si prospetta la liquidazione di
tutte le opere pie: «è indispensabile procedere alla liquidazione degli enti
nazionali di assistenza sociale (ONMI) nonché di tutta quella miriade di enti
autarchici che operano a livello locale (opere pie, ECA, ecc.) e al
trasferimento dei compiti, dei beni, delle dotazioni e del personale alle
regioni e agli enti locali».
(15) Nel caso del
Giovanni XXIII, la disdetta di convenzione è stata data alla Congregazione
delle Sorelle della Misericordia, dopo cinquant'anni
di attività, «al fine di attuare un'organizzazione più rispondente al nuovo
concetto di ospedale inteso come azienda di produzione» (lettera
dell'Amministrazione in data 19 settembre 1972). In questo modo si è rifiutato
lo schema-tipo di convenzione concordato fin dal
Analoghi motivi sono
stati addotti verbalmente in altri casi di disdette soltanto ventilate.
Un significato
«politico» sembra avere il provvedimento di sfratto deciso dalla Giunta
Comunale di Savignano sul Rubicone
all'Asilo Vittorio Emanuele II (nel quale operano delle religiose come maestre di asilo) con lo scopo di «rendere libero tale fabbricato da
persone e cose entro breve tempo» (cfr. Avvenire, 17 giugno 1973).
(16) Cf., fra l'altro, Relazione del Presidente della Giunta
Regionale in data 4 febbraio 1972, pp. 12-15, 44-45.
III
LETTERA DI RISPOSTA INVIATA DAL PRESIDENTE DELLA REGIONE
EMILIA-ROMAGNA AI VESCOVI
Bologna, 22 dicembre 1973
Le riflessioni che
Chiarire i nostri orientamenti e i
nostri atti significa per noi ripensarli alla luce delle implicazioni
che hanno determinato, delle considerazioni anche critiche che hanno
suscitato. Riteniamo infatti necessario elaborare e
poi attuare le linee di intervento del potere pubblico con la più ampia
partecipazione di forze politiche e sociali, di organizzazioni ed enti, così da
rendere possibile una verifica, ed anche un arricchimento e aggiustamento dei
processi avviati.
1. -
Pensiamo che il pieno attuarsi della
Costituzione stabilirà quel rapporto fra potere politico e società civile che
può consentire l'effettivo esprimersi di un vero pluralismo e rendere la società
più profondamente ed effettivamente democratica.
A tali orientamenti
Esiste, poi, il problema specifico
della collocazione nel quadro sopra esposto delle
iniziative e attività svolte da detti enti, e in particolare da quelli
istituiti dal mondo cattolico. Se è vero che province e comuni sono i diretti
protagonisti di questa nuova politica dell'intervento pubblico, non è men vero che già fin d'ora, nelle modalità di attuazione dei servizi e nella stessa loro organizzazione
- definite poi autonomamente dagli organi locali - abbiamo indicato la
possibilità di realizzare determinati servizi o prestazioni avvalendoci di enti
od organismi di natura particolare già esistenti (1).
Del resto, nello stesso esercizio
delle funzioni a noi trasferite relative a tali
istituzioni, abbiamo rifiutato un ruolo di vigilanza inteso in senso
burocratico e fiscale, per indirizzare invece il nostro intervento alla
promozione di un rapporto continuo degli enti e dei privati con le comunità
locali e con i loro organi rappresentativi. Tale rapporto troverà sanzione
giuridica con il trasferimento agli enti locali, con delega, delle funzioni
regionali.
Tipica e riassuntiva di queste
considerazioni ci pare essere la politica della regione per le vacanze dei
ragazzi, settore nel quale è ancora preponderante la
presenza di organizzazioni private, per lo più di ispirazione cattolica. Il loro
patrimonio di esperienza è apprezzabile, così come è
largamente diffusa l'aspirazione ad un profondo mutamento che affranchi tali
servizi dalla vecchia visione «assistenziale» per conferir loro un carattere
formativo. L'elaborazione del regolamento regionale dei soggiorni di vacanza
dei ragazzi e l'inizio della sua applicazione hanno
visto partecipi consapevoli e attivi tutti questi enti, finalmente
sollecitati da un potere pubblico non assenteista, ed ha permesso alla Regione
di approdare a scelte di contenuti nuovi anche sul piano ideale e culturale.
Nel citato documento di Bergamo
delle regioni italiane si afferma: «Dovranno essere sciolti gli enti pubblici
nazionali e gli enti autarchici istituzionali (esempio EVA e IPAB) che a
qualsiasi titolo svolgano attività nel campo
assistenziale». È infatti constatazione unanime che
l'attuale frammentarietà degli interventi, la polverizzazione dei centri
decisionali, titolare ciascuno di una propria autonomia giuridica, è ragione
prima dell'ormai cronica inefficienza del nostro sistema di assistenza
sociale.
Pur prescindendo per ora dalla
soluzione che in sede di riforma legislativa verrà
data al problema sul piano nazionale, anche nella quotidiana pratica
amministrativa vi è l'esigenza di convogliare ad unità i diversi interventi in
una organica visione programmatica.
Anche nei confronti delle IPAB
abbiamo cercato di essere coerenti a questa
impostazione: si tratta di un mondo estremamente composito, bisognoso di
profonde ristrutturazioni, che abbiamo cercato di fare maturare. Ci
apprestiamo ora a compiere tale lavoro contestualmente a
un'opera di democratizzazione dei consigli di amministrazione, rispettando e
interpretando in senso evolutivo le volontà dei fondatori. Pare superfluo dire che soltanto un esame specifico delle singole
situazioni consentirà di risolvere i problemi delle tavole di fondazione in
relazione alla mutata realtà sociale e ambientale e alle trasformazioni
statutarie che si sono succedute.
2. - Riteniamo doveroso rilevare che
la lettera dei Vescovi costituisce un riconoscimento dell'importanza assunta
dal nuovo assetto regionale e, nello stesso tempo, del significato particolarmente
denso di novità e di speranza che la realizzazione di tale assetto ha assunto
in Emilia-Romagna.
Per parte nostra riaffermiamo qui
l'impegno a rispettare tutte le comunità e - istituzioni religiose e in
particolare quelle cattoliche - nel pieno rispetto dei principi Costituzionali
(articoli 7 e 8 Costituzione), e nella persuasione
che i valori di cui esse sono portatrici costituiscono parte integrante della
realtà regionale, la quale - per quanto attiene alla vita civile, amministrativa
e politica - si sviluppa attraverso il superamento di barriere ideologiche e
di sterili contrapposizioni pregiudiziali.
La regione rivolge anch'essa viva attenzione ai problemi della famiglia, e per quanto è
nella sua competenza, soprattutto mira - come indica il suo statuto - allo
sviluppo dei servizi sociali di cui la famiglia ha diritto di godere.
Nell'attuale rapporto
famiglia-società, la grave carenza dei servizi sociali
a tutti i livelli incide negativamente sulle funzioni morali, educative,
affettive della famiglia, compromettendone sempre più le possibilità di
effettiva esplicazione. Questo accade, per esempio, quando si affida alla sola
famiglia la cura e il reinserimento dell'handicappato, o l'assistenza
all'anziano, quasi si trattasse solo di problemi
privati e non anche, e in particolare, di compiti sociali di rilevante portata.
Analoga situazione si verifica, all'opposto, quando la
famiglia viene completamente esautorata ed emarginata, il figlio o l'anziano
allontanato dal proprio ambiente di vita per essere accolto in istituto.
Così, a proposito del processo
educativo non si tratta di escludere la famiglia dall'esercizio di un suo
ruolo, ma di verificarne le modalità e di assicurarne la possibilità di
concreto svolgimento.
Ma al di là del
pur necessario intervento delle pubbliche istituzioni, di fatto riteniamo che,
per le tradizioni del nostro paese, per la sfera particolarmente delicata
dell'intervento, non sia pensabile né giusto ostacolare l'impegno di associazioni,
ed enti, che con le loro iniziative contribuiscano ad assicurare più ampi
spazi alla esplicazione delle funzioni della famiglia e ai vari servizi di
cui essa ha bisogno.
Possiamo assicurare che il timore di
un orientamento «totalizzante» della Regione non è fondato, sia in linea di
principio che di fatto. In linea di principio, infatti gli organi regionali sono di formazione schiettamente
democratica e come tali rappresentano tutti i cittadini di ogni orientamento,
ed è impegno della Regione perseguire una sempre più piena rappresentatività,
anche affiancando gli istituti regionali organi di consultazione popolare e
forme di partecipazione permanenti. Di fatto, poi, una regione così ricca di
fermenti, associazioni democratiche, iniziative locali e di base offre
un'irriducibile resistenza a qualsiasi pretesa totalizzante.
Vi è, infine, l'ambito dei problemi
locali, altrettanto importante, sui quali la lettera richiama l'attenzione
con accenti preoccupati per alcune vicende che avrebbero coinvolto il
personale religioso di istituzioni assistenziali e
scuole dell'infanzia della regione emiliano-romagnola.
La volontà dei cittadini, degli
utenti dei servizi, è fondamentale garanzia che il potere pubblico operi scelte giuste e non aprioristiche, soprattutto per
aspetti di natura così delicata: tale volontà deve però misurarsi ed
esprimersi innanzitutto sul tipo di servizio e sulle sue finalità. In tal modo
anche nella organizzazione dei servizi pubblici
crediamo possano evitarsi incomprensioni e fratture, avvalendosi di una pluralità
di collaborazioni e di sforzi.
L'iniziativa assunta dalle
Conferenze episcopali dell'Emilia-Romagna permette
di auspicare la prosecuzione e l'ampliamento di questo dialogo.
Motiveremo ancora una volta e pubblicamente gli orientamenti qui indicati, portando
all'attenzione del Consiglio regionale i contenuti di
questo libero e franco confronto.
(1) Il documento
sottoscritto a Bergamo il 27 aprile 1971 dalle regioni sui problemi dei servizi
sociali così si esprime su questo punto: «I comuni e le province attuano la
programmazione regionale. I comuni esercitano la gestione dei servizi
direttamente o attraverso consorzi di più comuni, possono convenzionarsi con
enti privati per l'esecuzione dei singoli compiti assistenziali,
attraverso il pagamento dei costi di gestione ed escludendo qualsiasi forma di
contributo all'incremento dei patrimoni».
www.fondazionepromozionesociale.it