Prospettive assistenziali, n. 25, gennaio-marzo
1974
NON SIAMO I SOLI A
DIRLO
ALTERNATIVE ALL'ESCLUSIONE
Riportiamo
le conclusioni di due esperienze di integrazione tra
classi speciali e comuni: la prima relazione, presentata al Convegno di Cosenza
del luglio 1972 sul tema: «Dalla scuola speciale alla scuola
integrata», espone i risultati dell'équipe medico-psico-pedagogica del centro AIAS di Cutrofiano (nel Salentino).
La
seconda si riferisce all'esperienza realizzata in una scuola elementare di
Monte Savino negli anni scolastici 1971-72, 1972-73, attuando una integrazione articolata tra alunni di classi comuni e
alunni handicappati iscritti in classi speciali, con la collaborazione del
gruppo di operatori scolastici e l'équipe di zona
del servizio d'igiene mentale della provincia di Arezzo.
I.
Le conclusioni che si possono trarre
da quanto detto sono essenzialmente queste:
1) La riabilitazione non è
esclusivamente un fatto tecnico, settoriale; è possibile ottenerla meglio, più rapidamente e più proficuamente lasciando il bambino neuroleso nel suo ambiente naturale, normale, nella
fattispecie la scuola, laddove il bambino ha le esperienze e trova le
motivazioni che realmente gli son utili e che
utilizzerà. La riabilitazione nell'ambito della istituzione
finisce con il diventare unicamente l'esercizio a vuoto di un gruppo muscolare
fine a se stesso e perde i suoi presupposti teorici di stimolazione plurisensoriale e successiva integrazione funzionale. Lo
stesso tecnico riabilitatore diviene vittima della istituzione, si adegua al livello dell'handicap, lo
fissa, non sa più prevedere un modo normale di agire e le situazioni normali
(trovano naturale che il bambino spastico mangi e scriva sdraiato per terra).
L'atto psicomotorio. il
linguaggio, la comunicazione in genere, lo sviluppo cognitivo sono prodotti di interrelazioni funzionali complesse e di
rapporti interpersonali che solo un ambiente normale ed un pieno vissuto
sociale possono favorire ed armonizzare al massimo nel soggetto cerebroleso
consentendo ad ognuno di esternare tutto ciò che di creativo è in lui, non
importa a quale livello. La tecnica rieducativa, che
è uno strumento, nell'istituzione diviene spesso un fine ed uno scopo, ipervalutata, ipertrofizzata,
snaturata e scomposta in varie branche la cui validità reale è
in ogni momento discussa e discutibile sempre e specialmente quando applicata
come ogni giorno avviene nel bambino di primissima infanzia.
2) La clinica dimostra come il
soggetto sia pesantemente condizionato dalla esperienza
di vita istituzionale e di scuola speciale in tutti gli aspetti della
personalità: la struttura dell'io è debole, immatura, indifesa: l'individuo non
può fare a meno della protezione del Centro che l'ha condizionato, la
risoluzione dei conflitti è più difficile.
3) La diagnosi e la prognosi
effettuati in soggetti condizionati da lunghi anni di frequenza in ambiente
omogeneo sono di fatto privi di valore; in particolare
l'etichetta di «grave», «irrecuperabile» che si applicano tuttora nonostante
discussioni e critiche assai vecchie ormai.
La paralisi cerebrale infantile alla
fine diviene non l'esito di un danno cerebrale puramente organico, ma il
prodotto di una stratificazione di condizionamenti
negativi, esperienze limitate e deprivazioni sensoriali la cui causa è ambientale
ma che possono giungere ad agire addirittura aggravando la iniziale condizione
organica, determinando un deterioramento che può essere irreversibile.
La possibilità di rompere il circolo
vizioso tuttavia esiste e i risultati positivi sono
evidenti. I miglioramenti, da fatto relazionale di partenza, si trasformano in
acquisizioni di nuovi mezzi e strumenti ed è sullo stesso piano clinico-neurologico, quello cosiddetto più obiettivo
possibile, che il radicale cambiamento risulta.
Da G. CARAVAGGI, I.
MORELLI, G. RICCI, C. RUSSO, C. VALENTI, Inserimento di
soggetti con esiti gravi di paralisi cerebrale infantile nelle scuole normali:
Prime esperienze cliniche, Quaderni della riabilitazione, anno X, n. 2,
giugno 1973, pag. 24.
II.
Per concludere
mi pare che l'esperienza, condotta in una situazione estremamente «normale» e
quindi con tutte le difficoltà delle situazioni scolastiche «normali», possa,
malgrado i non indubbi aspetti problematici e irrisolti, indicare alcune linee
di sviluppo:
1) operare un
rovesciamento della catena dell'esclusione nella scuola, utilizzando
alternativamente alcune strutture in partenza segreganti come la scuola speciale;
2) l'inserimento delle classi
speciali nel plesso normale, oltre a rompere l'isolamento fisico e sociale
degli handicappati (in genere le scuole speciali sono piccoli manicomi isolati
dal contesto sociale) porta necessariamente ad un
cambiamento positivo della vita scolastica tradizionale, interrompendone la
routine;
3) gli insegnanti di scuola speciale
possono, in una situazione diversa (di cui l'esperienza condotta può indicare i
possibili sviluppi), costituire un gruppo agile d'intervento didattico-terapeutico che potrebbe agire in un plesso
scolastico o in più plessi per favorire l'integrazione scolastica di ogni bambino con difficoltà, da inserire o meglio
mantenere in modo articolato e rispondente alle sue esigenze nel contesto
scolastico di tutti.
Sarebbe necessaria la presenza nelle
scuole anche di educatori della motricità,
fisiochinesiterapisti, ortofonisti, operanti
naturalmente in stretto rapporto con gli insegnanti e attraverso una attività
il più possibile collegata a quella didattica e da essa motivata;
4) le esperienze dovrebbero
iniziarsi nelle scuole materne, dove l'intervento può essere ancora più facile
ed efficace, e continuare articolatamente nelle scuole medie;
5) l'esperienza infine dimostra che
è possibile realizzare nel contesto scolastico comune
una struttura terapeutico-educativa aperta, per
bambini gravemente handicappati anche provenienti da istituti per gravi e
manicomi, garantendo però opportuni supporti. Il discorso sarebbe da
approfondire con esperienze adeguatamente sostenute (finanziariamente e con
personale), invece di mandare avanti, come invece anche attualmente
viene fatto, tutta una serie di progetti che si configurano come un ulteriore
tentativo di razionalizzazione dell'esclusione, attraverso la creazione di
strutture settorizzate e specialistiche paracadutate
dall'alto che creerebbero di fatto nuovi ghetti segreganti e nuovi depositi di
problemi irrisolti.
Da: R. BONAIUTI, Una alternativa all'esclusione: l'esperienza di
Monte Savino, Fogli di informazione - documenti di collegamento e di
verifica per l'elaborazione di prassi alternative nel campo istituzionale n.
07, giugno 1973, pag. 204.
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