Prospettive assistenziali, n. 25, gennaio-marzo
1974
NOTIZIARIO DELL'ASSOCIAZIONE
NAZIONALE FAMIGLIE ADOTTIVE E AFFIDATARIE
TESTO DELLA LETTERA INVIATA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA IL
12-2-1974
Tramite il tribunale per i minorenni
di Torino e le famiglie interessate che si sono molto allarmate, queste Associazioni
(1) sono venute a conoscenza che, su richiesta della
Presidenza della Repubblica,
Queste Associazioni protestano
vivamente poiché tale comunicazione costituisce
violazione dei diritti legali e costituzionali della famiglia adottiva che la
legge 5 giugno 1967 n. 431 equipara in tutto e per tutto alla famiglia
legittima di sangue.
Inoltre esiste una
intimità familiare - che dovrebbe ovviamente essere riconosciuta anche
alla famiglia adottiva - che non deve essere violata dalle autorità, comprese
beninteso
Si chiede perciò che
Si gradirebbe avere assicurazioni in
merito.
CIRCOLARE DEL MINISTERO DEL LAVORO SULLE LAVORATRICI MADRI
ADOTTIVE (2)
Questo Ministero ha già avute occasione di far presente agli Ispettorati del lavoro,
a privati datori di lavoro e lavoratori, nonché a pubbliche Amministrazioni che
avevano proposto specifici quesiti, di ritenere che le lavoratrici che hanno
adottato bambini siano da annoverare tra í soggetti a cui si rivolge la legge
30 dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici madri, almeno per
quanto concerne le norme per le quali esse possano reputarsi assimilabili alle
madri naturali.
Ora, considerato il sempre crescente
interesse per la questione, che di recente ha anche formato oggetto di interrogazioni parlamentari. e
tenuto conto che l'orientamento suesposto ha poi trovato conferma in due
pronunce dell'Autorità giudiziaria (Pretura di Roma: ordinanza del 17 gennaio
1973; Pretura di Bologna: sentenza del 24 maggio 1973) mentre non ne risultano
altre in contrario, si stima opportuno, in attesa che la materia trovi
conveniente collocazione normativa nel regolamento di esecuzione della stessa
legge n. 1204, di impartire conformi direttive a tutti gli Ispettorati con la
presente circolare, indirizzata per conoscenza anche alle Organizzazioni
sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori perché vogliano darne notizia
ai rispettivi associati.
Ciò premesso, nel merito, si osserva
quanto segue.
La legge n.
Tali esigenze, oggettivamente
valutate, costituiscono pertanto la fonte primaria del diritto della
lavoratrice ad assentarsi dal lavoro; diritto che prevale, per manifeste
ragioni sociali, su quello del datore di lavoro alla normale prestazione di
contratto.
L'asserzione risulta
confermata dal secondo comma dell'art. 7, che, nello stabilire il diritto della
interessata ad assentarsi dal lavoro, individua esplicitamente nella malattia
del bambino la causa precipua dalla quale esso trae sostanza.
Il confronto tra la passata o la
vigente disciplina, del resto, anche sotto il profilo letterale, rende
parimenti manifesta fa più ampia portata delle nuove disposizioni, nel senso suindicato. In effetti, a prescindere da quelle
direttamente finalizzate alla tutela fisica - che, perciò, si richiamano alla obiettiva condizione della gestazione e del puerperio
-, la legge n. 1204, nel suo insieme e in ispecie
nell'art. 1 che ne stabilisce l'operatività soggettiva, indica come destinatarie
le lavoratrici in genere, laddove la
disciplina precedentemente in vigore risultava circoscritta alle lavoratrici gestanti e puerpere.
Ugualmente, appare utile rilevare
che l'art. 9 della legge n. 860 riservava il diritto di fruire dei riposi
giornalieri soltanto alle lavoratrici che allattavano direttamente i propri
bambini, quando invece, simile locuzione risulta ora soppressa;
il che non può avere altro significato che quello della volontà del legislatore
di riferire i riposi non già alle ristrette necessità dell'allattamento, bensì
a quelle più ampie di assistenza e cura dirette del bambino.
Avuto quindi riguardo alle riassunte
finalità della nuova normazione, sembra indubbio che le lavoratrici che hanno
ottenuto in adozione un bambino in tenera età si trovino nelle medesime
condizioni di fatto, e per esse nella medesima situazione
di diritto, delle madri naturali.
D'altra parte, non va dimenticato
che la legge 5 giugno 1967, n. 431 - la quale reca innovazioni al titolo VIII
del libro I del codice civile sull'istituto dell'adozione e nel
contempo l'inserimento del nuovo capo III, sotto il titolo «adozione
speciale» - art. 314/26, attribuisce all'adottato lo
«status» di figlio legittimo degli adottanti. Ragione per la quale questi hanno
il diritto-dovere di allevarlo, mantenerlo, istruirlo ed
educarlo.
Anche dunque in derivazione di tale
diritto-dovere, accolto nell'art. 30 della Costituzione e di cui la legge n.
431 rappresenta la estrinsecazione normativa per quel
che attiene specificamente all'adozione speciale, sembra che i genitori adottivi
- nell'ipotesi «de qua», la madre - non possono essere esclusi dall'area di
efficacia delle disposizioni che la legge n. 1204 detta a scopi di protezione
sociale dei figli fino a tre anni di età, giacché queste non possono che
trovare identico limite obiettivo: le condizioni di fatto descritte, che si
riscontrano ovviamente sia per i genitori naturali sia per quelli adottivi.
Identiche conseguenze si hanno,
appare indubbio, anche rispetto all'adozione ordinaria, in quanto anch'essa,
ai sensi dell'art. 301 del codice civile, conferisce agli
adottanti uguale diritto-dovere.
L'indagine relativa
al campo di applicazione della legge alle lavoratrici che non sono madri
naturali comporta, inoltre, la presa in esame dell'istituto dell'affidamento
nelle forme previste rispettivamente dagli artt.
314/20 (affidamento preadottivo) e 404, I comma (affidamento da parte di enti di assistenza), del
codice civile.
Nessun dubbio sembra sussistere
circa la sua estensione all'affidamento preadottivo - conformemente, del resto alle ricordate
pronunce che si sono avute in sede giurisdizionale -, giacché
questo rappresenta una fase preliminare ed insieme un presupposto
indispensabile dell'adozione speciale con la quale è normalmente destinato a
concludersi. Ed invero produce di per sé effetti immediati di palese
importanza, primo fra tutti - che è quanto più interessa da vicino -
l'inserimento del bambino nella famiglia che aspira
ad adottarlo, con la derivante assunzione degli obblighi e responsabilità nei
suoi confronti, in ragione dei quali la famiglia medesima deve essere posta
nelle condizioni più favorevoli per espletare il proprio compito.
Del pari, analoghi
effetti produce l'affidamento da parte di una pubblica amministrazione o di un ente di assistenza
di cui al ricordato comma dell'art. 404 del codice civile, ancorché non preluda
necessariamente a una situazione definitiva. Anche qui,
appunto per questo, nessun dubbio sull'applicabilità della legge n. 1204.
Perplessità per contro sussistono, e non di lieve peso, in quanto all'affidamento di fatto; e ciò non
solo per la mancanza di un provvedimento formale dal quale derivino obblighi e
diritti in senso strettamente legale, ma anche e forse soprattutto rispetto
all'eventuale sovrapposizone dei diritti della
lavoratrice alla quale il bambino è stato affidato a fronte di quelli della madre
naturale. In altri termini, seppure in linea di principio l'applicabilità della
legge nei confronti della prima possa aversi, non può
tuttavia esser trascurato di marcare l'accento sulla necessità che le
particolari situazioni vadano esaminate caso per caso, avendo riguardo in ispecie alla circostanza se la madre naturale provvede,
sia pure parzialmente, alla cura diretta del proprio bambino. Cosicché, le
lavoratrici che non assolvano in modo continuo compiti
di assistenza dei bambini loro affidati non possono essere ricomprese
tra i soggetti fruenti dei benefici accordati dalla legge.
Ultima, ma non meno importante
questione da prendere in esame, è quella afferente
all'individuazione delle norme estensibili alle lavoratrici che hanno ottenuto
in adozione o in affidamento un bambino in tenera età.
Esse si rinvengono nei disposti
citati all'inizio: dell'art. 7, sull'assenza
facoltativa della durata di sei mesi (primo comma) e su quella, dietro presentazione di certificato medico,
per le malattie del bambino fino a tre anni di età
(secondo comma), con il proveniente computo dei relativi periodi nella
anzianità di servizio; dell'art. 10, attinente ai riposi giornalieri fino a un anno di età del bambino. In tal senso,
oltre a tutto, si è già espressa la magistratura.
Rispetto al primo comma dell'art. 7,
non sembra peraltro superfluo precisare che dovrà attribuirsi alle
interessate l'indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione per tutto il
periodo dell'assenza facoltativa (art. 15, secondo comma) .
L'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro le malattie, al quale la
presente è diretta per opportuna conoscenza, provvederà per ciò agli
adempimenti di competenza.
Sebbene non abbia ancora formato
oggetto di pronunciamenti giurisprudenziali, questo Ministero
ritiene altresì applicabile ai casi in esame anche il divieto di licenziamento di cui all'art. 2 della legge, in
quanto ove la lavoratrice non fosse tutelata nel fondamentale diritto della
conservazione del posto di lavoro, le altre forme di protezione avrebbero ben
scarsa efficacia sul piano della concretezza.
Appare infine utile precisare che
l'osservanza delle richiamate disposizioni non è dedotta in via di interpretazione analogica della disciplina di cui
trattasi, che non sarebbe consentita essendo la stessa salvaguardata da
sanzioni penali, ma si desume direttamente, sotto il profilo formale, dal suo
contesto normativo in riferimento alla sua area applicativa, e, in punto di
sostanza, dai principi sociali ed umani ai quali si ispira.
(1) Associazione
nazionale famiglie adottive e affidatarie e Unione italiana per la promozione
dei diritti del minore e per la lotta contro l'emarginazione sociale.
(2) Circolare n. 24342
del 18 gennaio 1974, Direzione generale dei rapporti di lavoro.
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