Prospettive assistenziali, n. 25, gennaio-marzo
1974
SPECCHIO NERO
IL CLIENTE A DICIOTTO CARATI
Lettera inviata al direttore di «Gioia» in data 17-1-1974.
Per conoscere la loro clientela i
giornali dispongono, oltre che dei sondaggi di opinione,
delle lettere al direttore: sappiamo però che, almeno in Italia, esse non
possono essere considerate come l'espressione del pubblico nella sua totalità,
perché non si ha l'abitudine di scrivere, o per pigrizia o perché non si
vogliono grane. Nei casi rari in cui il lettore lo fa, gli
argomenti che affronta nella lettera sono generalmente «casi pietosi» o
le qualunquistiche proteste contro i «mali della società». Così raramente si sa
dal lettore se le rubriche che vengono pubblicate sono
quelle che desidera, se la selezione delle notizie appaga i suoi interessi, se
ritiene che la visione del mondo che gli fornisce la stampa sia serena,
obiettiva o deformata. Ma il torto più clamoroso è sempre fatto al pubblico
femminile, un numeroso pubblico di donne che una volta alla
settimana, in un loro salotto appartato, viene intrattenuto il più delle volte
con argomenti futili o semplicemente desolanti.
Non staremo a
predicare contro la maglia, l'uncinetto, l'arredamento, l'abbigliamento
(perché, se anche il complesso fenomeno della moda è chiaramente un'espressione
strettamente connessa alle differenziazioni sociali,
l'espressione del gusto riassume con sottili legami il volto di un'epoca. e si propaga con l'espansione della cultura), ma contro
quella formula che, come nel caso del giornale che Ella dirige, si vale di questa
moda per contrabbandare una certa politica. Quale politica? e
per quale donna? Il consumismo, la ricerca del successo, il divismo, l'evasione
programmata, per una donna che è invece alla ricerca della strada della
consapevolezza ed è rimasta sino ad ora ad uno stadio di insoddisfazione
e frustrazione generiche. Ma veniamo a quella pagina dello psicologo (Giorgio Solera) che per l'argomento trattato più ci sta a cuore. Riassume infatti il titolo
«Quasi impossibile redimere, molto più facile dare una mano a chi chiede
aiuto», ed è risposta alla lettera di una lettrice che, scelta la facoltà di
psicologia, vorrebbe esser presente «nei riformatori, nelle carceri femminili,
negli istituti per ragazze madri, allo scopo di aiutare coloro
che sono rifiutati od isolati dalla società per sbagli commessi magari
inconsapevolmente».
La risposta è chiara: accettiamo il
mondo come è, magari aiutiamolo, ma non cambiamolo. Di
fronte a nuove forme di protesta, all'accresciuta pressione di una opinione pubblica che, come nel caso di questa giovane
lettrice, ha carattere di indubbia spontaneità, la risposta ha una capacità di
assorbimento e di resistenza, che potrebbe destare stupore, ove non si
conoscesse la forza di conservazione e la ferrea continuità di certe posizioni
privilegiate durante un secolo di storia, se non sapessimo che sotto ad una
risposta che appare del «tecnico», viene contrabbandata la più iniqua
discriminazione: «Purtroppo ci sono realtà che vanno
accettate come sono, perché è del tutto inutile voler trasformare in oro ciò
che è solo rame; quest'ultimo vale poco, serve a poco, si copre di verde, si
scurisce, si rovina, anche se ogni tanto lo si pulisce: mentre l'oro resta oro,
anche se si sporca». Dove il privilegio di classe, il qualunquismo diffuso sono elementi costanti e ricorrenti, e il problema del
disadattamento viene presentato secondo i più retrivi pregiudizi. Si teme
forse di aprire la porta a forti spinte sociali, che
non potrebbero più essere quelle di una generica pietà di eredità ottocentesca,
ma una critica sostanziale alle strutture delle istituzioni stesse? È eversivo
per lo psicologo Solera non subire valori precostituiti
e partire alla scoperta della propria identità nella società che ci circonda
come vorrebbe fare Anna P.? O forse come tanti «familiaristi»
che alle donne dicono non solo che devono stare in casa, ma che ci devono stare
volentieri e senza ambizioni, travestito da panni pseudo
scientifici, il dottor Solera consiglia alla sua
lettrice di far sì la psicologa, «nella scuola, nell'industria, nelle carceri,
anche nell'esercito» (se ne ha voglia) ma da «brava», al posto che la società
patriarcale le ha assegnato, senza domandarsi nulla sulle condizioni dei suoi
assistiti e sulle istituzioni in cui vivono, sullo sviluppo economico e le
conseguenti trasformazioni sociali. Allora «organizzata in albo professionale» la neo psicologa, come
Testo
della risposta dello psicologo G. Solera pubblicata su Gioia del 2
gennaio 1974.
Capisco ed apprezzo
le sue nobili aspirazioni di volere usare la prossima laurea in psicologia per
aiutare minorenni traviati o drogati oppure ragazze madri e donne carcerate. E
mi spiace pensare a quanto sarà cocente la sua delusione: nella triste
succitata casistica, i pochissimi casi che ho visto
risolversi brillantemente, erano soggetti che avevano commesso una scivolata
casuale, contraria alla loro struttura morale, e che si sarebbero comunque
redenti anche senza alcun aiuto. Ma accanto a loro
quanti e poi quanti sono rimasti tali e quali, malgrado ogni sforzo! Purtroppo
ci sono realtà che vanno accettate come sono, perché è
del tutto inutile voler trasformare in oro ciò che è solo rame. Nella società
esistono tanto l'oro quanto il rame: quest'ultimo vale poco, serve a poco, si
copre di verde, si scurisce, si rovina, anche se ogni tanto lo
si pulisce; mentre l'oro resta oro, anche se si sporca.
Per fortuna possiamo
lavorare in moltissimi altri campi ed offrire aiuto a chi ce
lo chiede. Poco lavoro per gli psicologi? Vuole scherzare? Ne servono
tantissimi: nelle cliniche, negli ospedali, nelle scuole, nelle industrie, nei
centri medico-psico-pedagogici, nelle unità sanitarie
di quartiere, nei centri di igiene mentale, nei grossi
enti, nello sport, in ogni struttura che preveda lavori di gruppo, nella
stampa, nell'esercito.
Piuttosto oggi
l'Italia è piena di sedicenti psicologi, i quali, con le loro assurde improvvisazioni,
gettano cattiva luce sui pochissimi psicologi seri e preparati, divenuti tali
per aver frequentato (dopo aver conseguito una laurea, possibilmente in
medicina) le apposite scuole di specializzazione,
che, ovviamente, esistono anche in Italia. Per questo non metto in dubbio che
oggi esista qualche difficoltà per uno psicologo che cerchi lavoro, proprio
perché oggi pochi si fidano di questa qualifica troppo spesso fittizia.
Ma quando i dottori in
psicologia saranno diverse migliaia, organizzati in un albo professionale,
allora di certo troveranno tutti da lavorare, e con ampia soddisfazione. Specie
quelli che, come lei, avranno studiato con serie intenzioni di
essere utili alla società.
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