Prospettive assistenziali, n. 26, aprile-giugno
1974
ATTUALITÀ
LEGGI E PROPOSTE DI LEGGE REGIONALI
Nel n. 23 di Prospettive assistenziali
avevamo affermato di ritenere molto improbabile l'approvazione nel breve
periodo della legge-quadro sull'assistenza e che, pertanto, notevole importanza
assumevano le iniziative a livello regionale e locale.
Nel numero scorso (1) abbiamo
riportato le leggi e proposte di legge da noi valutate positivamente, in
questo numero ci proponiamo invece di far conoscere le iniziative
negative.
Il lettore potrà in tal modo avere gli elementi
oggettivi di giudizio e farsi un quadro completo della
situazione, valutando la reale volontà delle forze politiche.
1.
Legge della Regione Molise del 20-12-1972 n. 22 «Ricovero di minori, vecchi ed inabili
indigenti»
L'art. 4 stabilisce: «Hanno diritto al ricovero,
purché in stato di comprovato bisogno:
a) il minore, orfano di entrambi
i genitori o abbandonato dagli stessi, che non abbia congiunti in grado di
provvedere alla sua sussistenza, ovvero i cui genitori siano degenti in
istituti di cura e beneficenza o detenuti, anche nel caso in cui, ricorrendo le
condizioni di cui alla presente lettera per uno solo
dei genitori, l'altro non sia assolutamente in grado di assicurare i mezzi di
sussistenza alla famiglia;
b) il minore maltrattato e quello i
cui genitori, per oziosità, vagabondaggio o altra causa, trascurano di
esercitare le funzioni inerenti alla
patria potestà;
c) il minore che abbia entrambi i genitori emigrati
per ragioni di lavoro;
d) il minore appartenente a
famiglia di almeno cinque figli, conviventi e a carico;
e) l'iscritto nell'elenco dei poveri o degli aventi diritto all'assistenza sanitaria obbligatoria da
parte del Comune;
f) il vecchio o l'inabile che non si trovino in
condizioni di provvedere alla loro sussistenza».
La sussistenza dello stato di bisogno non viene nemmeno assegnata ai comuni o loro consorzi, anzi
l'assessorato regionale all'assistenza è tenuto ad assumere le informazioni
sullo stato di bisogno dei ricoverandi dagli ECA.
Stabilisce l'art. 4: «La sussistenza dello stato di
bisogno e delle altre condizioni di cui al comma che precede è accertata da una
commissione formata dall'Assessore competente per materia, che la convoca e la
presiede, e da altri sei componenti, designati dal
Consiglio regionale, al di fuori del proprio seno, con voto limitato a
quattro nomi.
La Commissione può avvalersi dell'ausilio di
consulenti tecnici.
La Commissione è nominata con decreto del Presidente
della Giunta e dura in carica per tutta la durata del Consiglio. Può essere sciolta
con decreto del Presidente medesimo per gravi inadempimenti.
Per la validità delle deliberazioni della Commissione,
è sufficiente la presenza della maggioranza dei componenti».
In alternativa al ricovero,
la legge del Molise prevede la possibilità di assegnazione da parte della
giunta regionale di un sussidio di L. 1.000
giornaliere (2) «alla famiglia del bisognoso od a quella che assuma l'obbligo
di ospitarlo e assisterlo».
In sostanza con la legge suddetta,
- continua ad operare secondo la vecchia modalità
della segregazione in istituto;
- non decentra le competenze ai comuni e loro
consorzi, ma le accentra nelle mani della giunta regionale. Si prefigura
pertanto una Regione accentratrice, burocratica, soffocatrice delle autonomie locali e negatrice della
partecipazione dei cittadini.
2.
Legge della Regione Liguria del 21-11-1972 n. 13 «Norme per l'esercizio delle funzioni
amministrative attribuite alla Regione in materia di
assistenza pubblica»
Si pone sulla stessa linea della legge precedente
per quanto concerne la valorizzazione degli E.C.A. Infatti
l'art. 7 prevede: «Il presidente della giunta regionale adotta, avvalendosi
della collaborazione degli E.C.A.,
i provvedimenti concernenti ausili di carattere economico e prestazioni
assistenziali relative ai singoli individui».
3.
Leggi della provincia di Bolzano (3)
Molte sono state le leggi approvate dalla provincia
di Bolzano, tutte con finalità emarginanti.
A) La prima è la legge 23-12-1972
n. 47 riguardante «Provvidenze a favore delle case di riposo della Provincia di Bolzano».
Essa ha lo scopo (art. 1) di «agevolare la costruzione,
la ricostruzione, il riadattamento e il completamento di immobili
destinati a case di riposo».
I contributi, erogati a E.C.A., I.P.A.B., fondazioni e
comuni, sono versati nella misura:
a) fino al 50% della spesa, in conto capitale;
b) non superiore al 5%, per 15
anni, per quella parte di spesa non coperta dal contributo in conto capitale.
Notiamo pertanto che al termine dei 15 anni i contributi
coprono il 125% delle spese sostenute: vera pacchia per l'industria
dell'assistenza. Lo stanziamento è di 200 milioni annui per i contributi di cui
alla lettera a) e di 15 milioni annui per quelli di cui alla lettera b) (4).
B) La seconda, n. 11 del 19-4-1973, stabilisce uno
stanziamento di 198 milioni annui per l'erogazione di
contributi (somme che si aggiungono alle rette) «per le attività degli enti
pubblici e privati o delle associazioni che operino entro il territorio della
provincia e svolgano per statuto esclusivamente o prevalentemente attività di
assistenza e beneficenza». I contributi sono concessi ai sensi dell'art. 2 «per
forme di assistenza e beneficenza in favore di
cittadini in particolare stato di bisogno; per assistenza a lavoratori disoccupati
emigrati e rimpatriati; per la gestione di colonie, campeggi, case di soggiorno
o centri di assistenza climatica; per l'acquisto, l'allestimento o il
riadattamento di impianti di riscaldamento o di attrezzature igienico-sanitarie o tecniche, necessarie al buon
funzionamento di edifici destinati all'assistenza».
C) Con legge del 17-9-1973
n. 58 «Provvidenze a favore dei minorati e disadattati sociali»,
si stabilisce l'erogazione di contributi, sovvenzioni e sussidi per promuovere
la prevenzione delle minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali ed il
recupero dei soggetti, residenti nella provincia di Bolzano, da esse affetti
(handicappati) nonché forme di assistenza e di cura per favorire l'inserimento
nella vita sociale, familiare, scolastica e lavorativa delle persone affette
da disturbi comportamentali e caratteriali (disadattati sociali) alle persone
sopra indicate purché «risultino abbandonate o appartengano a famiglie che
versino in disagiate condizioni economiche».
La legge è contro il principio dei servizi aperti a tutti poiché assurdamente prevede come prevenzione la
semplice erogazione di contributi alle persone povere e separa gli interventi
degli handicappati e dei disadattati da quelli delle persone «normali».
Inoltre non è prevista la delega ai comuni e loro
consorzi, dal momento che le competenze restano
accentrate nella provincia ed i contributi oltre alle persone direttamente
interessate sono versati a enti pubblici e privati che istituiscono i servizi
sopra previsti.
Si ricorda inoltre che con deliberazione della Giunta
del Trentino-Alto Adige n. 2504. del 20-101972 è
stato costituito il Consorzio fra
Analogo consorzio è stato costituito fra il Comune e
La nostra posizione contraria nei confronti di tali
consorzi rimane quella che abbiamo espresso
nell'editoriale del n. 13 (gennaio-marzo 1971) e negli articoli «Cogestione
dell'emarginazione» e «Servizi specialistici o prestazioni
specializzate?» pubblicati nel n. 17.
Nel Trentino Alto-Adige e
in particolare nella Provincia di Bolzano vi è una proliferazione di strutture
per handicappati e la legislazione specifica sia regionale che
provinciale contribuisce a isolare sempre più gli handicappati dalle persone «normali».
D) Con legge del 26 ottobre 1973 n. 69, concernente
«Provvedimenti relativi all'assistenza di base nella
provincia di Bolzano», viene stabilito «nella prospettiva delle unità locali
dei servizi» (!) uno stanziamento annuo di L. 500 milioni
(300 milioni per il 1973) per sovvenzionare gli E.C.A. singoli e consorziati
dei comuni superiori ai 30.000 abitanti.
Per ottenere il contributo gli E.C.A. devono essere
dotati di un servizio di segreteria a cui sia addetto
almeno un impiegato a tempo pieno o determinato, di una propria sede, adibita
in modo esclusivo ai servizi di assistenza, di un regolamento di erogazione
delle prestazioni ed un comitato tecnico.
E) La quinta è la legge n. 77 del 30-10-1973 «Provvedimenti
in favore dell'assistenza agli anziani» che prevede una serie di servizi
settoriali (destinati esclusivamente agli anziani) così indicati nell'art. 2:
«le prestazioni economiche, preventive o alternative al ricovero in istituti,
la riserva di appartamenti minimi per anziani, le prestazioni
domiciliari di carattere sanitario e di aiuto domestico, le prestazioni
ambulatoriali di tipo sanitario e sociale e le istituzioni con carattere residenziale,
parziale e totale».
Le forme di assistenza
residenziale sono: la casa-albergo, la casa di riposo e il soggiorno di vacanza
per anziani. È prevista l'istituzione di una commissione provinciale per
l'assistenza agli anziani (art. 17).
Contributi e sussidi sono concessi (art. 24) «alle
IPAB, alle istituzioni amministrative degli ECA».
F) Infine con decreto del Presidente della Giunta
provinciale di Bolzano del 26 ottobre 1973 n. 42, viene
aumentato da L.
Con questa disposizione si favorisce l'invio dei
bambini subnormali poveri nelle classi speciali, poiché la scuola è condizione
necessaria per ottenere il contributo agli ECA, ai comuni, ai consorzi fra
detti enti, alle istituzioni o associazioni private senza fine di lucro.
Lo stanziamento previsto è di
L. 56.500.000 per il 1973 e di L.
203.000.000 per gli anni dal 1974 al 1977.
4.
Leggi della Regione Friuli-Venezia
Giulia
Anche
A) Con legge 7 gennaio 1972 n. 3 sono stati disposti
«interventi regionali per agevolare la costruzione, l'acquisto e la
sistemazione di case e di centri diurni di assistenza
per anziani, nonché per l'assistenza domiciliare agli anziani indigenti».
I contributi sono concessi dal l'amministrazione
regionale a «province, comuni, IPAB e loro consorzi nonché
ad altri enti, istituzioni, associazioni e fondazioni» mediante contributi
annui costanti, per un periodo non eccedente gli anni
Per incentivare maggiormente
le case di riposo l'art. 2 prevede: «L'amministrazione regionale è altresì
autorizzata a concedere ai soggetti indicati nell'articolo precedente
contributi in conto capitale, erogabili anche in più esercizi finanziari, fino
alla concorrenza dell'80% della spesa riconosciuta ammissibile per l'acquisto di attrezzature e arredi destinati a case e a centri diurni
di assistenza per le persone anziane».
Per i contributi di cui all'art. 1 il limite di impegno è stato previsto in 200 milioni per il periodo
dal 1971 al 1990 (destinato alla erogazione di contributi per una spesa
complessiva di tre miliardi) 300 milioni annui sono stati stanziati per le
spese di cui all'art. 2 per il periodo dal 1971 al 1975.
Significativo il fatto che per il servizio di assistenza
domiciliare riservato agli anziani indigenti sono stati stanziati solo 100
milioni annui per il periodo 1971-1974.
b) Con la legge 2 marzo 1973 n. 16
Il limite di 200 milioni per i contributi di cui
all'art. 1 della legge gennaio 1972 n. 3 è stato portato da
Resta invariata la misera somma di 100 milioni all'anno per l'assistenza domiciliare.
c) Da notare inoltre che
Le somme annue erogate per i contributi integrativi
ammontano a 1 miliardo e 200 milioni.
A prima vista potrebbe sembrare molto giusta la
corresponsione di un contributo integrativo (L.
10-12.000 mensili) ai ciechi, ai sordomuti e agli invalidi civili.
In effetti, invece, questo tipo di sussidio non
risolve nessun problema, anzi è un comodo alibi alla non creazione di servizi.
Si tratta praticamente dello
stesso deleterio principio della monetizzazione della
salute in fabbrica e questi contributi possono essere indicati come una forma
di monetizzazione dell'emarginazione.
Ricordiamo al riguardo ciò che
ha scritto il The Guardian il 6 settembre 1973 «Il
sogno degli ideatori dello "Stato del benessere" che, cioè, l'ineguaglianza potesse essere gradualmente eliminata
attraverso gli interventi di politica sociale, è ormai svanito. Le pensioni,
che rappresentano la metà della spesa per la sicurezza sociale
non sono adeguate alle necessità degli anziani ed è provato che le classi con
redditi elevati vivono più a lungo di quelle con redditi modesti. I poveri -
di cui il gruppo più numeroso sono i pensionati - conducono un'esistenza meno
disagiata rispetto a 50 anni or sono, ma non hanno migliorato la loro posizione
in senso relativo».
Pur riconoscendo che in molti casi vi è la necessità
immediata dell'erogazione di contributi economici (la cui competenza dovrebbe
essere attribuita ai comuni e non alla Regione e agli ECA), tuttavia la
generalizzazione di detti sussidi non elimina come è
avvenuto in Inghilterra, i problemi di fondo (risolvibili solo con la creazione
di adeguati servizi sanitari, abitativi, sociali ecc.). Anzi lo stanziamento
di fondi per sussidi sottrae parte dei miliardi necessari per i servizi.
5.
Proposta di legge del gruppo P.S.I. della Regione Veneto
La «mania» delle case di riposo delle
Regioni Trentino Alto-Adige e Friuli-Venezia
Giulia ha contagiato anche il gruppo del P.S.I. della Regione Veneta.
Infatti il progetto di legge n. 22 del 16 maggio
La proposta suddetta è quasi letteralmente copiata
dalla legge della Regione Friuli-Venezia Giulia e rimandiamo
alle osservazioni del punto 4, lettere A e B.
È però molto grave che membri di uno stesso partito
portino avanti a livello locale iniziative aventi una linea diametralmente
opposta a quella assunta a livello nazionale. (V. la proposta di legge Signorile del P.S.I. riportata nel
n. 23 di Prospettive assistenziali).
6.
Proposte di legge presentate al
Consiglio regionale piemontese
A. La giunta della Regione Piemonte ha presentato in
data 31 gennaio 1974 il disegno di legge «Interventi per la promozione
dell'assistenza domiciliare agli anziani, agli inabili ed ai minori,
nonché per il funzionamento di centri di incontro per gli anziani».
Premettiamo che il Piemonte è l'unica Regione che non
abbia ancora emanato, per tutte le materie, le norme per l'esercizio delle
funzioni trasferite dai decreti delegati.
In tal modo la giunta regionale, a nostro avviso
illecitamente, esercita anche poteri che competono al consiglio regionale.
Inoltre
Per quanto concerne il disegno di legge sull'assistenza
agli anziani, riportiamo integralmente le osservazioni presentate dal coordinamento
dei comitati di quartiere di Torino.
1. Il progetto
di legge, redatto dall'assessorato all'assistenza della Regione Piemonte ed in discussione presso
In proposito
la posizione dei comitati di quartiere - espressa nel documento del 20/2 e già
implicita nella nota del 16/1 sul problema della zonizzazione della città -
rifiutando ogni intervento di tipo settoriale o peggio ancora di categoria, è
quella di ritenere inderogabile il principio dell'intervento di carattere globale, che, se anche è da realizzarsi con un graduale
programma di attuazione, deve essere nell'impostazione previsto per tutte le
situazioni di bisogno. È su questa linea che deve essere trovata ed avviata la
soluzione dei problemi particolari concernenti gli anziani. Coerentemente a
tale orientamento non si possono non rilevare le gravi carenze
di impostazione del progetto di legge regionale che propone sostanzialmente
ancora un intervento di tipo settoriale e parziale, tra l'altro insufficientemente
definito nei suoi contenuti operativi specifici.
2. Nel
merito dei contenuti si osserva:
a) Il progetto
di legge, che pur vuol proporsi di avviare un nuovo sistema di operare nel campo della assistenza sociale, per una parte si circoscrive
unicamente alle prestazioni di assistenza domiciliare, senza però prevedere
nessun intervento sanitario nell'ambito di queste attività.
Esso ribadisce di fatto la inaccettabile separazione fra
assistenza sanitaria e assistenza sociale, misconoscendo l'esigenza
inderogabile della unitarietà degli interventi che, sempre necessaria ma
assolutamente indispensabile a questo primo livello di attività, deve essere
garantita già nella configurazione stessa delle strutture operative. Questa
proposta quindi continua a rispecchiare meccanicamente l'attuale frantumazione
del sistema di interventi in materia sanitaria e
sociale e non si pone per nulla nella linea della realizzazione delle unità
locali dei servizi.
Inoltre
manca ogni indicazione di inquadramento generale
circa il tipo e le modalità di intervento degli organismi operativi che devono
svolgere la prevista attività. Non si indica tra
l'altro cosa si intenda per assistenza domiciliare né il livello minimo
ammissibile di prestazioni, né le caratteristiche essenziali delle strutture di
intervento.
b) La parte concernente i centri di incontro per anziani configura in
effetti un sistema di servizi e strutture a se stanti che, se può migliorare
certi aspetti particolari della condizione delle persone anziane, non contrasta
ma anzi finisce col ribadire il processo di emarginazione sociale di questi
cittadini. Anche se il disposto di legge ammette la
connessione di questi centri con altri centri (sociali, culturali, ecc.) esso
disattende profondamente all'esigenza di centri aperti a tutti i cittadini,
occasione e strumento di socializzazione integrale, in cui devono trovare
collocazione adeguata le attività per e degli anziani. Nella
costituzione e nella realizzazione dei centri si deve avere particolare
attenzione all'urgenza dei problemi posti dalla popolazione anziana, ma queste strutture già nella impostazione devono programmaticamente essere previste (e caratterizzarsi) come
centri sociali per tutta la popolazione.
c) L'assistenza
domiciliare viene prevista come alter-nativa
al ricovero in istituto. Però nei modi con cui è espressa, l'affermazione
risulta, oltre che inadeguata, velleitaria ed equivoca in quanto manca ogni
accenno agli orientamenti generali e alla linea di azione
che si intende seguire rispetto al problema degli istituti di ricovero
esistenti e in progetto e a quello della creazione di eventuali diverse
strutture collettive che in sostituzione dei suddetti istituti possono e devono
essere messe a disposizione nell'ambito residenziale per quei cittadini non adeguatamente
servibili dall'intervento domiciliare (comunità alloggio, ecc.).
d) È
inaccettabile la prevista possibilità di convenzione tra gli enti locali e gli
enti pubblici o privati per la realizzazione e gestione di questi servizi assistenziali. Questa disposizione ripropone sotto nuova
forma il superato ed ormai da tutti rifiutato, tradizionale sistema di erogazione dei servizi; mantiene la settorializzazione
degli interventi contribuendo a mantenere separata l'assistenza domiciliare
dalle altre prestazioni ed, evitando l'azione diretta e puntuale in prima
persona degli enti locali, costituisce inoltre un grave ostacolo alla
partecipazione e gestione dei servizi da parte dei cittadini.
e) La proposta
di legge non fa alcun cenno al problema del personale, né tantomeno
prevede la possibilità di impiegare il personale oggi impegnato nelle
tradizionali e superate strutture, per inserirlo nelle nuove attività di
servizio.
f) Per gli
aspetti economico-finanziari, manca ogni indicazione sul come viene determinata l'entità degli impegni da iscrivere in
bilancio ed inoltre non si prevedono interventi per l'acquisizione e
l'approntamento di idonee strutture ricettive (sedi dei centri ecc.). Il
ricorso all'affitto dei locali può essere solo una soluzione provvisoria che non garantisce affatto l'adeguatezza delle dotazioni e il
consolidamento del sistema di servizi.
g) La
determinazione dell'entità dei contributi è affidata unicamente alla
competenza della giunta regionale mentre tale
competenza date le caratteristiche del servizio e l'ampio margine di
sperimentazione dell'iniziativa dovrebbe essere condivisa dal consiglio
regionale.
3. Proposte
a) Per avviare
effettivamente la realizzazione del principio dell'unità degli interventi, una
organica proposta di legge in materia deve essere formulata di concerto tra
l'assessorato all'assistenza e quello alla sanità.
Essa deve
prevedere i vari servizi necessari alla popolazione, comprendendo cioè: l'assistenza domiciliare sanitaria e sociale, la
creazione di piccole comunità per l'assistenza di tipo collettivo,
l'assistenza ambulatoriale (ed ospedaliera) nei casi in cui la normativa
vigente non assicuri questo intervento, la creazione di centri sociali di zona
o di quartiere.
Inoltre essa
dovrà farsi carico del reperimento e dell'assegnazione di alloggi
dell'edilizia popolare individuali e per piccole comunità (avvalendosi della
legge 865).
b) Questi
servizi dovrebbero realmente potersi inserire nelle
costituende unità locali dei servizi e pertanto è necessario già prevedere a
tal fine la zonizzazione dell'intero territorio regionale. A tale proposito
una proposta di ripartizione territoriale è già stata
redatta dalla Provincia di Torino per il territorio di sua competenza in
rapporto al servizio psichiatrico. Tale proposta fornisce un primo modello da
cui partire per configurare il sistema di unità
locali su tutto l'ambito regionale.
c) La legge
dovrebbe prevedere anche gli strumenti per la formazione, riqualificazione ed
aggiornamento del personale, tenendo presente in particolare le necessità di inserimento degli operatori che attualmente lavorano nei
servizi di cui si richiede il superamento (istituti di ricovero, case albergo,
ecc.).
B. Due consiglieri del M.S.I. hanno presentato al
Consiglio regionale piemontese in data 15-11974 la proposta di legge «Recupero sociale dei minorati fisici e psichici».
Il principio informatore è che gli handicappati
devono essere preselezionati e per essi,
e solo per essi, devono essere istituiti dei servizi «speciali».
Solo quando gli handicappati saranno «recuperati» ad
una «attività lavorativa competitiva», secondo quando
previsto dall'art. 3, solo allora essi potranno essere reinseriti nel contesto
sociale.
Va da sé che se non viene
raggiunta la «attività lavorativa competitiva» (come avviene quasi sempre per
i minori rinchiusi in strutture emarginanti), gli handicappati resteranno
isolati dalla società.
Riportiamo l'articolo 3 della proposta di legge solo
per far notare come, purtroppo, i servizi previsti, tutti emarginanti, siano quelli richiesti in varie parti d'Italia sia da amministratori
che si definiscono «avanzati», sia da quasi tutte le associazioni di invalidi:
«Le sovvenzioni potranno essere concesse:
a) per l'istituzione ed il
potenziamento di Centri medico-sociali dotati di consultori prematrimoniali e
di laboratori di genetica, ai fini
della prevenzione delle minorazioni.
b) per l'istituzione ed il
potenziamento di centri medico-psicopedagogici-sociali
in numero sufficiente a garantire un'azione capillare di prevenzione, reperimento, diagnosi ed orientamento
riabilitativo precoce a favore di tutti i minori affetti da turbe dello
sviluppo fisico e psichico.
c) per l'istituzione ed il potenziamento di Istituti specializzati a tipo residenziale autonomi o
affiancati ad enti ospedalieri ove siano attuati precoci interventi di ordine
sanitario riabilitativo ed educativo oltre all'istruzione scolastica preparatoria,
elementare e speciale adeguata alle possibilità dei minori, nei casi di
insufficienza mentale grave.
d) per centri ambulatoriali con
trattamento a piena giornata con servizio di trasporto.
e) per scuole speciali per motulesi
con annessa sezione di fisiochinesiterapia.
f) per nuclei ambulatoriali con trattamento a tempo
ridotto con caratteristiche di unità periferiche
presso enti ospedalieri e centri di pediatria.
g) per l'istituzione di servizi di assistenza
medico-psico-pedagogica da attuarsi sia a livello
domiciliare sia presso gli asili nido, le scuole materne ed elementari normali
e differenziali per facilitarne la frequenza ai minorati fisici e agli
insufficienti mentali di grado medio e lieve. Detta assistenza dovrà essere
prevista anche per i minori costretti a prolungate degenze ospedaliere.
h) per l'istituzione di centri specializzati di
formazione professionale.
i) per l'istituzione di laboratori
protetti per adulti, da riservarsi ai casi più gravi e non idonei ad attività
lavorativa competitiva.
l) per l'istituzione di piccoli reparti ad internato,
articolati in "gruppi famiglia", da riservarsi ai soggetti in stato di abbandono, che usufruiranno pure delle istituzioni
diurne predette».
7.
Legge della Regione Abruzzo 18-7-1973 n. 27 «Assistenza estiva ed invernale
all'infanzia, all'adolescenza e alla gioventù»
La legge suddetta mantiene tutti i poteri in materia
alla Regione e non li delega ai Comuni. È infatti
8.
Legge 15-1-1974,
n. 1 della Regione Liguria «Norme sull'assistenza agli anziani»
Ancora una volta si tratta di una legge che parte
dall'inaccettabile principio che gli anziani costituiscono una categoria a sé.
Inoltre la legge suddetta non va assolutamente nella direzione delle unità
locali dei servizi sanitari e sociali.
Infatti i contributi per dotazione ed affitto alloggi e per
l'assistenza domiciliare sanitaria e sociale sono erogati a comuni, consorzi di
comuni, province e comunità montane.
Sono anche previsti contributi per l'installazione ed uso del telefono.
Unico aspetto positivo, e lo
sottolineiamo, è quanto previsto dall'art. 2 che così si esprime: «
9.
Legge della Regione Lombardia 3 aprile
1974 n. 16 «Interventi per l'assistenza alle persone anziane»
Essa è la prova e l'esempio di quanto ampia sia la frattura fra affermazioni verbali e iniziative
concrete.
L'assessore all'assistenza della Regione Lombarda, Dott. Renzo Peruzzotti, nel
convegno di Milano del 5-6 febbraio 1972 «L'ente locale e i servizi sociali»
aveva preso una posizione molto avanzata rifiutando sia i servizi chiusi, sia
quelli aperti ma riservati a «categorie», in quanto proprio per la loro natura
essi sono emarginanti e spiegava: «Questo
è appunto il caso delle persone anziane, che troppo
spesso, o meglio quasi sempre sono costrette per ragioni economiche a scegliere
la via della casa di riposo che altro non è se non una soluzione residenziale “coatta”.
Viceversa riaffermiamo la nostra posizione culturale e sociale negativa nei
confronti dell'istituto, ed anche delle cosiddette “case albergo”; essa è
invece diretta verso un soggiorno volontario e temporaneo in case che non siano solo per anziani, ma per tutti».
La posizione di Peruzzotti
nei confronti dei servizi sociali veniva ulteriormente
precisata in termini anch'essi molto avanzati per quanto concerne l'aspetto
istituzionale. Al riguardo, sempre nel convegno citato, l'assessore
all'assistenza della Regione Lombardia così proseguiva:
«Il secondo principio fondamentale della riforma dei servizi sociali è
quello che riguarda la gestione dei servizi stessi. Questi debbono
essere gestiti in modo democratico e cioè dal comune o dai consorzi di comuni
con la partecipazione delle forze sociali, politiche e culturali e, in generale,
delle collettività alle quali i servizi sono destinati.
La
partecipazione alla gestione non implica solamente che i servizi abbiano una dimensione territoriale adatta alle esigenze che
la comunità manifesta, ma anche che le direttive di programmazione e d'intervento
dei servizi stessi siano emanazione di quest'ultima: così si spiega l'inammissibilità
della sopravvivenza degli enti nazionali quali l'ONMI, l'ENAOLI, l'ONPI, l'AAI,
la gioventù italiana e gli altri, che sono tipiche strutture verticali, la cui conduzione
è centralizzata, e l'insostenibilità di strutture che, se pure operano a
livello locale, come gli Enti comunali di assistenza, sono autarchicamente
condotte, e cioè prendono direttive di azione che non provengono dalla
comunità di base.
Gli ECA,
poi, sono strutture per la più parte non funzionanti, che per una minima parte
svolgono le tipiche azioni della beneficenza spicciola, e
laddove funzionano (in genere nelle grandi città) fungono da centro autonomo,
nel generale campo della politica assistenziale di una comunità. La
prospettiva della partecipazione delle forze sociali e culturali alla cosa
pubblica è un processo che coinvolge tutti i campi dell'azione sociale.
Ma in quello
dell'assistenza o meglio dei servizi sociali assume
carattere di priorità perché il bisogno assistenziale è quello che si palesa
con maggiore immediatezza, trae origini dagli squilibri di una società
consumistica ove il debole è sempre vinto e dai dislivelli di sviluppo e di crescita
delle stesse collettività. La partecipazione alla gestione da parte della
collettività permette poi il soddisfacimento di un altro principio su cui
basare la riforma dei servizi sociali e cioè l'integrazione
e la complementarietà dei vari interventi che oggi vengono attuati nel campo
sociale. L'intervento assistenziale non può essere
quindi disgiunto e subisce le modalità d'intervento della politica
territoriale, dell'occupazione, della scuola e della sanità».
Dalle dichiarazioni suddette si poteva onestamente
arguire che il problema dell'assistenza sarebbe stato risolto in modo adeguato
e sollecitamente dalla Regione Lombardia, e poiché
Ma chi aveva parlato a sinistra, aveva poi operato a
destra. Infatti nello scorso mese di aprile
l'assessore Peruzzotti ha presentato la proposta di
legge «Interventi per l'assistenza alle
persone anziane» che abbiamo riportato a pag. 6 e segg. del n° 24 di Prospettive assistenziali insieme con le osservazioni critiche delle
ACLI di Milano e della sezione lombarda dell'Unione italiana per la promozione
dei diritti del minore e per la lotta contro l'emarginazione sociale.
Il testo di legge non si discosta molto, nella
sostanza, da quello presentato dall'assessore all'assistenza e presenta i
seguenti gravi limiti:
- separazione dei servizi sociali dai servizi sanitari. Da notare al riguardo che gli interventi
di vigilanza igienico-sanitaria e per l'esercizio delle attività di medicina preventiva e sociale sono
disciplinati dalla legge della Regione Lombardia n. 37 del 5-12-1972 (6), legge
che ha una impostazione notevolmente diversa da quella sull'assistenza agli anziani;
- separazione dei servizi per gli anziani da quelli
per gli altri cittadini;
- nessuna collocazione dei
servizi in un ambito territoriale definito (unità locale dei servizi sanitari
e sociali);
- rafforzamento delle IPAB, degli enti pubblici e privati
di assistenza e degli ECA. Questi ultimi sono proprio
- non si stupisca il lettore - gli enti che l'assessore all'assistenza
definiva «strutture per la più parte non funzionanti, che per una minima parte
svolgono le tipiche azioni della beneficenza spicciola e che fungono da centro
autonomo»;
- non è prevista nessuna possibilità reale di
partecipazione.
Tanto per non far torto a qualcuno, si fa una
politica diretta nei fatti al potenziamento di tutta la miriade di enti esistenti (oltre 40.000). Si creano quindi le
condizioni non per una seria riforma generale dell'assistenza, ma per una controriforma
che garantisce a tutti gli enti una qualche fetta d'intervento.
Si potrebbe obiettare che la legge prevede anche
l'assistenza domiciliare agli anziani e il servizio
alloggi.
Circa l'assistenza domiciliare, servizio certamente
utile se comprende però anche l'assistenza sanitaria,
vi è da osservare che, contrariamente al principio sostenuto anche da Peruzzotti nel convegno di Milano del 5-6 febbraio 1972,
essa non è estesa a tutte le persone e ai nuclei familiari che ne hanno la
necessità. Si pensi ad esempio agli handicappati o a
una madre con figli che debba essere ricoverata in ospedale e il cui marito sia
costretto, per motivi economici, a non interrompere il lavoro. Inoltre non va
dimenticato che il servizio di assistenza domiciliare
costa molto meno del ricovero in istituto (da 1/4 a 1/10). Riteniamo pertanto
che lo sviluppo di detto servizio non sia determinato
tanto dal riconoscimento delle esigenze delle persone, quanto da ragioni meramente
economiche.
L'impostazione della legge è pertanto arcaica,
restando nella linea della categorizzazione e
frammentazione degli interventi, della creazione di una pluralità di servizi per bisogni analoghi con conseguente e deleteria
proliferazione di capi, sotto-capi e altri dirigenti e dell'aumento
ingiustificato della spesa pubblica.
Il servizio alloggi consiste
nell'assegnazione in uso o in affitto agli anziani di alloggi da parte dei
Comuni, Consorzi, I.P.A.B., E.C.A. e
altri enti pubblici e privati.
Ciò non è però assolutamente
vero, tant'è che la legge lombarda prevede che il servizio
suddetto venga attuato «in via transitoria ed in attesa della realizzazione
dei programmi di edilizia popolare e sociale di cui alla legge 22 -101971 n.
865».
Però l'enunciazione suddetta non trova alcuna
concretizzazione e alcun finanziamento, per cui non è
altro che un comodo alibi.
Infatti la regione ha competenza legislativa sul settore
urbanistico e la legge 22-10-1971 n. 865 prevede all'art. 48 «la costruzione di
case-albergo per studenti, lavoratori, lavoratori immigrati e persone anziane».
A detto scopo deve essere destinata una quota non
superiore al 5% dei fondi messi a disposizione per la
legge sulla casa. Ma
Oltre che in senso non restrittivo sul piano
finanziario, la disposizione dell'art. 48 deve però essere interpretata in modo
non emarginante nel senso di non prevedere case diverse per le varie categorie
di aventi diritto, ma case destinate ugualmente ed
insieme a studenti, lavoratori, lavoratori immigrati e persone anziane.
Sarebbe necessario prevedere, sempre nelle case
suddette, oltre che alloggi individuali per anziani anche micro-comunità
di 8-10 posti.
È certo che vi sono delle situazioni in base alle
quali l'anziano, per la sua non completa autosufficienza o paura della
solitudine non è più in grado di vivere nemmeno con un'adeguata
assistenza domiciliare.
Queste situazioni sono oggi «risolte» con il ricovero
in istituti che, per la loro stessa struttura, impediscono agli anziani di
mantenere le loro abitudini acquisite, i rapporti con il vicinato, con gli
amici e molto spesso anche con i parenti. In questo caso il ricovero, proprio
per la lontananza in cui è situato l'istituto rispetto al luogo di provenienza,
assume le caratteristiche di una vera e propria «deportazione assistenziale».
A causa appunto delle caratteristiche di questi
istituti (orari, regolamenti, alto numero di ricoverati) derivano al ricoverato traumi e forte decadimento fisico e psichico,
come si rileva da questi dati raccolti dal Pequinot
fra gli anziani istituzionalizzati:
l' 8% muore nei primi otto giorni del ricovero;
il 28,7% complessivamente muore nel primo mese;
il 45% complessivamente muore nei primi sei mesi;
il 54,4% complessivamente muore nel primo anno;
il 65,4% complessivamente muore nei primi due anni.
Grave situazione a cui non si può sopperire con il
miglioramento dei locali degli attuali istituti e nemmeno con la
trasformazione delle case di riposo in case-albergo.
Invece le comunità alloggio
di 8-10 posti, inseriti in modo sparso nelle comuni case del quartiere,
possono essere la soluzione che rispetta tutte le esigenze degli anziani, i
quali non siano più in grado di vivere da soli, ma ai quali deve essere
conservata la propria vita sociale.
Ma di tutto ciò non vi è traccia nella legge della
Regione Lombardia, che, come abbiamo visto, alle altisonanti dichiarazioni
verbali contro l'emarginazione, fa seguire atti concreti che invece la
rafforzano, interventi che non vanno alla causa e che nemmeno tendono a mettere
un po' d'ordine nel caos istituzionale ed operativo che da anni regna nel
settore dell'assistenza.
Ricordiamo infine che l'elevato stanziamento annuo
previsto dalla legge lombarda dimostra il lauto finanziamento (3 miliardi) reperito quando si tratta di iniziative emarginanti.
(1) Altre leggi regionali sono state
riportate sul n. 21 di Prospettive assistenziali.
(2) L'art. 10 prevede: «A decorrere dal
1° gennaio 1973, la retta di ricovero è stabilita in misura non superiore a L. 2.000 giornaliere, aumentata a non oltre L. 4.000 per le persone gravemente minorate, ricoverate
presso istituti specializzati».
(3) Le province di Bolzano e di Trento,
ai sensi della legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1, hanno anche competenze
legislative.
(4) Una legge simile è stata approvata
dalla Provincia di Trento (Legge 19-8-1973 n° 28) che
prevede contributi in conto capitale nella misura del 45% della spesa
riconosciuta ammissibile e nella misura non superiore al 5% per 20 anni per la
parte di spesa ammessa non coperta dal contributo in conto capitale. Inoltre
agli enti beneficiari dei contributi precedenti (I.P.A.B., E.C.A., fondazioni, comuni e
loro consorzi) viene concesso un ulteriore finanziamento nella misura «fino
all'80% della spesa riconosciuta ammissibile per l'acquisto di attrezzature,
apparecchiature o arredamenti destinati a case di riposo od a centri di
assistenza o di soggiorno per anziani».
(5) Si noti la descrizione estremamente
dettagliata, tale perciò da consentire il contributo per qualsiasi scopo.
(6) La legge 5-12-1972 n° 37 è stata riportata sul n° 21
di Prospettive assistenziali.
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