Prospettive assistenziali, n. 26, aprile-giugno 1974

 

 

ATTUALITÀ

 

LEGGI E PROPOSTE DI LEGGE REGIONALI

 

 

Nel n. 23 di Prospettive assistenziali avevamo affermato di ritenere molto improbabile l'appro­vazione nel breve periodo della legge-quadro sull'assistenza e che, pertanto, notevole importanza assumevano le iniziative a livello regionale e locale.

Nel numero scorso (1) abbiamo riportato le leggi e proposte di legge da noi valutate positi­vamente, in questo numero ci proponiamo invece di far conoscere le iniziative negative.

Il lettore potrà in tal modo avere gli elementi oggettivi di giudizio e farsi un quadro completo della situazione, valutando la reale volontà delle forze politiche.

 

1. Legge della Regione Molise del 20-12-1972 n. 22 «Ricovero di minori, vecchi ed inabili indigenti»

L'art. 4 stabilisce: «Hanno diritto al ricovero, purché in stato di comprovato bisogno:

a) il minore, orfano di entrambi i genitori o abbandonato dagli stessi, che non abbia con­giunti in grado di provvedere alla sua sussi­stenza, ovvero i cui genitori siano degenti in istituti di cura e beneficenza o detenuti, anche nel caso in cui, ricorrendo le condizioni di cui alla presente lettera per uno solo dei genitori, l'altro non sia assolutamente in grado di assicu­rare i mezzi di sussistenza alla famiglia;

b) il minore maltrattato e quello i cui genitori, per oziosità, vagabondaggio o altra causa, tra­scurano di esercitare le funzioni inerenti alla patria potestà;

c) il minore che abbia entrambi i genitori emi­grati per ragioni di lavoro;

d) il minore appartenente a famiglia di almeno cinque figli, conviventi e a carico;

e) l'iscritto nell'elenco dei poveri o degli aventi diritto all'assistenza sanitaria obbligato­ria da parte del Comune;

f) il vecchio o l'inabile che non si trovino in condizioni di provvedere alla loro sussistenza».

La sussistenza dello stato di bisogno non viene nemmeno assegnata ai comuni o loro consorzi, anzi l'assessorato regionale all'assistenza è te­nuto ad assumere le informazioni sullo stato di bisogno dei ricoverandi dagli ECA.

Stabilisce l'art. 4: «La sussistenza dello stato di bisogno e delle altre condizioni di cui al comma che precede è accertata da una commis­sione formata dall'Assessore competente per materia, che la convoca e la presiede, e da altri sei componenti, designati dal Consiglio regio­nale, al di fuori del proprio seno, con voto limi­tato a quattro nomi.

La Commissione può avvalersi dell'ausilio di consulenti tecnici.

La Commissione è nominata con decreto del Presidente della Giunta e dura in carica per tutta la durata del Consiglio. Può essere sciolta con decreto del Presidente medesimo per gravi inadempimenti.

Per la validità delle deliberazioni della Com­missione, è sufficiente la presenza della mag­gioranza dei componenti».

In alternativa al ricovero, la legge del Molise prevede la possibilità di assegnazione da parte della giunta regionale di un sussidio di L. 1.000 giornaliere (2) «alla famiglia del bisognoso od a quella che assuma l'obbligo di ospitarlo e assi­sterlo».

In sostanza con la legge suddetta, la Regione Molise:

- continua ad operare secondo la vecchia modalità della segregazione in istituto;

- non decentra le competenze ai comuni e loro consorzi, ma le accentra nelle mani della giunta regionale. Si prefigura pertanto una Regio­ne accentratrice, burocratica, soffocatrice delle autonomie locali e negatrice della partecipa­zione dei cittadini.

 

2. Legge della Regione Liguria del 21-11-1972 n. 13 «Norme per l'esercizio delle funzioni amministrative attribuite alla Regione in ma­teria di assistenza pubblica»

Si pone sulla stessa linea della legge prece­dente per quanto concerne la valorizzazione de­gli E.C.A. Infatti l'art. 7 prevede: «Il presidente della giunta regionale adotta, avvalendosi della collaborazione degli E.C.A., i provvedimenti con­cernenti ausili di carattere economico e presta­zioni assistenziali relative ai singoli individui».

 

3. Leggi della provincia di Bolzano (3)

Molte sono state le leggi approvate dalla pro­vincia di Bolzano, tutte con finalità emarginanti.

A) La prima è la legge 23-12-1972 n. 47 riguar­dante «Provvidenze a favore delle case di riposo della Provincia di Bolzano».

Essa ha lo scopo (art. 1) di «agevolare la co­struzione, la ricostruzione, il riadattamento e il completamento di immobili destinati a case di riposo».

I contributi, erogati a E.C.A., I.P.A.B., fondazio­ni e comuni, sono versati nella misura:

a) fino al 50% della spesa, in conto capitale;

b) non superiore al 5%, per 15 anni, per quella parte di spesa non coperta dal contributo in conto capitale.

Notiamo pertanto che al termine dei 15 anni i contributi coprono il 125% delle spese soste­nute: vera pacchia per l'industria dell'assistenza. Lo stanziamento è di 200 milioni annui per i contributi di cui alla lettera a) e di 15 milioni annui per quelli di cui alla lettera b) (4).

B) La seconda, n. 11 del 19-4-1973, stabilisce uno stanziamento di 198 milioni annui per l'ero­gazione di contributi (somme che si aggiungono alle rette) «per le attività degli enti pubblici e privati o delle associazioni che operino entro il territorio della provincia e svolgano per statuto esclusivamente o prevalentemente attività di as­sistenza e beneficenza». I contributi sono con­cessi ai sensi dell'art. 2 «per forme di assistenza e beneficenza in favore di cittadini in particolare stato di bisogno; per assistenza a lavoratori di­soccupati emigrati e rimpatriati; per la gestione di colonie, campeggi, case di soggiorno o cen­tri di assistenza climatica; per l'acquisto, l'al­lestimento o il riadattamento di impianti di ri­scaldamento o di attrezzature igienico-sanitarie o tecniche, necessarie al buon funzionamento di edifici destinati all'assistenza».

C) Con legge del 17-9-1973 n. 58 «Provvi­denze a favore dei minorati e disadattati socia­li», si stabilisce l'erogazione di contributi, sov­venzioni e sussidi per promuovere la preven­zione delle minorazioni fisiche, psichiche e sen­soriali ed il recupero dei soggetti, residenti nella provincia di Bolzano, da esse affetti (handicap­pati) nonché forme di assistenza e di cura per favorire l'inserimento nella vita sociale, fami­liare, scolastica e lavorativa delle persone affette da disturbi comportamentali e caratteriali (di­sadattati sociali) alle persone sopra indicate purché «risultino abbandonate o appartengano a famiglie che versino in disagiate condizioni eco­nomiche».

La legge è contro il principio dei servizi aperti a tutti poiché assurdamente prevede come pre­venzione la semplice erogazione di contributi alle persone povere e separa gli interventi degli handicappati e dei disadattati da quelli delle persone «normali».

Inoltre non è prevista la delega ai comuni e loro consorzi, dal momento che le competenze restano accentrate nella provincia ed i contributi oltre alle persone direttamente interessate sono versati a enti pubblici e privati che istituiscono i servizi sopra previsti.

Si ricorda inoltre che con deliberazione della Giunta del Trentino-Alto Adige n. 2504. del 20-10­1972 è stato costituito il Consorzio fra la Pro­vincia e il Comune di Bolzano per l'assistenza dei neurolesi e dei motulesi.

Analogo consorzio è stato costituito fra il Comune e la Provincia di Trento (deliberazione della Giunta regionale n. 737/A del 5-6-1973).

La nostra posizione contraria nei confronti di tali consorzi rimane quella che abbiamo espresso nell'editoriale del n. 13 (gennaio-marzo 1971) e negli articoli «Cogestione dell'emarginazione» e «Servizi specialistici o prestazioni specializ­zate?» pubblicati nel n. 17.

Nel Trentino Alto-Adige e in particolare nella Provincia di Bolzano vi è una proliferazione di strutture per handicappati e la legislazione spe­cifica sia regionale che provinciale contribuisce a isolare sempre più gli handicappati dalle per­sone «normali».

D) Con legge del 26 ottobre 1973 n. 69, con­cernente «Provvedimenti relativi all'assistenza di base nella provincia di Bolzano», viene stabi­lito «nella prospettiva delle unità locali dei ser­vizi» (!) uno stanziamento annuo di L. 500 mi­lioni (300 milioni per il 1973) per sovvenzionare gli E.C.A. singoli e consorziati dei comuni superiori ai 30.000 abitanti.

Per ottenere il contributo gli E.C.A. devono essere dotati di un servizio di segreteria a cui sia addetto almeno un impiegato a tempo pieno o determinato, di una propria sede, adibita in modo esclusivo ai servizi di assistenza, di un regolamento di erogazione delle prestazioni ed un comitato tecnico.

E) La quinta è la legge n. 77 del 30-10-1973 «Provvedimenti in favore dell'assistenza agli an­ziani» che prevede una serie di servizi settoriali (destinati esclusivamente agli anziani) così in­dicati nell'art. 2: «le prestazioni economiche, pre­ventive o alternative al ricovero in istituti, la ri­serva di appartamenti minimi per anziani, le pre­stazioni domiciliari di carattere sanitario e di aiuto domestico, le prestazioni ambulatoriali di tipo sanitario e sociale e le istituzioni con carat­tere residenziale, parziale e totale».

Le forme di assistenza residenziale sono: la casa-albergo, la casa di riposo e il soggiorno di vacanza per anziani. È prevista l'istituzione di una commissione provinciale per l'assistenza agli anziani (art. 17).

Contributi e sussidi sono concessi (art. 24) «alle IPAB, alle istituzioni amministrative degli ECA».

F) Infine con decreto del Presidente della Giun­ta provinciale di Bolzano del 26 ottobre 1973 n. 42, viene aumentato da L. 30.000 a 40.000 al mese il contributo massimo alle spese di affi­damento dei bambini subnormali poveri frequen­tanti le classi speciali.

Con questa disposizione si favorisce l'invio dei bambini subnormali poveri nelle classi spe­ciali, poiché la scuola è condizione necessaria per ottenere il contributo agli ECA, ai comuni, ai consorzi fra detti enti, alle istituzioni o associa­zioni private senza fine di lucro.

Lo stanziamento previsto è di L. 56.500.000 per il 1973 e di L. 203.000.000 per gli anni dal 1974 al 1977.

 

4. Leggi della Regione Friuli-Venezia Giulia

Anche la Regione Friuli-Venezia Giulia favo­risce la costruzione di case di riposo.

A) Con legge 7 gennaio 1972 n. 3 sono stati disposti «interventi regionali per agevolare la costruzione, l'acquisto e la sistemazione di case e di centri diurni di assistenza per anziani, non­ché per l'assistenza domiciliare agli anziani in­digenti».

I contributi sono concessi dal l'amministrazione regionale a «province, comuni, IPAB e loro con­sorzi nonché ad altri enti, istituzioni, associa­zioni e fondazioni» mediante contributi annui costanti, per un periodo non eccedente gli anni 20, in misura del 7% della spesa riconosciuta ammissibile, per la costruzione, l'acquisto, l'am­pliamento, il completamento, l'ammodernamen­to, l'adattamento e la riparazione (5) di edifici da destinare a case e a centri diurni di assi­stenza per persone anziane (art. 1).

Per incentivare maggiormente le case di riposo l'art. 2 prevede: «L'amministrazione regionale è altresì autorizzata a concedere ai soggetti indi­cati nell'articolo precedente contributi in conto capitale, erogabili anche in più esercizi finan­ziari, fino alla concorrenza dell'80% della spesa riconosciuta ammissibile per l'acquisto di attrez­zature e arredi destinati a case e a centri diurni di assistenza per le persone anziane».

Per i contributi di cui all'art. 1 il limite di impegno è stato previsto in 200 milioni per il periodo dal 1971 al 1990 (destinato alla eroga­zione di contributi per una spesa complessiva di tre miliardi) 300 milioni annui sono stati stan­ziati per le spese di cui all'art. 2 per il periodo dal 1971 al 1975.

Significativo il fatto che per il servizio di assi­stenza domiciliare riservato agli anziani indigenti sono stati stanziati solo 100 milioni annui per il periodo 1971-1974.

b) Con la legge 2 marzo 1973 n. 16 la Regione Friuli-Venezia Giulia ha disposto il rifinanzia­mento della legge di cui al punto precedente.

Il limite di 200 milioni per i contributi di cui all'art. 1 della legge gennaio 1972 n. 3 è stato portato da 200 a 300 milioni (la spesa com­plessiva passa da 3 a oltre 4 miliardi).

Resta invariata la misera somma di 100 mi­lioni all'anno per l'assistenza domiciliare.

c) Da notare inoltre che la Regione Friuli-Ve­nezia Giulia ha potenziato notevolmente gli ECA, ai quali sono stati attribuiti i compiti relativi alla erogazione dei contributi regionali integrativi ai ciechi, agli invalidi civili e ai sordomuti. Agli E.C.A. la Regione versa, a copertura del servizio di erogazione, un compenso pari al 6% delle somme da essi erogate.

Le somme annue erogate per i contributi inte­grativi ammontano a 1 miliardo e 200 milioni.

A prima vista potrebbe sembrare molto giusta la corresponsione di un contributo integrativo (L. 10-12.000 mensili) ai ciechi, ai sordomuti e agli invalidi civili.

In effetti, invece, questo tipo di sussidio non risolve nessun problema, anzi è un comodo alibi alla non creazione di servizi.

Si tratta praticamente dello stesso deleterio principio della monetizzazione della salute in fab­brica e questi contributi possono essere indi­cati come una forma di monetizzazione dell'e­marginazione.

Ricordiamo al riguardo ciò che ha scritto il The Guardian il 6 settembre 1973 «Il sogno de­gli ideatori dello "Stato del benessere" che, cioè, l'ineguaglianza potesse essere gradual­mente eliminata attraverso gli interventi di poli­tica sociale, è ormai svanito. Le pensioni, che rappresentano la metà della spesa per la sicu­rezza sociale non sono adeguate alle necessità degli anziani ed è provato che le classi con red­diti elevati vivono più a lungo di quelle con red­diti modesti. I poveri - di cui il gruppo più nu­meroso sono i pensionati - conducono un'esi­stenza meno disagiata rispetto a 50 anni or sono, ma non hanno migliorato la loro posizione in senso relativo».

Pur riconoscendo che in molti casi vi è la necessità immediata dell'erogazione di contributi economici (la cui competenza dovrebbe essere attribuita ai comuni e non alla Regione e agli ECA), tuttavia la generalizzazione di detti sus­sidi non elimina come è avvenuto in Inghilterra, i problemi di fondo (risolvibili solo con la crea­zione di adeguati servizi sanitari, abitativi, so­ciali ecc.). Anzi lo stanziamento di fondi per sussidi sottrae parte dei miliardi necessari per i servizi.

 

5. Proposta di legge del gruppo P.S.I. della Re­gione Veneto

La «mania» delle case di riposo delle Regioni Trentino Alto-Adige e Friuli-Venezia Giulia ha contagiato anche il gruppo del P.S.I. della Regione Veneta.

Infatti il progetto di legge n. 22 del 16 mag­gio 1973 a firma dei consiglieri Perulli, Pavoni, Donà, Morale e Pascon ha il titolo « Interventi per agevolare la costruzione, l'acquisto e la siste­mazione di case e di centri diurni di assistenza per anziani, nonché l'assistenza domiciliare a favore di persone anziane indigenti ».

La proposta suddetta è quasi letteralmente copiata dalla legge della Regione Friuli-Venezia Giulia e rimandiamo alle osservazioni del pun­to 4, lettere A e B.

È però molto grave che membri di uno stesso partito portino avanti a livello locale iniziative aventi una linea diametralmente opposta a quella assunta a livello nazionale. (V. la proposta di legge Signorile del P.S.I. riportata nel n. 23 di Prospettive assistenziali).

 

6. Proposte di legge presentate al Consiglio re­gionale piemontese

A. La giunta della Regione Piemonte ha pre­sentato in data 31 gennaio 1974 il disegno di legge «Interventi per la promozione dell'assi­stenza domiciliare agli anziani, agli inabili ed ai minori, nonché per il funzionamento di centri di incontro per gli anziani».

Premettiamo che il Piemonte è l'unica Regione che non abbia ancora emanato, per tutte le ma­terie, le norme per l'esercizio delle funzioni tra­sferite dai decreti delegati.

In tal modo la giunta regionale, a nostro avviso illecitamente, esercita anche poteri che compe­tono al consiglio regionale.

Inoltre la Regione Piemonte non ha delegato alcuna funzione agli enti locali, nonostante ciò sia sancito dalla costituzione (art. 118) e dallo statuto regionale.

Per quanto concerne il disegno di legge sull'assistenza agli anziani, riportiamo integral­mente le osservazioni presentate dal coordina­mento dei comitati di quartiere di Torino.

 

1. Il progetto di legge, redatto dall'assessorato all'assistenza della Regione Piemonte ed in di­scussione presso la IV Commissione del Consi­glio Regionale, assume un rilievo determinante per la definizione degli interventi sulla città di Torino che sono attualmente rivendicati dai co­mitati di quartiere.

In proposito la posizione dei comitati di quar­tiere - espressa nel documento del 20/2 e già implicita nella nota del 16/1 sul problema della zonizzazione della città - rifiutando ogni inter­vento di tipo settoriale o peggio ancora di cate­goria, è quella di ritenere inderogabile il princi­pio dell'intervento di carattere globale, che, se anche è da realizzarsi con un graduale program­ma di attuazione, deve essere nell'impostazione previsto per tutte le situazioni di bisogno. È su questa linea che deve essere trovata ed avviata la soluzione dei problemi particolari concernen­ti gli anziani. Coerentemente a tale orientamen­to non si possono non rilevare le gravi carenze di impostazione del progetto di legge regionale che propone sostanzialmente ancora un intervento di tipo settoriale e parziale, tra l'altro insufficiente­mente definito nei suoi contenuti operativi spe­cifici.

 

2. Nel merito dei contenuti si osserva:

a) Il progetto di legge, che pur vuol proporsi di avviare un nuovo sistema di operare nel cam­po della assistenza sociale, per una parte si cir­coscrive unicamente alle prestazioni di assisten­za domiciliare, senza però prevedere nessun in­tervento sanitario nell'ambito di queste attività.

Esso ribadisce di fatto la inaccettabile separa­zione fra assistenza sanitaria e assistenza so­ciale, misconoscendo l'esigenza inderogabile del­la unitarietà degli interventi che, sempre neces­saria ma assolutamente indispensabile a questo primo livello di attività, deve essere garantita già nella configurazione stessa delle strutture operative. Questa proposta quindi continua a ri­specchiare meccanicamente l'attuale frantuma­zione del sistema di interventi in materia sanita­ria e sociale e non si pone per nulla nella linea della realizzazione delle unità locali dei servizi.

Inoltre manca ogni indicazione di inquadramen­to generale circa il tipo e le modalità di inter­vento degli organismi operativi che devono svol­gere la prevista attività. Non si indica tra l'altro cosa si intenda per assistenza domiciliare né il livello minimo ammissibile di prestazioni, né le caratteristiche essenziali delle strutture di in­tervento.

b) La parte concernente i centri di incontro per anziani configura in effetti un sistema di servizi e strutture a se stanti che, se può migliorare certi aspetti particolari della condizione delle persone anziane, non contrasta ma anzi finisce col ribadire il processo di emarginazione socia­le di questi cittadini. Anche se il disposto di leg­ge ammette la connessione di questi centri con altri centri (sociali, culturali, ecc.) esso disatten­de profondamente all'esigenza di centri aperti a tutti i cittadini, occasione e strumento di socia­lizzazione integrale, in cui devono trovare collo­cazione adeguata le attività per e degli anziani. Nella costituzione e nella realizzazione dei cen­tri si deve avere particolare attenzione all'ur­genza dei problemi posti dalla popolazione an­ziana, ma queste strutture già nella impostazio­ne devono programmaticamente essere previste (e caratterizzarsi) come centri sociali per tutta la popolazione.

c) L'assistenza domiciliare viene prevista co­me alter-nativa al ricovero in istituto. Però nei modi con cui è espressa, l'affermazione risulta, oltre che inadeguata, velleitaria ed equivoca in quanto manca ogni accenno agli orientamenti ge­nerali e alla linea di azione che si intende segui­re rispetto al problema degli istituti di ricovero esistenti e in progetto e a quello della creazione di eventuali diverse strutture collettive che in sostituzione dei suddetti istituti possono e devo­no essere messe a disposizione nell'ambito re­sidenziale per quei cittadini non adeguatamente servibili dall'intervento domiciliare (comunità al­loggio, ecc.).

d) È inaccettabile la prevista possibilità di convenzione tra gli enti locali e gli enti pubblici o privati per la realizzazione e gestione di questi servizi assistenziali. Questa disposizione ripro­pone sotto nuova forma il superato ed ormai da tutti rifiutato, tradizionale sistema di erogazione dei servizi; mantiene la settorializzazione degli interventi contribuendo a mantenere separata l'assistenza domiciliare dalle altre prestazioni ed, evitando l'azione diretta e puntuale in prima persona degli enti locali, costituisce inoltre un grave ostacolo alla partecipazione e gestione dei servizi da parte dei cittadini.

e) La proposta di legge non fa alcun cenno al problema del personale, né tantomeno prevede la possibilità di impiegare il personale oggi im­pegnato nelle tradizionali e superate strutture, per inserirlo nelle nuove attività di servizio.

f) Per gli aspetti economico-finanziari, manca ogni indicazione sul come viene determinata l'en­tità degli impegni da iscrivere in bilancio ed inol­tre non si prevedono interventi per l'acquisizio­ne e l'approntamento di idonee strutture ricettive (sedi dei centri ecc.). Il ricorso all'affitto dei lo­cali può essere solo una soluzione provvisoria che non garantisce affatto l'adeguatezza delle do­tazioni e il consolidamento del sistema di ser­vizi.

g) La determinazione dell'entità dei contribu­ti è affidata unicamente alla competenza della giunta regionale mentre tale competenza date le caratteristiche del servizio e l'ampio margine di sperimentazione dell'iniziativa dovrebbe essere condivisa dal consiglio regionale.

 

3. Proposte

a) Per avviare effettivamente la realizzazione del principio dell'unità degli interventi, una or­ganica proposta di legge in materia deve essere formulata di concerto tra l'assessorato all'assi­stenza e quello alla sanità.

Essa deve prevedere i vari servizi necessari alla popolazione, comprendendo cioè: l'assisten­za domiciliare sanitaria e sociale, la creazione di piccole comunità per l'assistenza di tipo collet­tivo, l'assistenza ambulatoriale (ed ospedaliera) nei casi in cui la normativa vigente non assicuri questo intervento, la creazione di centri sociali di zona o di quartiere.

Inoltre essa dovrà farsi carico del reperimen­to e dell'assegnazione di alloggi dell'edilizia po­polare individuali e per piccole comunità (avva­lendosi della legge 865).

b) Questi servizi dovrebbero realmente poter­si inserire nelle costituende unità locali dei ser­vizi e pertanto è necessario già prevedere a tal fine la zonizzazione dell'intero territorio regio­nale. A tale proposito una proposta di ripartizio­ne territoriale è già stata redatta dalla Provincia di Torino per il territorio di sua competenza in rapporto al servizio psichiatrico. Tale proposta fornisce un primo modello da cui partire per con­figurare il sistema di unità locali su tutto l'ambi­to regionale.

c) La legge dovrebbe prevedere anche gli stru­menti per la formazione, riqualificazione ed ag­giornamento del personale, tenendo presente in particolare le necessità di inserimento degli ope­ratori che attualmente lavorano nei servizi di cui si richiede il superamento (istituti di ricovero, case albergo, ecc.).

 

B. Due consiglieri del M.S.I. hanno presentato al Consiglio regionale piemontese in data 15-1­1974 la proposta di legge «Recupero sociale dei minorati fisici e psichici».

Il principio informatore è che gli handicappati devono essere preselezionati e per essi, e solo per essi, devono essere istituiti dei servizi «spe­ciali».

Solo quando gli handicappati saranno «recu­perati» ad una «attività lavorativa competitiva», secondo quando previsto dall'art. 3, solo allora essi potranno essere reinseriti nel contesto sociale.

Va da sé che se non viene raggiunta la «atti­vità lavorativa competitiva» (come avviene quasi sempre per i minori rinchiusi in strutture emar­ginanti), gli handicappati resteranno isolati dalla società.

Riportiamo l'articolo 3 della proposta di legge solo per far notare come, purtroppo, i servizi previsti, tutti emarginanti, siano quelli richiesti in varie parti d'Italia sia da amministratori che si definiscono «avanzati», sia da quasi tutte le associazioni di invalidi: «Le sovvenzioni po­tranno essere concesse:

a) per l'istituzione ed il potenziamento di Cen­tri medico-sociali dotati di consultori prematri­moniali e di laboratori di genetica, ai fini della prevenzione delle minorazioni.

b) per l'istituzione ed il potenziamento di cen­tri medico-psicopedagogici-sociali in numero suf­ficiente a garantire un'azione capillare di pre­venzione, reperimento, diagnosi ed orientamento riabilitativo precoce a favore di tutti i minori affetti da turbe dello sviluppo fisico e psichico.

c) per l'istituzione ed il potenziamento di Isti­tuti specializzati a tipo residenziale autonomi o affiancati ad enti ospedalieri ove siano attuati precoci interventi di ordine sanitario riabilitativo ed educativo oltre all'istruzione scolastica pre­paratoria, elementare e speciale adeguata alle possibilità dei minori, nei casi di insufficienza mentale grave.

d) per centri ambulatoriali con trattamento a piena giornata con servizio di trasporto.

e) per scuole speciali per motulesi con an­nessa sezione di fisiochinesiterapia.

f) per nuclei ambulatoriali con trattamento a tempo ridotto con caratteristiche di unità peri­feriche presso enti ospedalieri e centri di pe­diatria.

g) per l'istituzione di servizi di assistenza me­dico-psico-pedagogica da attuarsi sia a livello domiciliare sia presso gli asili nido, le scuole materne ed elementari normali e differenziali per facilitarne la frequenza ai minorati fisici e agli insufficienti mentali di grado medio e lieve. Detta assistenza dovrà essere prevista anche per i minori costretti a prolungate degenze ospeda­liere.

h) per l'istituzione di centri specializzati di formazione professionale.

i) per l'istituzione di laboratori protetti per adulti, da riservarsi ai casi più gravi e non idonei ad attività lavorativa competitiva.

l) per l'istituzione di piccoli reparti ad inter­nato, articolati in "gruppi famiglia", da riservarsi ai soggetti in stato di abbandono, che usufrui­ranno pure delle istituzioni diurne predette».

 

7. Legge della Regione Abruzzo 18-7-1973 n. 27 «Assistenza estiva ed invernale all'infanzia, all'adolescenza e alla gioventù»

La legge suddetta mantiene tutti i poteri in materia alla Regione e non li delega ai Comuni. È infatti la Regione che eroga i contributi a «enti, istituti, comunità e associazioni» che organizzano campeggi, colonie estive, centri di assistenza invernale-primaverile (è stato dimen­ticato l'autunno!). Il carattere tradizionale di «colonia» è conservato interamente; infatti (ar­ticolo 2) la Regione autorizza l'apertura dei cen­tri previo accertamento «dei requisiti minimi nei settori igienico-sanitario, della funzionalità so­cio-assistenziale e di gestione». Nulla, assolu­tamente nulla, nei riguardi degli aspetti edu­cativi.

 

8. Legge 15-1-1974, n. 1 della Regione Liguria «Norme sull'assistenza agli anziani»

Ancora una volta si tratta di una legge che parte dall'inaccettabile principio che gli anziani costituiscono una categoria a sé. Inoltre la legge suddetta non va assolutamente nella direzione delle unità locali dei servizi sanitari e sociali.

Infatti i contributi per dotazione ed affitto al­loggi e per l'assistenza domiciliare sanitaria e sociale sono erogati a comuni, consorzi di co­muni, province e comunità montane.

Sono anche previsti contributi per l'installa­zione ed uso del telefono.

Unico aspetto positivo, e lo sottolineiamo, è quanto previsto dall'art. 2 che così si esprime: «La Regione promuove, nell'ambito delle pro­prie competenze e nel quadro dei programmi di edilizia pubblica residenziale, la costruzione di alloggi per anziani inseriti in edifici di normale abitazione e strutturati in modo idoneo alle loro particolari esigenze»: importante principio che però non viene concretizzato da norme di attuazione, né è previsto alcun finanziamento al ri­guardo.

 

9. Legge della Regione Lombardia 3 aprile 1974 n. 16 «Interventi per l'assistenza alle persone anziane»

Essa è la prova e l'esempio di quanto ampia sia la frattura fra affermazioni verbali e iniziative concrete.

L'assessore all'assistenza della Regione Lom­barda, Dott. Renzo Peruzzotti, nel convegno di Milano del 5-6 febbraio 1972 «L'ente locale e i servizi sociali» aveva preso una posizione molto avanzata rifiutando sia i servizi chiusi, sia quelli aperti ma riservati a «categorie», in quanto pro­prio per la loro natura essi sono emarginanti e spiegava: «Questo è appunto il caso delle per­sone anziane, che troppo spesso, o meglio quasi sempre sono costrette per ragioni economiche a scegliere la via della casa di riposo che altro non è se non una soluzione residenziale “coatta”. Viceversa riaffermiamo la nostra posizione cultu­rale e sociale negativa nei confronti dell'istituto, ed anche delle cosiddette “case albergo”; essa è invece diretta verso un soggiorno volontario e temporaneo in case che non siano solo per an­ziani, ma per tutti».

La posizione di Peruzzotti nei confronti dei servizi sociali veniva ulteriormente precisata in termini anch'essi molto avanzati per quanto con­cerne l'aspetto istituzionale. Al riguardo, sempre nel convegno citato, l'assessore all'assistenza della Regione Lombardia così proseguiva:

«Il secondo principio fondamentale della rifor­ma dei servizi sociali è quello che riguarda la ge­stione dei servizi stessi. Questi debbono essere gestiti in modo democratico e cioè dal comune o dai consorzi di comuni con la partecipazione del­le forze sociali, politiche e culturali e, in genera­le, delle collettività alle quali i servizi sono de­stinati.

La partecipazione alla gestione non implica so­lamente che i servizi abbiano una dimensione territoriale adatta alle esigenze che la comunità manifesta, ma anche che le direttive di program­mazione e d'intervento dei servizi stessi siano emanazione di quest'ultima: così si spiega l'inammissibilità della sopravvivenza degli enti na­zionali quali l'ONMI, l'ENAOLI, l'ONPI, l'AAI, la gioventù italiana e gli altri, che sono tipiche strutture verticali, la cui conduzione è centraliz­zata, e l'insostenibilità di strutture che, se pure operano a livello locale, come gli Enti comunali di assistenza, sono autarchicamente condotte, e cioè prendono direttive di azione che non pro­vengono dalla comunità di base.

Gli ECA, poi, sono strutture per la più parte non funzionanti, che per una minima parte svol­gono le tipiche azioni della beneficenza spiccio­la, e laddove funzionano (in genere nelle grandi città) fungono da centro autonomo, nel generale campo della politica assistenziale di una comuni­tà. La prospettiva della partecipazione delle for­ze sociali e culturali alla cosa pubblica è un pro­cesso che coinvolge tutti i campi dell'azione so­ciale.

Ma in quello dell'assistenza o meglio dei servi­zi sociali assume carattere di priorità perché il bisogno assistenziale è quello che si palesa con maggiore immediatezza, trae origini dagli squili­bri di una società consumistica ove il debole è sempre vinto e dai dislivelli di sviluppo e di cre­scita delle stesse collettività. La partecipazione alla gestione da parte della collettività permette poi il soddisfacimento di un altro principio su cui basare la riforma dei servizi sociali e cioè l'inte­grazione e la complementarietà dei vari interven­ti che oggi vengono attuati nel campo sociale. L'intervento assistenziale non può essere quindi disgiunto e subisce le modalità d'intervento del­la politica territoriale, dell'occupazione, della scuola e della sanità».

Dalle dichiarazioni suddette si poteva onesta­mente arguire che il problema dell'assistenza sarebbe stato risolto in modo adeguato e sol­lecitamente dalla Regione Lombardia, e poiché la Lombardia è una delle regioni trainanti, vi era addirittura chi si illudeva che partendo da que­sto esempio il problema dell'assistenza avrebbe avuto soluzione in tutto il nostro paese.

Ma chi aveva parlato a sinistra, aveva poi ope­rato a destra. Infatti nello scorso mese di aprile l'assessore Peruzzotti ha presentato la proposta di legge «Interventi per l'assistenza alle persone anziane» che abbiamo riportato a pag. 6 e segg. del 24 di Prospettive assistenziali insieme con le osservazioni critiche delle ACLI di Milano e della sezione lombarda dell'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e per la lot­ta contro l'emarginazione sociale.

Il testo di legge non si discosta molto, nella sostanza, da quello presentato dall'assessore all'assistenza e presenta i seguenti gravi limiti:

- separazione dei servizi sociali dai servizi sanitari. Da notare al riguardo che gli interventi di vigilanza igienico-sanitaria e per l'esercizio del­le attività di medicina preventiva e sociale sono disciplinati dalla legge della Regione Lombardia n. 37 del 5-12-1972 (6), legge che ha una impo­stazione notevolmente diversa da quella sull'assistenza agli anziani;

- separazione dei servizi per gli anziani da quelli per gli altri cittadini;

- nessuna collocazione dei servizi in un am­bito territoriale definito (unità locale dei servizi sanitari e sociali);

- rafforzamento delle IPAB, degli enti pub­blici e privati di assistenza e degli ECA. Questi ultimi sono proprio - non si stupisca il lettore - gli enti che l'assessore all'assi­stenza definiva «strutture per la più parte non funzionanti, che per una minima parte svolgono le tipiche azioni della beneficenza spicciola e che fungono da centro autonomo»;

- non è prevista nessuna possibilità reale di partecipazione.

Tanto per non far torto a qualcuno, si fa una politica diretta nei fatti al potenziamento di tutta la miriade di enti esistenti (oltre 40.000). Si creano quindi le condizioni non per una seria riforma generale dell'assistenza, ma per una con­troriforma che garantisce a tutti gli enti una qualche fetta d'intervento.

Si potrebbe obiettare che la legge prevede an­che l'assistenza domiciliare agli anziani e il ser­vizio alloggi.

Circa l'assistenza domiciliare, servizio certa­mente utile se comprende però anche l'assi­stenza sanitaria, vi è da osservare che, contra­riamente al principio sostenuto anche da Peruz­zotti nel convegno di Milano del 5-6 febbraio 1972, essa non è estesa a tutte le persone e ai nuclei familiari che ne hanno la necessità. Si pensi ad esempio agli handicappati o a una madre con figli che debba essere ricoverata in ospedale e il cui marito sia costretto, per mo­tivi economici, a non interrompere il lavoro. Inol­tre non va dimenticato che il servizio di assi­stenza domiciliare costa molto meno del rico­vero in istituto (da 1/4 a 1/10). Riteniamo per­tanto che lo sviluppo di detto servizio non sia determinato tanto dal riconoscimento delle esi­genze delle persone, quanto da ragioni mera­mente economiche.

L'impostazione della legge è pertanto arcaica, restando nella linea della categorizzazione e frammentazione degli interventi, della creazione di una pluralità di servizi per bisogni analoghi con conseguente e deleteria proliferazione di capi, sotto-capi e altri dirigenti e dell'aumento ingiustificato della spesa pubblica.

Il servizio alloggi consiste nell'assegnazione in uso o in affitto agli anziani di alloggi da parte dei Comuni, Consorzi, I.P.A.B., E.C.A. e altri enti pubblici e privati.

Ciò non è però assolutamente vero, tant'è che la legge lombarda prevede che il servizio sud­detto venga attuato «in via transitoria ed in attesa della realizzazione dei programmi di edi­lizia popolare e sociale di cui alla legge 22 -10­1971 n. 865».

Però l'enunciazione suddetta non trova alcuna concretizzazione e alcun finanziamento, per cui non è altro che un comodo alibi.

Infatti la regione ha competenza legislativa sul settore urbanistico e la legge 22-10-1971 n. 865 prevede all'art. 48 «la costruzione di case-albergo per studenti, lavoratori, lavoratori immigrati e persone anziane».

A detto scopo deve essere destinata una quota non superiore al 5% dei fondi messi a disposi­zione per la legge sulla casa. Ma la Regione Lombardia ha dato a «non superiore al 5%» l'in­terpretazione restrittiva di «corrispondente a zero».

Oltre che in senso non restrittivo sul piano finanziario, la disposizione dell'art. 48 deve però essere interpretata in modo non emarginante nel senso di non prevedere case diverse per le varie categorie di aventi diritto, ma case destinate ugualmente ed insieme a studenti, lavoratori, lavoratori immigrati e persone anziane.

Sarebbe necessario prevedere, sempre nelle case suddette, oltre che alloggi individuali per anziani anche micro-comunità di 8-10 posti.

È certo che vi sono delle situazioni in base alle quali l'anziano, per la sua non completa autosuf­ficienza o paura della solitudine non è più in grado di vivere nemmeno con un'adeguata assi­stenza domiciliare.

Queste situazioni sono oggi «risolte» con il ricovero in istituti che, per la loro stessa strut­tura, impediscono agli anziani di mantenere le loro abitudini acquisite, i rapporti con il vici­nato, con gli amici e molto spesso anche con i parenti. In questo caso il ricovero, proprio per la lontananza in cui è situato l'istituto rispetto al luogo di provenienza, assume le caratteristiche di una vera e propria «deportazione assisten­ziale».

A causa appunto delle caratteristiche di que­sti istituti (orari, regolamenti, alto numero di ricoverati) derivano al ricoverato traumi e forte decadimento fisico e psichico, come si rileva da questi dati raccolti dal Pequinot fra gli anziani istituzionalizzati:

l' 8% muore nei primi otto giorni del rico­vero;

il 28,7% complessivamente muore nel primo mese;

il 45% complessivamente muore nei primi sei mesi;

il 54,4% complessivamente muore nel primo anno;

il 65,4% complessivamente muore nei primi due anni.

Grave situazione a cui non si può sopperire con il miglioramento dei locali degli attuali isti­tuti e nemmeno con la trasformazione delle case di riposo in case-albergo.

Invece le comunità alloggio di 8-10 posti, inse­riti in modo sparso nelle comuni case del quar­tiere, possono essere la soluzione che rispetta tutte le esigenze degli anziani, i quali non siano più in grado di vivere da soli, ma ai quali deve essere conservata la propria vita sociale.

Ma di tutto ciò non vi è traccia nella legge della Regione Lombardia, che, come abbiamo visto, alle altisonanti dichiarazioni verbali con­tro l'emarginazione, fa seguire atti concreti che invece la rafforzano, interventi che non vanno alla causa e che nemmeno tendono a mettere un po' d'ordine nel caos istituzionale ed opera­tivo che da anni regna nel settore dell'assi­stenza.

Ricordiamo infine che l'elevato stanziamento annuo previsto dalla legge lombarda dimostra il lauto finanziamento (3 miliardi) reperito quando si tratta di iniziative emarginanti.

 

 

(1) Altre leggi regionali sono state riportate sul n. 21 di Prospettive assistenziali.

(2) L'art. 10 prevede: «A decorrere dal 1° gennaio 1973, la retta di ricovero è stabilita in misura non superiore a L. 2.000 giornaliere, aumentata a non oltre L. 4.000 per le persone gravemente minorate, ricoverate presso istituti specia­lizzati».

(3) Le province di Bolzano e di Trento, ai sensi della legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1, hanno anche compe­tenze legislative.

(4) Una legge simile è stata approvata dalla Provincia di Trento (Legge 19-8-1973 28) che prevede contributi in conto capitale nella misura del 45% della spesa riconosciuta ammissibile e nella misura non superiore al 5% per 20 anni per la parte di spesa ammessa non coperta dal contributo in conto capitale. Inoltre agli enti beneficiari dei contributi pre­cedenti (I.P.A.B., E.C.A., fondazioni, comuni e loro consorzi) viene concesso un ulteriore finanziamento nella misura «fino all'80% della spesa riconosciuta ammissibile per l'acquisto di attrezzature, apparecchiature o arredamenti destinati a case di riposo od a centri di assistenza o di soggiorno per anziani».

(5) Si noti la descrizione estremamente dettagliata, tale perciò da consentire il contributo per qualsiasi scopo.

(6) La legge 5-12-1972 37 è stata riportata sul 21 di Prospettive assistenziali.

 

 

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