Prospettive assistenziali, n. 26, aprile-giugno 1974

 

 

NOTIZIE

 

 

ALCUNE CRITICHE AL CONVEGNO «TECNOLO­GIE EDUCATIVE PER GLI HANDICAPPATI ED UGUAGLIANZA DI OPPORTUNITÀ»

 

Il tema del convegno che vuol offrire agli han­dicappati strumenti per sentirsi uguali e non diversi ha richiamato a Bologna molti parteci­panti attratti da interessi e motivi diversi. L'ar­gomento si prestava infatti a più interpretazioni­analisi tecniche per il possibile recupero degli handicappati; conoscenza di metodologie nuove per superare i vari handicaps; definizione di una linea politica sui servizi sanitari e sociali che tenga conto della partecipazione degli utenti.

Nelle due giornate organizzate dall'Ente auto­nomo per le fiere di Bologna erano previste cin­que relazioni più interventi programmati.

Dalle varie relazioni sono emersi diversi orien­tamenti senza però che i partecipanti potessero cogliere (dato che non c'era stata né voleva essere data ai vari studiosi, operatori, politici, utenti, l'opportunità di un confronto o di una analisi più approfondita) il filo che univa le varie proposte operative. Ogni argomento ed ogni esperienza, è apparsa slegata, limitata a ipotesi senza verifica, in una passerella di ultime novità più adatte a reclamizzare e vendere tecniche, piuttosto che a sviluppare la capacità e la fan­tasia di usarle in modo corretto. Prova ne è che impostazioni educative del tipo dell'istituto «Nostra famiglia» sono state confuse con il discorso pedagogico impostato da Andrea Canevaro, e che la linea dell'istituto ciechi non è parsa diversa da quella fornita dall'ENAIP.

Un convegno così fatto non chiarisce le idee, non aiuta a crescere, ma lascia il tempo che trova; magari dà lustro ad iniziative che andreb­bero cancellate e sostituite con altre più valide perché verificate. Convegni come questo diven­teranno più validi quando gruppi di operatori saranno disposti a muoversi dai loro studi per affrontare il crudo mondo esterno, e confron­teranno i loro strumenti di lavoro. Allora, pur nella diversa variazione di impostazione e nella scelta di valore che ciascuno può fare, oltre che con le tecniche del proprio lavoro si dovrà fare il conto con gli utenti, con i genitori, con i rap­presentanti del quartiere, con le organizzazioni sindacali.

La voce degli utenti non ha trovato in questo convegno, come già in altri, i canali per farsi sentire; si tratta perciò di trovare forme di par­tecipazione che permettano anche a loro di discutere le decisioni da prendere.

Per conto nostro una domanda ci viene spon­tanea: a servizio di chi sono queste tecnologie educative che ci vengono presentate come mo­derna metodologia? Per isolare o per inserire gli handicappati? È evidente che noi non rifiu­tiamo tecniche specifiche, ma un discorso poli­tico va fatto sul loro uso, affinché strutture tec­niche diventino anche strutture politiche cioè alternative all'attuale impostazione di separare cittadini in una logica che non crei nuovo spa­zio a nuove categorie di emarginati.

Così è accaduto per esempio per la legge 118 del 30-3-71 che sotto la spinta delle associa­zioni di invalidi, è stata modificata recentemente dal Parlamento.

Il risultato è che lo stanziamento annuo di 29 miliardi e 900 milioni per l'assistenza sanitaria è stato aumentato di altri 50 miliardi, nonostante che i fondi della legge 3-3-71 n. 118 non siano stati utilizzati per trattamenti ambulatoriali, ma per il pagamento di rette ad istituti a carattere di internato.

L'importo elevato della retta erogata dal Mi­nistero della sanità (L. 7.200 al giorno), molto redditizio per gli istituti di ricovero, li ha tra­sformati da un giorno all'altro, e spesso senza apportare modifiche di rilievo, in centri medico­sociali convenzionati con il Ministero. Ne è deri­vata la caccia agli handicappati (o anche ai nor­mali), dal momento che tale caccia risulta eco­nomicamente conveniente, e quindi una nuova crescita di istituzioni emarginanti, o diciamo «speciali».

Con la crescita di questi servizi speciali, riser­vati cioè a categorie specifiche, cresce la neces­sità di superspecializzare il personale, e anche, perché l'istituzione non riesce a rispondere in modo adeguato ai bisogni dell'utente, cresce la necessità di trovare nelle tecniche l'espediente per risolvere un problema che per molti aspetti è invece politico. L'esperienza dei servizi spe­cialistici evidenzia infatti tre aspetti:

1) la disponibilità del servizio normale, posto di fronte anche a piccole difficoltà, a trasferire l'utente o la soluzione del caso ai servizi spe­ciali (vedasi il rigonfiamento enorme avvenuto nelle scuole di classi differenziali e speciali sino ai 1969 e la loro ridimensione quando il problema è stato affrontato in termini politici) ;

2) i servizi specialistici riescono a coprire solo una parte dei bisogni e non a risolverli, operando in base ad una propria politica di ca­tegoria con conseguente disorientamento dell'utente;

3) la spesa dei servizi è estremamente ele­vata anche perché queste strutture sono rigide non convertibili e si tende a dotarle di un sem­pre maggior numero di personale di difficile reperimento e quindi di alto costo ed a fornirle di attrezzature costose (citiamo a Torino il caso del «Centro di osservazione di neuropsichiatria in età evolutiva» che ospitava in media 4-6 ra­gazzi mentre la capienza era di 50 posti e con personale non in grado di utilizzare le apparec­chiature esistenti).

Con la crescita di istituzioni speciali, malgrado la razionalizzazione delle «tecniche», non viene operato un recupero, ma aumenta l'emargina­zione degli handicappati. È pertanto necessaria una presa di coscienza da parte della cittadi­nanza e degli utenti sulla selettività dei servizi perché essi diventino aperti a tutti. In questa direzione devono muoversi Regioni ed Enti locali sperimentando servizi integrati.

La Regione toscana ha bocciato una proposta di legge del gruppo DC che prevedeva una serie di interventi per gli handicappati, mentre ha ap­provato la legge 3-8-73 che prevede interventi a favore dei comuni, loro consorzi, comunità mon­tane per attività di assistenza sanitaria e sociale nei settori della maternità, dell'infanzia e dei giovani in età evolutiva, in cui viene affermato che le prestazioni di assistenza sociale psico­pedagogica e di riabilitazione degli handicappati fisici, psichici e sensoriali sono finalizzati al su­peramento delle situazioni emarginanti ed a fa­vorire la loro partecipazione alla vita familiare, scolastica e sociale e produttiva. Questa legge va collegata alla precedente del 14-12-73 n. 64 che suddivide il territorio regionale in zone di intervento nei campi della salute e dell'assi­stenza sociale e definisce gli ambiti territoriali delle unità locali dei servizi sociali e sanitari, facendo un preciso riferimento alla zonizzazione intesa come uno dei presupposti della parteci­pazione.

IOLE MEO SOSSO

 

 

SCUOLE PER OPERATORI SOCIALI DI TORINO

 

Su iniziativa dell'Unione italiana per la pro­mozione dei diritti del minore e per la lotta contro l'emarginazione sociale, la Provincia di Torino istituiva nel 1968 la scuola di formazione per educatori specializzati (SFES).

Proseguendo nell'azione diretta a fare in mode che l'ente pubblico per i servizi di secondo li­vello, individuato nella provincia, assumesse anche la formazione dei terapisti della riabili­tazione, si è ottenuto l'istituzione presso la SFES di un corso triennale, che è iniziato nel novembre 1973. Il primo anno è comune per gli educatori e per i terapisti della riabilitazione.

A seguito della chiusura della scuola per as­sistenti sociali da parte dell'ONARMO di Torino, gli allievi, il personale ed i sindacati hanno ri­chiesto alla Provincia di Torino di assicurare la continuazione della scuola. La vertenza, iniziatasi nel novembre 1973, si è conclusa nel mese di febbraio 1974 con l'inizio dei corsi gestiti dalla Provincia di Torino, anche se sotto il profilo formale l'ente gestore è l'Unione regionale delle province piemontesi.

Lo sforzo dell'Unione consiste ora nell'otte­nere che la Provincia di Torino, tramite la SFES, unifichi la formazione degli assistenti sociali, degli educatori e dei terapisti della riabilitazione e dia anche inizio ad iniziative di formazione permanente per il personale in servizio.

Nello stesso tempo si sta operando affinché il Comune di Torino (o un consorzio di comuni della cintura) istituisca un centro di formazione professionale per operatori dei servizi sociali, sanitari ed educativi di primo livello (personale per asili nido e scuole materne, infermieri gene­rici e professionali, collaboratrici familiari e altro personale addetto ai servizi base).

Nello stesso tempo l'Unione sta cercando di portare avanti un'azione contro la proliferazione delle scuole per assistenti sociali. Infatti nel 1973 sono sorte tre scuole (CIF a Cuneo, IAL­CISL a Casale Monferrato, Associazione maestri cattolici a Biella), che si affiancano alle due esi­stenti a Torino (UNSAS, URPP).

Le cinque scuole diplomano ogni anno in to­tale circa 100 assistenti sociali, mentre il fab­bisogno regionale non supera i 20-30.

 

 

CONVEGNI AIAS

 

Si sono conclusi il 3-3-1974 i due Convegni nazionali «sui servizi di riabilitazione per han­dicappati» e «sulla pubblicizzazione dei servizi per handicappati» organizzati dall'Associazione italiana per l'assistenza agli spastici.

Tre giornate di ampi e spesso accesi dibattiti ai quali hanno partecipato alcune centinaia di medici, pedagogisti, tecnici, genitori, insegnanti, sindacalisti, assistenti sociali e fisioterapisti.

Al termine dei lavori vi è stato pieno accordo su un punto e cioè che la riabilitazione degli handicappati, intesa come impegno a rimuovere tutti gli ostacoli che ne impediscono l'inseri­mento nella società, è compito della società stessa nel suo complesso e non già di una cer­chia ristretta di diretti interessati (genitori, fa­miliari, medici, terapisti, educatori, ecc.).

Uno dei documenti conclusivi ha poi fatto de­rivare da questa affermazione il fatto che i geni­tori degli handicappati respingono di gestire l'isolamento dei propri figli attraverso le «strut­ture speciali» distaccate dal contesto sociale ed ha indicato come via da scegliere quella della lotta per l'inserimento degli handicappati facen­done carico a tutta la comunità e cioè alle forze sociali che la compongono (sindacati, enti lo­cali, ecc.).

Lo stesso documento indica quindi la scelta conseguenziale a quanto sopra detto, e cioè servizi pubblici decentrati all'interno delle nor­mali strutture sociali (famiglia, scuola, adde­stramento professionale, ecc.). Da tutto ciò consegue l'urgenza delle riforme alle quali è legata la ristrutturazione democratica dei ser­vizi sociali. Ma, in attesa delle riforme, non ci si può porre in posizione di aspettativa: la pre­senza degli handicappati nelle istituzioni normali va realizzata a partire dalle attuali strutture, an­che perché, dove ciò è già stato sperimentato, l'inserimento del minorato ha facilitato e accele­rato il processo di maturazione e di apertura delle strutture stesse.

Nelle tre giornate del convegno si è discusso anche del problema a livello regionale e gli enti regionali sono stati invitati ad emanare leggi regionali in attesa delle riforme generali (come già fatto nell'Umbria, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto) che in particolare diano inizio ai ser­vizi a livello di base, di quartiere.

Un altro documento, dopo aver accettato e incluso tutte le indicazioni di principio dell'altro, ha richiesto che, fino all'attuazione di nuovi e funzionali servizi, siano mantenute in piena effi­cenza le strutture realizzate fino ad oggi e sia dato l'avvio alla risoluzione dei problemi dei gravi e dell'addestramento al lavoro dei ragazzi e degli adulti handicappati.

Un ultimo aspetto del dibattito è stato quello del superamento dell'assistenza categoriale e della lotta contro la settorializzazione delle atti­vità di assistenza riabilitative. Sono note infatti le gravi differenziazioni degli interventi sanitari, economici, educativi per i minorati per i quali a ciascun rischio (guerra, incidenti sul lavoro) e a ciascun tipo di handicap (ciechi, sordomuti, spastici, poliomielitici ecc.) corrisponde una se­parata amministrazione dei servizi. Tutto ciò con­tribuisce ad approfondire il concetto di «diversità» dell'handicappato e ne rende estremamente difficoltoso il rapporto con la collettività.

Il convegno si è concluso con un impegno co­mune: la conquista di una società migliore, in cui tutti, anche i «diversi» possano esprimersi e realizzarsi.

 

 

FEDERAZIONE REGIONALE PER I PROBLEMI DE­GLI HANDICAPPATI

 

Si è costituita nei mesi scorsi la Federazione regionale per i problemi dei cittadini handicappati ed emarginati dell'Emilia-Romagna.

Hanno aderito alla federazione il Comitato bo­lognese formazione professionale giovani lavo­ratori, la Casa Santa Chiara e le sezioni regio­nali delle seguenti associazioni: Associazione italiana assistenza agli spastici, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, Asso­ciazione nazionale famiglie di fanciulli subnor­mali, Associazione nazionale fra invalidi per esiti di poliomielite e altri invalidi civili, Unione Ita­liana per la promozione dei diritti del minore e per la lotta contro l'emarginazione sociale.

La federazione ha diffuso alcuni documenti che costituiscono il primo approccio alle emergenti difficoltà dei cittadini handicappati e alle neces­sità delle riforme dei servizi sociali.

I documenti possono essere richiesti alla fe­derazione che ha sede a Bologna presso l'ANIEP, Via dei Coltelli 7/D.

 

www.fondazionepromozionesociale.it