Prospettive assistenziali, n. 26, aprile-giugno
1974
EDITORIALE
RUOLO
POLITICO E TECNICO DEGLI OPERATORI SOCIALI
Coloro
che operano nei sindacati, nei comitati di quartiere (specialmente se non
istituzionalizzati), nelle associazioni e gruppi di base constatano l'assenza
quasi totale di partecipazione degli operatori sociali, siano essi medici
generici o specialisti, psicologi, assistenti sociali, educatori, ecc.
Anzi,
molto spesso, gli operatori sociali costituiscono associazioni o sindacati di
categoria che oggettivamente, anche al di là delle
intenzioni di alcuni aderenti, si pongono contro i movimenti di base e contro
le riforme.
Tutti
conoscono la posizione dell'ordine dei medici, tenacemente contraria
all'istituzione del servizio sanitario nazionale e strenuo difensore di
privilegi sfacciati.
Collegio nazionale
degli assistenti sociali
In
questa linea si pone l'iniziativa assunta dalla scuola di servizio sociale di Urbino per la istituzione del collegio nazionale degli
assistenti sociali, che ha il preciso scopo di tutelare in moda corporativo
gli interessi della categoria.
Non
si nega certo l'esistenza di una molteplicità di problemi legati all'ambiguità
del ruolo dell'assistente sociale. Ma, come
giustamente osserva un gruppo di assistenti sociali di
Trieste (1), «l'ambiguità nasce e si manifesta nel
momento in cui si tenta di rifiutare il nostro ruolo come copertura di quelle
contraddizioni che sono all'origine della devianza e la nostra azione viene
privata, da chi ha più potere, della autonomia necessaria per evidenziare e
superare tali contraddizioni. Una risposta a questi problemi, come quella di
formare un collegio, rientra nella stessa logica di potere dalla quale si
subisce la castrazione perché accetta la divisione sociale del lavoro e
facilita una ulteriore parcellizzazione che compromette
qualunque alleanza con la base; quindi si reagisce ad un tatto oppressivo
cercando di collocarsi nella stessa posizione di coloro che opprimono».
È
pur vero che, fino a questo momento, la costituzione del collegio nazionale è
stata bloccata da alcuni assistenti sociali, rimane tuttavia il fatto che
l'iniziativa è partita, è stata ed è appoggiata da altri assistenti sociali.
Albo professionale e
ordine degli psicologi
I
deputati D.C. Galli, Zaccagnini, Bersani,
Girardin, Cassanmagnago, Erminero e Marzotto hanno
presentato il 20-7-1973 alla Camera la proposta di legge
n. 2283 «Istituzione dell'Albo professionale degli psicologi italiani». Nella
relazione sono chiaramente indicati gli scopi corporativi e di potere della costituzione dell'ordine (2):
In
essa infatti è scritto che la costituzione dell'ordine «è condizione essenziale per la
formazione di una valida immagine della professione dello psicologo. Si è
convinti infatti, che una positiva immagine della
professione, sulla quale si basi la più ampia accettazione ed estimazione pubblica, una immagine ed una estimazione che meritano una impegnata e profonda azione di
affermazione e di tenace difesa (più ancora all'interno che all'esterno della
categoria), costituisce la base di una efficace tutela professionale che vuole
essere soprattutto di natura sociale, ancor prima che di natura legale».
I tecnici e le
organizzazioni di base
Anche se i due tentativi
sopra citati sono dei casi estremi, rifiutati proprio da una parte dei diretti
interessati, tuttavia essi dimostrano il tentativo di una presa di potere o
almeno di privilegio.
È
chiaro infatti che se, come dicevamo all'inizio, pochi
sono i tecnici che operano sia nei sindacati, che nelle organizzazioni di base,
che nei partiti del movimento operaio, la maggior parte dei tecnici non svolge
una attività politica per ottenere servizi alternativi.
Da
un lato la stragrande maggioranza degli operatori sociali, provenendo e
appartenendo alla piccola e ancor più alla media borghesia, sono «naturalmente»
portati a difendere i privilegi della propria classe; dall'altro lato questi
stessi operatori sociali, proprio per il fatto di essere in grado di utilizzare
alcune tecniche, ritengono spesso che i problemi si possano risolvere mediante
le tecniche stesse.
Dunque,
non solo per la loro collocazione di classe, ma anche
per il fatto, non trascurabile, di constatare ogni giorno che, se fosse loro
concesso di agire in base alle proprie conoscenze e capacità, le cose
certamente migliorerebbero, sono portati ad accusare politici e burocrati di
incapacità ed a chiedere la loro sostituzione con tecnici. Non si mette certo
in dubbio che una migliore e più efficiente utilizzazione degli spazi
consentiti apporterebbe risultati positivi. Tuttavia, a meno che si vaglia soltanto razionalizzare l'esistente,
dato il poco spazio consentito, è necessaria un'azione politica per ottenere
servizi sempre più a misura dell'uomo e sempre meno strumenti di emarginazione.
Come
tutti i cittadini, anche gli operatori sociali, anzi tanto più essi poiché lavorano nel vivo dell'emarginazione, devono
fare una corretta analisi politica e non stiamo a ripetere ciò che più volte
abbiamo scritto sul significato vero dell'assistenza.
Gli emarginati
Ma l'analisi deve anche riguardare le
reali possibilità operative e di lotta per modificare l'attuale situazione.
Gli assistiti, a causa dell'impostazione classista e perciò selettiva
dell'attuale società, si trovano in una situazione di assoluta
o grave mancanza dei mezzi necessari per vivere, con tutto quel che ne deriva:
carenza dell'alimentazione, abitazione insufficiente o sovraffollata,
analfabetismo, ecc. Privati spesso fin dall'infanzia di ogni positiva
esperienza, gli emarginati non hanno alcuna speranza e alcun futuro, vivacchiano
giorno per giorno, ora per ora, assillati come sono dalla mancanza di
prospettive, dall'incertezza continua, dall'assenza di gratificazioni, dall'angoscia
di procurarsi i mezzi più elementari per la sopravvivenza. Posti quindi nella condizione di ricercare soluzioni individuali, e
non essendo oggettivamente in grado di unirsi e di costituire una forza
politica, finiscono di diventare una massa di manovra facilmente
strumentabile. Né il loro numero è in diminuzione: malgrado
l'elevazione delle condizioni di vita, la generalizzazione dell'obbligo
scolastico, lo sviluppo dei servizi esistenti, non si è arrivati né alla
riduzione né alla eliminazione della «sacca». Il loro numero invece è in
aumento: basti pensare agli anziani e ai livelli delle pensioni di vecchiaia, di invalidità e sociali.
Poiché
la stragrande maggioranza degli emarginati proviene dal proletariato e stante
che la classe dominante non può che utilizzare l'assistenza ai suoi fini,
l'unica alternativa possibile è che le organizzazioni
del movimento operaio si facciano carico dei problemi del sottoproletariato.
Azione politica e
tecnica degli operatori sociali
Di
qui la necessità che í tecnici, che vogliono veramente cambiare le cose, entrino a far parte delle organizzazioni politiche,
sindacali e sociali che si riconoscono nel movimento operaio. Com'è stato rilevato
nel convegno «Giovani» della Pro Civitate Christiana
del 27-31 dicembre 1973 (3), il collegamento con le forze politiche e
sindacali che agiscono per una reale e generale alternativa
all'attuale sistema sociale «richiede anche un'azione rivolta ad ottenere
che tali forze assumano la lotta contro l'emarginazione come momento qualificante
della loro azione politica».
Il
tecnico, come tutti i cittadini, non può limitarsi all'analisi politica, ma
deve utilizzarla per azioni concrete.
L'azione politica svolta a livello individuale e in
modo isolato serve a poco, al massimo ad occupare in modo diverso gli spazi
consentiti. Molto più spesso essa diventa
negativa sia che venga battuta dalla reazione dell'amministrazione,
sia che venga recuperata dal sistema: i colleghi di lavoro e le altre persone o
gruppi a conoscenza dell'azione «eroica» saranno portati a trarne indicazioni
negative e più spesso a reagire in modo qualunquistico.
Lavorare
in gruppo quindi non è solo necessario per evitare di essere colpiti o cacciati
dal posto di lavoro, ma proprio per poter andare avanti sul serio; si tratta cioè di operare essendo inseriti in un sempre più ampio schieramento
di forze in modo che le conquiste, anche parziali, aprano sempre maggiori spazi
di azione.
Il
gruppo consente anche una impostazione tecnica che
parta dalle esigenze personali, familiari e sociali. Si veda l'impostazione
alternativa dei gruppi omogenei delle fabbriche per quanto concerne la medicina
del lavoro.
Sul
piano tecnico seguire questa nuova impostazione significa collegare il più
possibile, tenendo conto delle effettive possibilità, il momento politico con
quello tecnico.
Significa
riesaminare le stesse tecniche che si utilizzano per accertare che non siano
uno strumento di emarginazione; significa, quando
necessario, inventare nuove tecniche; significa vivere realmente e giorno per
giorno l'angosciosa contraddizione fra l'essere e il dover essere.
Certo
è che la fuga tecnocratica è molto più facile sul piano della carriera, dello stipendio, del quieto vivere.
Ma anche gli operatori sociali, come
tutti i cittadini, nei quotidiani atti concreti svelano chiaramente da che
parte stanno: se vogliono veramente cambiare le cose o se, invece, operano per
semplici miglioramenti efficientisti o, infine, se
vogliono che tutto resti così com'è.
(1) Ciclostilato del
30-10-1973.
(2) L'art. 4 della
proposta di legge prevede «Gli iscritti all'albo costituiscono l'ordine nazionale degli psicologi italiani».
L'oggetto della
professione di psicologo è definita dall'art. 7 come
«l'insieme dei servizi offerti, in uno o più settori di applicazione della
psicologia (psicodiagnostica, psicoterapia, ecc.) ad individui o ad organismi
sociali (scuole, ospedali, aziende industriali, commerciali, agricole,
istituti penali e di rieducazione, ed altri enti pubblici e privati) attraverso
la comprensione su basi scientifiche e specialistiche del comportamento umano,
individuale, o interindividuale, e dei suoi processi infra
o interindividuali».
(3) V. Prospettive
assistenziali, n. 25, pag. 47 e 64.
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