Prospettive assistenziali, n. 26, aprile-giugno
1974
ATTUALITÀ
SENTENZA
SULL'OBBLIGO SCOLASTICO DEGLI HANDICAPPATI
Riportiamo
la sentenza della causa penale contro la preside V. A., imputata nella sua
qualità di preside della scuola media statale L. di
Venezia di non aver accettato le iscrizioni di due ragazzi De R. N. e F. I., impedendone l'ammissione a scuola (1).
Ci
uniamo all'A.I.A.S. di Venezia che, nella persona del
suo presidente, ha voluto con la pubblicazione della sentenza ribadire essere stata «l'assoluzione (della preside) un atto
di ingiustizia sociale». Ingiustizia sociale che lascia anche noi sdegnati per
i protagonisti: due ragazzi esclusi perché
handicappati e la preside V. assolta pur avendo mancato nel suo dovere di
osservare la legge, oltre che nel suo compito di docente della scuola dell'obbligo.
Qui
non preme ripetere il discorso già molte volte fatto, anche in questa sede, di
una scuola che non è neppure arrivata alla dignità della scuola moderna giacché il criterio selezionatore è la clientela, la
parentela, la raccomandazione, una scuola che proprio con questo caso denuncia
una situazione di estrema arretratezza e la sua tendenza innata alla conservazione,
quanto di precisare il ripetersi di una selezione di alcuni a danno di altri.
Questa
preside, che scopre la faccia discriminante dell'emarginazione, fa parte di
quella società «integra» che ha costantemente applicato prassi discriminanti
contro i deboli, i minorati, contro i «diversi».
«Sulla scorta di voci percepite al proposito»... «perché
proviene da una scuola di minorati», così si difende l'imputata per aver
allontanato i due alunni. Non c'è in lei preoccupazione se
essi vengono abbandonati a loro stessi o emarginati in
istituti segregativi.
Non
vogliamo quindi sottolineare tanto l'ingiustizia per
cui il colpevole non viene condannato (anche se poi non ci dovremo stupire se
la fiducia nel ricorso alla legge tende a diminuire), quanto l'aspetto globale
del problema. Ci preme infatti rilevare come in
questa sentenza il giudicante, dal dettato della norma dell'art. 28 della legge
30-3-71 n° 118, che dice: «l'istruzione dell'obbligo deve
avvenire nelle classi normali della scuola pubblica salvi i casi in cui i
soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni
fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso
l'apprendimento o l'inserimento nelle predette scuole», ritiene di dover dedurre (in totale contrasto con quanto ritenuto dalla
preside) che «il legislatore abbia voluto affermare il principio di profonda
validità etico-sociale, che mutilati e invalidi
civili devono essere inseriti nelle normali classi della scuola dell'obbligo,
tranne nei casi di abnormi infermità».
Notiamo
ancora che sempre da parte del «giudicante» ci si chiede se spetti al capo di istituto valutare se la infermità abbia le
caratteristiche escludenti sopra menzionate. La risposta è negativa: «né
ovviamente
Se
ne deduce che, anche là dove le leggi ci sono, la minoranza handicappata viene spodestata dai suoi diritti, in quanto l'accesso ai
processi educativi le resta impossibile o perlomeno fortemente limitato. Si tratterrà cioè, ancora una volta, di un problema di
volontà politica. Se avremo questa volontà gli impulsi di avversione
od intolleranza (come nel caso della preside di Venezia) si trasformeranno non
già in manifestazioni di pietismo (come in certa stampa), ma in una scelta
civile che risolva i problemi dell'assistenza all'handicappato, al suo
recupero e alla sua socializzazione.
Sentenza
nella causa penale
contro V. A. in P. n. Taranto 15-4-1916 - domiciliata
presso avv. Stochino, libera contumace.
Imputata
del reato di cui all'art. 81 cpv..
Venezia fine settembre - inizio ottobre 1972
*
* *
Con atto depositato in data 18-11-
Si procedeva quindi a sommaria
istruzione, a seguito della quale si elevava a carico della V. la imputazione indicata in epigrafe, non avendo ritenuto
questo Giudice di promuovere l'azione penale anche in ordine ad un altro
episodio denunziato (relativo al minore P.) per l'assoluta carenza di elementi
da porre a sostegno dell'accusa. L'imputata respingeva decisamente
l'addebito proclamandosi innocente. Chiusa la fase istruttoria
Si procedeva quindi alla escussione di numerosissimi testi e, dichiarato chiuso
il dibattimento, le parti civili, il P.M. e la difesa concludevano come in
atti.
La linea difensiva della V. è
articolata su vari punti e si può riassumere per sommi capi come segue: Il F. apparve all'imputata, in base all'appunto «proviene da
una scuola per minorati» e sulla scorta di «voci» percepite al proposito, quale
un caso disperato al quale - tenuto conto che il ragazza
aveva già quasi 16 anni - doveva applicarsi il disposto dell'art. 5 R.D.
4-5-1925 n. 653 che conferisce al capo dell'Istituto la facoltà di allontanare
gli alunni «affetti da malattie contagiose ripugnanti». Per
quanto riguarda il De R., giusta l'annotazione «spastico non può
scrivere» e considerato che il predetto, pur avendo già 18 anni, si iscriveva
alla terza media,
Le considerazioni della V. sia in mero punto di fatto che sotto il profilo giuridico
della applicabilità di determinata normativa alla fattispecie, non appaiono
meritevoli di pregio.
Infatti va osservato che al momento della
decisione presa il 30-9-1972 la preside non aveva mai visto i due ragazzi, né
ritenne di doverlo fare: peraltro se si fosse attivata in tale senso si sarebbe
astenuta, molto probabilmente, da un provvedimento così restrittivo e, come più
avanti precisato, sbagliato. Si sarebbe accorta, infatti, che la infermità dei due giovani, lungi dal costituire un
motivo di ripulsa, non aveva minimamente intaccato le loro facoltà
intellettuali e di comunicativa, rendendoli perfettamente idonei alla vita di
relazione. Infatti il De R., ragazzo di bell'aspetto, aveva sempre superato brillantemente ogni
prova scolastica raccogliendo plauso e ammirazione da parte degli insegnanti e
dei compagni di scuola; inoltre la sua infermità che lo costringeva sulla
carrozzella, non gli aveva impedito di servirsi degli arti superiori, sia pure
con l'ausilio di una macchina da scrivere, per superare la difficoltà nella
scrittura. Comunque il De R. era un giovane
autosufficiente alle cui particolari necessità si poteva ovviare con estrema
facilità. Quanto al F., più crudelmente colpito dall'atroce morbo (lo
sventurato è deceduto pochi mesi dopo i fatti di cui trattasi) si deve
precisare con fermezza che le asserite «voci» d'una sua «ripugnant
» infermità erano totalmente destituite di ogni fondamento: infatti il
ragazzo, sia pure alquanto grasso, non era certo deforme, non aveva spasmi
impressionanti, non sbavava, non aveva la lingua penzoloni, non aveva cioè,
alcuno di quei sintomi che
Quindi si deve subito concludere, che per quanto attiene a quest'ultimo infelice
ragazzo la reiezione della domanda fu illegittima, infondata, e, comunque, non
giustificabile. Ma lo stesso può affermarsi anche per
il De R. Invero
Ritiene il giudicante, per contro,
che dal dettato della suindicata norma si debba dedurre, in totale contrasto con quanto ritenuto dalla
V., che il legislatore abbia voluto affermare il principio, di profonda
validità etico-sociale, che mutilati e invalidi
civili devono essere inseriti nelle normali classi della scuola dell'obbligo,
tranne che nei casi di abnormi infermità. Principio che, d'altra
parte, già il legislatore di mezzo secolo fa aveva affermato proprio con il
R.D. 4-5-1925 n. 653, prima invocato dalla V., all'art. 102.
A monte di questi problemi, peraltro, ve ne
è uno ben più importante, e, comunque, pregiudiziale. Ci si deve chiedere infatti, se spetti al capo di istituto valutare se la
infermità abbia le caratteristiche escludenti sopramenzionate: la risposta non
può che essere negativa. Tali accertamenti e le conseguenti valutazioni non
possono che essere di competenza dei servizi di medicina scolastica istituiti
dal D.P.R. 11-21961 n. 264 e dal successivo regolamento D.P.R. 22-12-1967 n.
1518: da tale disciplina legislativa si evidenzia come i controlli e
l'assistenza del medico scolastico si esplichino sugli
scolari, cioè sui minori iscritti! Il che, d'altra parte, appare
pienamente logico. Ogni ragazzo ha il diritto (oggi anche l'obbligo) di
scriversi a scuola e nessuno può precludergli ciò se non nei casi di macroscopica ripugnanza o in quelli in cui si evidenzia la
necessità di evitare pericolo di contagio o simili gravi conseguenze. Solo in
tali casi il capo d'istituto deve o può intervenire (a seconda dei casi), ma
in tutti gli altri egli dovrà accogliere le iscrizioni e segnalare, se necessario,
i singoli alunni al medico scolastico per le decisioni da prendere. È quindi
preclusa al preside ogni indagine di carattere sanitario da effettuarsi
dopo l'iscrizione ed, a maggior ragione, prima della stessa. Per cui appare
del tutto inammissibile la «sospensione» dell'iscrizione del De R. in attesa di indagini sanitarie poste come condizione per
l'accettazione! Né, ovviamente,
V'è ora da esaminare l'ulteriore assunto difensivo proposto dalla imputata
relativo all'asserita tardività delle domande dei due
ragazzi: tale tesi è infondata.
Comunque anche i suindicati
termini non possono avere che mero carattere ordinatorio e non certo
perentorio: in caso contrario si verificherebbe che un ragazzo che fosse
iscritto alla scuola dell'obbligo dopo i termini, magari a causa di
contrattempo o per forza maggiore, non potrebbe beneficiare del diritto
all'istruzione garantito dalla Costituzione e realizzato con la legge del '62
e nel contempo i suoi genitori violerebbero un obbligo sanzionato penalmente.
Che ciò sia vero lo si ricava con assoluta certezza
anche dalla deposizione del dr. L., funzionario del Provveditorato agli Studi,
secondo il quale mai si verificò in tutte le scuole della provincia di Venezia
una reiezione di domande di iscrizione per decorrenza dei termini.
Se tutto quanto sopra esposto
risponde al vero ne consegue anche l'infondatezza della ulteriore
tesi proposta, sia pure in via subordinata, dalla difesa dell'imputata, rivolta
a dimostrare come l'accettazione della iscrizione da parte di un capo di
istituto nei casi come quelli di specie costituisce un atto amministrativo
discrezionale.
Infatti non si può parlare di
discrezionalità proprio perché, per quanto già ricordato, per i casi in esame
non è applicabile la normativa dell'articolo 5 R.D. 4-4-25 n. 653 (relativa ai
casi di malattie ripugnanti e contagiose), né quella dell'art. 28 II° co. L.
30-3-71 n. 118 (relativa alle deficienze intellettive o alle menomazioni
fisiche di abnorme gravità e comunque impedenti), né,
infine, quella dell'art.
Ciò appare inequivocabilmente
comprovato anche dall'esame dell'art. 5 R.D. 4-5-25 n. 653 relativo ai casi di alunni affetti da malattie contagiose e ripugnanti
laddove è prescritto che il «preside deve allontanare... gli alunni»; dal che si
deduce che al preside non è concesso di precludere l'iscrizione a quegli
sventurati, ma solo di non consentirne la frequenza scolastica, naturalmente
dopo l'intervento del medico scolastico siccome sopra già ricordato. Tutto ciò
premesso, si deve concludere che è stato provato che
l'imputata, rifiutando le iscrizioni del De R. e del F., ha pienamente
realizzato, sotto il profilo materiale, il reato di omissione di atti di
ufficio.
Tale certezza, invece, non può
prospettarsi per quanto attiene la sussistenza dell'elemento psicologico
qualificante la fattispecie delittuosa in esame.
Giova, infatti, osservare come dopo
lungo travaglio giurisprudenziale
Ciò detto, si deve convenire che da
tutto il comportamento della V. come sopra descritto si può trarre il
convincimento della sua ferma volontà di agire
«indebitamente». Si pensi, infatti, che la predetta decise
i provvedimenti de quibus senza nemmeno preoccuparsi
di vedere di persona i due sventurati ragazzi ma basandosi sulle annotazioni
delle domande di iscrizione.
È pur vero che l'indagine in ordine alla sussistenza del dolo deve effettuarsi per il
momento in cui si consumò il reato (che nel caso in esame si identifica col
rifiuto di accettare le domande) , pur tuttavia per la esatta identificazione
dell'elemento psicologico non si può omettere l'esame del comportamento
dell'imputata prima e dopo la consumazione del reato. Pertanto, al fine di
sostenere la dolosa volontà della V., appare indispensabile ricordare come la
stessa rimase sorda a tutte le disperate e pressanti richieste dell'AIAS perché
riesaminasse la sua decisione a carico del De R., né ritenne di dar valore alle
numerose spiegazioni - anche di mero carattere giuridico - che all'uopo le
vennero fornite. Ancora giova ricordare come
Da tutto ciò si evidenzia un
comportamento autoritario e antidemocratico che
Ma a tutte queste considerazioni se ne possono opporre delle altre, parimenti valide, a favore
dell'imputata.
Invero non si può ignorare che le
domande vennero sottoposte all'esame della V. solo il
30-9-72, cioè un giorno prima dell'inizio delle lezioni (né v'è prova
contraria). Ciò, indubbiamente, ha reso più difficile per la prevenuta il dover decidere con rapidità onde evitare inconvenienti
non più rimediabili dopo sole 24 ore; d'altra parte non si può dimenticare che
le domande di iscrizione dei due ragazzi portavano le annotazioni «spastico non
può scrivere» e «proviene da una scuola per minorati», annotazioni che, sia
pure generiche, rivelano pur sempre delle situazioni obiettivamente
patologiche che
D'altra parte la deposizione della
De C. e le affermazioni della V. sono state confermate dalla dr.ssa P. del servizio medico del Comune di Venezia.
La teste ha
infatti ricordato che verso il 15-10-1972 il medico scolastico dr. A.
le telefonò dall'ufficio della V. dicendo d'esser stato incaricato di esaminare
la posizione del De R. ma di trovarsi in difficoltà.
A tal fine la dr.ssa P. assunse informazione nella
scuola frequentata dal ragazzo l'anno precedente riferendone poi alla preside.
Tutto ciò evidenzia un indubbio interessamento della imputata
che contrasta con l'accusa mossale di voler deliberatamente sbarazzarsi dei due
ragazzi spastici con una scusa (infondata) qualsiasi.
D'altra parte è necessario ricordare
a tal proposito che
Tutto quanto ora
esposto a favore della prevenuta non è certo sufficiente a legittimare
il comportamento, come già in precedenza si è dimostrato, ma tuttavia non
consente al giudicante di escludere che la stessa abbia agito in buona fede.
«In tema di reato di omissione o rifiuto di atti di
ufficio, il dolo può ritenersi escluso se il rifiuto sia stato opposto in
buona fede» (Cass. 24-1-
Né, in ultima analisi, si può
addebitare con tutta tranquillità alla V. l'accusa di non aver interpretato
esattamente una pletora di leggi - l'una sull'altra accavallantesi
ed escludentesi - alla luce del dettato
costituzionale! E ciò, badisi bene, con riferimento alla indecorosa situazione in cui versa la scuola italiana
soffocata, come se non bastasse, anche da una congerie di «circolari ministeriali»
ben più incomprensibili delle norme di legge!
Comunque sia, non è assolutamente possibile
sostenere, al pari dei difensori di p.c., che è stato
provato il fondamento «razzista» del comportamento della V.: tale accusa non è
stata corroborata da alcuna valida prova. Ed è ben
comprensibile come la parte civile si sia battuta per sostenere tale
principio: invero se fosse stato provato l'intendimento razzista della V., si
sarebbe fornita anche la prova della «consapevole volontà di agire indebitamente
e cioè di violazione dei doveri imposti dall'ordinamento giuridico».
Infine, solo incidenter
tantum, va ricordato che gli assunti difensivi dell'imputata - non del tutto
infondati sotto il profilo psicologico, come si è precisato - sono rivolti a
dimostrare che le decisioni - illegittime - della V. furono prese sulla base di una errata valutazione dei dati di fatto in
suo possesso, e cioè la menomazione del De R. e la deformità del F. Per cui, anche sotto questo aspetto,
non è possibile escludere aprioristicamente l'applicabilità alla fattispecie
della scriminante di cui all'art.
Alla luce di tutto quanto ora esposto, sussistendo un contrasto, allo stato
irresolubile, tra elementi probatori a favore sia dell'accusa che della difesa
in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato in esame,
appare inevitabile concludere per una assoluzione della imputata per
insufficienza di prove sull'elemento intenzionale.
P.Q.M.
Assolve l'imputata per insufficienza di prove sull'elemento
psicologico.
Venezia, 18-1-1974
Il
Pretore Pisani
www.fondazionepromozionesociale.it