Prospettive assistenziali, n. 27, luglio-settembre
1974
NON SIAMO I SOLI A
DIRLO
I GRUPPI APPARTAMENTO (O COMUNITÀ ALLOGGIO): UNA ALTERNATIVA REALE E VALIDA
I
Il consiglio provinciale di Bologna,
nella seduta del 6 novembre
L'atto consiliare rappresenta
indubbiamente una risposta chiara e precisa alla congerie di
interrogativi, polemiche e interminabili discussioni intessutesi circa l'utilizzo
dell'istituto, ma soprattutto costituisce l'espressione più coerente di una
politica socio-assistenziale incentrata sulla deistituzionalizzazione
e sulla strutturazione di servizi decentrati, articolati sulla base dei reali
bisogni della comunità.
Il processo di deistituzionalizzazione
dell'ex IMPP, iniziata nel giugno 1972, è dunque giunto a completezza e si va
esaurendo nella configurazione di modalità di intervento
più autonome e strettamente collegate alla realtà dei servizi del comprensorio imolese. Ci riferiamo qui, più concretamente, ai gruppi
appartamento che, seppur hanno avuto inizialmente la funzione di permettere
all'istituto di vuotarsi, si sono superati come tali e tendono ad evolvere in
una dimensione territoriale, proponendosi come modello di intervento
mirante a ricondurre nei rispettivi luoghi d'origine tutte
quelle situazioni che ne sono state allontanate.
Dal 24 novembre nessun bambino è più
ospite delle strutture residenziali dell'ex IMPP «Sante Zennaro».
I bambini che risultano tuttora «ricoverati» (24),
sono ospiti di quattro gruppi e risiedono insieme con gli educatori in
appartamenti della città di Imola. Nella quasi totalità (91 per cento) si
tratta di ragazzi già ospiti dell'ex IMPP da prima della scelta deistituzionalizzante, per i quali non si è potuto
provvedere ad un più precoce inserimento, o perché senza famiglia, o per
ragioni di completamento dei cicli scolastici.
Dal giugno '72, cioè
dopo la scelta di svuotare l'IMPP, sono state fatte solo due ammissioni (pari
al 9 per cento dei residenti), con queste motivazioni:
a) grosse difficoltà e carenze familiari sul piano educativo e sociale;
b) ritorno nel comprensorio di appartenenza dopo una precedente istituzionalizzazione
fuori provincia.
Un altro dato da rilevare, riguarda
le prospettive di dimissioni al giugno '74: si prevede che circa 7/9 bambini
(pari al 30-35 per cento tutti appartenenti ad altri territori), potranno
rientrare in famiglia o quanto meno trovare una più
valida risposta nella loro comunità di provenienza. Da queste premesse
piuttosto sommarie si può già delineare quale deve
essere la configurazione del gruppo appartamento e cogliere il significato sia
negli aspetti tecnico-operativi sia in quelli politici e socio-assistenziali.
È un dato ormai acquisito che
operativamente il gruppo si colloca in una dimensione territoriale,
prefigurandosi all'interno dei servizi di base del comprensorio (équipes territoriali), come strumento di intervento,
qualora non vi siano altre modalità di risposta a certi tipi di bisogno. Infatti per avere una sua validità ed autenticità il gruppo
deve poter essere determinabile accanto a diverse altre possibilità di scelta,
e gli operatori dovranno essere inseriti nelle attività sociali della comunità,
assorbibili totalmente da tale operatività se il gruppo evolverà, superandosi
come tale. Solo così si potrà realizzare una più articolata ed efficace
dimensione di alternative all'istituzionalizzazione.
Beninteso che a ciò si potrà addivenire solo dopo
un'attenta indagine conoscitiva dei reali bisogni del territorio.
Premesso che la psicopatologia
infantile ben difficilmente genera condizioni che necessitano
di un ricovero urgente, per ragioni di «pericolosità a sé e/o agli altri», in
strutture psichiatriche, e che del resto esistono nel territorio valide
strutture ospedaliere di tipo pediatrico, tali da recepire con urgenza una
vasta gamma di situazioni di tipo sanitario, ne deriva che il gruppo potrà
configurarsi come momento di risposta di tipo prevalentemente assistenziale,
senza tuttavia escludere una dimensione terapeutica. Il gruppo può offrirsi
come risposta ad una serie svariata di bisogni che sono
tuttavia nella realtà operativa difficilmente definibili e predeterminabili, in
considerazione di un auspicabile evolversi e ampliarsi delle potenzialità di
risposta da parte dei servizi socio-assistenziali.
In altri termini, si ritiene che lo
«strumento-gruppo» potrà subire una notevole dimensione di utilizzo,
qualora si proceda nella creazione e trasformazione di asili-nido, scuole
materne, scuole dell'obbligo a tempo pieno, nell'individualizzazione e
organizzazione di momenti di tempo libero, nella possibilità di intervenire più
a monte nelle situazioni di disagio socioeconomico, in una più efficace
diffusione e articolazione degli interventi per l'adozione e gli affidi,
nell'attuazione di centri sociali, riabilitativi, terapeutici diurni.
Va comunque
esplicitamente chiarito che l'operatività del gruppo di per sé non è e non deve
essere esclusivamente centrata sul bambino ospite, ma deve coinvolgere anche e
soprattutto quei momenti che determinano e strutturano la sua relazionalità.
Accanto ad una prevalente dimensione
assistenziale, e ad una più chiaramente terapeutica
del gruppo, non va omessa infine una dimensione operativa nel senso della
prevenzione, intesa sia come costante rapporto con gli operatori dei servizi e
soprattutto delle équipes territoriali, sia come
possibilità di intervento operativo degli stessi operatori di un gruppo (nel
caso di chiusura di questo) nelle équipes
territoriali, in particolare, con un impegno di ricerca socio-economica e di
individuazioni di situazioni di bisogno, rivolta a prevenire richieste di
istituzionalizzazione. Sarà inoltre necessario predisporre, accanto a questo impegno di tipo preventivo, un'attività di ricerca
sui minori istituzionalizzati del comprensorio.
Per quanto poi concerne più
direttamente l'utente del gruppo restano da definirsi
le modalità di ammissione e dimissione, dopo un'attenta valutazione giuridica
che tenga conto di una notevole flessibilità ed elasticità dei criteri stessi
di ammissione e permanenza nel gruppo, tali da eliminare i momenti di attesa
tra accertamento del bisogno e risposta ad esso, nonché di possibili
differenziazioni circa le modalità di conduzione dello «strumento-gruppo».
È da escludersi in modo categorico il concetto del «ricovero», vigente nell'ex
IMPP, in quanto la configurazione che proponiamo per i gruppi esclude un
rapporto di casualità tra diagnosi e cura, cioè fra
riscontro di insufficienza mentale e turbe comportamentali e mistificante
prospettiva terapeutica di adattamento sociale; si tratta invece di cogliere
istanze emergenti di tipo prevalentemente sociale ed anche psicopatologico e
dare quindi loro una risposta ambientale.
Ogni gruppo avrà inoltre una sua
autonomia di gestione dei fondi previsti in bilancio e potrà quindi
direttamente provvedere alle diverse spese, siano esse relative
alla gestione dell'appartamento, di soddisfacimento dei bisogni
elementari, di svago, di studio, ecc.
Si dovrà, comunque
e sempre, cercare di individuare le modalità di integrazione dei gruppi con le
forze e le strutture sociali del territorio e se possibile, con gli stessi
genitori, onde emancipare gli educatori da un ruolo che rischia di diventare
quello del «casalingo» dell'assistenza, con privatizzazione e carico esclusivo
dell'esperienza su di loro e soprattutto potere impostare correttamente un
programma di «informazione - formazione», che riteniamo non debba essere né
tecnico-funzionale, né generale, bensì creativo e permanente.
Perché questa prospettiva si attui
coerentemente, è indispensabile uno stretto collegamento con tutte le
iniziative analoghe e con i servizi socioassistenziali
programmati per un'attività territoriale decentrata. AI fine
di evitare modalità di intervento settoriali e interferenze o sovrapposizioni
improduttive e per favorire soprattutto la creazione delle équipes
di base, occorrerà trovare a livello comprensoriale un comune momento di
verifica e di coordinamento.
(da BRUNO BERNABEI,
LUISA PAVIA e ANNA RICCIARELLI, Come
qualificare il momento assistenziale, in «Rivista delle Province», n. 2,
febbraio 1974).
II
Nell'ambito degli interventi a
favore dell'infanzia, particolarmente significativa ci sembra l'operazione di deistituzionalizzazione di minori che, iniziata nel
settembre 1971 con la sperimentazione di due gruppi appartamento nei quartieri
S. Donato e Lame, ci ha condotto nel '72, alla chiusura della colonia comunale
di Casaglia e all'inserimento di altri
15 bambini in tre nuovi gruppi, aperti nei quartieri Borgo Panigale,
Corticella e S. Vitale.
La nostra scelta è motivata da
considerazioni di ordine educativo e politico. Dal
punto di vista politico la classe al governo non ha saputo e voluto rispondere
con adeguata opera riformatrice ai pressanti bisogni nei settori
dell'occupazione, della casa, della scuola, della sicurezza sociale: a quei
soggetti nei quali la mancata soddisfazione di questi bisogni ha creato
scompensi e situazioni di crisi, la società e la classe dirigente hanno offerto
(e continuano ad offrire) interventi assistenzialistici,
che comportano troppo spesso l'internamento in
istituzioni totali, la segregazione e l'emarginazione.
Questo tipo di intervento, da un
lato, lascia inalterati i fattori che hanno determinato quelle situazioni e
dall'altro allontana dal contesto sociale quegli individui la cui posizione può
diventare un «caso di coscienza» del sistema, un potenziale elemento di
frizione e di sconvolgimento.
Gestire nei quartieri i gruppi
appartamento ha lo scopo di mantenere invece le contraddizioni all'interno
della società; tenta di costringere il gruppo sociale a prenderne atto, per
mobilitarlo nella ricerca di risposte, politicamente e socialmente avanzate, ai
bisogni.
Dal punto di vista educativo abbiamo
verificato che anche il tentativo di condurre un istituto secondo una
metodologia antiautoritaria, è opera razionalizzatrice, che non media, perché non sono
mediabili, le contraddizioni tra l'autonomia personale e la funzionalità
istituzionale, i diritti e le esigenze degli ospiti con le necessità della
struttura.
Di qui la scelta di un servizio - il
gruppo appartamento - che sia a misura del bambino, che si conformi alle sue
esigenze, che risponda ai suoi bisogni.
Il modello organizzativo che fino ad
ora abbiamo adottato è abbastanza noto:
1) in ogni appartamento vivono 5
bambini;
2) gli appartamenti sono collocati
in palazzi di civile abitazione e sono scelti - per quanto possibile - nei
quartieri nei quali risiedono anche le famiglie dei bambini;
3) in ogni gruppo appartamento
operano 3 educatori che seguono turni di lavoro per cui,
a rotazione, due sono presenti in ogni momento della giornata che i bambini
trascorrono in casa e uno soltanto si ferma a dormire la notte;
4) i bambini frequentano le scuole
di quartiere, dove è possibile sezioni a tempo pieno, diversamente scuola di
stato ed educatorio
comunale; in tutti i casi in cui non esista un netto rifiuto dei genitori o
situazioni oggettive che lo sconsiglino, i bambini rientrano in famiglia per
il fine settimana e per parte delle vacanze estive.
Ci sembra necessario aggiungere alle
considerazioni generali sopra esposte, un'analisi schematica sulle differenze
strutturali fra l'istituto e il gruppo appartamento, perché quest'ultimo non venga inteso come un microistituto decentrato.
A) L'organizzazione dei tempi della
giornata in istituto, nonché degli spazi, è rigida,
strutturata sulle esigenze di chi vi opera, sulla funzionalità fine a se stessa
delle prestazioni.
- Nell'appartamento, a parte il
necessario rispetto dei tempi scolastici, ogni altro momento è riempito sulla
base degli interessi, dei bisogni, delle motivazioni del gruppo bambini-adulti.
Gli spazi sono «a misura d'uomo», arredati secondo
gusti personali, utilizzati per le esigenze che via via
si presentano.
B) Una macro-struttura, per
funzionare, ha bisogno della divisione e della gerarchizzazione
dei ruoli. In istituto esistono gli addetti ai lavori, ed ognuno ha le sue competenze: agli inservienti le pulizie; ai cuochi
la confezione dei pasti; il guardaroba alle guardarobiere; i bambini agli
insegnanti; alla direzione la supervisione, il coordinamento, la
responsabilità del funzionamento di tutti i servizi. Si dà così modo ai bambini
di verificare subito che c'è chi dirige e chi esegue; li si
induce, più o meno consapevolmente, ad obbedire ai primi, a
sottovalutare - come persone - i secondi.
- Nell'appartamento
tutti i problemi di conduzione e gestione del gruppo, di ordine
domestico, di amministrazione del fondo economale, di
carattere educativo, sono a carico degli operatori. Tutti e tre gli adulti sono
responsabili di ogni aspetto della vita del gruppo e
nessuno è più responsabile degli altri. I bambini vengono
coinvolti nei momenti reali e decisionali, fanno esperienza di rapporti
cooperativi e paritetici tra gli adulti e con gli adulti, non li considerano
per i ruoli che ricoprono, ma per le persone che sono.
C) L'istituto limita concretamente
(per la rigidità dei tempi, per la frequente dislocazione isolata rispetto al
tessuto urbano) e, comunque, vizia i rapporti
interpersonali tra i propri ospiti e quanti, dall'esterno, entrino in contatto
con loro. Per «i bambini del collegio», l'approccio con coetanei che vivono in
situazioni normali si colora spesso di vergogna, di
diffidenza, di estraneità, e tutto questo sfocia spesso in atteggiamenti
aggressivi. Il ricovero in istituto tende inoltre a deresponsabilizzare
le famiglie dal rapporto con i bambini, diluisce, quando non annulla, i legami
affettivi.
- La situazione di vita in
appartamento è comune e comunicabile. Si va al cinema come
gli altri, si va a scuola con gli altri. Gli incontri, gli scambi di
visita non dipendono da alcuna esigenza estrinseca. Il
rapporto con i genitori è facilitato dalla vicinanza, preparato e sollecitato
dagli educatori.
D) Scopo dell'istituto è continuare
se stesso. Gli ospiti si dimettono a norma di regolamento (per raggiunti limiti
di età, di scolarità, ecc.) qualunque sia la loro
destinazione futura; altri subentreranno.
- Scopo del gruppo appartamento è, al limite, esaurirsi. In prima istanza
ciò significa esaurire la sua necessità per quei bambini per cui si è
costituito; in seconda istanza - che speriamo non utopistica, ma che prevediamo
realisticamente a lunghissima scadenza - esaurirsi come istituzione.
Il primo caso comporta, da un lato,
l'esigenza di stimolare nei bambini la formazione di personalità equilibrate ed
autonome, tali da porli in grado di reggere l'impatto con una realtà familiare
anche conflittuale; dall'altro comporta un'indispensabile opera, di cui si
fanno carico gli educatori ed altri operatori sociali del quartiere, per
sostenere le famiglie, aiutarle a capire i loro problemi e quelli dei figli,
lottare insieme a loro per rimuovere le situazioni di
carenza che hanno determinato la loro condizione.
L'esaurirsi della necessità del
gruppo appartamento come tale - o comunque di un
servizio analogo che adempia ai medesimi compiti - è di fatto postulabile solo
per il momento in cui le sperequazioni economiche e sociali non saranno più una
struttura portante del sistema politico ed uno scotto, pagato dalla società,
per questo tipo di sviluppo industriale e tecnologico; ed ancora, nel momento
in cui un organico e democratico sistema di sicurezza sociale potrà
proficuamente agire nel senso della prevenzione del disadattamento e della
tutela della salute fisica e psichica dei cittadini.
La valutazione dell'esperienza dei
gruppi appartamento, così come si è concretamente realizzata, è globalmente positiva: le maggiori difficoltà si riscontrano nel rapporto
con le famiglie e nella insufficienza - a livello di territorio - di servizi di
integrazione e sostegno.
All'interno delle enormi limitazioni
di potere e di autonomia in cui si muovono oggi gli enti
locali, individuiamo alcune possibilità di intervento, che postulano la
necessità di una collaborazione tra gli enti, le organizzazioni, le
associazioni della società civile:
- da un lato è importante
l'arricchimento del territorio di nuove infrastrutture culturali, ricreative,
sportive, e la destinazione di più aree a verde pubblico, affinché tutti i
cittadini (dall'infanzia agli anziani) possano fruire del loro tempo libero in
dimensione comunitaria;
- dall'altro è urgente potenziare i
quartieri di servizi e di operatori che consentano
interventi sociali più incisivi, risposte più concrete e tempestive ai
bisogni.
Il secondo limite dell'esperienza,
la cui portata non è trascurabile, deriva dalla mancanza di un inquadramento
organico del personale dei gruppi, le cui retribuzioni di base e le cui
qualifiche sono ancora relative alle mansioni svolte
- sempre alle dipendenze del comune - prima dell'inserimento negli
appartamenti.
Sono inoltre notevoli le difficoltà
di reperimento di nuovi educatori da destinare alle strutture che dovremo
aprire per accogliere altri bambini sui quali pende l'oggettiva necessità di un
allontanamento dalla famiglia, o che già ora sono ricoverati in istituto. Infatti, dopo la deistituzionalizzazione
dei minori ospiti della colonia di Casaglia, di
diretta gestione comunale, abbiamo provocato e sostenuto un'analoga
trasformazione - che entrerà in fase operativa dal prossimo settembre -
dell'Istituto Primodì che, tra i suoi ospiti, conta
un rilevante numero di minori assistiti dal comune. Al più presto avrà inizio
un corso - aperto ai dipendenti comunali - per qualificare operatori da
destinare ai nuovi appartamenti. Alcuni di questi operatori
pensiamo possano essere utilizzati, in collegamento con i gruppi e nell'ambito
della prevenzione dell'istituzionalizzazione, in un lavoro sociopedagogico a
livello di territorio. È comunque solo nella
prospettiva di una radicale riforma della scuola e di un rinnovamento
strutturale del sistema assistenziale che si potrà concretamente risolvere il
problema di una diversa qualificazione e di un nuovo ruolo dell'operatore
sociale.
(dalla relazione
presentata dagli Assessori EUSTACHIO LOPERFIDO e ERMANNO TONDI nella seduta del
Consiglio comunale di Bologna del 21 maggio 1973).
www.fondazionepromozionesociale.it