Prospettive assistenziali, n. 27, luglio-settembre
1974
NOTIZIARIO
DELL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMIGLIE ADOTTIVE E AFFIDATARIE
NUOVO LIVELLO DEI CONTRIBUTI DEL SERVIZIO DI AFFIDAMENTO
DELLA PROVINCIA DI TORINO
Nel
numero 16 di
Prospettive assistenziali avevamo riportato la delibera della Provincia di Torino del 17 maggio
1971 che istituiva il servizio di affidamento familiare a scopo educativo.
A
causa del considerevole aumento della vita, si è richiesto e ottenuto, dopo una
lunga azione, l'aumento dei contributi alle famiglie, persone e comunità alloggio da L. 60.000 (più o meno
il 30%) a L. 100.000 (più o meno il 30%).
Pubblichiamo
la relativa delibera approvata dal Consiglio Provinciale nella seduta del 9
aprile 1974.
Testo della delibera
A relazione dell'Assessore Teppati:
Premesso che con deliberazione
consiliare n. 51-6941/12 del 10-12-1973 venne
stabilito, a parziale modifica della deliberazione consiliare n. 181/1744 del
17 maggio
Che con ordinanza n. 3/140/36 il
Comitato Regionale di Controllo sulle Province, nella seduta del 9-1-
Considerato che l'aumento del
contributo da L.
- l'alloggio nel quale la famiglia affidataria ospita il minore deve garantire a quest'ultimo l'uso
esclusivo di una camera con caratteristiche determinate dal regolamento
approvato con la deliberazione istitutiva;
- deve essere garantita, nei limiti
del possibile, la piena assistenza della madre affidataria,
condizione attuabile soltanto con l'affidamento a famiglia
in cui la donna sia libera da impegni di lavoro esterno;
- al minore affidato deve essere
assicurata una assistenza familiare completa e non
condizionata negativamente da ristrettezze economiche tali, talvolta, da non
consentire il recupero psichico e fisiologico dell'affidato.
Che le suddette condizioni peculiari
di allevamento ed educazione dei minori determinano
un onere economico, oltre che un impegno morale, più gravoso di quello che
normalmente sta a carico di una famiglia che debba allevare figli propri (a
questa infatti non verrebbe mai imposto, anche se le norme igieniche lo
richiedono, di riservare una stanza ad ognuno dei figli), onere che
l'esperienza del 1° triennio di attività di affidamento ha evidenziato
esattamente nella misura di aumento di cui alla deliberazione 10-12-73 soprarichiamata.
Tenuto presente che l'aumento stesso
ha lo scopo non solo di porre rimedio al disagio delle attuali famiglie
affidatarie, ma soprattutto di fornire al Servizio di affidamento
familiare specializzato un valido presupposto per sollecitare nuove adesioni
da parte di famiglie che, pur essendo idonee sotto il profilo morale ed
educativo, non abbiano la possibilità economica di assicurare quanto il
regolamento prescrive.
Visto l'art. 60,
ultimo comma, della legge 102-1953 n. 62.
SENTENZA SULLA DURATA DELL'AFFIDAMENTO PREADOTTIVO
Riportiamo
la sentenza del tribunale per i minorenni di Perugia che stabilisce in un anno
(e non in tre) la durata del periodo di affidamento preadottivo in presenza di figli adottati con adozione
speciale.
Il tribunale per i minorenni di
Perugia composto da Giorgio Battistacci
- presidente, Mario Alunno - giudice, Ezio Moretti e Vittoria Franchi -
componenti privati; vista la domanda con la quale i coniugi M. G. e B. L. chiedono di adottare con adozione speciale il minore T. F. nato a P. il 9 febbraio
1971, per il quale in data 13-11-1971 è stato emesso decreto di affidamento preadottivo (...) ritenuto che ricorrono tutte le
condizioni previste dalla legge, osserva: per quanto riguarda la durata
dell'affidamento preadottivo devesi ritenere che
nella specie sia da richiedere la durata annuale prevista dal primo comma
dell'art. 314/24 e non quella triennale stabilita dall'ultimo comma
dell'articolo suindicato.
Infatti la circostanza che i coniugi M. G.
e B. L. hanno in precedenza adottato una bambina, che
deve essere considerata (art. 314/26) come loro figlia legittima, potrebbe
indurre a ritenere applicabile il termine triennale disposto nel caso di
esistenza di «discendenti legittimi», dovendosi riaffermare in linea di
principio la equiparazione sul piano della legittimità tanto dei figli di
derivazione biologica, quanto di quelli adottati con adozione speciale. La
validità di tale principio non viene tuttavia
infirmata con il rilevare che tale equiparazione nei diritti e nei doveri non
esclude che per certi aspetti connessi alla peculiarità della causale della
legittimità, sussistono differenze di carattere non decisivo: infatti in
relazione alla differenza della fonte dello status (nel primo caso il
matrimonio, nel secondo il decreto di adozione) varia la estensione degli effetti
di tale status, come dimostra anche il contenuto della norma di cui all'art.
314/26 soprarichiamato.
Trattasi però evidentemente di
differenze conseguenti alle particolarità genetiche del fenomeno che non si
pongono in contrasto risolutivo con il postulato della proclamata
equiparazione.
Non contrasta quindi sostenere che,
quando nell'ultimo comma dell'art. 314/24 si richiede il termine triennale
dell'affidamento nei casi in cui i coniugi adottanti hanno «discendenti legittimi»,
si vuole alludere solo ai figli legittimi di derivazione biologica.
Tale interpretazione appare corretta
e rispondente ad equità per le seguenti considerazioni:
Innanzi tutto la
dizione usata dal legislatore «discendenti legittimi», anziché quella di
«figli legittimi o legittimati», sta ad indicare che si è voluto dare rilievo
al collegamento in linea retta allo stesso stipite secondo gli schemi della parentela
di sangue (art.
«Discendente» è più che figlio, nel
senso che comprende tutti coloro che discendono,
quindi non solo i figli ma anche i figli dei figli, i figli dei nipoti, come
prevedono, ad esempio, gli art. 87 n. 1, 433 n. 2, 467, 468, 469, 536, 565,
737,
La distinzione è anche
implicitamente ribadita da quelle norme che
stabiliscono una equiparazione come ad es. dagli artt.
La dizione «discendenti legittimi o
legittimati», come riferita alla discendenza ex sanguine, è usata nella
disciplina dell'adozione ordinaria, sia secondo il codice civile che secondo la novella (art. 291 e art. 1 L. n. 431/1967). Infine il
favor legitimitatis in senso tradizionale, che ha
ispirato l'inserzione della formula ripetuta, trova conferma indiretta nella esclusione del prolungamento del termine a tre anni
in presenza di figli «riconosciuti» o «dichiarati giudizialmente»
o «adottati con adozione ordinaria», ovvero di figli adottati con adozione
speciale, quando successivamente nasca un legittimo (che diviene tale
immediatamente) malgrado che in tutti questi casi il problema della
integrazione tra i figli come tale sussisterebbe ugualmente.
In secondo luogo la circonlocuzione
usata dal legislatore per disporre il prolungamento del termine di cui
all'art. 314/24, cioè la presenza di «discendenti
legittimi o legittimati», mentre si sarebbe potuto dire più semplicemente
«quando vi sono figli», evidenzia che la esigenza di una più profonda
integrazione deriva non tanto dalla presenza di uno o più fratelli, potendosi
far conto sulla facile socievolezza dei fanciulli, quanto dall'incognita
dell'atteggiamento dei genitori. Infatti, se in via generale ogni adozione
comporta una problematica, questa è senza dubbio più acuta
quando il nucleo familiare presenta rapporti genitori-figli già
precostituiti. Se però la problematica più complessa (perciò la prescrizone di un tempo più lungo) sorge dal fenomeno
giuridico dell'adozione, per il fatto che è diverso dal fenomeno della
naturale procreazione considerata come tale - anche se
con una certa superficialità - priva di problemi, è il «pericolo» di intersecare
il legame carnale di chi ha già avuto figli, nati dal matrimonio, che ha
indotto il legislatore a porre maggiori remore nel procedere all'adozione. Quindi non la presenza di un figlio adottivo rende
necessario il maggiore tempo, bensì quella di un figlio biologico con le sue
implicazioni socio-psicologiche.
Se è vero che in entrambi i casi vi è da superare il momento della fusione psico-affettiva
con un maggiore numero di persone (rispetto alla coppia senza prole), è
incontrovertibile che le vere difficoltà sorgono allorché si è di fronte ad
una coppia priva di esperienze adottive legata da affetto esclusivamente di
sangue, nonché ad un figlio di derivazione biologica allevato in tali sentimenti
ancestrali; la possibilità di reazioni di rigetto, in occasione della
introduzione di un figlio adottivo che può essere visto e considerato come un
intruso, un usurpatore di affetti e di diritti familiari e magari successori,
non può essere a priori esclusa. Va invece rilevato che, nel caso in cui
preesista una precedente adozione, non solo non si
profila quel maggior timo,re che si è visto essere la ratio della norma di cui
all'art. 314,/ 24 u. c., ma se mai può prospettarsi un più agevole inserimento
del nuovo figlio adottivo.
Infatti le indagini psico-sociologiche
conclamano come l'inserimento del nuovo figlio adottivo è più agevole, sia
perché l'«altro» figlio vede nel nuovo arrivato «uno come lui», senza
pregiudizi e sia perché la coppia dei coniugi conosce quei problemi di natura psico-affettiva e pedagogica che ha già affrontato e
risolto, a differenza di coloro che invece non hanno alcuna esperienza in tal
senso e devono ancora prenderne coscienza ed accingersi a risolverli. Le prove di idoneità fornite dalle coppie che abbiano già adottato in
precedenza un altro figlio costituiscono la ragione fondamentale per cui non va
richiesto un collaudo più lungo ma anzi, se mai, un periodo di affidamento
più breve di quello normale. È poi interesse del minore avvantaggiarsi quanto
prima delle gratificazioni di una coppia che gli si offre con collaudate
motivazioni oblative.
In terzo luogo può osservarsi invece
che il legislatore abbia inteso introdurre il più
lungo termine di cui all'art. 314/24 per una male intesa ed anacronistica
difesa della famiglia di derivazione biologica e quindi con esclusivo
riferimento ai figli ex sanguine. Infatti dai lavori
preparatori si apprende che l'ultimo comma dell'art. 314/ 24 fu introdotto in
via di compromesso per superare un emendamento (Lucifredi)
che vietava l'adozione in presenza di altri figli, nonché le perplessità
prospettate da varie parti (compreso il Guardasigilli). Dal «sacrilegio
legalizzato», come era stato definito con termine che
denunciava una chiusura e un'incultura
inimmaginabile, si passò così a salvaguardare la prole ex sanguine mediante la
introduzione di un maggior termine e della audizione del figlio ultra
quattordicenne «rimettendosi alla prova dei fatti come a quella veramente
risolutiva».
In quarto luogo va osservato che la
legge ammette (art. 314/3) più adozioni speciali con un unico atto che esprime
i suoi effetti contemporaneamente. Ciò non sarebbe possibile se colui che per primo viene registrato come adottato (capov. art. 314/25) potesse
costituire - come legittimo - ostacolo alla registrazione del secondo; se il
legislatore avesse voluto consacrare lo svantaggio evidente derivante al
secondo adottato per il più lungo periodo di prova per lui necessario, lo
avrebbe dovuto esplicitamente prevedere.
Da ultimo deve essere posta in
risalto la necessità di evitare un non necessario protrarsi delle situazioni
«pendenti», per il conseguente pericolo di prolungare la possibilità del
procedimento di revoca dello stato di adottabilità,
per non procrastinare stati di ansia dei genitori e dei figli, per non
accentuare il disagio della cognominazione in concomitanza con l'inizio
dell'età scolare ecc.
Ritenuto infine che il minore risulta ben inserito nel nucleo familia.re adottivo, che offre adeguate garanzie per l'educazione
e l'assistenza del minore;
Visto l'art. 314/24...
Decreta farsi luogo all'adozione
speciale di T. F. da parte
dei coniugi M. G. nato a P. il 14 settembre 1925 e B. L.
nata a P. il 12 ottobre 1929.
Così deciso in Perugia il 6 aprile
1973.
Il
Presidente Giorgio Battistacci
www.fondazionepromozionesociale.it