Prospettive assistenziali, n. 27, luglio-settembre
1974
EDITORIALE
PRESUPPOSTI
POLITICI DELL'UNITA LOCALE DEI SERVIZI E BREVE NOTA
SUL SERVIZIO DI SEGRETARIATO SOCIALE
Il
Governo ha presentato il disegno di legge per l'istituzione del
servizio sanitario nazionale fondato sulle unità sanitarie locali e ciò
avvicina, per le strette connessioni esistenti fra i due settori, il giorno in
cui verrà riformata l'assistenza.
Molte
regioni (Basilicata, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto)
a loro volta hanno assunto iniziative per l'istituzione di unità
locali dei servizi sanitari e sociali. Inoltre vi sono altre analoghe
iniziative a livello provinciale, comunale e intercomunale.
Più
volte su
Prospettive assistenziali abbiamo segnalato che lo stesso nome di unità locale (sanitaria,
sportiva, dei servizi sociali, dei servizi sanitari, dei servizi in genere)
veniva utilizzato con impostazioni diverse e anche opposte.
Ci
sembra pertanto necessario, ad evitare pericolosi equivoci, precisare
nuovamente la nostra posizione e indicare quali sono i presupposti politici
dell'unità locale dei servizi (di tutti i servizi).
In
primo luogo va chiarito che l'unità locale dei servizi non è (o meglio non
dovrebbe essere) una struttura tecnica per unificare alcuni servizi, ma è da
noi concepita come «nuovo modello per un'esperienza di ente
locale democratico, di natura politica, per una "rifondazione-
del comune, modello che, rispetto all'attuale comune,
si qualifica come area, come mezzi e come strumento di intervento, in modo tale
da poter proporsi come momento reale ed efficace di organizzazione e gestione
dei servizi, come risposta alle esigenze e ai bisogni di una popolazione che
risiede o che lavora su di un determinato territorio» (1).
I principi padronali
per l'assistenza
I
servizi, e non solo i servizi ma tutte le attività e
funzioni, sono oggi organizzati in base ai principi padronali:
-
massimo tamponamento alle esigenze con il minimo di spesa;
-
dividi e comanda.
Dal
primo principio derivano:
-
la mancanza quasi assoluta di interventi sanitari e
sociali con funzioni preventive e riabilitative;
- la monetizzazione della
salute e dell'esclusione dentro e fuori della fabbrica;
- l'assistenza attuata con interventi emarginanti (ad
esempio mediante istituti di ricovero) o tramite centri «aperti» per
particolari categorie;
-
la scuola intesa come strumento di condizionamento culturale e sociale;
- la presenza di molte strutture di tamponamento
assolutamente inidonee a soddisfare le esigenze.
Dal
secondo principio derivano:
-
la parcellizzazione del lavoro;
-
la divisione dei lavoratori e degli utenti del servizi
in migliaia di strutture;
-
la creazione di una infinità di categorie di utenti e
perciò di una infinità di controparti: 65.000 enti, organi e uffici di
assistenza; centinaia di enti mutualistici e casse mutue; frammentazione del
processo educativo in asili nido (gestiti dai comuni, dall'ONMI e da privati),
in scuole materne (gestite dallo stato, dai comuni, da enti pubblici, da
istituzioni private e da aziende), in scuole elementari (ministero della
pubblica istruzione e privati), in scuole medie inferiori (ministero della
pubblica istruzione e privati), in scuole medie superiori dei vari tipi
(ministero della pubblica istruzione e privati), nella formazione professionale
(regioni, aziende, enti pubblici e privati), nelle università e enti
parauniversitari e postuniversitari (stato, aziende, enti pubblici e privati);
-
l'esistenza di una infinità di ruoli tecnici e
amministrativi e la loro rigidità;
-
la creazione di pesanti gerarchie burocratiche e tecniche;
-
le condizioni al di sotto del minimo vitale di milioni
di persone (pensioni basse; bambini, adulti, anziani e handicappati in
condizioni di emarginazione);
-
la strumentalizzazione del sottoproletariato (il cui
numero è in aumento) contro il proletariato.
Principi di fondo per i servizi alternativi
Ai
principi padronali sopra riportati i lavoratori ed i cittadini devono
rispondere con i principi: «il costo dei servizi è salario sociale» e «unisci e
partecipa».
Considerare
i servizi come salario sociale significa essenzialmente rifiutare il loro
carattere elemosiniero, affermare la loro funzione sociale e il diritto alle relative
prestazioni.
Partire
dal principio «unisci e partecipa» significa per i lavoratori dei servizi:
-
superamento delle tentazioni corporative e categoriali;
-
superamento delle posizioni gerarchiche e della rigidità dei ruoli;
-
lavoro collegiale e unitario di gruppo in una zona ben
definita;
- superamento della distinzione fra personale tecnico e
amministrativo per l'affermazione della figura dell'operatore sociale;
-
richiesta di organici di unità locale;
-
informazione e confronto permanente fra i lavoratori dei servizi e delle fabbriche,
e collegamento stretto con i gruppi omogenei delle aziende e i comitati degli
utenti a livello di distretto (2) e di unità locale.
Partire
del principio «unisci e partecipa» significa per gli utenti:
- costituire comitati di distretto sul modello dei
gruppi omogenei di fabbrica per il controllo democratico dell'insieme dei
servizi;
-
riconoscere esclusivamente ai comitati di distretto (che potrebbero comprendere
a seconda delle realtà territoriali (3) da
-
rifiuto di ogni tipo di cogestione dei servizi e
affermazione delle funzioni - di
controllo da parte dei comitati di distretto e dei comitati di unità locale non
istituzionalizzati;
-
superamento delle organizzazioni di base di tipo categoriale,
unificando nei comitati di distretto e di unità locale
le esperienze settoriali esistenti;
-
confronto permanente dei comitati di distretto e dei loro eventuali organi di
coordinamento a livello di unità locale con i gruppi
dei lavoratori dei servizi e con i consigli sindacali di zona.
Partire
dal principio «unisci e partecipa» significa a livello istituzionale:
-
sopprimere tutti gli enti settoriali e le suddivisioni
dei cittadini in qualsiasi tipo di categoria (sia per età, che per tipo di
bisogno o di altro genere);
-
riconoscere nella regione l'ente incaricato della legislazione specifica in
base ai principi generali delle leggi nazionali, della programmazione e del
finanziamento dei servizi. Ciò richiede il trasferimento
integrale alle regioni delle competenze oggi esercitate dallo stato e da
enti nazionali e locali;
-
richiedere che i servizi di base sanitari, scolastici, abitativi, ricreativi,
sociali in genere e amministrativi siano gestiti a livello dell'unità locale di
tutti i servizi sopra indicati, dai comuni e da loro consorzi e dagli organi
di decentramento per i comuni metropolitani;
-
richiedere che all'interno dell'unità locale i servizi fondamentali siano gestiti
con un preciso riferimento territoriale (distretto) e non assumendo come
riferimento categorie per età e per tipo di bisogno o di altro
genere.
Obiettivi a medio e
lungo termine
Ci
rendiamo ben conto che queste proposte sono di lunga prospettiva. Tuttavia esse ci appaiono importanti per poter determinare gli
obiettivi a breve e medio termine.
Di
fronte all'offensiva scatenata dai partiti riformisti (4) per inserire nell'area del potere le forze riformatrici e
rivoluzionarie, è necessario che coloro che vogliono
cambiare realmente le cose non si lascino assorbire e continuino ad esercitare
la loro azione di controllo democratico, di coinvolgimento di sempre più
larghi strati di lavoratori e di cittadini, di non delega.
A
questo riguardo è molto importante, ad esempio, l'azione che gran parte dei
comitati di quartiere spontanei di Torino stanno
conducendo per non lasciarsi intrappolare dalla istituzionalizzazione dei
comitati stessi. L'istituzionalizzazione è stata deliberata recentemente dalla
giunta comunale di Torino dopo che lo «spontaneismo» dei comitati di quartiere
aveva costretto l'amministrazione a modificare sostanzialmente il piano dei
servizi, con il quale si intendevano dare alla
speculazione edilizia privata le aree ancora disponibili, e più recentemente a
sospendere i lavori per circa 1000 miliardi per autostrade, tangenziali,
metropolitana e seconda pista aeroportuale. L'importanza della posizione dei
comitati di quartiere spontanei sta anche nel fatto
che essi sono il tramite indispensabile per arrivare alla costituzione dei
comitati di controllo di distretto.
Vi
sono - è vero - comitati di quartiere formati da professionisti o da altre
categorie che hanno il solo scopo di tutelare l'interesse della loro classe, ma
nei confronti di questi comitati occorre dare una battaglia politica che li costringa a smascherarsi. Altri comitati di quartiere hanno
una collocazione interclassista, e in questo caso
occorre, soprattutto tramite l'intervento su problemi reali, portarli a constatare
quali sono le forze che in concreto non vogliono le riforme e la
partecipazione.
In
ogni caso sarà necessario che i comitati di controllo di distretto e di unità locale stabiliscano collegamenti, i più stretti
possibili, con le organizzazioni sindacali e soprattutto con i consigli di
zona.
Ma ciò esige che i consigli sindacali
di zona escano da una concezione di mere rivendicazioni salariali e normative
(ancora presenti) per assumere una funzione politica sui problemi non solo
della fabbrica ma anche del territorio (come avviene già in diverse città).
Iniziative immediate
Se
gli obiettivi sopra indicati sono accettabili, per poterli raggiungere occorre
nell'immediato aprire il dibattito sui punti sopra indicati con le forze
politiche, sindacali e sociali esistenti nel territorio, rivendicare le strutture
materiali necessarie perché i cittadini possano incontrarsi e costituire i
comitati di distretto e di unità locale. È soprattutto
importante instaurare sulle singole iniziative una prassi di coinvolgimento
non solo degli utenti a cui ciascun servizio è destinato, ma di tutti i
cittadini dell'unità locale.
Occorre
inoltre verificare la rispondenza dei servizi esistenti e le priorità di
quelli da istituire, la loro organizzazione e i loro
scopi al fine di accertare se essi rispondono alle esigenze della popolazione.
Servizio di
segretariato sociale
Più
volte abbiamo precisato la nostra posizione sui vari servizi e, poiché è un intervento che viene presentato da molti come
innovativo, vogliamo soffermarci sul servizio di segretariato sociale.
Conveniamo
con quanto scrive L. Tavazza (5) che «l'avvenire delle società umane dipenderà in buona parte dalla
quantità, dall'ordine e dalla retta utilizzazione
delle informazioni di cui dispongono». È inoltre incontrovertibile che oggi
l'informazione è in mano ai gruppi di potere: «I quotidiani o sono dei partiti
o sono espressione di grossi gruppi di pressione o il frutto di concentrazioni
industriali».
«Insomma
- aggiunge Tavazza - ci troviamo in una situazione che
almeno offre il vantaggio della chiarezza: i padroni dell'industria culturale
in Italia, i padroni dell'informazione, almeno nei tre settori qui considerati
(editoria giornalistica, pubblicità, editoria
libraria), non sono molti, hanno un nome e cognome che con pochi sforzi si
riesce ad individuare». Agnelli (FIAT, IFI, Etas-Kompass, «
Con
queste premesse ci sembra che sia da respingere la proposta per l'istituzione
di un servizio di segretariato sociale che dovrebbe costituire «una sede attiva
di informazioni pertinenti, esatte, aggiornate e
verificate».
Innanzi
tutto non è possibile dare una collocazione
istituzionale ad un servizio di informazione che garantisca la sua piena
libertà ed autonomia. Il servizio sia esso privato o pubblico sarà, evidentemente, condizionato dall'organo gestore.
Anche
se il servizio venisse affidato - come proposto - al
comune o al consorzio di comuni, è impensabile che esso possa fornire ai
cittadini e alla comunità locale notizie «esatte», le quali, se tali, darebbero
agli utenti una serie di elementi oggettivi utilizzabili spesso contro l'amministrazione
che gestisce il servizio.
Ad esempio, è pensabile che un
servizio di segretariato sociale possa dire ai cittadini che la carenza di aree per servizi è determinata da una precisa
scelta politica dell'amministrazione comunale diretta a favorire la speculazione
edilizia? che non vi sono posti disponibili nella
scuola materna perché l'amministrazione non ha provveduto ai necessari
finanziamenti di nuovi edifici, avendo deciso di dirottare i fondi disponibili
alla creazione di un lussuoso teatro (come è successo a Torino)?
Al di là delle buone intenzioni dei proponenti,
riteniamo che un servizio di segretariato sociale sia dannoso, poiché sarebbe
un nuovo e penetrante strumento di disinformazione sociale, di tranquillante
nei confronti della presa di coscienza dei cittadini e delle forze sociali.
Inoltre costituirebbe una enorme spesa: si prevede che gli operatori debbano
essere almeno tre per unità locale e cioè oltre 3000 per tutto il territorio
nazionale per una spesa di almeno 20 miliardi all'anno, spesa che potrebbe
essere molto più proficuamente utilizzata per altri servizi (assistenza
domiciliare, comunità alloggio, affidamenti familiari), più utili e più
rispondenti alle esigenze dei cittadini.
(1) Vedasi il
documento elaborato a conclusione dei lavori del seminario di studio di Saint Pierre del 2, 3 e 4 luglio
(2) Intendiamo per
distretto l'ambito territoriale minimo in cui possono essere istituiti i
servizi di primaria necessità. Per quanto concerne la tutela della salute e
l'assistenza vedasi il distretto socio-sanitario
ipotizzato nel documento «Contributo della Regione Toscana alla programmazione
dei servizi sanitari e sociali», in Prospettive
assistenziali, n. 23, pag. 22 e segg.
L'aver chiamato
distretti scolastici una struttura del tutto diversa come
concezione politica e tecnica rispetto ai distretti socio-sanitari è un
altro elemento (voluto?) per creare confusione.
(3) Poiché il nostro
riferimento prioritario è la partecipazione, il distretto dovrà essere definito
tenendo conto delle aggregazioni naturali esistenti (piccoli comuni, rioni,
frazioni, borgate, gruppi di fabbricati nelle città medie e metropolitane,
ecc.).
(4) Vedi i decreti
delegati del governo sui distretti scolastici e tutte le numerose iniziative
di cogestione relative ai servizi sociali, ai comitati di quartiere, alla
medicina del lavoro, ecc.
(5) L. ANFOSSI, A.M. MACCOTTA, L.
TAVAZZA, Il segretariato sociale come
strumento di informazione democratica, Ed.
Fondazione Zancan, Padova, 1973, pag.
www.fondazionepromozionesociale.it