Prospettive assistenziali, n. 28, ottobre-dicembre 1974

 

 

DOCUMENTI

 

INCHIESTA IN UN ISTITUTO DI ASSISTENZA

 

 

Qui di seguito viene riportato da «Fogli di Informazione: documenti di collegamento e di verifica per l'elaborazione di prassi alternative nel campo istituzionale», n. 14, il documento di un gruppo di lavoratori che ha raccolto informazioni sull'istituto «Sacra Famiglia» di Cesano Boscone: un parcheg­gio per emarginati. Delle condizioni di questi ghetti assistenziali, delle con­dizioni di vita degli «ospiti» e della loro «attività lavorativa» già hanno riferito i giornali di informazione, e tutta la nostra opera promozionale da anni tende a scoprire e a dimostrare come la società «integra» applichi costantemente prassi discriminative contro i deboli, i minorati, i diversi. Ma quello che qui ci preme indicare chiaramente è che nella società dove viviamo gli unici che possono gestire la salute degli operai sono gli operai stessi.

La semplice e civile denuncia dei fatti per quanto importante e dove­rosa non è infatti sufficiente; è necessaria una analisi comune che metta in evidenza i rapporti tra i fatti denunciati per interpretarli alla luce di una logica interna e questo lavoro va fatto «insieme» e presuppone un'ope­ra comune tra la classe dominata e gli operatori abituati a porre in discus­sione il proprio ruolo.

Dall'inchiesta appare che, esclusi da ogni controllo democratico, si ac­cumulano proventi che derivano da varie proprietà immobiliari e da dona­zioni, sovvenzioni di enti pubblici, utili di laboratori, rendita della clinica annessa, mentre il ricoverato vive la sua istituzionalizzazione, «subendo la propria degenza». In base a questa logica è difficile stabilire la buona o cattiva fede.

La separazione dei ruoli comporta che ciascuno rimanga nel «suo»: consiglieri di amministrazione, direttori e vicedirettori, medici, infermieri ed educatori, ciascuno svolge la propria carriera nell'interno del suo ruolo, così il profitto si accumula mentre il ricoverato è oggetto escluso da ogni conoscenza.

Ecco perché crediamo necessario, dal momento che «di scienza gli uomini vivono e muoiono» (1), che siano proprio gli esclusi da questa co­noscenza a sapere e capire il proprio vivere e il proprio morire.

 

 

INCHIESTA SULL'ISTITUTO «SACRA FAMIGLIA» DI CESANO BOSCONE (2)

 

«La "Sacra Famiglia" è un'Opera pia, ha una sede centrale a Cesano Boscone e una serie di sedi succursali sparse in varie zone dell'Italia settentrionale. Al suo interno è strutturata in modo decisamente verticistico, accoglie una po­polazione disomogenea in rapporto a parametri di benessere psichico, di capacità e di autono­mia, e del tutto omogenea per l'origine sociale; si tratta infatti per la grande maggioranza di proletari e sottoproletari. Queste persone pro­vengono dalle regioni le più disparate e soprat­tutto da posti lontani da Milano, come il Meri­dione e le Isole. Questo sta ad indicare tutta la intricata organizzazione clientelare che sta sotto le accettazioni e che naturalmente affonda le proprie radici soprattutto negli ambienti reli­giosi e parareligiosi del Sud. Per quanto riguarda le condizioni di salute delle persone ospitate, ci sono da un lato handicappati psichici di vario grado e dall'altro persone normali che non han­no la possibilità di condurre una vita autonoma nella propria famiglia. Sono circa 2.600 i sog­getti all'interno dell'istituto, nel quale è possi­bile compiere una "carriera" completa; si entra giovani, ci si sposta ogni 10 anni circa di reparto in reparto, si arriva a quello per anziani e quindi al cimitero. Le condizioni di vita all'interno dell'istituto sono molto dure e pur non presentando aspetti scandalistici, sono estremamente diffi­cili; i reparti sono vecchi, privi di servizi igie­nici adeguati, con grandi camerate nelle quali nessuno può disporre di uno spazio personale.

I pazienti più gravi che soffrono di disturbi psichici e della motricità sono affidati, a gruppi di 40, a un solo infermiere che ha il dovere di custodirli. All'interno dell'istituto esistono labo­ratori occupazionali e di addestramento in cui lavorano i ricoverati ed alcuni operai che aven­do formalmente un compito di istruzione, pure effettuano la produzione.

La Federazione Lavoratori Metalmeccanici ha incominciato ad occuparsi di Cesano Boscone perché all'interno dell'istituto si fabbricano ma­nufatti che vengono anche prodotti da una fab­brica metalmeccanica di Settimo Milanese. Que­sta si è trovata in una fase di dura lotta con­trattuale col padrone, che usava la possibilità di dare lavoro coatto all'interno della Sacra Fa­miglia, come area di ricatto verso i lavoratori. Infatti poteva ridurre il numero delle maestran­ze, aumentando addirittura la produzione col di­latare le commesse esterne. C'è stata un'inda­gine conoscitiva da parte di questi operai e dei rappresentanti sindacali che ha portato ad un primo intervento sui lavoratori; il passo succes­sivo è stata la scoperta di come la Sacra Fami­glia fosse una fabbrica, non solo perché pro­duce ma anche perché fa dell'assistenza un pro­dotto. Inoltre la constatazione che gli ospiti dell'istituto sono proletari e sottoproletari ha di nuovo motivato l'intervento di questi compagni. Il loro interesse è stato ulteriormente incre­mentato dall'aver notato che l'emarginazione operata all'interno della Sacra Famiglia è stru­mentalizzata alla formazione di sacche di mano d'opera sotto pagata e sottoqualificata, utilizza­bili poi a seconda che la fase economica fosse in espansione o in recessione. Di fatto è nata la esigenza di non delegare al tecnico l'indagine su questi luoghi di esclusione e di arrivare a un momento minimale di conoscenza collettiva, cioè ad un allargamento di queste conoscenze sia all'interno che all'esterno dell'istituto. E que­sto non è poco perché l'istituto tra i vari mec­canismi di difesa ha anche quello di una stretta omertà. Occorreva quindi conoscere a fondo i meccanismi istituzionali e porli sotto il controllo della classe operaia: quindi negazione a ogni soluzione tecnicistica razionalizzante che avreb­be potuto costituire un reale pericolo. A propo­sito del rapporto tra questo istituto e la politica provinciale e regionale in campo assistenziale e l'O.P. in particolare, bisogna dire come la Sa­cra Famiglia istituzionalmente tenda a sfuggire ad ogni forma di organizzazione sanitaria in am­bito locale, proprio perché viene definita un isti­tuto "sovraregionale". Questa dizione maschera da un lato la politica clientelare nell'accoglimen­to dei pazienti (che provengono dai posti più lontani, come abbiamo visto) e dall'altro signi­fica difendersi da tutte le possibilità di control­lo democratico della zona.

Un altro discorso che occorre fare concerne la politica dell'assunzione del personale: ci sono casi di "deportazione" da piccoli paesi del Sud di nuclei familiari completi che vengono sradi­cati e trasferiti a Cesano Boscone e che forni­scono la mano d'opera, ricattabile perché del tutto dipendente dalla direzione dell'istituto, che ha dato loro lavoro, casa, scuola per i figli, ecc. La conseguenza di questa sovraregionalità e di questo sganciamento da ogni pianificazione è che la possibilità di controllo non è affidata agli enti locali e alle organizzazioni sindacali, ma alla Curia e alla Prefettura, che non garantisco­no certo la conduzione democratica all'interno dell'istituto. D'altra parte la Provincia si con­venziona con questo istituto, cioè paga per le persone che invia rette di 8.000 lire al giorno.

La Sacra Famiglia non è poi così chiusa in se stessa: anche se è del tutto ignorato il ruolo che deve avere in un piano assistenziale a li­vello regionale; d'altra parte i suoi dirigenti sono considerati "esperti" e vengono di fatto sentiti nelle varie commissioni regionali e provinciali. È recente la scoperta che l'istituto tende a ca­lare su iniziative quali la formazione del labo­ratorio protetto nella zona di Baggio, che vor­rebbe gestire a suo modo. Esiste poi la possibi­lità dell'invio di 600 dimessi dall'O.P. di Como, che dovrebbero essere affidati alla Sacra Fami­glia: ciò non fa che confermare il ruolo di depo­sito che l'istituto verrà ad assolvere rispetto agli O.P.

L'attenzione dell'istituto sembra ora rivolgersi non alle persone "gravissime" che comportano problemi assistenziali difficili, ma a quelle "gra­vi" che garantiscono sempre una facilità di ge­stione - con i metodi dell'istituto - e paralle­lamente un grande profitto; l'attenzione si ri­volge anche agli anziani e ai dimessi dall'O.P. Di fatto gli O.P. più avanzati tendono a limitare al massimo l'invio di persone alla Sacra Fami­glia, mentre invece il passaggio dalla Sacra Fa­miglia all'O.P. è più frequente, spesso con ca­rattere punitivo. Paradossalmente succede che l'O.P. diventa un luogo di esclusione quasi pri­vilegiata rispetto a quella che si attua in questi ospizi...

... Esiste un altro aspetto non secondario e non casuale che riguarda i minori istituzionalizzati: alla fine della loro carriera lì dentro risulteranno "colonizzati", e incontreranno grandi difficoltà nel collegare la loro origine sociale alla loro storia, nell'acquisire cioè una coscienza di clas­se. Ricordo che uno dei dirigenti dell'istituto - a proposito di un ragazzo che era stato lì per molti anni, poi era stato dimesso, quindi era stato in carcere e poi era tornato in istituto -, operava una sorta di cosmogonia di questo tipo: "questi ragazzi possono riuscire bene o male: quando riescono bene, cioè i buoni, risultano essere persone piene di zelo che chiedono e sollecitano il loro intervento educativo all'in­terno dell'istituto; dall'altro lato ci sono quelli che riescono male, che sono fragili, che fanno fatica a inserirsi in qualsiasi contesto sociale organizzato, che ritornano come degenti all'isti­tuto». Si perpetua così l'esistenza dell'istitu­zione (...)».

 

Potere religioso e ideologia della beneficenza

«(...) Ha notevole importanza la presenza del personale religioso nell'istituto, questo anche a prescindere dalla posizione giuridica che lo stesso occupa, che è l'EIPDAB, ente istituti di assistenza e beneficenza, e che quindi prevede una situazione di diritto per quanto riguarda lo statuto e una situazione reale articolata in que­sti termini. Per statuto devono essere preti sia il direttore che il vicedirettore; questo va visto retroattivamente in un contesto politico e so­ciale dei primi anni del 900 e successivi e si può capire che aveva molta importanza perché questa presenza poteva significare il reperimen­to di risorse per l'espletamento di un servizio. Oggi il discorso è impostato in altri termini cioè non significa più essere a capo di un piccolo istituto che ha una gestione paternalistica fa­miliare; oggi l'istituto ha 1.100 dipendenti e 3.000 ospiti, il che significa che collocato poli­ticamente in un certo schema ha una certa in­fluenza e forza anche sul piano operativo assi­stenziale di Milano e provincia e determinati agganci clientelari. Oggi la presenza di direttore e vicedirettore sacerdoti significa la gestione di un certo tipo di potere. Tre membri su sette del consiglio di amministrazione sono nominati dalla Curia, uno di essi addirittura è in diretta rappresentanza dell'Arcivescovo di Milano. Ai cappellani deve essere garantita la residenza nell'istituto e il direttore ha funzioni di parroco, anche. Di fatto oltre al direttore e vicedirettore sono preti anche due dirigenti e il tesoriere.

C'è quindi un complesso di 7 0 8 preti addetti alla assistenza spirituale; di essi alcuni sono in ruolo con uno stipendio ampio e superiore a quello stabilito per i cappellani secondo l'ac­cordo Fiaro-ospedalieri. Di fatto sono vicini a quelli dei capi-ufficio ma, a differenza di questi ultimi, hanno diritto a vitto e alloggio. Altri sono fuori ruolo; comunque si tratta di posizioni che esulano dalla competenza di un intervento sin­dacale. Anche il preside della scuola media è un sacerdote che fa riferimento all'istituto perché c'è una scuola interna che è una dépendance di una scuola media. Oltre ai sacerdoti operano le Suore di Maria Bambina che hanno funzione di supervisore del personale femminile ausilia­rio infermieristico educativo, con compiti di ge­stione. La Congregazione è convenzionata con l'ente che le paga tot milioni per un certo tipo di servizio, cioè per un certo numero di suore. Inoltre si è sviluppata una congregazione reli­giosa femminile tra le ospiti dell'istituto che ha un ruolo subordinato rispetto alle suore; si chia­mano ancelle, che ora sembrano in declino.

La religione purtroppo ha consentito di vedere l’“handicap" essenzialmente come fatto dell'in­dividuo che bisogna curare, ma soprattutto indi­rizzare verso una certa sublimazione, tanto mag­giore nella misura in cui venivano meno spe­ranze concrete. A questo si intreccia una utiliz­zazione dei bisogni dell'ospite come luogo su cui costruire il potere; qui abbiamo una forma di identificazione tra religione e autorità che ha il suo simbolo più preciso nella figura del diret­tore-parroco. Ci sono alcune riflessioni da fare in merito a queste considerazioni un po' gene­ralizzate. All'inizio si è parlato dell'incidenza dell'aspetto religioso tra il personale e gli ospiti. Per quanto riguarda il personale dipendente si vuol far passare il lavoro in istituto come mo­mento di solidarietà umana con l'handicappato, a prescindere da qualsiasi altra analisi. Viene sempre stimolata una posizione di dialogo men­tre la posizione di conflittualità dipendenti-isti­tuto e dipendenti-minori è sempre negativa a prescindere da possibili interventi paternalisti­ci, mentre in realtà la questione è quella del potere, che sta tutto da una parte e impedisce qualsiasi collaborazione e dialogo. Questo lo verifichiamo inoltre in alcuni specifici partico­lari, quali i tentativi di controllo ideologico, una frase detta da un dirigente a un comunista che lavora qui: "si prostituisce in un ente pubblico finanziato anche dai contributi dei comunisti e marxisti", la posizione in merito allo sciopero, il conflitto padrone-dipendente che viene negato in base all'assunto che i padroni sono gli ospiti, venendo così a mancare secondo questa impo­stazione l'immediata controparte, l'immediato interlocutore. A monte sta la presunzione che l'amministrazione sia l'unica qualificata a deter­minare i lavori degli ospiti, più che gli ospiti stessi e le loro famiglie. Vi è una frattura sul piano della comunicazione religiosa fra il clero e i dipendenti che ne adottano la compromis­sione col potere. Gli assistenti spirituali dipen­dono strutturalmente dal clero dirigente, in par­ticolare dal direttore parroco, dal quale pren­dono le direttive. La posizione delle suore è discutibile; sottoposte a un lavoro impegnativo, sono però al di sopra di qualsiasi schema con­trattuale di cui abbiamo consapevolezza. Le sin­gole suore prevalentemente ignorano i termini economici della convenzione che l'istituto sti­pula con l'ordine religioso cui appartengono, ri­schiano di costituirsi come sentinelle dell'auto­rità giungendo ad attrezzarsi per operazioni extra, quali sostituirsi al medico nelle terapie, amministrare in proprio il reddito del lavoro degli ospiti ecc. Queste operazioni sono ufficialmente ignorate dalla direzione. Elemento essenziale della base di potere che l'assistenza garantisce, è la possibilità di un controllo assoluto sul po­sto di lavoro; abbiamo una assunzione di per­sone che ne hanno particolarmente bisogno, an­che superando eventuali normative contrastanti per una forma di clientelismo, di simpatia verso determinate persone; viene prevaricato qualsia­si tipo di accordo sindacale; è quindi una scelta molto unilaterale che spesso il sindacato non riesce a bloccare tempestivamente; per il perso­nale ausiliario si può affermare tranquillamente che l'assunzione e promozione avvengono in grande prevalenza per un gesto di bontà o come premio offerto dal dirigente interessato.

Una delle conseguenze di ciò è il costituirsi di famiglie di beneficiati intorno ad alcuni diri­genti che si creano la loro zona di potere; com­pito di questi beneficiati è quello di creare la unità. Questa unitarietà comporta la eliminazio­ne dei conflitti verso il vertice e una loro con­seguente compressione al livello del rapporto operatore di base-ospite. Le classi inferiori ausi­liare sopportano il peso conflittuale maggiore in questa situazione.

Per quanto riguarda gli ospiti le considerazio­ni non sono meno gravi; la religione non viene vissuta in una possibile dinamica di liberazione, ma piuttosto strumentalizzata al mantenimento dello status quo, che equivale, per gli ospiti, al mantenimento di una situazione di inferiorità e quindi di emarginazione (...)».

 

La carriera degli anziani

«(...) Un ricoverato, entrato a 5-6 anni, può percorrere all'interno dell'istituto un'allucinante "carriera" di reparto in reparto fino ad arrivare, in vecchiaia, ai padiglioni per anziani tipo S. Carlo. Storie di questo genere sono la norma per persone finite all'ospizio 10-15 anni fa. Questo perché ogni possibilità di miglioramento è del tutto eccezionale: infatti la istituzionalizzazione (l'esclusione da ogni contesto sociale e il con­fino in un ambiente artificiale) e il tipo di livello dell'assistenza elargita sono direttamente re­sponsabili del grave deterioramento mentale e sociale che il ricoverato subisce durante la pro­pria degenza; in altre parole non solo non esi­stono reali possibilità di miglioramento, ma esiste il progressivo e costante sgretolamento della personalità man mano che si rimane rin­chiusi (...)».

 

Lo sfruttamento degli anziani

«(...) L'assistenza agli anziani costituisce un settore assai rilevante per l'istituto e per il qua­le i dirigenti dell'istituto stesso prevedono un mercato in espansione; e questo contro i vari discorsi che vengono fatti di una migliore assi­stenza come la prevenzione, l'assistenza domi­ciliare, ecc.; loro dicono che c'è una dilatazione delle domande di ricovero e affermano che questa è la realtà dei fatti e non considerano neppure le altre ipotesi.

È quindi importante vedere che cosa effetti­vamente l'istituto offre sotto la voce "assistenza agli anziani". Gli ospiti sono in qualche modo autosufficienti nella soddisfazione dei bisogni primari, sono spesso al culmine della carriera istituzionale o provengono dall'O.P.; ci sono poi degli anziani costretti a letto. Queste persone sono praticamente abbandonate a se stesse, salvo l'aspetto di una assistenza di sopravvi­venza, nutrimento, pulizia per lo più a ore fisse, salvo i paganti in proprio...».

 

Il collegamento con la Federazione Lavoratori Metalmeccanici

«(...) Mi sono avvicinata col consiglio di fab­brica dell'AGFA alla Sacra Famiglia proprio per la questione dei laboratori; come classe operaia abbiamo sempre saputo dell'esistenza degli ospizi e degli emarginati. Però, il muoversi con­cretamente per cambiare le cose passa certo attraverso la conoscenza un po' più diretta e chiara della realtà della situazione. Siamo en­trati abusivamente alla Sacra Famiglia; questo, secondo la direzione; con pieno diritto, secondo noi, non solo perché sussisteva il problema di posti di lavoro per dei lavoratori di una fab­brica metalmeccanica, ma anche perché ab­biamo scoperto che là dentro succedevano cose che era bene conoscessero i lavoratori ed i cit­tadini (...)».

 

 

(1) Cfr. Editoriale di Sapere, marzo 1974.

(2) Questa inchiesta di base è stata riportata in versione ridotta dalla rivista «Inchiesta».

 

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