Prospettive assistenziali, n. 28, ottobre-dicembre 1974

 

 

DOCUMENTI

 

L'INFORMAZIONE AL FIGLIO ADOTTIVO

 

 

Il libro «Alla ricerca delle origini» di John Triseliotis descrive le motivazioni che hanno spinto alcuni adottivi a cercare informazioni sulla loro nascita.

Gli adottati raccontano dei loro rapporti con la famiglia adottiva, la percezione di se stessi, quan­do e in che modo hanno saputo della loro adozio­ne, le reazioni suscitate dalle scoperte fatte, e alcuni incontri con i genitori biologici.

Lo studio si basa su un campione di 70 perso­ne (29 maschi e 41 femmine) che hanno chiesto all'anagrafe informazioni sulle loro origini (at­tualmente la Scozia e la Finlandia sono gli unici paesi dove una persona adottata, che abbia com­piuto i 17 anni, può chiedere questo tipo di in­formazioni). Queste persone sono state intervi­state dall'autore e i loro commenti sono stati re­gistrati e riportati nei libro.

L'età delle persone intervistate variava dai 17 ai 40 anni.

Nella maggior parte delle adozioni studiate è risultato che i rapporti con la famiglia adottiva non erano soddisfacenti, alcune testimonianze possono considerarsi dei casi limite. Questo ri­sultato ha permesso di focalizzare alcuni proble­mi particolari e studiarli più profondamente.

Le interviste sono state fatte in Scozia nel 1970, e bisogna quindi tener presente che le ado­zioni risalivano a molti anni prima, ad un'epoca cioè nella quale era di norma mantenere il più as­soluto riserbo sulle adozioni.

 

L'informazione sull'adozione

Un adottato. «Avevo 7 anni allora, e mia madre in un momento in cui era molto arrabbiata, mi disse che mi avrebbe rimandato da mia madre. Io non capivo di che cosa stesse parlando, ma in seguito notai che frasi simili diventavano sem­pre più frequenti; e io capii che mia madre non era mia madre, ma non ho mai osato chiedere chi fosse la «mia vera mamma».

 

Un altro caso. Il signor Stanton ha scoperto per caso la sua adozione all'età di 12 anni che non fu rivelata dai suoi genitori, ma non ne è ri­masto particolarmente sconvolto, né si è messo contro i suoi genitori. «Non importava, niente mi sembrava diverso da prima; non c'era differenza allora e neanche adesso. Io non ho detto ai miei quello che ho scoperto. Mio padre è morto, e mia madre probabilmente sente che io potrei risentir­ne se lei me lo dicesse. Forse pensa che io poi mi sentirei strano in mezzo ai miei parenti. Ov­viamente ha le sue ragioni per non volermelo di­re, e credo che in un caso come questo sia giu­sto lasciarla fare come vuole; e comunque come farei io andare a casa e dirle che ho trovato que­sto certificato anni fa e poi cercare di parlarne? È una cosa molto difficile da fare».

 

Informazione sui genitori

Donna sposata. Informazione alla vigilia dei matrimonio all'età di 21 anni. «Mi ha detto (mia madre) che ero una bastarda e che ero nata in casa di poveri. Se volevo avere delle informazioni sulla mia nascita potevo andare lì a chiederle. Qualche giorno dopo mio fratello James venne da me piangendo e mi disse che era solo «un adot­tivo» (qualcuno al bar gli aveva detto che era illegittimo e adottivo). Gli dissi che ero stata adottata anch'io. Sentivamo di non poterne parla­re con nessuno, nemmeno con nostra madre, co­sì abbiamo pianto abbracciati assieme».

 

Signorina Smith. Pensa di essere stata infor­mata all'età di 4 anni, al momento della intervista ne aveva 18. «Io ho saputo da sempre di essere stata adottata, e sono grata ai miei per avermelo detto. Non significava niente allora, tranne che ero diversa in qualche modo e questo mi faceva sentire buona e speciale. È solo negli ultimi anni che ho incominciato a capire la mia adozione e il suo significato. Non vado tanto d'accordo con i miei in questi ultimi tempi e questo mi ha fatto pensare molto alla mia adozione».

 

Che cosa è stato detto

Alcuni figli adottivi sono arrivati a collegare la loro immagine con il quadro cattivo dei genitori originari che gli era costantemente dato. La mag­gior parte credevano nella ereditarietà e crede­vano che la «cattiveria» dei loro genitori pote­va essere trasmessa da genitori a figli.

 

Una adottiva già sposata. «Mia madre e io non abbiamo mai avuto malto da dirci, ma quando si arrabbiava perché avevo sbagliato qualcosa dice­va delle cose che mi facevano veramente male. Cose che, mi sono accorta allora, ma ancor di più oggi, non si dicono ai bambini. Lei bestemmiava e mi chiamava bastarda e diceva che sarei diven­tata una prostituta come mia madre. Io ho cer­cato di stare attenta per far sì che i fatti non le dessero ragione, particolarmente perché non po­tevo che pensare che tutto si trasmette da madre a figlio. Adesso sono molto preoccupata per le mie figlie che si stanno avvicinando alla pubertà e cominciano a mostrare le ali. Spero che an­dranno per la strada giusta. Ma se andranno per quella sbagliata, io penserò che c'è qualcosa di ereditario. Devo affrontare i fatti, penso, e cerca­re di badare alle mie figlie con attenzione, ma la cosa è molto angosciosa».

 

Un altro caso. «Sono stato informato a 15 anni. Mia madre mi ha raccontato delle storie. Diceva che mia madre naturale era insegnante e mio pa­dre un uomo d'affari e, poiché non si potevano sposare, mi hanno abbandonato. Tutto questo non era vero. Di recente ho scoperto all'anagrafe che mia madre era soltanto una donna di servizio e non c'è neanche menzione di mio padre. A mio parere i miei genitori non avevano nessun motivo per dire bugie».

 

La percezione dei rapporti familiari

Una adottiva. Desidera cambiare cognome per non lasciare tracce della sua adozione. Attribui­sce la sua confusione e depressione a un'educa­zione «sterile». «Non erano quello che devono essere i genitori veri. Io non sono mai stata vici­no a loro e loro non mi incoraggiavano ad avvici­narmi. Erano delle persone molto controllate e mancava loro il calore umano. Non erano rigidi, solo che non avevano sentimenti. Non riuscivano a farti sentire che eri voluta e che c'era bisogno di te. Io credo adesso di essere diventata un po' come loro. Quando è morto mio padre io non riu­scivo a piangere. Non avevo nessun sentimento per lui e non ne ho nemmeno per mia madre. Non piangerei neanche se lei morisse domani».

 

Un adottivo. Giovane professionista della cui adozione è stato informato dai genitori all'età di 10 anni. «Mi facevano sentire accettato e non li ho mali pensati come genitori adottivi, ma solo come genitori. Non ho mai sentito la mancanza di un legame di sangue e ritengo di aver avuto una vita familiare soddisfacente. I parenti dei miei genitori sono i miei parenti e, quando pen­so ai genitori e ai parenti, non penso ai miei geni­tori di nascita, ma conoscere qualcosa sui miei ascendenti spero che mi aiuterà a completarmi».

 

Percezione di sé e identità

Adottiva di 26 anni. Desolata e depressa, cri­tica molto i genitori adottivi. «Non mi sento co­me una persona vera e sento di aver vissuto una menzogna. Mi metto davanti allo specchio e mi chiedo: Chi sono io? A chi appartengo? Delle vol­te vorrei non essere mai nata. Sento di aver bi­sogno di tutta una vita nuova, come se tutto fos­se stato una grande bugia. Poco dopo che ho scoperto di essere stata adottata, mi sono accorta che la gente adottata è una razza a parte. Quando l'ho detto al mio fidanzato la sua reazione è stata: Non so cosa diranno i miei. Sua madre ci teneva molto all'albero genealogico e anche alle classi sociali. Quando è nato mio figlio, mia suocera mi è venuta a trovare in ospedale e ha esclamato: Grazie a Dio assomiglia alla nostra famiglia! Io sapevo cosa lei voleva dire e questo mi ha molto offesa».

 

Un adottivo. Contento e soddisfatto della sua famiglia. «Io mi sentivo un po' diverso quando ero adolescente e non sapevo se era perché ero adottivo o no. Mi chiedevo se ero io ad essere strano. Per un po' di tempo la cosa mi ha molto preoccupato, perché non sapevo se quello che stavo provando, in particolare per quanto riguar­da il sesso, era normale. Non avevo nessuno con cui confrontare la mia esperienza. Mi sentivo un po' solo allora, ma la mia famiglia è stata pazien­te nei tempi in cui ero un po' difficile e quel pe­riodo mi servì per scoprire me stesso. Penso di aver scoperto me stesso e la mia famiglia in quel momento. Anche stare con altri ragazzi mi ha fat­to capire che i miei sentimenti non erano strani. Penso che tutte queste esperienze mi hanno aiu­tato a adattarmi».

 

La ricerca dei genitori d'origine

Un adottivo. Sente il desiderio di risalire all'al­bero genealogico. «Io ho saputo di essere adot­tivo a 5/6 anni, ma per quanto mi ricordo la cosa è stata discussa solo una o due volte. I miei era­no molto buoni, ma isolati. I parenti ci venivano a trovare di rado e noi non avevamo l'abitudine di andarli a trovare. I parenti dei miei non significa­vano niente per me, né io per loro. Quando avevo 15/16 anni ero molto curioso di sapere “chi ero io” e in particolare di sapere qualcosa sui miei genitori d'origine e le loro famiglie. In una fami­glia adottiva puoi risalire solo ai genitori e non altre, ma con i genitori d'origine ti viene la vo­glia di voler sapere di più».

 

Una ragazza adottiva di 17 anni. Attraversava un periodo molto difficile con i genitori, gli era ostile e cercava in tutti i modi di essere diversa. «Devo scoprire la mia origine, perché non ho niente in comune con i miei genitori e la gente dice che sono così forse a causa del mio “back­ground” originale. Sto pensando a queste cose da due anni e mi sento un po' strana con tutti. Nella casa dei miei tutto deve essere perfetto; mi sgridano se metto qualcosa nel posto sbaglia­to. A loro non piacciono i miei amici, pensano che sono degli sbandati. Io e i miei non andiamo d'ac­cordo. Fino a 5 mesi fa non potevo stare fuori ca­sa dopo le 10,30; non erano d'accordo sulla gen­te che frequentavo, ma io penso che avere degli amici vuol dire molto. Ho cercato di andare in­contro ai miei, ma loro si sono rifiutati di riceve­re i miei amici in casa. Adesso che sono via da casa andiamo più d'accordo. Mi hanno detto che se rifiuto di tornare in famiglia mi disconosceran­no legalmente. Non so come faranno, ma so che lo vogliono fare per poi adottare qualcun'altro. Io capisco il loro punto di vista. Vogliono avere an­cora una famiglia, ma non penso che adotteranno un'altra femmina. Tutto sommato dico che se qualcuno criticasse i miei, io potrei fare batta­glia per loro».

 

Speranze e aspettative

Adottiva già sposata. «Lei starà pensando a me e si chiederà cosa mi è successo. Devo tro­vare mia madre, quella che mi ha generato, e dar­le la possibilità di spiegare il perché mi ha ab­bandonato. Io sono una persona molto espansiva e spontanea e lei dovrebbe assomigliare a me. Da quando è morto mio padre io sento il bisogno di un'amicizia, di qualcuno a cui stare vicino. La gente dice che se una cosa non l'hai avuta non puoi nemmeno sentirne la mancanza. Nel mio caso non penso che sia vero. È difficile dire quel­lo che cerco io. È qualcosa che tu dentro di te lo sai, ma non riesci a dirlo. Penso che ambedue potremmo ottenere dei vantaggi, se lei volesse. Io sto cercando qualcosa per me stessa, ma que­sto potrebbe fare contenta anche lei. Lei avrà dei rimpianti. Io so che non potrei avere un bam­bino e poi non pensarci più. Avrà dei rimpianti e potrebbe essere molto doloroso per lei essere obbligata a ricordare. Ma io sento che se questa cosa non la faccio adesso, non la farò mai più e continuerà a vivere dentro di me per tutta la vita».

 

Una adottiva. Ora fa l'assistente sociale. Dice di aver avuto una famiglia soddisfacente, ma po­co disposta a parlare dell'adozione. «Io non vo­glio incontrarmi con mia madre d'origine perché non ho molti sentimenti per lei, visto che non l'ho mai conosciuta. Ma quando mi accorgo che non so a chi appartengo, da dove vengo e che tipo di gente erano i miei genitori d'origine, mi viene la curiosità di sapere qualcosa di più al loro riguardo. Io sono stata adottata molto pic­cola e non ho mai conosciuto nessuno all'infuori dei miei attuali genitori; quindi non ci si può aspettare che io abbia nostalgia dei miei geni­tori d'origine. Sento che c'è una parte di me che io non conosco e finché non riesco a saperne qualche cosa non sarò soddisfatta. Sapere po­trebbe aiutarmi a capire meglio me stessa e quindi anche a capire meglio gli altri».

 

La ricerca e dopo

Una adottiva già sposata. « La mia pelle scura mi fa chiedere da dove vengo. Adesso che ho vi­sto il cognome della mia madre d'origine sono quasi sicura di avere del sangue negro nelle ve­ne. I bambini a scuola mi chiamavano negretta e io ci soffrivo molto. Sento che la devo trovare per vedere che aspetto ha e per sapere chi era mio padre. Non che a me non piaccia la gente di colore, ma è difficile essere adottiva, illegitti­ma e di colore, in modo particolare perché io ho sempre pensato di essere scozzese».

 

Un altro caso. «I miei genitori mi hanno detto che i miei genitori d'origine erano morti. Io ades­so ho scoperto che mia madre non era sposata. Non c'era nessun motivo per loro di inventare questa storia da romanzo. Forse è difficile per loro rendersi conto che un bambino può meglio accettare una verità amara che non vedere la sua fiducia sconvolta quando è più grande».

 

L'incontro con i genitori d'origine

Un adottivo scapolo. Ha saputo della sua ado­zione a 18/19 anni. Ha avuto una buona famiglia adottiva. I genitori adottivi ora sono morti. Proba­bilmente era piuttosto dipendente dalla madre adottiva. «Poco dopo l'incontro con mia madre d'origine mi sentivo già fortemente deluso. Non aveva niente in comune con la madre adottiva cicciottella, estroversa e gioviale che io avevo avuto. Sembrava troppo riservata e non aveva nessun calore umano. I suoi capelli tinti e le un­ghie smaltate la facevano sembrare un po' volga­re e non mi piaceva. Però ero contento di incon­trarla e anche lei lo era. Mi ha detto che, quando ha saputo che io la volevo incontrare, non ha dor­mito per due notti perché suo marito non sapeva niente e lei non glielo poteva dire. Ci siamo ac­cordati di incontrarci ancora anche se io non ero tanto entusiasta. Non me la sentivo dopo il primo incontro di vederla ancora, quindi la seconda vol­ta non mi sono fatto vedere. Lei era una persona estranea per me e non significava niente. Ho sa­puto poi che era emigrata in Australia. Sono con­tento di averla incontrata e adesso non mi pongo più domande. Non penso più che il legame del sangue sia più forte di quello affettivo. Per me almeno non ha avuto nessun significato».

 

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