Prospettive assistenziali, n. 28, ottobre-dicembre
1974
NON SIAMO I SOLI A
DIRLO
IMPUTABILITÀ DEI MINORI
Riportiamo
le conclusioni di Fabio Canziani tratte dall'articolo «Aspetti psicologico-clinici
dell'imputabilità minorile» pubblicato da «Neuropsichiatria infantile», n. 153, marzo 1974.
Da questa sintetica analisi degli
aspetti psicologico-clinici della imputabilità
minorile ne conseguono alcune considerazioni conclusive:
1) non è possibile, in base alle
conoscenze psicologiche attuali, accettare che il ragazzo di 14 anni venga considerato in possesso di capacità di intendere e di
volere tali da permetterne una imputabilità ed una eventuale carcerazione;
2) non è possibile affermare, per le
considerazioni fatte, che prima del 17°-18° anno la sfera noetica,
emotiva ed affettiva siano evolute in modo soddisfacente;
3) le condizioni sfavorevoli di vita
possono indurre i ragazzi ad attuare, nella particolare fase evolutiva
dell'adolescenza, comportamenti dissociali che hanno soltanto un valore compensatorio;
4) gli atti dissociali vengono commessi contro terzi per lo più da soggetti delle
classi diseredate.
La conclusione in tema di imputabilità che si può quindi trarre è quella, già
prospettata da molti autori all'estero e in Italia tra gli altri da G. Canepa e E.
Valentini, di elevare il limite di imputabilità a 18
anni e di abbassare alla stessa età la capacità civile del minore. Non è
ammissibile che uno stesso ragazzo sia «maturo» ad
una certa età per rubare, ma non per ricevere ed amministrare un patrimonio. In
altri paesi d'altronde il codice è stato già modificato in questo senso. Se si
considerano, infatti, le età di imputabilità dei
ragazzi in 74 paesi tra quelli rappresentati all'ONU, si rileva come essa parta
dal:
15° anno
in 10 paesi
16° » » » »
17° » » » »
18° » » 31 »
oltre il 18° » » 6 »
e nella Comunità Europea:
in Danimarca 18 anni
in Francia 18 »
nel Lussemburgo 18 »
in Olanda 18 »
in Inghilterra 17 »
in Svezia 17 »
in Belgio 16 »
Bisogna, però, ammettere che gli
stessi legislatori italiani avevano sentito questa
difficoltà. Essi, infatti, hanno formulato l'art.
La giurisprudenza, quindi, conscia
della difficoltà di definire la maturità, suggerisce l'eventualità di una
perizia psicologica per ogni soggetto al di sotto del
18° anno, prima che avvenga la sua imputazione.
Oggi bisogna attuare una più chiara
soluzione del problema: elevare a 18 anni il limite di imputabilità.
Non modificare il codice in questo senso non sarebbe altro che utilizzarlo
contro i ragazzi diseredati che, come si è detto, maggiormente sono stimolati
in queste età ad attuare comportamenti dissociali
compensatori.
Naturalmente una soluzione come
quella proposta deve essere attuata creando contemporaneamente tutte le
necessarie misure preventive e di igiene mentale,
colpendo cioè i «mandanti» degli atti dissociali, ovvero la miseria, la
disarmonia familiare ecc., sia attraverso interventi risanatori, sia
attraverso la diffusione di centri specializzati come i «focolari di
semi-libertà», i «consultori familiari» ecc. che permettano un vero recupero
della gioventù dissociale.
Un altro problema importante da
prendere in esame è quello dell'assistenza domiciliare, che riguarda la vita
che l'anziano può e deve vivere in famiglia.
La tendenza generale nei vari Paesi,
oggi, è quella di favorire, mediante una ben coordinata azione assistenziale, la permanenza dell'anziano in una abitazione
indipendente, che stia però fra le tante altre normali e non sorga, ad esempio,
in una casa-albergo per vecchi, oppure, quando ciò non è possibile, presso il
suo gruppo familiare od anche presso un altro gruppo familiare (...).
Ma l'esperienza, che merita di essere
riportata, l'abbiamo riscontrata nel corso di una nostra ricerca a Colletorto, un comune di poco più di 3.000 abitanti, in
provincia di Campobasso.
Nell'ultimo cinquantennio nessun
vecchio è stato avviato all'ospizio e non solo perché i vecchi si oppongono
ostinatamente al ricovero in quanto esso rappresenta, nel detto popolare, il «luogo
dove si va a morire», o perché sarebbe un grave disonore familiare se si
permettesse il ricovero di un congiunto (il vecchio deve rimanere a casa, con i
suoi, fino alla morte), ma soprattutto perché, quando
un vecchio rimane solo, senza cioè nessuna persona di famiglia e questo capita
anche per la massiccia emigrazione che ha spopolato e continua a spopolare il
Comune, unitamente a tanti altri Comuni molisani, c'è sempre un'altra famiglia
che in cambio della pensione, del pezzettino di terra o della casupola, si
assume la responsabilità del «vecchio» alloggiandolo in casa o provvedendo, se
l'interessato non vuole abbandonare la propria abitazione, a tutto ciò che gli
può servire (vitto, pulizia, vestiario, ecc.). Ebbene
non è mai capitato che una famiglia abbia maltrattato un vecchio per
accelerarne la fine ed entrare così in possesso della sua proprietà. Sarebbe
stata segnata a dito ed esposta al disprezzo di tutti.
(da V. MASCIA, Problemi di assistenza, in Cooperazione Sociale, n. 17-18, 1974, p.
66 e segg.)
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