Prospettive assistenziali, n. 29, gennaio-marzo 1975

 

 

NON SIAMO I SOLI A DIRLO

 

 

INSERIMENTO DEI SORDI NELLA SCUOLA NORMALE

 

È fuori discussione ormai, e molti centri stanno portando avanti questi fondamentali concetti da alcuni anni, che il sordo deve fare la vita degli altri bambini in famiglia, alla scuola materna, alla scuola elementare di tutti, nella vita, fuori da qualsiasi struttura chiusa.

Oltre alle precedenti affermazioni circa le necessità che l'handicappato resti nel contesto sociale, il minorato dell'udito trae solo dall'ambiente par­lante la motivazione a far uso di quel codice che gli viene insegnato con tanta fatica e ad uscire dal suo forzato isolamento, frutto di secoli di esclusione.

È elemento di inganno più o meno cosciente far credere nell'utilità di una terapia del linguaggio intesa come stimolazione passiva, staccata da contenuti reali, da situazioni spontanee, emotivamente vissute. L'espres­sività nell'ambito degli esclusi inaridisce, si spegne proprio perché priva di intenzionalità e perché carente di relazione con l'altro dal momento che il bambino sordo non coglie nell'interlocutore, sordo pur esso, l'effetto di ciò che ha voluto dire: di conseguenza anche il pensiero non è messo in condizione di maturare.

I risultati di un lavoro liberatorio fuori delle istituzioni sono all'inizio lenti, faticosi, ma costanti e progressivi; poi ad un certo momento diventano strabilianti sotto l'aspetto della spontaneità delle espressioni verbali, che i bambini usano a scuola e in famiglia (...).

Si può concludere che per aiutare un bambino occorre rispettare la sua personalità, maturarla con interventi opportuni ma non troppo forzati, risol­vere gradualmente i suoi problemi, verificando la dinamica delle reazioni del suo comportamento nelle inevitabili contraddizioni degli incontri e scon­tri quotidiani come per qualsiasi altro essere umano, che deve crescere soprattutto socialmente.

Mettergli un'etichetta quale «minorato sensoriale» o «psichico», «caratteriale», «alunno difficile», ecc. e inviarlo nelle cosiddette strutture specializzate significa investirlo del ruolo del «diverso» e avviarlo assai presto verso quella che taluni autori con ragione chiamano «la carriera della devianza».

 

da ELENA FRANCO, Un centro audiofoniatrico con moderni orientamenti, in Sentiamo, n. 18, ottobre 1974.

 

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