Prospettive assistenziali, n. 29, gennaio-marzo 1975

 

 

NOTIZIARIO DELL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMIGLIE ADOTTIVE E AFFIDATARIE

 

 

ELETTORATO ATTIVO E PASSIVO DEGLI ORGANI COLLEGIALI DELLA SCUOLA

 

L'ANFAA ha inviato sull'argomento una lettera al Ministro della pub­blica istruzione chiedendo che agli affidatari venisse riconosciuto il diritto di partecipare agli organi collegiali della scuola. In questo senso hanno preso posizione alcuni tribunali per i minorenni e riportiamo la nota del Presidente del Tribunale per i minorenni dell'Emilia-Romagna.

 

Il problema prospettato da codesta associazio­ne deve trovare quella soluzione che agevoli al massimo la partecipazione alla comunità scola­stica anche di quei soggetti che hanno effettiva cura degli alunni nel particolare rapporto con la scuola.

Com'è noto, l'art. 19 D.P.R. 31-5-1974, n. 416, stabilisce che l'elettorato attivo e passivo dei rappresentanti dei genitori negli organi collegiali spetta «ai genitori degli alunni, o a chi ne fa legalmente le veci».

In pratica, possono verificarsi i seguenti casi:

a) pur esistendo un genitore titolare della patria potestà l'alunno viva lontano da lui;

b) pur esistendo un provvedimento di deca­denza dalla patria potestà e l'apertura della tu­tela, l'alunno viva lontano dal tutore.

Le ragioni di tali situazioni possono essere le più varie, non ultima ad esempio quella che la scuola (di regola media superiore) sia in luogo diverso da quello di residenza ed il minore sia affidato di fatto, per la necessaria assiduità della frequenza, a parenti, istituti, comunità alloggio, ecc.

In questi casi si determina una scissione tra titolarità della patria potestà ed esercizio di fat­to della funzione educativa.

Si tratta, perciò, di stabilire se l'espressione «chi ne fa legalmente le veci» riguardi unica­mente il genitore o il tutore (indipendentemente dall'esercizio della funzione educativa) oppure colui o coloro che in concreto svolgono quella funzione ed assumano nei confronti del minore un ruolo «lato sensu» parentale, ancorché privi di formale investitura giudiziaria. Ora, l'interpre­tazione più corretta deve ritenersi la seconda siccome più aderente allo spirito dell'intera nor­mativa, che regola la materia degli organi colle­giali della scuola nell'attuale contesto sociale.

Anzitutto la legge non solo non ignora, ma, an­zi, prevede e disciplina espressamente ipotesi in cui alla titolarità della patria potestà non cor­risponde in concreto l'allevamento e la cura del minore ossia la funzione educativa. Ciò si verifi­ca, ad esempio, nel periodo triennale che precede l'affiliazione (art. 404 cod. civ.), nella fase di affi­damento preadottivo (art. 314/20 cod. civ.), nel caso di minori ricoverati in istituti assistenziali, nel caso in cui i figli siano affidati alla madre in sede di separazione personale e di divorzio: in tutte queste ipotesi, pur esistendo un soggetto titolare della patria potestà o della tutela, l'eser­cizio di queste (e in particolare quel suo peculia­re aspetto che suol definirsi come funzione edu­cativa) deve necessariamente ritenersi assunto ed esercitato legalmente, cioè lecitamente, da un soggetto diverso sebbene senza apposito provvedimento dell'autorità giudiziaria. Inoltre, l'art. 1 citato D.P.R. che costituisce in certo senso una dichiarazione di principi con ovvie implica­zioni ermeneutiche per le altre norme, proclama che gli organi collegiali sono istituiti al fine di realizzare la partecipazione delle previste com­ponenti alla gestione della scuola, dando ad essa il carattere di una comunità sociale e civica. È una impostazione di fondo che ha chiaramente riguardo a situazioni sostanziali e non già mera­mente formalistiche. Ne deriva a fil di logica che per l'attribuzione del diritto di elettorato è suffi­ciente l'esercizio effettivo e concreto della fun­zione educativa, ove questa non coincide con la titolarità della patria potestà o della tutela.

È innegabile che chi svolge di fatto quella fun­zione è per ciò stesso interessato all'attività della scuola e, quindi, è corretto affermare che ha diritto di partecipare alla sua gestione nelle forme e nei limiti stabiliti dal D.P.R. Del resto non è senza significato in proposito che, anche nella pratica quotidiana, i rapporti con la scuola vengano tradizionalmente mantenuti da chi cura di fatto l'alunno, come ad esempio, per la giusti­ficazione delle assenze, colloqui periodici, firma della pagella, ecc.; l'art. 19, in sostanza, non si riferisce all'aspetto «esterno» della patria po­testà, bensì all'aspetto cosiddetto «interno» sic­ché l'avverbio «legalmente» va inteso nel senso più logico di «legittimamente», ossia non abu­sivamente. Altrimenti il legislatore, in luogo del­la tradizionale espressione «che ne fa le veci», avrebbe usata quella tecnicamente più appropria­ta sul piano giuridico «chi ha la legale rappre­sentanza del minore», la quale soltanto potrebbe giustificare l'interpretazione rigoristica, che, vi­ceversa, ne risulta palesemente ripudiata.

È, perciò, conseguenziale la conclusione che il direttore e il preside, nell'esercizio delle funzio­ni di accertamento ad essi attribuite dal punto b) n. 2 dell'ordinanza ministeriale 14-11-1974, deb­bano tener presente situazioni sostanziali e non meramente formali, ammettendo all'elettorato quelle persone che, nonostante l'esistenza di genitori o tutori per varie ragioni impediti o col­pevolmente indifferenti, hanno cura dell'alunno e si occupano della sua educazione in modo conti­nuativo e stabile. In tal modo, si avrebbe altresì l'effetto positivo di evitare irragionevoli e dan­nose discriminazioni in danno di alunni in parti­colari condizioni familiari.

Per quanto riguarda minori ricoverati in istituti di assistenza è logico che dovrà essere ammesso all'elettorato un rappresentante dell'istituto cui è affidato l'alunno e ciò anche indipendentemente dal ricorso agli art. 402 e 354 cod. civ.

Naturalmente, l'interpretazione qui prospettata non vincola l'autorità scolastica, che può a suo giudizio, pervenire a diverse conclusioni, salvo ricorso nella sede competente da parte degli in­teressati.

22 gennaio 1975

Il Presidente del Tribunale per i minorenni dell'Emilia-Romagna

(DR. ITALO D'ABBIERO)

 

 

UN TUTORE IMPEGNATO A FIANCO DI OGNI MI­NORE ABBANDONATO (1)

 

Ogni persona incapace di provvedere a se stessa (minore, malato di mente, anziano, handi­cappato), quando non sia assistito dai genitori o da altri congiunti, deve avere al suo fianco una persona che lo assista e possibilmente lo aiuti a diventare responsabile e indipendente. È questa la funzione della tutela regolata dall'articolo 343 e seguenti del codice civile.

In realtà la tutela si riduce per lo più all'adem­pimento di mere formalità prescritte dalla legge e raramente soddisfa le effettive esigenze dell'incapace.

Nel caso dei minori abbandonati la tutela non soddisfa i loro bisogni soprattutto per le seguen­ti ragioni:

1) a norma dell'art. 357 del codice civile «il tutore ha la cura della persona», ma l'interpre­tazione e la prassi applicativa di tale disposi­zione è nel senso di amministrare l'eventuale pa­trimonio dell'incapace e di vigilare affinché gli enti di assistenza prestino all'incapace l'indi­spensabile (vitto e alloggio) per sopravvivere;

2) l'organo pubblico competente per la nomina del tutore e per il controllo della sua attività (il giudice tutelare) non è fornito di strumenti ido­nei (personale specializzato e mezzi) per reperire tutti i casi di minori privi di assistenza (l'art. 314/5 del codice civile, che prevede l'obbligo di comunicare al giudice tutelare i nominativi dei minori abbandonati o ricoverati negli istituti di assistenza, è spesso disapplicato);

3) il giudice tutelare normalmente sceglie il tutore fra un ristretto numero di persone (diret­tore dell'istituto di assistenza, presidente dell'ente erogatore dell'assistenza, assistente so­ciale alle dipendenze dell'ente), cioè tra le per­sone che per ragioni professionali seguono o do­vrebbero seguire il minore. Esse diventano tutrici di decine di minori e non sono perciò in grado di svolgere adeguatamente il loro compito.

Per ovviare a tali inconvenienti è necessario:

a) intervenire presso gli organi pubblici re­sponsabili (giudici tutelari, operatori sociali) e presso l'opinione pubblica, suggerendo eventual­mente qualche modifica delle norme di legge (che peraltro non sembra indispensabile), affin­ché fa «cura della persona», indicata dall'art. 357 del codice civile come compito del tutore, sia in­terpretata e attuata nel senso più completo di soddisfare le primarie esigenze del minore, e quindi principalmente di agire per inserire il mi­nore in una famiglia disposta ad accoglierlo o in un ambiente simile a quello familiare (focolare, comunità alloggio), in quanto il ricovero in isti­tuto è notoriamente una fucina di disadattamento e d'infelicità;

b) agire per ottenere una ristrutturazione e un potenziamento degli uffici del giudice tutelare (riproponendo l'approvazione di vecchie propo­ste di legge sull'argomento), in modo che siano individuati facilmente tutti i minori in stato di abbandono;

c) con un'idonea propaganda presso l'opinio­ne pubblica e con l'intervento presso i giudici tutelari organizzare gruppi di persane sensibili ai problemi dei minori disposte ad accettare disinteressatamente una o poche tutele col preci­puo compito di: a) accertare la reale situazione del minore con particolare riguardo ai suoi rap­porti con la famiglia d'origine; b) se possibile e se ciò risponde all'interesse del minore, respon­sabilizzare la famiglia d'origine e aiutarla a pren­dere con sé il minore; c) cercare di avviare il minore all'adozione, chiedendo l'attuazione delle norme di legge; o comunque di dare al minore la migliore sistemazione possibile (affidamento fa­miliare, inserimento in un focolare o in una co­munità alloggio) per favorire il suo sviluppo psi­co-affettivo.

Le persone disposte ad accettare la tutela do­vranno essere indipendenti rispetto all'istituto ricoverante o all'ente che eroga l'assistenza, per­ché spesso l'interesse del minore è in conflitto con le esigenze di funzionalità dell'istituto o dell'ente. Inoltre dovranno impegnarsi a soddisfare esclusivamente le esigenze del minore, evitando possibilmente di stringere con lui legami affet­tivi che, se temporanei, potrebbero provocare al minore gravi traumi; se definitivi, potrebbero im­pedire al minore una migliore sistemazione in seno ad una famiglia.

I gruppi di aspiranti tutori potrebbero costitui­re un elemento propulsore per l'istituzione di un sistema assistenziale incentrato sull'affidamento familiare in luogo di quello attuale incentrato sul ricovero in istituto (2).

 

 

 

(1) Nota della Sezione Veneta.

(2) La Sezione Veneta dell'ANFAA organizzerà: incontri, conferenze ed altre manifestazioni per sensibilizzare l'opi­nione pubblica a tale problema; dopodiché verrà costituito un gruppo di aspiranti tutori che, avvalendosi della collabora­zione di giuristi ed operatori sociali porterà avanti una concreta azione in difesa di quanti non sono in grado di provvedere a se stessi.

 

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