Prospettive assistenziali, n. 29, gennaio-marzo 1975

 

 

SPECCHIO NERO

 

 

PROMOZIONE: MUOVERE PRO ISTITUTI

(da un convegno delle Caritas diocesane)

 

Alice rimasta pensosa chiese se fosse possibile alla stessa parola dare significato di­verso. Rispose allora Humpty Dumpty: la questione è sapere chi sarà il padrone.

Da Alice nel paese delle meraviglie (Lewis Carrol, Principato)

 

Sul tema «Caritas e promozione umana» si è tenuto a Roma nei primi di settembre 1974 un convegno delle Caritas diocesane. Nel darcene notizia la rivista Insieme n. 10/74 così commenta: «Il contenuto che sembra più pacifico nel termine promozione è il significato letterale muovere pro cioè fare un passo avanti, crescere, svilupparsi. Il vocabolo richiama istin­tivamente l'immagine del bambino che allunga i primi passi vacillanti in­contro alla mamma che lo invita; oppure quello del fanciullo che al termine dell'anno scolastico viene riconosciuto idoneo ad affrontare fatiche supe­riori. O infine quello dell'apprendista al quale si riconosce l'idoneità a svolgere un lavoro, senza più il sostegno vigile del mastro d'opera ». Piacevoli o amare facezie, arcadia rasserenante, se, sotto la solita insidiosa retorica dell'amor materno, dell'infallibile intuito educativo del maestro, del lavoro svolto con serenità ed amore non ci trovassimo la copertura di un consapevole o inconsapevole orientamento reazionario che vuole affidati al­la famiglia, alla scuola, al lavoro la trasmissione dei valori di una classe (1).

Crediamo infatti che parlare in Italia di «maestro che premia nel fan­ciullo la costanza di volontà e la capacità dimostrata nell'anno scolastico» sia una farsa in una scuola che lascia più di un terzo degli allievi (il 35%) senza aver conseguito il diploma previsto dalle leggi della scuola dell'ob­bligo (2). E con lo scontro sociale aperto nel paese, parlare di «mastro d'opera che riconosce nell'apprendista la capacità creativa o almeno abilità operativa» ci pare un linguaggio almeno desueto.

Ma torniamo alla cronaca del convegno. Ci riferisce l'articolista della presenza di gruppi che «hanno toccato più o meno tutte le categorie di bisogni coperti dalla geografia assistenziale». Baraccati, zingari, prostitute, handicappati e drogati, carcerati e minori abbandonati, sono stati visti come «categorie di bisogni». Lasciato a monte il grave problema del manteni­mento dei livelli di occupazione, dell'agricoltura abbandonata, della immi­grazione inassistita si è approdati ad una sola conclusione: «tutti gli scogli si superano con le istituzioni assistenziali: luogo di promozione umana». Non c'è che dire. Con un linguaggio pedagogico e pseudo progressista ci si appella al rispetto reciproco e alla convivenza serena, ma la risposta va sempre nella direzione conservatrice voluta. Allontanate e nascoste le reali responsabilità politiche sociali ed economiche (e quindi le soluzioni dei problemi), l'istituto di assistenza continuerà ad essere il luogo «di promo­zione umana» purché si parli non più di istituti per loro ma di loro istituti. Così con la «copertura di bisogni» ancora una volta si camuffano opera­zioni che hanno tutt'altro significato politico-sociale, e si spaccia per carità del Cristo quel comportamento che «beneficando» in realtà sottolinea e rinforza le differenze tra individuo ed individuo.

 

 

 

(1) «Il bambino riceve, durante il processo di socializzazione primaria modelli lin­guistici diversi secondo la classe sociale di provenienza» (Luigi Cancrini, Bambini diversi a scuola, Boringhieri).

(2) Dati Istat, elaborati da Brichetti e Saba, I giovani.

 

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