Prospettive assistenziali, n. 29 bis, gennaio-marzo 1975

 

 

LA NOSTRA POSIZIONE IN MERITO ALLA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE

 

 

1. Premessa

Non solo diamo la piena adesione alla proposta di legge di iniziativa popolare «Competenze re­gionali in materia di servizi sociali e scioglimen­to degli enti assistenziali» ma ci impegniamo a partecipare attivamente alla campagna per la rac­colta delle firme e a promuovere le iniziative ne­cessarie per la piena riuscita dell'iniziativa.

La situazione nel campo dell'assistenza si fa di giorno in giorno più preoccupante ed i vari cen­tri di potere si sono organizzati per evitare qual­siasi cambiamento che possa portare alla ridu­zione del numero degli assistiti e dei ricoverati.

Anzi, dove è stato possibile, questi gruppi di potere hanno ottenuto massicci finanziamenti per costruire nuovi istituti e per accrescere il potere di enti parassitari come ECA, IPAB, istituzioni private.

Vi sono, è vero, iniziative alternative quali la deistituzionalizzazione dei ricoverati negli ospe­dali psichiatrici e negli istituti di ricovero, l'inse­rimento degli handicappati nella scuola comune, la creazione di servizi di assistenza domiciliare, l'istituzione di comunità alloggio e di affidamenti familiari a scopo educativo, l'erogazione di con­tributi economici sostitutivi dei ricoveri, l'asse­gnazione di alloggi.

Ma queste iniziative positive, attuate special­mente da Comuni di sinistra, si stanno scontran­do con la pletora di enti pubblici nazionali (ONMI, ENAOLI, ONPI, ecc.) e locali (ECA, IPAB, Patro­nati scolastici) che fra l'altro trovano comodo che le iniziative dei Comuni riducano il numero delle persone che gli enti dovrebbero assistere, dando agli enti stessi la possibilità di utilizzare i milioni risparmiati per allargare il campo delle loro attività clientelari e pertanto il proprio po­tere.

 

2. Situazione parlamentare

Sono giacenti le seguenti proposte di legge:

1) n. 142 presentata alla Camera dei Deputati il 30-5-1972 dagli On. Signorile e Magnani Noya del PSI;

2) n. 425 presentata alla Camera dei Deputati il 7-7-1972 dall'On. Lodi Faustini e altri parlamen­tari del PCI;

3) n. 1609 presentata alla Camera dei Depu­tati l'1-2-1973 dall'On. Foschi e da altri parlamen­tari della D.C. (una proposta identica è stata pre­sentata al Senato il 12-2-1973, n. 830, dalla Sen. Falcucci e da altri parlamentari della D.C.);

4) n. 1674 presentata alla Camera dei Deputati il 15-2-1973 dall'On. Artali del PSI (una proposta identica è stata presentata al Senato dal Sen. Signorello della D.C. il 7-2-1973).

Le suddette proposte di legge sono state pub­blicate sui numeri 20 e 23 di Prospettive assi­stenziali e sono riportate in questo numero.

I principi ispiratori delle prime due proposte di legge coincidono con quelli della proposta di leg­ge di iniziativa popolare; la proposta di legge Foschi-Falcucci ha invece lo scopo di potenziare l'assistenza degli enti privati e di mantenere il settore assistenziale separato dagli altri settori sociali impedendo in tal modo il superamento di un'assistenza emarginante; la proposta di legge Artali-Signorello ha invece lo scopo di aumenta­re i poteri degli ECA che vengono a cambiare so­lo il loro nome in quello di Centri di assistenza sociale.

Le proposte di legge sono da oltre due anni all'esame di un Comitato ristretto istituito pres­so la Commissione interni della Camera dei De­putati, ma i lavori non vanno avanti in quanto la DC si oppone alla soppressione degli enti nazio­nali, delle IPAB, vuol valorizzare l'assistenza de­gli enti privati e vuole che l'unità locale dei ser­vizi sociali sia una struttura distinta dall'unità sanitaria locale e dagli altri servizi di base (pa­rascolastici, abitativi, ricreativi, ecc.).

In questa situazione solo un'ampia mobilitazio­ne di base può creare le condizioni perché la DC sia costretta ad approvare la riforma dell'assi­stenza.

 

3. Scopi della proposta di legge di iniziativa po­polare

La proposta di legge viene presentata con ini­ziativa popolare allo scopo di:

- informare l'opinione pubblica sulla reale si­tuazione esistente nel settore dell'assistenza so­ciale;

- creare o almeno favorire la creazione di un movimento sull'assistenza;

- collegare le numerose iniziative alternative all'emarginazione che sono operanti e stabilire un rapporto reale fra queste iniziative specifiche ed i problemi generali relativi alle riforme dell'assistenza, della sanità, della scuola, della ca­sa, ecc.;

- premere sulle forze del Parlamento e del Governo che da anni impediscono la riforma dell'assistenza affinché essa sia sollecitamente ap­provata.

Va precisato che l'attuazione di quanto previ­sto dalla presente proposta di legge non solo non costa una lira, ma consente, mantenendo inalte­rata la spesa attuale, un notevole miglioramento della situazione delle persone oggi assistite. Consente in particolare di avviare decisamente un processo per far uscire dal settore dell'assi­stenza, e cioè da una situazione di emarginazio­ne, decine di migliaia di persone.

 

4. Che cosa è l'assistenza

Al di là delle affermazioni e giustificazioni di comodo, l'assistenza è:

- uno strumento di sottogoverno. Infatti gli enti, organi ed uffici di assistenza raggiungono l'incredibile cifra di 62.800 e la spesa totale, escluse le pensioni, è di 1.500 miliardi;

- uno strumento di segregazione. I ricove­rati negli istituti di cosiddetta assistenza sono 340.000, ai quali occorre aggiungere le decine di migliaia di persone rinchiuse in ospedali psichia­trici;

- uno strumento per carpire voti, come risulta dall'esame dei seggi elettorali interni degli isti­tuti;

- uno strumento di potere economico, come risulta dai patrimoni, spesso imponenti, degli en­ti e istituti di assistenza;

- un freno alle riforme della casa, della scuo­la, della sanità, dell'organizzazione del lavoro, delle pensioni, ecc. Vanno a finire infatti nell'as­sistenza fra gli altri:

- i disoccupati ed i sottoccupati;

- gli ex lavoratori con pensioni insufficienti;

- i ragazzi respinti dalla scuola perché « incapa­ci » o perché disadattati o perché handicap­pati;

- le persone aventi malattie che sono dichiarate, spesso arbitrariamente, come croniche;

- le famiglie prive di casa e che non sono in grado di pagare gli alti affitti della speculazio­ne privata.

 

5. Numero degli enti, organi e uffici di assistenza

    8.050   Enti comunali di assistenza (ECA): uno in ogni comune;

    7.038   Patronati scolastici (stima);

        94   Comitati provinciali di patronati scola­stici;

    8.050   Comitati comunali dell'ONMI (uno in ogni comune);

        95   Comitati provinciali ONMI più la sede na­zionale;

    8.050   Comuni;

        14   Ministeri (tutti, compresa la Presidenza del Consiglio dei Ministri, si occupano di assistenza);

        20   Assessorati regionali all'assistenza; 94 Assessorati provinciali all'assistenza;

        94   Uffici di assistenza presso le prefetture;

        94   Comitati provinciali di assistenza e bene­ficenza pubblica;

        95   Uffici provinciali dell'A.A.I. (Amministra­zione per le attività assistenziali italiane e internazionali) più la sede nazionale;

        95   Sedi provinciali del Commissariato Gio­ventù italiana (ex GIL) più la sede nazio­nale;

        95   Sedi provinciali dell'Ente nazionale per la protezione morale del fanciullo più la se­de nazionale;

    2.375   (stima) Sedi provinciali e nazionali dei 25 enti nazionali per gli orfani e assimilati;

       142   Case di rieducazione, riformatori, uffici distrettuali di servizio sociale;

       154   Consigli di patronato per i liberati del car­cere e per l'assistenza alle famiglie dei detenuti;

    9.407   Istituzioni pubbliche di assistenza e be­neficenza (IPAB), le ex opere pie;

    5.718   Centri assistenza dipendenti da enti pub­blici;

  13.027   Istituzioni caritative ed assistenziali ope­ranti nella sfera d'azione della Chiesa cat­tolica o istituzioni private.

  62.801   Totale enti (salvo le inevitabili dimenti­canze).

 

6. Numero degli assistiti e spesa media giorna­liera

È impossibile calcolare il numero degli assi­stiti anche perché essi variano in base alle ma­novre clientelari degli enti.

Riferiamo solo quelle degli enti più importanti per dimostrare a quale punto, sotto il profilo nu­merico, sia arrivato il settore assistenziale come sistema di sottogoverno.

1.891.070 sono gli iscritti negli elenchi dei co­muni per l'assistenza gratuita;

1.618.000 sono gli assistiti dagli E.C.A.;

2.038.489 sono gli assistiti dai patronati scola­stici;

1.470.653 sono gli assistiti dall'ONMI;

1.243.522 sono gli assistiti dall'AAI;

404.348 sono gli assistiti dalle province.

8.666.082 Totale assistiti dai sei organismi più importanti.

È evidente che molti sono gli enti che inter­vengono sugli stessi soggetti a causa delle spe­cifiche competenze. Ma è anche vero che il nu­mero degli assistiti è esageratamente gonfiato dal clientelismo dell'attuale organizzazione assi­stenziale.

Fra le varie forme di intervento, quello ancora prevalente è il ricovero in istituti a carattere di internato.

I ricoverati nel 1970 erano 340.532, così ripar­titi:

149.619 minori normali;

9.980 handicappati sensoriali;

6.023 handicappati fisici;

24.756 handicappati psichici;

126.017 anziani poveri;

24.137 ricoverati di altre categorie.

A queste persone occorre aggiungere i ricove­rati nei manicomi (circa un terzo dei soggetti sono anziani privi di qualsiasi disturbo mentale) ed i minori rinchiusi nei riformatori, nelle case di rieducazione e negli istituti di osservazione (l'intervento rieducativo spesso viene preso dai tribunali per i minorenni per le carenze degli enti assistenziali).

Il ricovero in istituto di minori, anziani e han­dicappati spesso assume le caratteristiche di una vera e propria deportazione, in quanto i sog­getti sono inviati in istituti distanti centinaia di chilometri dal luogo di origine.

La spesa media giornaliera per assistito dimo­stra chiaramente la caratteristica parassitaria de­gli enti.

I patronati scolastici hanno speso nel 1970 30.831.000.000 ed hanno assistito 2.038.489 ra­gazzi. La spesa media per ragazzo è stata per­tanto di L. 41 al giorno.

Gli enti comunali di assistenza hanno assistito nel 1970 1.618.000 persone con una spesa di 37 miliardi 652 milioni di cui 10 miliardi 831 milioni per spese di amministrazione. Ogni assistito per­tanto ha ricevuto in media L. 45 al giorno.

 

7. Proprietà degli enti di assistenza

È quasi sempre estremamente difficile accer­tare quali e quante sono le proprietà degli enti assistenziali pubblici e privati perché essi in ge­nere si servono di prestanomi.

Ad esempio l'ONMI ha recentemente acquista­to a Moncalieri delle case a mezzo della sua rappresentante «Società generale immobiliare di lavori di utilità pubblica ed agricola».

Le proprietà dell'istituto di riposo «Poveri vec­chi» di Torino ammontano a oltre 50 miliardi e sono rappresentate, oltre che dall'istituto per 1000 anziani sito in Corso Unione Sovietica 220, dal fabbricato del pensionato «Buon Riposo» di Via S. Marino, da due fabbricati in costruzione sempre in Via San Marino, dal terreno circostan­te (che comprende campi di calcio per allena­menti affittati alla Juventus), anche da 2.300 vani di case di civile abitazione e di lusso in varie zone di Torino e Provincia. Grosse proprietà so­no state accertate nel corso di molti procedimen­ti penali a carico dei dirigenti di istituti.

Nella sentenza emessa il 9-10-1971 dal Pretore Palmisano di Torino è scritto: «L'ascesa econo­mica della Città dei Ragazzi appare "miracolosa". Dalle due stanze del Regio Parco del 1949 è dive­nuta proprietaria di un intero villaggio in Sassi, che si sviluppa su una notevole estensione di terreno, con molteplici padiglioni per dormitori e per laboratori, con colonia agricola, scuole, chie­sa, campo sportivo, piscina, palestra. Stipula convenzioni col Comune, con le quali - dietro corrispettivo economico - accoglie nei suoi edi­fici, che ospitano scuole pubbliche, i ragazzi del quartiere.

«Parimenti notevole è stato lo sviluppo del Santo Natale che ha esteso la sua attività in 40 case sparse nelle diocesi di Torino, Milano, Novara, Bergamo, Pinerolo, Vercelli, Ivrea e Mon­dovì, ove possiede beni immobili. Ha anche una casa al mare a Cesenatico e case per villeggia­tura a Ressago ed Usseglio.

«I risultati economici conseguiti dai predetti istituti indicano a sufficienza che gli stessi dall'attività svolta hanno conseguito un "profitto"».

Nella sentenza del Pretore Paone di Ronciglio­ne è scritto che gli elementi raccolti «dimostra­no invece non solo lo scopo, ma l'effettivo con­seguimento di un lucro. Il grande divario, evidenziato dalla perizia contabile, tra le entrate e le uscite accertate (S. Vincenzo L. 814.859.729 di entrate e L. 8.191.786 di uscite; l'Assunta lire 842.062.765 di entrate e L. 2.071.410 di uscite); il patrimonio accumulato di L. 1.213.800.000 (vedi perizie S. Vincenzo pag. 19 punto 17); l'entità delle rette corrisposte dai privati e che a volte venivano ad integrare quelle versate da enti pub­blici (vedi col. V), il possesso di una florida azien­da agricola (132 ettari di terreno, 180 bovini, 70 suini, 6 cavalli, 2.000 polli, trattori, macchine, ecc.): sono tutti elementi dai quali è lecito de­sumere come nel complesso l'attività esercitata dai due Istituti fosse redditizia».

Notevoli proprietà e lucrosi profitti furono pu­re accertati nel processo alla Pagliuca e negli altri raccolti nel libro Il Paese dei celestini, Ed. Einaudi, 1973.

Dunque l'attività assistenziale non solo è un centro potente di sottogoverno, ma anche una vera e propria attività commerciale che consente grossi profitti.

 

8. Dati elettorali negli istituti

Dati elettorali sono stati raccolti nelle cabine interne del Cottolengo di Torino e in altri istituti della città (Istituto di riposo di corso Unione So­vietica e di Corso Casale, Convalescenziario Crocetta, Convitto Vedove e nubili, Istituto San Salvario, Istituto piccole suore serve dei poveri). Essi sono confrontati con quelli complessivi del­la città di Torino.

 

Elezioni per la Camera dei deputati del 7 maggio 1972

 

PARTITI

Voti complessivi città di Torino

Seggi interni Cottolengo

Seggi interni altri istituti

 

voti

%

voti

%

voti

%

P.C.I.

D.C.

P.S.I.

241.344

218.313

75.356

30,5

27,6

9,5

32

2.818

9

1,1

96,6

0,34

335

2.015

104

11,1

67,1

3,4

 

Elezioni Consiglio regionale piemontese del 4 luglio 1970

 

PARTITI

Voti complessivi città di Torino

Seggi interni Cottolengo

Seggi interni altri istituti

 

voti

%

voti

%

voti

%

P.C.I.

D.C.

P.S.I.

224.578

205.310

74.772

29,7

27,1

9,9

28

2.584

5

1,1

97,5

0,2

311

1.991

94

10,9

68,-

3,3

 

Risultati analoghi sono stati accertati per le elezioni comunali e provinciali del 7 giugno 1970.

Un dato importante è quello del raffronto fra i voti di lista e le preferenze ottenuti dalla D.C. in Torino città e nei seggi interni del Cottolengo.

 

ELEZIONI

TORINO CITTÀ

COTTOLENGO

 

Voti

di lista

 

Preferenze

Rapporti fra voti di lista e preferenze

Voti

di lista

 

Preferenze

Rapporti fra voti di lista e preferenze

Politiche del 7-5-1972

Regionali del 7-6-1970

Comunali del 7-6-1970

8.313

205.310

211.419

214.879

103.489

201.729

98%

49%

95%

2.818

2.584

2.994

5.939

4.146

7.221

210%

161%

241%

 

Risulta pertanto che la politicizzazione dei ri­coverati nel Cottolengo è di gran lunga superiore a quelle dei cittadini di Torino!

Altro dato interessante è quello relativo al re­ferendum del 12 maggio 1974.

I dati relativi alla città di Torino sono stati 79,1% per il no e 20,9% per il sì; quelli del Cot­tolengo 7% per il no e 93% per il sì.

 

9. Posizione politica degli emarginati

La classe dominante, oltre a sfruttare gli assi­stiti con rilevanti profitti economici, a condizio­narli sul piano elettorale e a utilizzare l'assisten­za come sottogoverno, mette anche gli assistiti, o meglio gli emarginati, in una situazione perso­nale e familiare di tale carenza di mezzi econo­mici e mancanza assoluta di prospettive, in mo­do che essi, costretti a procurarsi giorno per giorno un margine per vivere, diventano massa di manovra.

Massa di manovra che viene strumentalizzata ai fini conservatori e più spesso reazionari delle classi dirigenti.

Un esempio, fra i tanti che si possono portare, è costituito dalla contrapposizione che viene volutamente creata fra lavoratori dei servizi e uten­ti con lo strumento dell'appalto.

L'assistenza e in particolare il ricovero in isti­tuto sono molto spesso dati in appalto a istituti pubblici (IPAB) e ad istituti privati.

Gli istituti privati, avendo la possibilità di un maggior sfruttamento dei propri lavoratori e avendo servizi più scadenti, entrano facilmente in concorrenza con gli istituti pubblici, offrendo rette più basse; in questo modo si mette in posi­zione di contrasto i lavoratori di enti pubblici ed i lavoratori di enti privati. Ne deriva che quegli enti dove i lavoratori sono riusciti a conquistare organici più adeguati alle esigenze degli utenti, personale più preparato e perciò più pagato, ser­vizi più rispondenti, vitto migliore, sono proprio i più sfavoriti dal momento che l'assistito, do­vendo pagarsi in tutto o in parte il servizio, per mancanza di mezzi economici, sarà tentato a sce­gliere l'istituto meno caro. Ora se un servizio mi­gliore comporta rette più elevate, viene a crearsi una contrapposizione non solo tra lavoratori ma anche tra lavoratori e utenti.

Occorre dunque uscire dalla logica dell'appalto e della retta e rivendicare che i servizi siano ge­stiti direttamente dagli enti pubblici. E non da qualsiasi ente pubblico, ma da quello che è più controllato e a contatto con i cittadini e cioè dal comune.

 

10. Comuni e unità locali dei servizi

I comuni hanno una popolazione estremamente variabile come è indicato dalla seguente tabella che riassume i dati del censimento della popola­zione italiana del 1971:

 

comuni con popolazione:                                   n.                     popolazione

fino                   a         500 abitanti                  648                        216.705

da             501   a       3.000 abitanti                4.108                     6.238.190

da          3.001   a     10.000 abitanti                2.425                    12.558.908

da        10.001   a     50.000 abitanti                  765                    14.885.467

da        50.001   a   250.000 abitanti                    96                     8.866.861

da      250.001   a   500.000 abitanti                      8                     2.861.404

oltre i                     500.000 abitanti                      6                     8.397.656

TOTALE                                                       8.056                    54.025.211

 

I comuni troppo piccoli non sono in grado di ge­stire i servizi; i comuni troppo grandi non con­sentono una effettiva partecipazione e un reale controllo da parte dei cittadini e delle forze sin­dacali e sociali. Si è pertanto andato affermando in questi anni la necessità di ripartire il territorio in zone che comprendano un numero di abitanti tali da consentire da un lato la gestione di tutti i servizi di base e cioè quelli di primaria utilità e d'altro lato di consentire una reale partecipa­zione.

Tale organizzazione, che in generale si ritiene debba comprendere in media 50.000 abitanti, è stata definita unità locale.

L'unità locale non è un nuovo ente, ma è il complesso dei servizi di base, gestiti, a seconda delle situazioni, dai comuni, consorzi di comuni, organi del decentramento dei comuni metropo­litani.

Il punto di arrivo, anche se ci rendiamo conto che è a lungo termine, è quello della rifondazio­ne dei comuni, rifondazione che deve essere at­tuata in modo da avere un organo di governo de­mocratico e tale da poter soddisfare le esigenze dei cittadini.

 

11. Unità locali di tutti i servizi

Il concetto dell'unità locale è ormai passato: si pensi all'unità sanitaria locale.

Ma anche l'unità locale, nel tentativo di rifor­ma di fondo dei servizi, può venir svuotata da co­loro che vogliono che tutto resti così com'è. Il termine di unità locale sarà un guscio vuoto se contenuti, strutture e prestazioni non diventeran­no la proposta di un radicale cambiamento.

È il tentativo del Ministero dell'interno che non propone l'unità locale dei servizi sanitari, scolastici, abitativi, sociali, culturali, ricreativi, ecc., bensì l'unità locale dei servizi sociali di as­sistenza, avente una personalità giuridica pro­pria. È evidente infatti l'interesse del Ministero dell'interno e di molti dirigenti di enti pubblici e privati conservare, anzi potenziare il settore dell'assistenza e cioè quell'insieme di istituzioni e interventi diretti a tenere in una condizione di vita subumana sul piano economico, personale e sociale le persone non più inserite in attività la­vorativa (anziani, invalidi del lavoro, ecc.) o esclusi dal ciclo produttivo (sottoccupati, disoc­cupati, handicappati, ecc.).

Con la creazione di unità locali distinte per set­tore e soprattutto se ognuna di esse avrà una sua personalità giuridica (unità sanitaria locale, unità locale dei servizi assistenziali, unità locale dei servizi scolastici, unità locale dei servizi abitati­vi, magari l'unità locale dei servizi culturali e ri­creativi, ecc.) si opera in primo luogo lo svuota­mento delle competenze dell'organo elettivo il più a contatto con i cittadini: il Comune, e in se­condo luogo si settorializzano i problemi, ren­dendo ancora più difficile gli interventi a monte che sono indispensabili se si vogliono eliminare le cause che provocano la richiesta di assistenza.

Facciamo un esempio: il ricovero degli anzia­ni in istituto. Esso può essere evitato se vi è una gamma di interventi: pensioni adeguate, presta­zioni domiciliari sociali e sanitarie, alloggi indi­viduali o per piccole comunità anche con servizi collettivi. Da qui pertanto la necessità politica e tecnica che tutte queste competenze siano affi­date ad un unico organo politico-amministrativo. Solo per quelle forze che per meglio imperare vogliono dividere i cittadini, l'unità sanitaria lo­cale dovrebbe essere una cosa diversa dall'unità scolastica o distretto scolastico; diversa dall'uni­tà dei servizi sociali, diversa ancora dall'unità dei servizi ricreativi e così via.

Per noi che abbiamo come principale punto di riferimento la partecipazione dei cittadini come unica forza che abbia la possibilità di garantire il soddisfacimento di tutte le esigenze, l'unità locale deve essere un'unica struttura, vista non come un organo esclusivamente tecnico, ma co­me un organismo politico e tecnico nello stesso tempo.

Vogliamo cioè che all'organo di governo più vi­cino ai cittadini (Comuni, consorzi di comuni, co­munità montane, organi del decentramento dei comuni metropolitani) siano date competenze e finanziamenti per poter essere un vero e proprio organo che stabilisce, con la partecipazione dei cittadini, le linee politiche generali e particolari e che gestisce tutti i servizi di base siano essi sanitari, ricreativi, scolastici, abitativi, di tempo libero, ecc.

 

12. Competenze delle Regioni

Le competenze nel campo dell'assistenza so­ciale oggi esercitate dallo Stato tramite i mini­steri o tramite enti nazionali e territoriali devono essere tutte trasferite alle Regioni, come d'altra parte prevede l'art. 117 della Costituzione.

Ma le Regioni devono esercitare le nuove com­petenze (e quelle già trasferite) in modo demo­cratico, trasferendole ai comuni, consorzi dei co­muni, comunità montane, organi del decentra­mento delle città metropolitane.

La Regione deve essere un organo di program­mazione, di legislazione specifica (naturalmente nell'ambito dei principi generali fissati dalle leg­gi dello Stato), di controllo, di coordinamento. Ma non deve essere assolutamente un organo accentratore e cioè che soffoca le autonomie lo­cali e la partecipazione dei cittadini.

 

13. Scioglimento degli enti

Come dimostra chiaramente l'elenco di cui al punto 5, vi è una proliferazione assurda di enti nazionali e territoriali.

Le Province sono competenti per intervenire nei confronti degli illegittimi, dei ciechi, dei sor­domuti, dei malati mentali. A volte intervengono anche nei confronti degli insufficienti mentali.

Gli E.C.A., di cui ne esiste uno in ogni comune e che sono autonomi rispetto ai Consigli comu­nali, hanno il compito di assistere gli individui e le famiglie in condizione di particolare necessità.

I comuni hanno l'obbligo di provvedere al man­tenimento degli inabili al lavoro che sono per definizione i minori degli anni 15 e gli anziani, oltre agli inabili veri e propri (handicappati fisici e psichici).

Il Ministero della Sanità provvede al ricovero e alla riabilitazione degli invalidi civili mediante convenzioni con enti pubblici e privati (Legge 30 marzo 1971, n. 118).

Poiché le rette del Ministero della sanità sono molto convenienti (7.000-10.000 lire al giorno), molti enti fanno passare per invalidi ragazzi per­fettamente normali.

Per l'assistenza agli orfani vi è una valanga di enti. In primo luogo l'ENAOLI che assiste gli or­fani di padre e di madre fino al 21° anno di età purché uno dei genitori abbia versato le assicu­razioni obbligatorie ed è finanziato dai contributi dei lavoratori e delle aziende (INAIL 2%, Casse marittime 2%, INPS 0,19%). Le entrate nel 1973 sono state di oltre 67 miliardi. Gli assistiti nello stesso anno sono stati 149.440 in famiglia, 12.462 in istituti convenzionati e 881 in collegi ENAOLI.

Vi sono poi l'Opera nazionale per l'assistenza agli orfani dei sanitari italiani, l'Ente nazionale di assistenza agli orfani degli agenti di custodia, l'Opera nazionale di assistenza per gli orfani dell'arma dei carabinieri e gli altri enti indicati nell'articolo 3 della proposta di legge.

L'ONPI, l'Opera nazionale pensionati d'Italia, oltre agli anziani, assiste anche i figli dei pen­sionati.

L'ONMI. istituita dal fascismo nel 1925, com­prende una sede nazionale e comitati in ogni pro­vincia e in ogni comune. Ha lo scopo di assistere gestanti e madri bisognose e i bambini di qual­siasi età appartenenti a famiglie povere, di inter­venire contro le malattie infantili, di vigilare nell'applicazione delle leggi in vigore per la prote­zione della maternità e dell'infanzia, di control­lare tutte le istituzioni pubbliche e private di as­sistenza all'infanzia, di istituire servizi per l'in­fanzia (asili nido, consultori, ecc.).

I numerosi scandali degli istituti di assistenza all'infanzia, i processi all'ex presidente nazionale dell'ONMI e a presidenti di comitati locali, l'alta percentuale della mortalità infantile, la scarsità degli asili nido ONMI e la loro impostazione di semplice custodia dei bambini, tutto ciò dimostra ampiamente che l'ONMI è un ente non solo pa­rassitario, ma anche e soprattutto estremamente dannoso.

I patronati scolastici hanno il compito di for­nire agli alunni bisognosi cancelleria, indumenti, medicinali e di istituire doposcuola.

I patronati scolastici sono nati nel 1888 e sono stati riorganizzati nel 1954.

Le IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza), istituite in sostituzione delle opere pie, sono regolamentate dalla vecchissima legge del 1890.

Pur essendo pubbliche (sono soggette agli stessi controlli formali dei Comuni), la (oro ge­stione è essenzialmente privatistica. In genere comuni e province e altri enti appaltano alle IPAB anziani e minori, che vengono assistiti nei limiti consentiti dall'importo delle rette.

Tutti i Ministeri e la Presidenza del Consiglio dei Ministri svolgono attività assistenziali nei confronti del proprio personale, di assistenza di­retta nei confronti di minori, anziani e handicap­pati (Ministero dell'interno), di assistenza agli handicappati e di vigilanza sull'ONMI (Ministero della sanità), di assistenza ai fanciulli cosiddetti disadattati (Ministero di grazia e giustizia), di vigilanza dell'ONPI e dell'ENAOLI (Ministero del lavoro e della previdenza sociale).

Il Ministero che continua ancora oggi ad avere la maggiore competenza in campo assistenziale è quello dell'interno, al quale appartiene anche l'AAI. Infatti ancora oggi vi è una stretta connes­sione fra assistenza ed ordine pubblico.

Gli emarginati che ancora oggi sono usati dal­la classe dominante come massa di manovra, po­trebbero mobilitarsi per rivendicare i propri di­ritti ed è per questo che le competenze più im­portanti sono state e restano affidate al Ministe­ro dell'interno, ai prefetti, ai comitati provinciali di assistenza e beneficenza pubblica, alla pub­blica sicurezza e alla polizia femminile.

Citiamo a prova di ciò quanto scritto dal Mini­stero dell'interno nella relazione del bilancio del­lo Stato del 1969: «L'assistenza pubblica ai biso­gnosi racchiude in sé un rilevante interesse ge­nerale in quanto i servizi e le attività assisten­ziali concorrono a difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari».

A ulteriore conferma dell'odierno rapporto fra polizia e assistenza si riportano alcuni articoli di legge:

- R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza)

Art. 154 - Le persone riconosciute dall'autorità locale di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi proficuo lavoro (nota: e cioè gli anziani, i minori degli anni 15 e gli invalidi) e che non abbiano mezzi di sussistenza né parenti tenuti per legge agli alimenti e in condizione di poterli prestare, sono proposti al prefetto (nota: oggi alle Regio­ni), il quale ne dispone il ricovero in un istituto di beneficenza del luogo o di altro comune.

- R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento del­le leggi di pubblica sicurezza)

Art. 282 - Qualora l'inabile, di cui sia stato or­dinato il ricovero, non intenda stabilirsi nell'isti­tuto o se ne allontani arbitrariamente, vi è ac­compagnato con la forza.

 

*  *  *

 

Ripetiamo dunque che lo scioglimento di tutti gli enti nazionali e locali, la sottrazione di ogni competenza assistenziale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai Ministeri, alle Province, agli enti, istituti e fondi di previdenza e assisten­za e agli altri organismi similari e il trasferimen­to di tutte le competenze e finanziamenti relativi alle Regioni, non è richiesto solo per eliminare tutto l'esistente selva selvaggia di istituzioni, ma quale primo ed essenziale passo per una de­cisa inversione di tendenza.

Resta da precisare che per quanto riguarda lo scioglimento degli enti di assistenza che sono nello stesso tempo associazioni di categoria (Unione italiana ciechi. Opera nazionale invalidi di guerra, Ente nazionale per la protezione e as­sistenza ai sordomuti, Associazione mutilati e in­validi del lavoro, ecc.), è evidente che, sciolti come enti gestori di servizi, compete ai soci in­teressati decidere se conservare o meno la strut­tura associativa ai sensi degli art. 12 e seguenti del codice civile.

 

14. Aspetti politici dell'assistenza

Come è stato affermato nel convegno di Torino del 3-7-1971 «Dall'assistenza emarginante ai servizi sociali aperti a tutti», organizzato da CGIL, CISL, UIL, le attività assistenziali sono gestite attualmente in modo estremamente frammenta­rio e scoordinato non solo nel momento opera­tivo ma anche in quello della direzione politica. Tale disorganizzazione è talmente vistosa che si è facilmente portati ad individuare in essa le cau­se delle principali inadeguatezze del nostro si­stema assistenziale.

Quando però si cerca di vedere un po' meglio nella realtà, ci si accorge che le cose non sono così semplici: quelle che sembravano essere le cause del disservizio (frammentazione degli enti, ecc.) risultano infatti semplici ed abbastanza coerenti conseguenze di un modo di intendere l'assistenza come una sorta di mastice tappa­buchi.

Cioè, per dirla in poche parole, se si pone at­tenzione alla realtà dei fatti, si comprende come tutta l'impalcatura assistenziale serva in sostan­za a questo scopo: porre falsi rimedi, perché sol­tanto temporanei ed illusori, a situazioni patolo­giche che non possono essere eliminate se si vuole mantenere in piedi l'attuale sistema di produzione capitalistica, in cui per ben precisi motivi strutturali non ci può e non ci potrà mai essere lavoro e benessere per tutti e dove il prezzo da pagare per avere un «posto sicuro» è accettare una crescente alienazione con tutte le conseguenze patologiche che questo compor­ta. Si fa cioè il gioco dei bussolotti per cui cause ed effetti non si corrispondono più.

Un esempio: si fa credere che a genitori buoni lavoratori corrispondano figli ben educati e non si dice invece che le estenuanti condizioni di la­voro di fabbrica sono spesso la causa principale della insufficiente disponibilità nei confronti dell'educazione dei figli. Si fa credere che una vita seriamente dedicata al lavoro, «andando a dor­mire tardi ed alzandosi presto», abbia come con­seguenza una vecchiaia onorata, magari di an­ziano FIAT, mentre invece, proprio per non aver potuto reagire a certe condizioni imposte dalla produzione, molti lavoratori finiscono in ospeda­le psichiatrico prima della vecchiaia o giungono alla pensione debilitati, senza più avere la capa­cità di essere autonomamente se stessi.

È da questa confusione tra cause ed effetti che nasce l'equivoco di una assistenza concepita e fatta recepire come un qualcosa che interessa relativamente poche e sfortunate eccezioni, co­stituite da persone colpite da disgrazia, di cui si sente pietà; è da questa confusione nell'inter­pretazione della realtà che nascono grosse dif­ficoltà a pensare ad un'assistenza diversa dalla attuale, al servizio di tutti.

I 62.800 uffici assistenziali italiani esercitano una serie di attività disparate che vanno dall'ele­mosina spicciola alla gestione di servizi di inte­resse collettivo. Servizi di importanza primaria come gli asili nido, buona parte delle scuole ma­terne, i doposcuola, gli istituti per anziani, i ser­vizi specializzati per particolari limitazioni della capacità lavorativa, ecc.

È quindi impossibile parlare di riforma dell'as­sistenza senza entrare nel merito dei problemi del lavoro, della salute, della casa, della scuola, dell'assetto del territorio, di tutti quei bisogni la cui mancata soddisfazione porta alla richiesta in­dividuale di prestazioni di immediata riparazione.

È anche impossibile parlare di bisognosi so­ciali prescindendo dall'analisi delle recenti tra­sformazioni socio-economiche e produttive: val­ga a questo proposito il riferimento alle enormi richieste quantitative e qualitative introdotte dal fenomeno dell'immigrazione e da quelle collegate all'evoluzione del processo produttivo.

Inoltre, è fondamentale rendersi conto che l'at­tuale impostazione assistenziale paternalistica basata sull'artificiosa definizione di innumerevoli categorie di cosiddetti «bisognosi», tende ad isolare tra loro e verso il corpo sociale persone che in realtà appartengono alle più ampie catego­rie: giovani che devono costituire la futura forza-­lavoro adatta a mansioni parcellizzate e sperso­nalizzanti, adulti che sono costretti ad un lavoro non predisposto a misura d'uomo, anziani o mi­norati che non sono più in grado di assicurare una adeguata produttività.

Questa divisione, che tende ad impedire che la maggioranza dei cittadini si riconosca interes­sata come oggetto di un unico processo di sfrut­tamento, deve essere combattuta con la demisti­ficazione del concetto di assistenza, capovolgen­do i termini della questione ed esigendo per tutti un'attuazione adeguata di quei servizi, ora riser­vata alla ristretta minoranza privilegiata delle classi al potere, che consentono all'uomo la pie­na realizzazione di sé.

È evidente che il completo raggiungimento di questo obiettivo coinciderebbe con l'eliminazio­ne delle classi e questa non è certo una mèta vicina; è però comunque necessario adottare un metodo di analisi che parta dalla consapevolezza dei condizionamenti classisti e miri alla costru­zione di alternative al potere.

I sindacati in particolare devono impegnarsi ad assumere iniziative di lotta sui problemi qui trat­tati perché, come si è già accennato, queste ini­ziative sono riconosciute dai lavoratori come momento essenziale della loro lotta di classe.

C'è in più un'altra ragione, quella di controlla­re come vengono spesi i soldi dei lavoratori, per­ché i soldi spesi nell'assistenza sono quelli che essi hanno versato non solo come cittadini che pagano le tasse, ma come produttori. Una terza ragione, e non la meno importante, è che sono proprio i lavoratori a dover usufruire di questi servizi ed una struttura di servizi che preveda solo la possibilità di mettere dei rattoppi su danni già prodotti senza provvedere prima di tut­to ad evitare che questi danni si verifichino, è contraria agli interessi di tutti ed in particolare dei lavoratori, per i quali ogni bisogno nuovo si­gnifica ulteriore pressione sul salario quando non provoca addirittura l'esclusione del lavora­tore dal processo produttivo (infortuni sul lavo­ro e conseguente invalidità, inquinamento e no­cività dell'ambiente e malattie professionali, ecc.). Infine perché l'assistenza è essa stessa una forma di sfruttamento, in quanto serve a spremere da chi è in grado di lavorare tutto il profitto possibile, ed a mantenere nel modo me­no costoso ed ingombrante chi non ha capacità lavorativa, o ha una capacità lavorativa limitata, magari perché danneggiato dalle condizioni in cui ha lavorato e vissuto in passato.

Va sottolineato anche, contro l'impostazione settoriale che si tende a dare ai problemi assi­stenziali nelle sedi governative e nelle sedi di rivendicazione corporativa, che nessuna forma specifica di emarginazione si combatte senza combattere anche le tendenze emarginanti pro­prie delle strutture sociali in generale; quindi ogni proposta di soluzione settoriale presuppone dei cambiamenti più generali verso i quali qual­siasi lotta deve essere orientata.

 

15. Superamento dell'assistenza

Come abbiamo già detto lo scioglimento degli enti non è richiesto per una semplice razionaliz­zazione degli attuali servizi, poiché questo signi­ficherebbe soltanto un semplice ammodernamen­to di tutte le strutture preposte all'emarginazio­ne, e perché gli obiettivi da raggiungere nel campo dell'assistenza non possono essere diret­ti al semplice miglioramento della situazione, poiché in tal modo verrebbero conservate le condizioni economiche e sociali che provocano le richieste di assistenza.

Occorre invece che gli obiettivi siano diretti, nell'ambito delle lotte per il cambiamento so­ciale:

- ad un consistente trasferimento dei finan­ziamenti dai consumi privati ai servizi sociali (casa, sanità, lavoro, scuola, ecc.);

- alla creazione di servizi sociali (casa, salu­te, lavoro, scuola) aperti a tutti con conseguente abolizione delle scuole speciali, delle classi dif­ferenziali, degli istituti di assistenza, dei centri riservati e particolari «categorie» (istituti per minori, case di riposo e case albergo per anziani, centri per ciechi, per spastici, per subnormali, ospedali psichiatrici, ecc.);

- alla piena occupazione e, per le persone non in grado di svolgere attività lavorativa, alla garanzia di pensioni adeguate.

Alle persone che, a causa dell'invalidità, non hanno mai svolto attività lavorativa deve essere assicurato il necessario economico per vivere.

L'importo di tutte le pensioni (e non solo di quelle contributive) deve essere rapportato al salario medio dei lavoratori dell'industria per stabilire un reale collegamento fra lavoratori in attività, lavoratori pensionati, invalidi;

- alle riforme della casa, della tutela della salute, della scuola, ecc., di modo che siano eli­minate le cause che provocano le richieste di as­sistenza;

- alla effettiva partecipazione dei lavoratori alla determinazione dei nuovi indirizzi della po­litica sociale;

- alle istituzioni di unità locali dei servizi de­mocraticamente controllate.

La realizzazione degli obiettivi sopra indicati si scontra con enormi interessi politici, econo­mici, elettorali, clientelari: essa non potrà per­tanto essere raggiunta senza una dura lotta.

 

16. Servizi onnicomprensivi (1)

Vi è dunque la necessità assoluta che tutti i servizi siano non settoriali, non siano cioè riser­vati a particolari «categorie» di cittadini, ma onnicomprensivi e cioè aperti a tutti i cittadini.

 

a) La scuola onnicomprensiva

La scuola deve essere un momento di informa­zione e formazione a carattere permanente e glo­bale. In tale quadro si colloca l'esigenza della scuola a tempo pieno, di un'edilizia scolastica rinnovata, di un preciso rapporto con il territorio, della riduzione del numero di allievi per classe, dell'abolizione delle classi differenziali, dell'in­serimento nelle scuole comuni degli handicap­pati fisici, psichici e sensoriali, ecc.

Ciò implica non solo un profondo cambiamen­to delle finalità della scuola (da selettiva come oggi a formativa), ma anche l'approntamento di particolari strutture in modo, ad esempio, da con­sentire che siano fornite, all'interno della scuola, le prestazioni specialistiche e riabilitative neces­sarie agli handicappati.

Per quanto concerne le strutture formative (asili nido, scuole materne, scuola dell'obbligo, scuole superiori, corsi di addestramento profes­sionale, ecc.) occorre giungere al più presto alla eliminazione delle attuali discriminazioni, per cui in luogo di una scuola unica aperta a tutti, ne sono state costituite numerose a seconda di «categorie» prefissate di cittadini.

Abbiamo infatti: la scuola comune, le classi differenziali, le scuole speciali, le classi speciali presso le scuole comuni, i centri «educativi» per handicappati psichici gravi, le classi presso istituti di assistenza, i convitti, le scuole per spastici, ciechi, ambliopici, sordomuti, sordastri, ecc.

Nella fase transitoria dovrebbe essere sola­mente ammessa, per i casi effettivamente gravi, la creazione di classi speciali presso le scuole comuni.

All'interno delle scuole comuni dovranno esse­re fornite le prestazioni specialistiche (fisiotera­pia, logopedia, ginnastica correttiva, insegna­mento del Braille, ecc.).

È evidente che la scuola per diventare onni­comprensiva deve modificare profondamente i suoi contenuti: in sintesi da selettiva, e cioè per i più «dotati» deve diventare formativa, nel sen­so di fornire a tutti quanto necessario per il pie­no sviluppo della propria personalità.

 

b) La casa onnicomprensiva

Lo stesso discorso vale per la casa. Essa deve innanzi tutto essere concepita come servizio so­ciale a disposizione di tutti i cittadini. Avere case onnicomprensive significa predisporre nel normale contesto abitativo, e cioè in ogni quar­tiere, abitazioni idonee alle varie necessità indi­viduali, familiari e sociali. Da un lato le case de­vono essere costruite in modo che le si possa abitare anche quando si diventa anziani o si ab­biano difficoltà motorie, d'altro lato esse devono essere dotate di quei servizi necessari ad una effettiva vita di relazione (locali attrezzati per incontri, per attività ricreative, culturali per mi­nori e adulti),.

In particolare dovranno essere previsti alloggi individuali o per piccole comunità di zona (6-10 posti) per minori handicappati e non handicappa­ti, per gli anziani e per le famiglie che intendono vivere comunitariamente. Verrà così reso inutile, fra l'altro, il ricovero in istituto di quelle persone oggi espulse a causa di abitazioni inidonee.

 

c) I servizi sanitari onnicomprensivi

Lo stesso discorso vale altresì per i servizi sanitari.

Oltre all'effettivo collegamento fra prevenzio­ne, cura e riabilitazione, occorre anche unire ve­ramente il momento ospedaliero con quello ex­tra-ospedaliero.

Ad esempio, in ogni quartiere potrebbero es­sere costruiti dei centri sanitari che compren­dano la parte ospedaliera, con ricovero 24 ore su 24, la parte semi-ospedaliera, con ricoveri di alcune ore al giorno e cioè i cosiddetti ospedali diurni, e la parte ambulatoriale ed extrambulato­riale.

Fra le attività dei centri sanitari di quartiere, le principali dovrebbero essere: quelle di pre­venzione, cura e riabilitazione relativa alla gine­cologia, pediatria, geriatria, medicina e chirurgia generale che non richiedano interventi di alta specializzazione. Solo in questo modo sarà pos­sibile evitare, fra l'altro, la costruzione dei nuovi ghetti quali gli ospedali geriatrici, i gerontocomi, gli psicogerontocomi e si potrà consentire anche alle persone ammalate di mantenere contatti con la comunità e alla comunità di esercitare un reale controllo sulla salute.

 

d) Riassetto e uso del territorio

Tutte queste rivendicazioni, e quelle riguar­danti i servizi ricreativi, culturali e sociali in ge­nere presuppongono un diverso riassetto e uso del territorio, per cui diventa importante il di­scorso urbanistico.

Sono infatti di primaria importanza l'organizza­zione delle città, la facilità delle comunicazioni, la possibilità effettiva delle relazioni di ogni ge­nere fra i membri della comunità.

Se infatti nel sistema capitalistico lo sviluppo delle città è condizionato dal modo di produzione, distribuzione e consumo delle merci, l'interesse del cittadino e del lavoratore è invece quello di avere una città a misura di chi l'abita, in cui il complesso delle attrezzature sociali abbia im­portanza rispetto al contesto della residenza e delle attività produttive e non viceversa.

Ciò è possibile solo nella misura in cui si indi­vidui un modello alternativo di sviluppo urbano fondato sul riequilibrio delle tipologie di insedia­mento, secondo una diversa logica dei rapporti sociali o della utilizzazione delle risorse. Chi pa­ga oggi la crisi delle città?

Non tanto le persone giovani ed attive che sentono ovviamente meno le conseguenze della organizzazione della città che affatica, che è cau­sa di incidenti, che presenta barriere anche edi­lizie, che impediscono e rendono difficili i rap­porti sociali. Ancora una volta pagheranno gli abitanti dei quartieri periferici, le persone anzia­ne, gli invalidi, gli ammalati e tutti coloro che hanno difficoltà a spostarsi.

Pertanto l'abbattimento delle barriere architet­toniche non viene richiesto per costruire città a misura degli handicappati e degli anziani, ma è un problema politico che investe tutti nella lotta per una diversa organizzazione del territorio.

È necessaria una diversa impostazione della ricerca scientifica destinata ai fini sociali, e cioè al servizio della collettività e non strumento del­la produzione monopolistica.

Vi è pure l'esigenza di provvedere al più pre­sto alla formazione, aggiornamento e riqualifi­cazione su un piano generalizzato del personale a cui verranno affidati compiti inerenti all'attua­zione del sistema dei servizi sociali. È necessa­rio superare, in questo quadro, l'artificiosa distin­zione tra personale amministrativo e tecnico, per l'affermazione della figura professionale dell'ope­ratore sociale, che, in relazione ai bisogni e alle risposte programmate, esercita specifiche fun­zioni.

 

17. Interventi per gli handicappati

Nella proposta di legge è previsto che gli in­terventi per gli handicappati (ciechi, sordi, insuf­ficienti mentali, distrofici, spastici, ecc.) siano assicurati nell'ambito degli interventi per tutti i cittadini.

Questa linea è alternativa a quella attualmente praticata dai vari enti di assistenza e prevista dalla legislazione vigente che è diretta alla sepa­razione degli handicappati dai cosiddetti normali, con la scusa che interventi specialistici richie­dono servizi speciali, riservati cioè alle specifi­che categorie di handicappati.

Esistono invece esperienze concrete in varie parti d'Italia (Lecce, Arezzo, Reggio Emilia, Mila­no, La Spezia, Bergamo, ecc.) che dimostrano che l'inserimento degli handicappati nelle comuni scuole materne e dell'obbligo è altamente positi­vo sia per gli handicappati sia per i non handi­cappati.

Queste esperienze dimostrano in sostanza che gli enti di categoria (per i ciechi, per sordomuti, per spastici) oggi non solo non sono più utili, ma sono negativi. Infatti sono necessari servizi aper­ti a tutti e all'interno di detti servizi devono es­sere fornite le prestazioni specialistiche di cui gli handicappati possono avere bisogno.

In sostanza si tratta di fornire gli interventi specialistici senza ostacolare il processo di so­cializzazione che è fondamentale per tutti i ra­gazzi.

 

18. Servizi alternativi al ricovero in istituti

Il ricovero in istituti a carattere di internato costituisce una vera e propria segregazione di bambini, di anziani, di handicappati.

Esistono soluzioni alternative al ricovero che sono applicate in varie parti d'Italia. Esse consi­stono ad esempio nel fornire alla famiglia del bambino o all'interessato (adulto o anziano) il necessario economico per vivere. Infatti, com'è noto, la maggior parte dei ricoveri (fino all'80%) è dovuta a motivi economici.

Ciò esige una revisione delle pensioni di vec­chiaia, inabilità, sociali e soprattutto l'elevazione dei minimi e il collegamento pensioni-salari.

In fase transitoria possono essere previste in­tegrazioni economiche da parte dei comuni, ma ciò non deve costituire un espediente per man­tenere basse le pensioni.

Altri ricoveri possono essere evitati con la creazione o l'estensione dei servizi scolastici e prescolastici (asili nido, scuole materne, scuole dell'obbligo a tempo pieno), con l'assegnazione di alloggi adeguati e con affitti non speculativi (ciò è valido soprattutto per gli anziani).

Un altro modo per evitare i ricoveri è rappre­sentato dall'istituzione di servizi di assistenza domiciliare comprendente sia l'aiuto domestico (disbrigo faccende, pulizia alloggio, acquisto vi­veri, ecc.), sia l'assistenza infermieristica e sa­nitaria.

Questi servizi sono necessari non solo per gli anziani e per gli invalidi, ma anche per tutti i cit­tadini nei casi in cui si trovino In condizione di non poter provvedere a se stessi o ai propri fami­liari. Si pensi ad esempio ai ricoveri in istituti dei bambini, quando i genitori sono ospedalizzati.

Vi sono dei casi in cui i minori devono trovare una sistemazione extrafamiliare.

Si tratta di casi reali, ma essi sono molto me­no numerosi di quanto l'industria dell'assistenza voglia far credere.

In tutti questi casi si può provvedere senza segregare i bambini:

- mediante l'adozione speciale nei casi di to­tale abbandono materiale e morale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi;

- mediante l'affidamento a scopo educativo a famiglie e persone;

- mediante la costituzione di comunità allog­gio (chiamati anche gruppi appartamento) e cioè gruppi di 5-6 ragazzi che vivono con educatori in un alloggio qualsiasi di una casa qualsiasi.

La soluzione della comunità alloggio è valida anche per gli anziani che non sono in grado o non vogliono vivere da soli.

Questa soluzione, unita a quelle precedenti, consente, se c'è la volontà politica, di svuotare tutti gli istituti per anziani, per minori e per handicappati.

Gli anziani ammalati compresi i cosiddetti cro­nici devono poter usufruire dei servizi sanitari per tutti i cittadini (assistenza domiciliare, am­bulatoriale ed ospedaliera gratuita).

Ovviamente i nuovi interventi devono dare pre­valenza assoluta alla prevenzione, che non può però essere considerata un fatto esclusivamen­te medico, ma deve consistere nella rimozione di tutte le cause economiche, sociali e ambien­tali che provocano malattie, disturbi, disadatta­menti.

 

19. Limiti della proposta di legge

Il testo della proposta di legge così come oggi si presenta, ha pur tuttavia alcuni limiti che cer­chiamo qui di fissare nella speranza che possano essere superati nel corso della campagna per la raccolta delle firme. In primo luogo non si fa al­cun riferimento all'organo che a livello nazionale dovrebbe garantire i rapporti internazionali e as­sicurare il coordinamento generale dei servizi sociali.

A nostro avviso tali funzioni potrebbero essere assunte dal Ministero della Sanità, modificato nei suoi compiti, che verrebbe così ad assumere la denominazione di Ministero dei servizi sanitari e sociali.

Poi nell'art. 2 non si fa cenno ai consigli di quartiere dei comuni che comprendono più unità locali dei servizi, consigli ai quali va demandata a nostro avviso la gestione dell'unità locale dei servizi.

Sempre l'art. 2 parla genericamente di «orga­nico collegamento nell'ambito territoriale con tutti gli altri servizi di base in una globale poli­tica di programmazione». Riteniamo invece, co­me abbiamo già precisato ai punti 9 e 10, che l'unità locale, facendo riferimento essenziale al­la partecipazione dei cittadini, deve essere la struttura politico-amministrativa in cui si inte­grano, con la necessaria gradualità, tutti i servizi di base siano essi scolastici, abitativi, sanitari, ricreativi, culturali o sociali in genere.

Ne deriva come conseguenza la coincidenza territoriale assoluta con il distretto scolastico, che non deve essere un organo di gestione. Anzi, con la creazione delle unità locali dei servizi, il distretto scolastico dovrebbe essere soppresso ed i compiti di programmazione demandati all'Unità locale. In questo modo la partecipazione diventa unitaria per tutti i problemi e non di tipo corporativo, come è previsto sinora per gli orga­ni collegiali della scuola.

In un altro punto è carente la proposta di leg­ge: non fa cenno alle Province. Al di là del pro­blema della sopravvivenza o meno dell'ente, non è possibile conservare alle Province le attuali competenze assistenziali in materia di illegittimi, di ciechi, di sordi e di handicappati psichici in quanto è l'unità locale che deve essere compe­tente per tutti i servizi di base, come abbiamo più volte ripetuto.

Nulla poi troviamo nella proposta di legge in riferimento all'assistenza privata.

A questo riguardo noi pensiamo chiaramente che gli enti privati di assistenza devono sparire come quelli pubblici nazionali e territoriali, in quanto deve finire l'appalto delle persone e la lottizzazione dei loro bisogni.

Spazio adeguato va invece dato ai cittadini che intendono svolgere attività di intervento diretto. Un esempio di questa attività di intervento diret­to di persone o di nuclei familiari l'abbiamo già avuto nell'adozione speciale, negli affidamenti a scopo educativo, nelle comunità alloggio, non gestite direttamente da personale dell'unità lo­cale.

Un altro tipo di intervento di volontari (diretta­mente come persone) può essere possibile, anzi auspicabile, nei servizi culturali e ricreativi.

Tuttavia, in ogni caso, i volontari dovranno collocare la propria opera nell'ambito dei servizi pubblici: ad esempio pubblico deve essere il ser­vizio di affidamento a famiglie, persone e comu­nità-alloggio, e le ammissioni e dimissioni do­vranno essere concordate fra il Comune (o il Consorzio di comuni) che gestisce ed i volontari.

 

20. Partecipazione

Molto importante è la partecipazione dei citta­dini sia all'impostazione che alla gestione dei servizi sociali o di altro genere. E qui si contrap­pongono due impostazioni (2).

Vi può essere una cogestione, e questa si rea­lizza mediante la presenza nei consigli di ammi­nistrazione dei servizi di rappresentanti delle forze sindacali e sociali. Con la cogestione il contropotere, rappresentato dai sindacati e dalle forze sociali, viene in questo caso ad essere an­nullato o molto ridotto perché coinvolto in ob­blighi di gestione e vincolato dalle leggi e rego­lamenti vigenti.

Infatti la doppia e contrastante posizione del sindacato di gestore dei servizi e di rappresen­tante dei lavoratori nei confronti dell'ente locale pone il sindacato stesso nella contraddittoria si­tuazione di essere nello stesso tempo parte e controparte.

Più corretta, a nostro avviso, è la posizione del controllo democratico da parte delle forze sindacali e sociali e dei cittadini, mentre la ge­stione dovrebbe essere assicurata dai Comuni, Consorzi di comuni e, nelle unità locali facenti parte di uno stesso comune, dai Consigli di quar­tiere eletti dai cittadini.

 

  

(1) V.G. ALASIA, G. FRECCERO, M. GALLINA, F. SANTANERA, Assistenza, emarginazione e lotta di classe - Ieri e oggi, Feltrinelli, 1975.

(2) Sul problema della partecipazione come controllo democratico si veda l'articolo di C. CIANCIO pubblicato sul n. 29 di Prospettive assistenziali.

 

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