Prospettive assistenziali, n. 29
bis, gennaio-marzo 1975
1. Premessa
Non solo diamo la piena adesione
alla proposta di legge di iniziativa popolare «Competenze
regionali in materia di servizi sociali e scioglimento degli enti assistenziali» ma ci impegniamo a partecipare attivamente
alla campagna per la raccolta delle firme e a promuovere le iniziative necessarie
per la piena riuscita dell'iniziativa.
La situazione nel campo
dell'assistenza si fa di giorno in giorno più preoccupante ed i vari centri di
potere si sono organizzati per evitare qualsiasi cambiamento che possa portare
alla riduzione del numero degli assistiti e dei ricoverati.
Anzi, dove è stato possibile, questi
gruppi di potere hanno ottenuto massicci finanziamenti per costruire nuovi
istituti e per accrescere il potere di enti
parassitari come ECA, IPAB, istituzioni private.
Vi sono, è vero, iniziative
alternative quali la deistituzionalizzazione dei
ricoverati negli ospedali psichiatrici e negli istituti di ricovero, l'inserimento
degli handicappati nella scuola comune, la creazione di servizi di assistenza domiciliare, l'istituzione di comunità
alloggio e di affidamenti familiari a scopo educativo, l'erogazione di contributi
economici sostitutivi dei ricoveri, l'assegnazione di alloggi.
Ma queste iniziative positive, attuate specialmente da Comuni di sinistra, si
stanno scontrando con la pletora di enti pubblici
nazionali (ONMI, ENAOLI, ONPI, ecc.) e locali (ECA, IPAB, Patronati
scolastici) che fra l'altro trovano comodo che le iniziative dei Comuni
riducano il numero delle persone che gli enti dovrebbero assistere, dando agli
enti stessi la possibilità di utilizzare i milioni risparmiati per allargare il
campo delle loro attività clientelari e pertanto il proprio potere.
2. Situazione
parlamentare
Sono giacenti le seguenti proposte
di legge:
1) n. 142 presentata alla Camera dei
Deputati il 30-5-1972 dagli On. Signorile e Magnani Noya del PSI;
2) n. 425
presentata alla Camera dei Deputati il 7-7-1972 dall'On. Lodi Faustini e altri parlamentari del PCI;
3) n. 1609 presentata alla Camera
dei Deputati l'1-2-1973 dall'On. Foschi e da altri
parlamentari della D.C. (una proposta identica è stata presentata al Senato
il 12-2-1973, n. 830, dalla Sen. Falcucci
e da altri parlamentari della D.C.);
4) n. 1674 presentata alla Camera
dei Deputati il 15-2-1973 dall'On. Artali del PSI (una proposta identica è stata presentata al Senato
dal Sen. Signorello della D.C. il 7-2-1973).
Le suddette proposte di legge sono state pubblicate sui numeri 20 e 23 di Prospettive assistenziali e sono riportate in questo numero.
I principi ispiratori delle prime
due proposte di legge coincidono con quelli della proposta di legge di iniziativa popolare; la proposta di legge Foschi-Falcucci ha invece lo scopo di potenziare l'assistenza
degli enti privati e di mantenere il settore assistenziale separato dagli altri
settori sociali impedendo in tal modo il superamento di un'assistenza
emarginante; la proposta di legge Artali-Signorello
ha invece lo scopo di aumentare i poteri degli ECA che vengono a cambiare solo
il loro nome in quello di Centri di assistenza sociale.
Le proposte di legge sono da oltre
due anni all'esame di un Comitato ristretto istituito presso la Commissione
interni della Camera dei Deputati, ma i lavori non vanno avanti in quanto
In questa situazione solo un'ampia
mobilitazione di base può creare le condizioni perché
3. Scopi della
proposta di legge di iniziativa popolare
La proposta di legge viene presentata con iniziativa popolare allo scopo di:
- informare l'opinione pubblica sulla reale situazione esistente nel settore
dell'assistenza sociale;
- creare o almeno favorire la
creazione di un movimento sull'assistenza;
- collegare le numerose iniziative
alternative all'emarginazione che sono operanti e stabilire un rapporto reale
fra queste iniziative specifiche ed i problemi generali relativi alle riforme
dell'assistenza, della sanità, della scuola, della casa, ecc.;
- premere sulle forze del Parlamento
e del Governo che da anni impediscono la riforma dell'assistenza
affinché essa sia sollecitamente approvata.
Va precisato che l'attuazione di
quanto previsto dalla presente proposta di legge non
solo non costa una lira, ma consente, mantenendo inalterata la spesa attuale,
un notevole miglioramento della situazione delle persone oggi assistite.
Consente in particolare di avviare decisamente un
processo per far uscire dal settore dell'assistenza, e cioè da una situazione
di emarginazione, decine di migliaia di persone.
4. Che
cosa è l'assistenza
Al di là delle affermazioni e giustificazioni di
comodo, l'assistenza è:
- uno strumento di sottogoverno. Infatti gli
enti, organi ed uffici di assistenza raggiungono l'incredibile cifra di 62.800
e la spesa totale, escluse le pensioni, è di 1.500 miliardi;
- uno strumento di segregazione. I ricoverati negli istituti di
cosiddetta assistenza sono 340.000, ai quali occorre aggiungere le decine di
migliaia di persone rinchiuse in ospedali psichiatrici;
- uno strumento per carpire voti, come risulta
dall'esame dei seggi elettorali interni degli istituti;
- uno strumento di potere economico, come risulta
dai patrimoni, spesso imponenti, degli enti e istituti di assistenza;
-
un freno alle riforme della casa, della scuola, della
sanità, dell'organizzazione del lavoro, delle pensioni, ecc. Vanno a finire
infatti nell'assistenza fra gli altri:
- i disoccupati ed i sottoccupati;
- gli ex lavoratori con pensioni
insufficienti;
- i ragazzi
respinti dalla scuola perché « incapaci » o perché disadattati o perché
handicappati;
- le persone aventi
malattie che sono dichiarate, spesso arbitrariamente, come croniche;
- le famiglie prive di casa e che
non sono in grado di pagare gli alti affitti della speculazione privata.
5. Numero degli enti,
organi e uffici di assistenza
8.050 Enti comunali di assistenza
(ECA): uno in ogni comune;
7.038 Patronati scolastici (stima);
94 Comitati provinciali di patronati scolastici;
8.050 Comitati comunali dell'ONMI (uno in ogni
comune);
95 Comitati provinciali ONMI più la sede nazionale;
8.050 Comuni;
14 Ministeri (tutti, compresa
20 Assessorati regionali
all'assistenza; 94 Assessorati provinciali all'assistenza;
94 Uffici di assistenza
presso le prefetture;
94 Comitati provinciali di assistenza
e beneficenza pubblica;
95 Uffici provinciali dell'A.A.I. (Amministrazione
per le attività assistenziali italiane e
internazionali) più la sede nazionale;
95 Sedi provinciali del
Commissariato Gioventù italiana (ex GIL) più la sede nazionale;
95 Sedi provinciali dell'Ente nazionale per la
protezione morale del fanciullo più la sede
nazionale;
2.375 (stima) Sedi provinciali e nazionali dei 25
enti nazionali per gli orfani e assimilati;
142 Case di rieducazione, riformatori, uffici
distrettuali di servizio sociale;
154 Consigli di patronato
per i liberati del carcere e per l'assistenza alle famiglie dei detenuti;
9.407 Istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza (IPAB), le ex opere pie;
5.718 Centri assistenza dipendenti da enti pubblici;
13.027 Istituzioni caritative ed assistenziali
operanti nella sfera d'azione della Chiesa cattolica o istituzioni private.
62.801 Totale enti (salvo le inevitabili
dimenticanze).
6. Numero degli
assistiti e spesa media giornaliera
È impossibile calcolare il numero
degli assistiti anche perché essi variano in base alle manovre clientelari
degli enti.
Riferiamo solo quelle degli enti più
importanti per dimostrare a quale punto, sotto il profilo numerico, sia
arrivato il settore assistenziale come sistema di
sottogoverno.
1.891.070 sono gli iscritti negli elenchi dei comuni per
l'assistenza gratuita;
1.618.000 sono gli assistiti dagli E.C.A.;
2.038.489 sono gli assistiti dai patronati
scolastici;
1.470.653 sono gli assistiti dall'ONMI;
1.243.522 sono gli assistiti dall'AAI;
404.348 sono gli assistiti dalle province.
8.666.082 Totale assistiti dai sei organismi più importanti.
È evidente che molti sono gli enti
che intervengono sugli stessi soggetti a causa delle specifiche competenze. Ma è anche vero che il numero degli assistiti è
esageratamente gonfiato dal clientelismo dell'attuale organizzazione assistenziale.
Fra le varie forme di intervento, quello ancora prevalente è il ricovero in
istituti a carattere di internato.
I ricoverati nel 1970 erano 340.532,
così ripartiti:
149.619 minori normali;
9.980 handicappati sensoriali;
6.023 handicappati fisici;
24.756 handicappati psichici;
126.017 anziani poveri;
24.137 ricoverati di altre
categorie.
A queste persone occorre aggiungere
i ricoverati nei manicomi (circa un terzo dei soggetti sono anziani privi di
qualsiasi disturbo mentale) ed i minori rinchiusi nei riformatori, nelle case
di rieducazione e negli istituti di osservazione
(l'intervento rieducativo spesso viene preso dai
tribunali per i minorenni per le carenze degli enti assistenziali).
Il ricovero in istituto di minori,
anziani e handicappati spesso assume le caratteristiche di una vera e propria
deportazione, in quanto i soggetti sono inviati in istituti distanti centinaia
di chilometri dal luogo di origine.
La spesa media
giornaliera per assistito dimostra chiaramente la caratteristica parassitaria
degli enti.
I patronati scolastici hanno speso
nel 1970 30.831.000.000 ed hanno assistito 2.038.489 ragazzi. La spesa media per ragazzo è stata pertanto
di L. 41 al giorno.
Gli enti comunali di
assistenza hanno assistito nel 1970 1.618.000 persone con una spesa di
37 miliardi 652 milioni di cui 10 miliardi 831 milioni per spese di
amministrazione. Ogni assistito pertanto
ha ricevuto in media L. 45 al
giorno.
7. Proprietà degli
enti di assistenza
È quasi sempre
estremamente difficile accertare quali e quante sono le proprietà degli enti
assistenziali pubblici e privati perché essi in genere si servono di prestanomi.
Ad esempio l'ONMI ha recentemente
acquistato a Moncalieri delle case a mezzo della sua
rappresentante «Società generale immobiliare di lavori di utilità
pubblica ed agricola».
Le proprietà dell'istituto di riposo
«Poveri vecchi» di Torino ammontano a oltre 50
miliardi e sono rappresentate, oltre che dall'istituto per 1000 anziani sito in
Corso Unione Sovietica 220, dal fabbricato del pensionato «Buon Riposo» di Via
S. Marino, da due fabbricati in costruzione sempre in Via San Marino, dal
terreno circostante (che comprende campi di calcio per allenamenti
affittati alla Juventus), anche da 2.300 vani di case
di civile abitazione e di lusso in varie zone di Torino e Provincia. Grosse
proprietà sono state accertate nel corso di molti
procedimenti penali a carico dei dirigenti di istituti.
Nella sentenza emessa il 9-10-1971 dal Pretore Palmisano di
Torino è scritto: «L'ascesa economica della Città dei Ragazzi appare
"miracolosa". Dalle due stanze del Regio Parco del 1949 è divenuta proprietaria di un intero villaggio in Sassi,
che si sviluppa su una notevole estensione di terreno, con molteplici padiglioni
per dormitori e per laboratori, con colonia agricola, scuole, chiesa, campo
sportivo, piscina, palestra. Stipula convenzioni col Comune, con le quali -
dietro corrispettivo economico - accoglie nei suoi edifici, che ospitano
scuole pubbliche, i ragazzi del quartiere.
«Parimenti notevole è stato lo
sviluppo del Santo Natale che ha esteso la sua attività in 40 case sparse nelle
diocesi di Torino, Milano, Novara, Bergamo, Pinerolo,
Vercelli, Ivrea e Mondovì,
ove possiede beni immobili. Ha anche una casa al mare
a Cesenatico e case per villeggiatura a Ressago ed Usseglio.
«I risultati economici conseguiti
dai predetti istituti indicano a sufficienza che gli stessi dall'attività
svolta hanno conseguito un "profitto"».
Nella sentenza del Pretore Paone di Ronciglione è scritto che gli elementi raccolti «dimostrano invece non
solo lo scopo, ma l'effettivo conseguimento di un lucro. Il grande
divario, evidenziato dalla perizia contabile, tra le entrate e le uscite
accertate (S. Vincenzo L. 814.859.729 di entrate e L. 8.191.786 di uscite; l'Assunta lire 842.062.765 di
entrate e L. 2.071.410 di uscite); il patrimonio
accumulato di L. 1.213.800.000 (vedi perizie S.
Vincenzo pag. 19 punto 17); l'entità delle rette corrisposte dai privati e che
a volte venivano ad integrare quelle versate da enti pubblici (vedi col. V),
il possesso di una florida azienda agricola (
Notevoli proprietà e lucrosi
profitti furono pure accertati nel processo alla Pagliuca
e negli altri raccolti nel libro Il Paese
dei celestini, Ed. Einaudi,
1973.
Dunque l'attività assistenziale
non solo è un centro potente di sottogoverno, ma anche una vera e propria
attività commerciale che consente grossi profitti.
8. Dati elettorali
negli istituti
Dati elettorali sono stati raccolti
nelle cabine interne del Cottolengo di Torino e in
altri istituti della città (Istituto di riposo di corso
Unione Sovietica e di Corso Casale, Convalescenziario Crocetta,
Convitto Vedove e nubili, Istituto San Salvario,
Istituto piccole suore serve dei poveri). Essi sono confrontati con quelli complessivi
della città di Torino.
Elezioni per
PARTITI |
Voti complessivi città di
Torino |
Seggi interni Cottolengo |
Seggi interni altri istituti |
|||
|
voti |
% |
voti |
% |
voti |
% |
P.C.I. D.C. P.S.I. |
241.344 218.313 75.356 |
30,5 27,6 9,5 |
32 2.818 9 |
1,1 96,6 0,34 |
335 2.015 104 |
11,1 67,1 3,4 |
Elezioni Consiglio regionale
piemontese del 4 luglio 1970
PARTITI |
Voti complessivi città di
Torino |
Seggi interni Cottolengo |
Seggi interni altri istituti |
|||
|
voti |
% |
voti |
% |
voti |
% |
P.C.I. D.C. P.S.I. |
224.578 205.310 74.772 |
29,7 27,1 9,9 |
28 2.584 5 |
1,1 97,5 0,2 |
311 1.991 94 |
10,9 68,- 3,3 |
Risultati analoghi
sono stati accertati per le elezioni comunali e provinciali del 7 giugno 1970.
Un dato importante
è quello del raffronto fra i voti di lista e le preferenze
ottenuti dalla D.C. in Torino città e nei seggi interni del Cottolengo.
ELEZIONI |
TORINO CITTÀ |
COTTOLENGO |
||||
|
Voti di
lista |
Preferenze |
Rapporti fra voti di lista e preferenze |
Voti di
lista |
Preferenze |
Rapporti fra voti di lista e preferenze |
Politiche del 7-5-1972 Regionali del 7-6-1970 Comunali del 7-6-1970 |
8.313 205.310 211.419 |
214.879 103.489 201.729 |
98% 49% 95% |
2.818 2.584 2.994 |
5.939 4.146 7.221 |
210% 161% 241% |
Risulta pertanto che la politicizzazione
dei ricoverati nel Cottolengo è di gran lunga
superiore a quelle dei cittadini di Torino!
Altro dato interessante è quello relativo al referendum del 12 maggio 1974.
I dati relativi
alla città di Torino sono stati 79,1% per il no e 20,9% per il sì;
quelli del Cottolengo 7% per il no e 93% per il sì.
9. Posizione politica
degli emarginati
La classe dominante, oltre a
sfruttare gli assistiti con rilevanti profitti economici, a condizionarli sul
piano elettorale e a utilizzare l'assistenza come
sottogoverno, mette anche gli assistiti, o meglio gli emarginati, in una
situazione personale e familiare di tale carenza di mezzi economici e
mancanza assoluta di prospettive, in modo che essi, costretti a procurarsi
giorno per giorno un margine per vivere, diventano massa di manovra.
Massa di manovra che viene strumentalizzata ai fini conservatori e più spesso
reazionari delle classi dirigenti.
Un esempio, fra i tanti che si
possono portare, è costituito dalla contrapposizione che viene
volutamente creata fra lavoratori dei servizi e utenti con lo strumento
dell'appalto.
L'assistenza e in particolare il
ricovero in istituto sono molto spesso dati in
appalto a istituti pubblici (IPAB) e ad istituti privati.
Gli istituti privati, avendo la
possibilità di un maggior sfruttamento dei propri lavoratori e avendo servizi
più scadenti, entrano facilmente in concorrenza con gli istituti pubblici,
offrendo rette più basse; in questo modo si mette in posizione di contrasto i
lavoratori di enti pubblici ed i lavoratori di enti
privati. Ne deriva che quegli enti dove i lavoratori sono riusciti a
conquistare organici più adeguati alle esigenze degli utenti, personale più
preparato e perciò più pagato, servizi più rispondenti,
vitto migliore, sono proprio i più sfavoriti dal momento che
l'assistito, dovendo pagarsi in tutto o in parte il servizio, per mancanza di
mezzi economici, sarà tentato a scegliere l'istituto meno caro. Ora se un
servizio migliore comporta rette più elevate, viene a crearsi una contrapposizione non solo tra lavoratori ma anche tra lavoratori
e utenti.
Occorre dunque uscire dalla logica
dell'appalto e della retta e rivendicare che i servizi siano
gestiti direttamente dagli enti pubblici. E non da qualsiasi ente pubblico, ma
da quello che è più controllato e a contatto con i cittadini e cioè dal comune.
10. Comuni e unità
locali dei servizi
I comuni hanno una popolazione estremamente variabile come è indicato dalla seguente
tabella che riassume i dati del censimento della popolazione italiana del
1971:
comuni
con popolazione: n. popolazione
fino a 500
abitanti 648 216.705
da 501 a 3.000
abitanti 4.108 6.238.190
da 3.001 a 10.000
abitanti 2.425 12.558.908
da 10.001 a 50.000
abitanti 765 14.885.467
da 50.001 a 250.000
abitanti 96 8.866.861
da 250.001 a 500.000
abitanti 8 2.861.404
oltre i 500.000 abitanti 6 8.397.656
TOTALE 8.056 54.025.211
I comuni troppo piccoli non sono in
grado di gestire i servizi; i comuni troppo grandi non consentono una effettiva partecipazione e un reale controllo da parte
dei cittadini e delle forze sindacali e sociali. Si è pertanto andato
affermando in questi anni la necessità di ripartire il territorio in zone che
comprendano un numero di abitanti tali da consentire
da un lato la gestione di tutti i servizi di base e cioè quelli di primaria
utilità e d'altro lato di consentire una reale partecipazione.
Tale organizzazione, che in generale
si ritiene debba comprendere in media 50.000 abitanti,
è stata definita unità locale.
L'unità locale non è un nuovo ente,
ma è il complesso dei servizi di base, gestiti, a seconda
delle situazioni, dai comuni, consorzi di comuni, organi del
decentramento dei comuni metropolitani.
Il punto di arrivo,
anche se ci rendiamo conto che è a lungo termine, è quello della rifondazione
dei comuni, rifondazione che deve essere attuata in modo da avere un organo di
governo democratico e tale da poter soddisfare le esigenze dei cittadini.
11. Unità locali di
tutti i servizi
Il concetto dell'unità locale è
ormai passato: si pensi all'unità sanitaria locale.
Ma anche l'unità locale, nel
tentativo di riforma di fondo dei servizi, può venir
svuotata da coloro che vogliono che tutto resti così com'è. Il termine di unità locale sarà un guscio vuoto se contenuti, strutture
e prestazioni non diventeranno la proposta di un radicale cambiamento.
È il tentativo del Ministero
dell'interno che non propone l'unità locale dei servizi sanitari, scolastici,
abitativi, sociali, culturali, ricreativi, ecc., bensì
l'unità locale dei servizi sociali di assistenza, avente una personalità giuridica
propria. È evidente infatti l'interesse del Ministero
dell'interno e di molti dirigenti di enti pubblici e privati conservare, anzi
potenziare il settore dell'assistenza e cioè quell'insieme di istituzioni e interventi
diretti a tenere in una condizione di vita subumana sul piano economico,
personale e sociale le persone non più inserite in attività lavorativa
(anziani, invalidi del lavoro, ecc.) o esclusi dal ciclo produttivo
(sottoccupati, disoccupati, handicappati, ecc.).
Con la creazione di
unità locali distinte per settore e soprattutto se ognuna di esse avrà
una sua personalità giuridica (unità sanitaria locale, unità locale dei servizi
assistenziali, unità locale dei servizi scolastici, unità locale dei servizi
abitativi, magari l'unità locale dei servizi culturali e ricreativi, ecc.) si
opera in primo luogo lo svuotamento delle competenze dell'organo elettivo il
più a contatto con i cittadini: il Comune, e in secondo luogo si settorializzano i problemi, rendendo ancora più difficile
gli interventi a monte che sono indispensabili se si vogliono eliminare le
cause che provocano la richiesta di assistenza.
Facciamo un esempio: il ricovero
degli anziani in istituto. Esso può essere evitato se vi è una gamma di interventi: pensioni adeguate, prestazioni domiciliari
sociali e sanitarie, alloggi individuali o per piccole comunità anche con
servizi collettivi. Da qui pertanto la necessità politica e
tecnica che tutte queste competenze siano affidate ad un unico organo
politico-amministrativo. Solo per quelle forze che per meglio imperare
vogliono dividere i cittadini, l'unità sanitaria locale
dovrebbe essere una cosa diversa dall'unità scolastica o distretto scolastico;
diversa dall'unità dei servizi sociali, diversa ancora dall'unità dei servizi
ricreativi e così via.
Per noi che abbiamo come principale
punto di riferimento la partecipazione dei cittadini come unica forza che abbia
la possibilità di garantire il soddisfacimento di tutte le esigenze, l'unità
locale deve essere un'unica struttura, vista non come un organo esclusivamente tecnico, ma come un organismo politico e tecnico nello
stesso tempo.
Vogliamo cioè
che all'organo di governo più vicino ai cittadini (Comuni, consorzi di comuni,
comunità montane, organi del decentramento dei comuni metropolitani) siano
date competenze e finanziamenti per poter essere un vero e proprio organo che
stabilisce, con la partecipazione dei cittadini, le linee politiche generali e
particolari e che gestisce tutti i servizi di base siano essi sanitari,
ricreativi, scolastici, abitativi, di tempo libero, ecc.
12. Competenze delle
Regioni
Le competenze nel campo
dell'assistenza sociale oggi esercitate dallo Stato
tramite i ministeri o tramite enti nazionali e territoriali devono essere
tutte trasferite alle Regioni, come d'altra parte prevede l'art. 117 della
Costituzione.
Ma le Regioni devono esercitare le
nuove competenze (e quelle già trasferite) in modo democratico, trasferendole
ai comuni, consorzi dei comuni, comunità montane, organi del decentramento
delle città metropolitane.
13. Scioglimento degli
enti
Come dimostra chiaramente l'elenco
di cui al punto 5, vi è una proliferazione assurda di enti
nazionali e territoriali.
Le Province sono competenti per
intervenire nei confronti degli illegittimi, dei ciechi, dei
sordomuti, dei malati mentali. A volte intervengono anche nei confronti
degli insufficienti mentali.
Gli E.C.A., di cui ne esiste uno in ogni comune e che sono autonomi
rispetto ai Consigli comunali, hanno il compito di assistere gli individui e
le famiglie in condizione di particolare necessità.
I comuni hanno l'obbligo di
provvedere al mantenimento degli inabili al lavoro che sono
per definizione i minori degli anni 15 e gli anziani, oltre agli inabili veri e
propri (handicappati fisici e psichici).
Il Ministero della Sanità provvede
al ricovero e alla riabilitazione degli invalidi civili mediante convenzioni
con enti pubblici e privati (Legge 30 marzo 1971, n. 118).
Poiché le rette del Ministero della
sanità sono molto convenienti (7.000-10.000 lire al
giorno), molti enti fanno passare per invalidi ragazzi perfettamente normali.
Per l'assistenza agli orfani vi è
una valanga di enti. In primo luogo l'ENAOLI che assiste
gli orfani di padre e di madre fino al 21° anno di età
purché uno dei genitori abbia versato le assicurazioni obbligatorie ed è
finanziato dai contributi dei lavoratori e delle aziende (INAIL 2%, Casse
marittime 2%, INPS 0,19%). Le entrate nel 1973 sono state di oltre 67 miliardi.
Gli assistiti nello stesso anno sono stati
Vi sono poi l'Opera nazionale per
l'assistenza agli orfani dei sanitari italiani, l'Ente nazionale di assistenza agli orfani degli agenti di custodia, l'Opera
nazionale di assistenza per gli orfani dell'arma dei carabinieri e gli altri
enti indicati nell'articolo 3 della proposta di legge.
L'ONPI, l'Opera nazionale pensionati
d'Italia, oltre agli anziani, assiste anche i figli dei pensionati.
L'ONMI. istituita
dal fascismo nel 1925, comprende una sede nazionale e comitati in ogni provincia
e in ogni comune. Ha lo scopo di assistere gestanti e madri bisognose e i
bambini di qualsiasi età appartenenti a famiglie povere, di intervenire
contro le malattie infantili, di vigilare nell'applicazione delle leggi in
vigore per la protezione della maternità e dell'infanzia, di controllare
tutte le istituzioni pubbliche e private di assistenza all'infanzia, di
istituire servizi per l'infanzia (asili nido, consultori, ecc.).
I numerosi scandali degli istituti di assistenza all'infanzia, i processi all'ex presidente
nazionale dell'ONMI e a presidenti di comitati locali, l'alta percentuale della
mortalità infantile, la scarsità degli asili nido ONMI e la loro impostazione
di semplice custodia dei bambini, tutto ciò dimostra ampiamente che l'ONMI è un
ente non solo parassitario, ma anche e soprattutto estremamente dannoso.
I patronati scolastici hanno il
compito di fornire agli alunni bisognosi cancelleria, indumenti, medicinali e
di istituire doposcuola.
I patronati scolastici sono nati nel
1888 e sono stati riorganizzati nel 1954.
Le IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza), istituite in sostituzione
delle opere pie, sono regolamentate dalla vecchissima legge del 1890.
Pur essendo pubbliche (sono soggette
agli stessi controlli formali dei Comuni), la (oro gestione è essenzialmente privatistica. In genere comuni e
province e altri enti appaltano alle IPAB anziani e minori, che vengono
assistiti nei limiti consentiti dall'importo delle rette.
Tutti i Ministeri e
Il Ministero che continua ancora
oggi ad avere la maggiore competenza in campo assistenziale
è quello dell'interno, al quale appartiene anche l'AAI. Infatti
ancora oggi vi è una stretta connessione fra assistenza ed ordine pubblico.
Gli emarginati che ancora oggi sono
usati dalla classe dominante come massa di manovra, potrebbero
mobilitarsi per rivendicare i propri diritti ed è per questo che le competenze
più importanti sono state e restano affidate al Ministero dell'interno, ai
prefetti, ai comitati provinciali di assistenza e beneficenza pubblica, alla
pubblica sicurezza e alla polizia femminile.
Citiamo a prova di ciò quanto
scritto dal Ministero dell'interno nella relazione del
bilancio dello Stato del 1969: «L'assistenza
pubblica ai bisognosi racchiude in sé un rilevante interesse generale in
quanto i servizi e le attività assistenziali concorrono a difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari».
A ulteriore conferma dell'odierno
rapporto fra polizia e assistenza si riportano alcuni articoli di legge:
-
R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza)
Art. 154 - Le persone riconosciute
dall'autorità locale di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi proficuo lavoro
(nota: e cioè gli anziani, i minori degli anni 15 e
gli invalidi) e che non abbiano mezzi di sussistenza né parenti tenuti per
legge agli alimenti e in condizione di poterli prestare, sono proposti al
prefetto (nota: oggi alle Regioni), il quale ne dispone il ricovero in un
istituto di beneficenza del luogo o di altro comune.
-
R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento delle leggi
di pubblica sicurezza)
Art. 282 - Qualora l'inabile, di cui sia
stato ordinato il ricovero, non intenda stabilirsi nell'istituto o se ne allontani arbitrariamente, vi è accompagnato con la
forza.
*
* *
Ripetiamo dunque che lo scioglimento
di tutti gli enti nazionali e locali, la sottrazione di ogni
competenza assistenziale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai
Ministeri, alle Province, agli enti, istituti e fondi di previdenza e assistenza
e agli altri organismi similari e il trasferimento di tutte le competenze e
finanziamenti relativi alle Regioni, non è richiesto solo per eliminare tutto
l'esistente selva selvaggia di istituzioni, ma quale primo ed essenziale passo
per una decisa inversione di tendenza.
Resta
da precisare che per quanto riguarda lo scioglimento degli enti di assistenza che sono nello stesso tempo associazioni di
categoria (Unione italiana ciechi. Opera nazionale invalidi di guerra, Ente
nazionale per la protezione e assistenza ai sordomuti, Associazione mutilati e
invalidi del lavoro, ecc.), è evidente che, sciolti come enti gestori di
servizi, compete ai soci interessati decidere se conservare o
meno la struttura associativa ai sensi degli art. 12 e seguenti del
codice civile.
14. Aspetti politici
dell'assistenza
Come è stato affermato nel convegno di
Torino del 3-7-1971 «Dall'assistenza emarginante ai servizi sociali aperti a
tutti», organizzato da CGIL, CISL, UIL, le attività assistenziali
sono gestite attualmente in modo estremamente frammentario e scoordinato non
solo nel momento operativo ma anche in quello della direzione politica. Tale
disorganizzazione è talmente vistosa che si è
facilmente portati ad individuare in essa le cause delle principali
inadeguatezze del nostro sistema assistenziale.
Quando però si cerca di vedere un
po' meglio nella realtà, ci si accorge che le cose non sono così semplici:
quelle che sembravano essere le cause del disservizio (frammentazione degli
enti, ecc.) risultano infatti semplici ed abbastanza
coerenti conseguenze di un modo di intendere l'assistenza come una sorta di
mastice tappabuchi.
Cioè, per dirla in poche parole, se si
pone attenzione alla realtà dei fatti, si comprende come tutta l'impalcatura
assistenziale serva in sostanza a questo scopo: porre falsi rimedi, perché soltanto
temporanei ed illusori, a situazioni patologiche che non possono essere
eliminate se si vuole mantenere in piedi l'attuale sistema di produzione
capitalistica, in cui per ben precisi motivi strutturali non ci può e non ci
potrà mai essere lavoro e benessere per tutti e dove il prezzo da pagare per
avere un «posto sicuro» è accettare una crescente alienazione con tutte le
conseguenze patologiche che questo comporta. Si fa cioè
il gioco dei bussolotti per cui cause ed effetti non si corrispondono più.
Un esempio: si fa credere che a
genitori buoni lavoratori corrispondano figli ben educati e non si dice invece
che le estenuanti condizioni di lavoro di fabbrica
sono spesso la causa principale della insufficiente disponibilità nei confronti
dell'educazione dei figli. Si fa credere che una vita seriamente dedicata al
lavoro, «andando a dormire tardi ed alzandosi presto», abbia
come conseguenza una vecchiaia onorata, magari di anziano FIAT, mentre
invece, proprio per non aver potuto reagire a certe condizioni imposte dalla
produzione, molti lavoratori finiscono in ospedale psichiatrico prima della
vecchiaia o giungono alla pensione debilitati, senza più avere la capacità di
essere autonomamente se stessi.
È da questa confusione tra cause ed
effetti che nasce l'equivoco di una assistenza
concepita e fatta recepire come un qualcosa che interessa relativamente poche e
sfortunate eccezioni, costituite da persone colpite da disgrazia, di cui si
sente pietà; è da questa confusione nell'interpretazione della realtà che
nascono grosse difficoltà a pensare ad un'assistenza diversa dalla attuale, al
servizio di tutti.
I 62.800 uffici assistenziali
italiani esercitano una serie di attività disparate che vanno dall'elemosina
spicciola alla gestione di servizi di interesse collettivo. Servizi di importanza primaria come gli asili nido, buona parte
delle scuole materne, i doposcuola, gli istituti per anziani, i servizi
specializzati per particolari limitazioni della capacità lavorativa, ecc.
È quindi impossibile parlare di
riforma dell'assistenza senza entrare nel merito dei problemi del lavoro,
della salute, della casa, della scuola, dell'assetto del territorio, di tutti
quei bisogni la cui mancata soddisfazione porta alla richiesta individuale di
prestazioni di immediata riparazione.
È anche impossibile parlare di
bisognosi sociali prescindendo dall'analisi delle
recenti trasformazioni socio-economiche e produttive: valga a questo
proposito il riferimento alle enormi richieste quantitative e qualitative
introdotte dal fenomeno dell'immigrazione e da quelle collegate all'evoluzione
del processo produttivo.
Inoltre, è fondamentale rendersi
conto che l'attuale impostazione assistenziale
paternalistica basata sull'artificiosa definizione di innumerevoli categorie di
cosiddetti «bisognosi», tende ad isolare tra loro e verso il corpo sociale
persone che in realtà appartengono alle più ampie categorie: giovani che
devono costituire la futura forza-lavoro adatta a mansioni parcellizzate e
spersonalizzanti, adulti che sono costretti ad un lavoro non predisposto a
misura d'uomo, anziani o minorati che non sono più in grado di assicurare una
adeguata produttività.
Questa divisione, che tende ad
impedire che la maggioranza dei cittadini si riconosca interessata come
oggetto di un unico processo di sfruttamento, deve essere combattuta con la
demistificazione del concetto di assistenza,
capovolgendo i termini della questione ed esigendo per tutti un'attuazione
adeguata di quei servizi, ora riservata alla ristretta minoranza privilegiata
delle classi al potere, che consentono all'uomo la piena realizzazione di sé.
È evidente che il completo
raggiungimento di questo obiettivo coinciderebbe con
l'eliminazione delle classi e questa non è certo una mèta vicina; è però
comunque necessario adottare un metodo di analisi che parta dalla
consapevolezza dei condizionamenti classisti e miri alla costruzione di
alternative al potere.
I sindacati in particolare devono
impegnarsi ad assumere iniziative di lotta sui problemi qui trattati perché,
come si è già accennato, queste iniziative sono riconosciute dai lavoratori
come momento essenziale della loro lotta di classe.
C'è in più un'altra ragione, quella
di controllare come vengono spesi i soldi dei
lavoratori, perché i soldi spesi nell'assistenza sono quelli che essi hanno
versato non solo come cittadini che pagano le tasse, ma come produttori. Una
terza ragione, e non la meno importante, è che sono proprio i lavoratori a
dover usufruire di questi servizi ed una struttura di servizi che preveda solo la possibilità di mettere dei rattoppi su danni
già prodotti senza provvedere prima di tutto ad evitare che questi danni si
verifichino, è contraria agli interessi di tutti ed in particolare dei
lavoratori, per i quali ogni bisogno nuovo significa ulteriore pressione sul
salario quando non provoca addirittura l'esclusione del lavoratore dal
processo produttivo (infortuni sul lavoro e conseguente invalidità,
inquinamento e nocività dell'ambiente e malattie professionali, ecc.). Infine
perché l'assistenza è essa stessa una forma di sfruttamento, in quanto serve a
spremere da chi è in grado di lavorare tutto il profitto possibile, ed a
mantenere nel modo meno costoso ed ingombrante chi non ha capacità lavorativa,
o ha una capacità lavorativa limitata, magari perché
danneggiato dalle condizioni in cui ha lavorato e vissuto in passato.
Va sottolineato
anche, contro l'impostazione settoriale che si tende a dare ai problemi assistenziali
nelle sedi governative e nelle sedi di rivendicazione corporativa, che nessuna
forma specifica di emarginazione si combatte senza combattere anche le tendenze
emarginanti proprie delle strutture sociali in generale; quindi ogni proposta
di soluzione settoriale presuppone dei cambiamenti più generali verso i quali
qualsiasi lotta deve essere orientata.
15. Superamento
dell'assistenza
Come abbiamo
già detto lo scioglimento degli enti non è richiesto per una semplice
razionalizzazione degli attuali servizi, poiché questo significherebbe
soltanto un semplice ammodernamento di tutte le strutture preposte
all'emarginazione, e perché gli obiettivi da raggiungere nel campo
dell'assistenza non possono essere diretti al semplice miglioramento della
situazione, poiché in tal modo verrebbero conservate le condizioni economiche e
sociali che provocano le richieste di assistenza.
Occorre invece che gli obiettivi
siano diretti, nell'ambito delle lotte per il cambiamento sociale:
- ad un
consistente trasferimento dei finanziamenti dai consumi privati ai servizi
sociali (casa, sanità, lavoro, scuola, ecc.);
- alla creazione di servizi sociali
(casa, salute, lavoro, scuola) aperti a tutti con conseguente abolizione delle
scuole speciali, delle classi differenziali, degli istituti di
assistenza, dei centri riservati e particolari «categorie» (istituti per
minori, case di riposo e case albergo per anziani, centri per ciechi, per
spastici, per subnormali, ospedali psichiatrici, ecc.);
- alla piena
occupazione e, per le persone non in grado di svolgere attività lavorativa,
alla garanzia di pensioni adeguate.
Alle persone che, a causa
dell'invalidità, non hanno mai svolto attività lavorativa
deve essere assicurato il necessario economico per vivere.
L'importo di tutte le pensioni (e
non solo di quelle contributive) deve essere rapportato al salario medio dei lavoratori
dell'industria per stabilire un reale collegamento fra lavoratori in attività, lavoratori pensionati, invalidi;
- alle riforme della casa, della
tutela della salute, della scuola, ecc., di modo che
siano eliminate le cause che provocano le richieste di assistenza;
- alla effettiva
partecipazione dei lavoratori alla determinazione dei nuovi indirizzi della politica
sociale;
- alle istituzioni di unità locali dei servizi democraticamente controllate.
La realizzazione
degli obiettivi sopra indicati si scontra con enormi interessi politici, economici,
elettorali, clientelari: essa non potrà pertanto essere raggiunta senza una
dura lotta.
16. Servizi
onnicomprensivi (1)
Vi è dunque la necessità assoluta
che tutti i servizi siano non settoriali, non siano cioè
riservati a particolari «categorie» di cittadini, ma onnicomprensivi e cioè
aperti a tutti i cittadini.
a) La scuola
onnicomprensiva
La scuola deve essere un momento di informazione e formazione a carattere permanente e globale.
In tale quadro si colloca l'esigenza della scuola a tempo pieno, di un'edilizia
scolastica rinnovata, di un preciso rapporto con il territorio, della riduzione
del numero di allievi per classe, dell'abolizione
delle classi differenziali, dell'inserimento nelle scuole comuni degli
handicappati fisici, psichici e sensoriali, ecc.
Ciò implica non solo un profondo
cambiamento delle finalità della scuola (da selettiva come oggi a formativa),
ma anche l'approntamento di particolari strutture in modo, ad esempio, da consentire che siano fornite, all'interno della scuola,
le prestazioni specialistiche e riabilitative necessarie agli handicappati.
Per quanto concerne le strutture
formative (asili nido, scuole materne, scuola dell'obbligo, scuole superiori,
corsi di addestramento professionale, ecc.) occorre
giungere al più presto alla eliminazione delle attuali discriminazioni, per cui
in luogo di una scuola unica aperta a tutti, ne sono state costituite numerose
a seconda di «categorie» prefissate di cittadini.
Abbiamo infatti:
la scuola comune, le classi differenziali, le scuole speciali, le classi
speciali presso le scuole comuni, i centri «educativi» per handicappati
psichici gravi, le classi presso istituti di assistenza, i convitti, le scuole
per spastici, ciechi, ambliopici, sordomuti,
sordastri, ecc.
Nella fase transitoria dovrebbe
essere solamente ammessa, per i casi effettivamente gravi, la creazione di
classi speciali presso le scuole comuni.
All'interno delle scuole comuni
dovranno essere fornite le prestazioni specialistiche (fisioterapia,
logopedia, ginnastica correttiva, insegnamento del Braille, ecc.).
È evidente che la scuola per
diventare onnicomprensiva deve modificare profondamente i suoi contenuti: in
sintesi da selettiva, e cioè per i più «dotati» deve
diventare formativa, nel senso di fornire a tutti quanto necessario per il pieno
sviluppo della propria personalità.
b) La casa
onnicomprensiva
Lo stesso discorso vale per la casa.
Essa deve innanzi tutto essere concepita come servizio sociale
a disposizione di tutti i cittadini. Avere case onnicomprensive significa
predisporre nel normale contesto abitativo, e cioè in
ogni quartiere, abitazioni idonee alle varie necessità individuali, familiari
e sociali. Da un lato le case devono essere costruite in modo che le si possa abitare anche quando si diventa anziani o si abbiano
difficoltà motorie, d'altro lato esse devono essere dotate di quei servizi
necessari ad una effettiva vita di relazione (locali attrezzati per incontri,
per attività ricreative, culturali per minori e adulti),.
In particolare dovranno essere
previsti alloggi individuali o per piccole comunità di zona (6-10 posti) per
minori handicappati e non handicappati, per gli
anziani e per le famiglie che intendono vivere comunitariamente.
Verrà così reso inutile, fra l'altro, il ricovero in
istituto di quelle persone oggi espulse a causa di abitazioni inidonee.
c) I servizi sanitari
onnicomprensivi
Lo stesso discorso vale altresì per
i servizi sanitari.
Oltre all'effettivo collegamento fra
prevenzione, cura e riabilitazione, occorre anche unire veramente il momento
ospedaliero con quello extra-ospedaliero.
Ad esempio, in ogni quartiere
potrebbero essere costruiti dei centri sanitari che comprendano la parte
ospedaliera, con ricovero 24 ore su 24, la parte semi-ospedaliera, con ricoveri
di alcune ore al giorno e cioè i cosiddetti ospedali
diurni, e la parte ambulatoriale ed extrambulatoriale.
Fra le attività dei centri sanitari
di quartiere, le principali dovrebbero essere: quelle di prevenzione, cura e
riabilitazione relativa alla ginecologia, pediatria,
geriatria, medicina e chirurgia generale che non richiedano interventi di alta
specializzazione. Solo in questo modo sarà possibile evitare, fra l'altro, la
costruzione dei nuovi ghetti quali gli ospedali geriatrici,
i gerontocomi, gli psicogerontocomi e si potrà
consentire anche alle persone ammalate di mantenere contatti con la comunità e
alla comunità di esercitare un reale controllo sulla
salute.
d) Riassetto e uso del
territorio
Tutte queste rivendicazioni, e
quelle riguardanti i servizi ricreativi, culturali e sociali in genere
presuppongono un diverso riassetto e uso
del territorio, per cui diventa importante il discorso
urbanistico.
Sono infatti
di primaria importanza l'organizzazione delle città, la facilità delle
comunicazioni, la possibilità effettiva delle relazioni di ogni genere fra i
membri della comunità.
Se infatti
nel sistema capitalistico lo sviluppo delle città è condizionato dal modo di
produzione, distribuzione e consumo delle merci, l'interesse del cittadino e
del lavoratore è invece quello di avere una città a misura di chi l'abita, in
cui il complesso delle attrezzature sociali abbia importanza rispetto al
contesto della residenza e delle attività produttive e non viceversa.
Ciò è possibile solo nella misura in
cui si individui un modello alternativo di sviluppo
urbano fondato sul riequilibrio delle tipologie di insediamento, secondo una
diversa logica dei rapporti sociali o della utilizzazione delle risorse. Chi paga
oggi la crisi delle città?
Non tanto le persone giovani ed
attive che sentono ovviamente meno le conseguenze della organizzazione
della città che affatica, che è causa di incidenti, che presenta barriere
anche edilizie, che impediscono e rendono difficili i rapporti sociali. Ancora
una volta pagheranno gli abitanti dei quartieri periferici, le persone anziane,
gli invalidi, gli ammalati e tutti coloro che hanno
difficoltà a spostarsi.
Pertanto l'abbattimento delle
barriere architettoniche non viene richiesto per
costruire città a misura degli handicappati e degli anziani, ma è un problema
politico che investe tutti nella lotta per una diversa organizzazione del
territorio.
È necessaria una diversa
impostazione della ricerca scientifica
destinata ai fini sociali, e cioè al servizio della
collettività e non strumento della produzione monopolistica.
Vi è pure l'esigenza di provvedere
al più presto alla formazione,
aggiornamento e riqualificazione su un piano generalizzato del personale a
cui verranno affidati compiti inerenti all'attuazione
del sistema dei servizi sociali. È necessario superare, in questo quadro,
l'artificiosa distinzione tra personale amministrativo e tecnico, per
l'affermazione della figura professionale dell'operatore sociale, che, in relazione ai bisogni e alle risposte programmate,
esercita specifiche funzioni.
17. Interventi per gli
handicappati
Nella proposta di legge è previsto
che gli interventi per gli handicappati (ciechi, sordi, insufficienti
mentali, distrofici, spastici, ecc.) siano assicurati nell'ambito degli
interventi per tutti i cittadini.
Questa linea è alternativa a quella attualmente praticata dai vari enti di assistenza e prevista
dalla legislazione vigente che è diretta alla separazione degli handicappati
dai cosiddetti normali, con la scusa che interventi specialistici richiedono
servizi speciali, riservati cioè alle specifiche categorie di handicappati.
Esistono invece esperienze concrete
in varie parti d'Italia (Lecce, Arezzo, Reggio Emilia, Milano,
Queste esperienze dimostrano in
sostanza che gli enti di categoria (per i ciechi, per sordomuti, per spastici)
oggi non solo non sono più utili, ma sono negativi. Infatti
sono necessari servizi aperti a tutti e all'interno di detti servizi devono essere
fornite le prestazioni specialistiche di cui gli handicappati possono avere
bisogno.
In sostanza si tratta di fornire gli
interventi specialistici senza ostacolare il processo di socializzazione
che è fondamentale per tutti i ragazzi.
18. Servizi
alternativi al ricovero in istituti
Il ricovero in istituti a carattere di internato costituisce una vera e propria segregazione di
bambini, di anziani, di handicappati.
Esistono soluzioni alternative al
ricovero che sono applicate in varie parti d'Italia. Esse consistono ad esempio nel fornire alla famiglia del bambino o
all'interessato (adulto o anziano) il necessario economico per vivere. Infatti,
com'è noto, la maggior parte dei ricoveri (fino all'80%) è
dovuta a motivi economici.
Ciò esige una revisione
delle pensioni di vecchiaia, inabilità, sociali e soprattutto l'elevazione dei
minimi e il collegamento pensioni-salari.
In fase transitoria possono essere
previste integrazioni economiche da parte dei comuni, ma ciò non deve
costituire un espediente per mantenere basse le pensioni.
Altri ricoveri possono essere
evitati con la creazione o l'estensione dei servizi scolastici e prescolastici
(asili nido, scuole materne, scuole dell'obbligo a tempo pieno), con
l'assegnazione di alloggi adeguati e con affitti non
speculativi (ciò è valido soprattutto per gli anziani).
Un altro modo per evitare i ricoveri
è rappresentato dall'istituzione di servizi di assistenza
domiciliare comprendente sia l'aiuto domestico (disbrigo faccende, pulizia
alloggio, acquisto viveri, ecc.), sia l'assistenza infermieristica e sanitaria.
Questi servizi sono necessari non
solo per gli anziani e per gli invalidi, ma anche per tutti i cittadini nei
casi in cui si trovino In condizione di non poter
provvedere a se stessi o ai propri familiari. Si pensi ad esempio ai ricoveri
in istituti dei bambini, quando i genitori sono ospedalizzati.
Vi sono dei casi in cui i minori
devono trovare una sistemazione extrafamiliare.
Si tratta di casi reali, ma essi
sono molto meno numerosi di quanto l'industria dell'assistenza voglia far credere.
In tutti questi casi si può
provvedere senza segregare i bambini:
- mediante
l'adozione speciale nei casi di totale abbandono materiale e morale da parte
dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi;
- mediante l'affidamento a scopo
educativo a famiglie e persone;
- mediante la costituzione di
comunità alloggio (chiamati anche gruppi appartamento) e cioè
gruppi di 5-6 ragazzi che vivono con educatori in un alloggio qualsiasi di una
casa qualsiasi.
La soluzione della comunità alloggio
è valida anche per gli anziani che non sono in grado o
non vogliono vivere da soli.
Questa soluzione, unita a quelle
precedenti, consente, se c'è la volontà politica, di
svuotare tutti gli istituti per anziani, per minori e per handicappati.
Gli anziani ammalati compresi i cosiddetti cronici devono poter usufruire dei
servizi sanitari per tutti i cittadini (assistenza domiciliare, ambulatoriale
ed ospedaliera gratuita).
Ovviamente i nuovi interventi devono
dare prevalenza assoluta alla prevenzione, che non può però essere considerata
un fatto esclusivamente medico, ma deve consistere
nella rimozione di tutte le cause economiche, sociali e ambientali che
provocano malattie, disturbi, disadattamenti.
19. Limiti della
proposta di legge
Il testo della proposta di legge
così come oggi si presenta, ha pur tuttavia alcuni limiti che cerchiamo qui di
fissare nella speranza che possano essere superati nel
corso della campagna per la raccolta delle firme. In primo luogo non si fa alcun
riferimento all'organo che a livello nazionale dovrebbe garantire i rapporti
internazionali e assicurare il coordinamento generale dei servizi sociali.
A nostro avviso tali funzioni
potrebbero essere assunte dal Ministero della Sanità, modificato nei suoi
compiti, che verrebbe così ad assumere la
denominazione di Ministero dei servizi sanitari e sociali.
Poi nell'art. 2 non si fa cenno ai
consigli di quartiere dei comuni che comprendono più unità locali dei servizi,
consigli ai quali va demandata a nostro avviso la gestione dell'unità locale
dei servizi.
Sempre l'art. 2 parla genericamente
di «organico collegamento nell'ambito territoriale con tutti gli altri servizi
di base in una globale politica di programmazione».
Riteniamo invece, come abbiamo già precisato ai punti
9 e 10, che l'unità locale, facendo riferimento essenziale alla partecipazione
dei cittadini, deve essere la struttura politico-amministrativa in cui si integrano, con la necessaria
gradualità, tutti i servizi di base siano essi scolastici, abitativi, sanitari,
ricreativi, culturali o sociali in genere.
Ne deriva come conseguenza la
coincidenza territoriale assoluta con il distretto scolastico, che non deve
essere un organo di gestione. Anzi, con la creazione delle
unità locali dei servizi, il distretto scolastico dovrebbe essere soppresso ed
i compiti di programmazione demandati all'Unità locale. In questo modo
la partecipazione diventa unitaria per tutti i problemi e non di tipo
corporativo, come è previsto sinora per gli organi
collegiali della scuola.
In un altro punto è carente la
proposta di legge: non fa cenno alle Province. Al di là del
problema della sopravvivenza o meno dell'ente, non è possibile conservare alle
Province le attuali competenze assistenziali in materia di illegittimi, di
ciechi, di sordi e di handicappati psichici in quanto è l'unità locale che deve
essere competente per tutti i servizi di base, come abbiamo più volte
ripetuto.
Nulla poi troviamo nella proposta di
legge in riferimento all'assistenza privata.
A questo riguardo noi pensiamo
chiaramente che gli enti privati di assistenza devono sparire
come quelli pubblici nazionali e territoriali, in quanto deve finire l'appalto
delle persone e la lottizzazione dei loro bisogni.
Spazio adeguato va invece dato ai
cittadini che intendono svolgere attività di intervento
diretto. Un esempio di questa attività di intervento
diretto di persone o di nuclei familiari l'abbiamo già avuto nell'adozione
speciale, negli affidamenti a scopo educativo, nelle comunità alloggio, non
gestite direttamente da personale dell'unità locale.
Un altro tipo di intervento
di volontari (direttamente come persone) può essere possibile, anzi
auspicabile, nei servizi culturali e ricreativi.
Tuttavia, in ogni caso, i volontari
dovranno collocare la propria opera nell'ambito dei servizi pubblici: ad
esempio pubblico deve essere il servizio di affidamento
a famiglie, persone e comunità-alloggio, e le
ammissioni e dimissioni dovranno essere concordate fra il Comune (o il
Consorzio di comuni) che gestisce ed i volontari.
20. Partecipazione
Molto importante è la partecipazione
dei cittadini sia all'impostazione che alla gestione
dei servizi sociali o di altro genere. E qui si
contrappongono due impostazioni (2).
Vi può essere una cogestione, e
questa si realizza mediante la presenza nei consigli
di amministrazione dei servizi di rappresentanti delle forze sindacali e
sociali. Con la cogestione il contropotere,
rappresentato dai sindacati e dalle forze sociali, viene in questo caso ad
essere annullato o molto ridotto perché coinvolto in obblighi di gestione e
vincolato dalle leggi e regolamenti vigenti.
Infatti la doppia e contrastante posizione
del sindacato di gestore dei servizi e di rappresentante dei lavoratori nei
confronti dell'ente locale pone il sindacato stesso nella contraddittoria situazione
di essere nello stesso tempo parte e controparte.
Più corretta, a nostro avviso, è la
posizione del controllo democratico da parte delle forze sindacali e sociali e
dei cittadini, mentre la gestione dovrebbe essere assicurata dai Comuni,
Consorzi di comuni e, nelle unità locali facenti parte di uno stesso comune,
dai Consigli di quartiere eletti dai cittadini.
(1) V.G. ALASIA, G. FRECCERO, M. GALLINA, F. SANTANERA, Assistenza, emarginazione e lotta di classe
- Ieri e oggi, Feltrinelli, 1975.
(2) Sul problema della
partecipazione come controllo democratico si veda l'articolo di C. CIANCIO
pubblicato sul n. 29 di Prospettive assistenziali.
www.fondazionepromozionesociale.it