Prospettive assistenziali, n. 30, aprile-giugno 1975

 

 

DOCUMENTI

 

ASSOLTO PER AVER VIOLATO LA LEGGE SULL'ADOZIONE SPECIALE

 

 

Pubblichiamo la decisione del giudice istruttore di Roma nel procedi­mento penale contro il presidente dell'Opera per la città dei ragazzi, per ave­re omesso di inviare al giudice tutelare, gli elenchi dei minori in stato di ab­bandono (art. 314/5 c. c.).

La sentenza è la logica conclusione di un piano generale che, calpestan­do i diritti dei minori, tende a garantire agli enti privati la continuità del ri­covero anche quando è chiaro l'intervento speculativo, più che il bisogno dei bambini stessi.

Mentre Battistacci come Presidente del Tribunale per i minorenni di Perugia ne confuterà l'aspetto giurisdizionale, a noi preme ancora una volta sottolineare il trattamento riservato ai ricoverati, l'elusione dei controlli pub­blici con i pericoli da noi molte volte denunciati (1), l'assoluta «chiusura» degli istituti e il rifiuto di quelle leggi che se osservate diminuirebbero il nu­mero dei clienti e la possibilità di sopravvivenza di centrali di potere.

Mentre ribadiamo il dovere degli organi pubblici di garantire a tutti il diritto ai servizi sociali, trasferendone la gestione alla Regione e ai Comuni, nel pieno attuarsi della Costituzione, possiamo ammettere il diritto dei cit­tadini come privati (e non come enti) a gestire alcuni servizi, purché siano controllati dall'ente pubblico locale. Un ruolo di vigilanza che ha uno scopo non tanto burocratico e fiscale, ma che va inteso come continuo rapporto tra i privati, le comunità locali e i loro organi rappresentativi.

 

 

COMMENTO GIURIDICO

GIORGIO BATTISTACCI

 

Il contenuto e le motivazioni della decisione del giudice istruttore di Roma sottoriportata non sembrano da condividere perché in contrasto con una moderna concezione dello Stato e dei suoi compiti e perché risultano tali da mettere in pe­ricolo le stesse finalità di tutela dei minori che ispirano la legge sull'adozione speciale.

Non sarà inutile ricordare innanzitutto che già la dottrina nel passato sosteneva che lo Stato moderno, oltre ad avere come suoi fini quelli tradizionali inquadrati nell'attività cosiddetta giu­ridica (difesa dall'esterno e mantenimento dell'ordine interno) aveva assunto altri fini inqua­drati nella cosiddetta attività sociale e che si ma­nifestano in una serie di iniziative rivolte al mi­glioramento delle condizioni di vita dei cittadini e alla realizzazione di un maggior benessere so­ciale, dalla istruzione pubblica, alla assistenza, alla organizzazione dei più vari servizi pubblici ecc. (vedi: V.E. ORLANDO, Introduzione al dirit­to amministrativo in Trattato di diritto ammini­strativo italiano, Vol. I, Milano, 1897; O. RANEL­LETTI, Principi di diritto amministrativo, Napoli, 1912; A.M. SANDULLI, Manuale di diritto ammi­nistrativo, Napoli, 1962).

Non a caso nelle costituzioni moderne, accan­to alle tradizionali norme sui diritti di libertà e sui diritti politici, trovano largo spazio norme che regolano i rapporti etico-sociali e quelli economici: nella costituzione italiana gli artt. dal 29 al 47. Proprio in base a positive norme costituziona­li (fondamentale a questo proposito è l'art. 3 Cost.) la dottrina moderna tende oggi ad indivi­duare e a definire le iniziative sopraindicate del­lo Stato, in quanto questo non si limita più solo, secondo la tradizionale concezione dello Stato di diritto, ad armonizzare le posizioni di libertà dei singoli tra loro e con l'autorità, ma tutela anche la proiezione sociale delle posizioni di libertà dei cittadini. Lo Stato e gli altri enti pubblici vengono così ad assumere una veste di protagonisti nel campo economico e sociale. (vedi U. POTOT­SCHNIG, I pubblici servizi, Padova, 1964).

Dunque lo Stato svolge funzioni pubbliche che sono quelle considerate diretta manifestazione dell'autorità, della sovranità dello Stato stesso: esse si sostanziano nelle attività del potere legi­slativo e giurisdizionale e anche in quelle del po­tere amministrativo quando esse sono manife­stazioni autoritarie.

Lo Stato però svolge anche altre funzioni che vengono ritenute non manifestazioni dirette del­la sua autorità, ma che sono pur sempre attività in qualche modo necessarie per la vita della col­lettività e produttive di servizi e anche di beni: esse vengono definite pubblici servizi e riguar­dano ad es. l'istruzione, l'assistenza, l'econo­mia ecc.

Per individuare un servizio pubblico la dottrina ha indicato due criteri: quello nominalistico 0 soggettivo e quello sostanziale od oggettivo.

Secondo il primo sarebbe pubblico un servizio se è svolto da un potere pubblico o per disposto di legge o per assunzione volontaria, ma tale con­cezione è apparsa sempre meno utilizzabile per individuare un servizio pubblico perché non ri­spondente all'ampliamento delle funzioni e dei compiti dello Stato moderno e alle caratteristi­che assunte da questo, nel senso sopra delinea­to, nonché alle modalità di esercizio di dette fun­zioni.

A questo proposito, per quanto riguarda lo Sta­to italiano, è stato affermato che il nuovo ordina­mento costituzionale ha tolto ogni validità alla teoria nominalistica del servizio pubblico (vedi: POTOTSCHINIG, op. cit., pag. 155) con riferimento al disposto dell'art. 43 Cost., che prevede la ri­serva o il trasferimento di imprese che si riferi­scano a servizi pubblici essenziali anche a comu­nità di lavoratori o di utenti, per cui viene espli­citamente riconosciuta la possibilità di un servi­zio pubblico svolto in nome proprio da organismi non di pubblica amministrazione. Pertanto si è fi­nito sempre più per valorizzare la concezione di servizio pubblico in senso oggettivo, intendendo­si per tale ogni attività oggettivamente pubblica che non appartenga alle attività di spettanza ne­cessaria dello Stato. I modi di gestione del servizio possono essere diversi: può essere gestito da poteri pubblici, ma anche da privati purché sempre in qualche modo diretto e controllato da un potere pubblico. (vedi: M.S. GIANNINI, Dirit­to amministrativo, vol. I, Giuffré, 1970; G. GUA­RINO, Pubblico Ufficiale ed incaricato di pubblico servizio, in Rivista italiana di diritto e procedura civile, 1967). Come sostiene il Giannini, possono esservi servizi riservati dalle norme ad un pub­blico potere e da questo gestiti in forma ammi­nistrativa mediante strumenti di diritto pubblico (ad es. i servizi di previdenza sociale), servizi ri­servati dalle norme ad un pubblico potere e da questo gestiti in forma imprenditoriale, mediante strumenti di diritto privato (ad es. i servizi di produzione e distribuzione di energia elettrica), servizi non riservati a un pubblico potere (ad es. i servizi di istruzione pubblica in parte gestiti dal­lo Stato e da enti pubblici e in parte gestiti da privati diretti e controllati dal Ministero della pubblica istruzione), servizi gestiti da privati sot­to la direzione e il controllo di un pubblico pote­re, ma con possibilità di assunzione diretta da un pubblico potere, (ad es. i servizi di trasporto me­diante autolinee).

In definitiva la natura del pubblico servizio vie­ne identificata in una attività sociale dello Stato: l'attività viene prestata o a favore di singoli o a favore dell'amministrazione o della collettività, e può essere svolta oltre che da soggetti pubblici, anche da soli o insieme a soggetti pubblici. Ciò è conseguenza del mutamento intervenuto nella stessa concezione dello Stato, anche in forza della costituzione repubblicana per quanto riguar­da lo Stato italiano: si è cioè verificato il supe­ramento di quello che è stato chiamato lo sche­ma tendenzialmente onnicomprensivo dello Stato (F. BENVENUTI, Evoluzione dello Stato moderno, in Jus, 1959) e la sua sostituzione con un plurali­smo istituzionale che prevede, nell'ambito dell'ordinamento statale, la presenza di altri organi­smi tutti ugualmente orientati al soddisfacimento di essenziali esigenze sociali. Per quanto attiene al settore assistenziale che qui interessa, non può allora escludersi che l'assistenza e la bene­ficenza rientrino tra le finalità dello Stato, come si deriva dagli artt. 31 e 38 della Costituzione nonché da tutta la legislazione inerente alla ma­teria e non può escludersi che l'assistenza e la beneficenza siano state anche in passato inqua­drate tra i servizi pubblici.

Basta riguardare alla legge 17-7-1890 n. 6972, al R.D. 24-12-1934 n. 2316, al R.D. 15-4-1926 n. 718, e a tutta la legislazione successiva, compresa quella recente regionale, in attuazione delle com­petenze in materia spettanti alle regioni, in for­za dell'art. 117 Cost.

Da molte delle norme contenute nelle leggi suindicate si deriva che l'attività assistenziale, anche se svolta da privati, è sempre diretta, vi­gilata, controllata da poteri pubblici (vedasi artt. 44 e 52 bis. L. n. 6972 del 1890, artt. 5 e 6 R.D. n. 2316 del 1934, artt. 50 e segg. R.D. 15-4-1926 n. 718).

Nel valutare dunque la questione esaminata dal giudice istruttore va tenuto presente quanto segue:

1) non appare fondata la tesi per cui è pub­blico servizio solo l'attività la cui titolarietà l'ordinamento riserva allo Stato o ad altro ente pubblico in via esclusiva per disposto di legge o per assunzione volontaria, sì che la Pubblica Am­ministrazione la esercita o direttamente o in re­gime di concessione. Opinare in tal modo signifi­cherebbe accogliere il criterio nominalistico o soggettivo per individuare un servizio pubblico che la migliore dottrina ha in gran parte ripudia­to, per quanto sopra si è detto:

2) un servizio pubblico, che può essere an­che quello attinente all'assistenza e alla benefi­cenza, può essere gestito da un privato sotto la direzione, la vigilanza, il controllo del pubblico potere: esso è un servizio pubblico in senso giu­ridico, in base al criterio sostanziale od oggetti­vo sopraindicato;

3) un privato può gestire un servizio di natu­ra assistenziale senza che sia necessario un at­to di concessione: infatti per l'art. 38 u.c. Cost. l'assistenza privata è libera come del resto, per l'art. 33 Cost., i privati hanno diritto di istituire scuole e istituti di educazione.

La dichiarazione di idoneità di cui all'art. 50 R.D. 15-4-1926 n. 718 e, in genere, gli atti in forza dei quali un privato può gestire un servizio assi­stenziale non possono ritenersi atti di concessio­ne ma di semplice autorizzazione, come reputa esattamente il giudice istruttore di Roma.

Un'autorizzazione del genere però, come ad es. l'autorizzazione ad aprire una farmacia o una scuola elementare, non può non ritenersi diversa dalle autorizzazioni che vengono solitamente chiamate di polizia e che sono fondate sull'ap­prezzamento delle qualità soggettive del destina­tario dell'atto: essa è invece fondata anche sull'apprezzamento della oggettiva convenienza dell'attività domandata e quindi su una valutazione dei bisogni e degli interessi collettivi, per cui la Pubblica Amministrazione ha facoltà di imporre, all'atto del rilascio della autorizzazione, partico­lari condizioni e di esercitare poi un ampio po­tere di sorveglianza e di indirizzo.

4) Un servizio assistenziale può essere gesti­to da un privato o da un ente non pubblico ai fini del diritto statale, come un ente ecclesiastico della natura di quello preso in considerazione nella decisione del giudice istruttore di Roma, ma un tale servizio, in quanto è diretto, vigilato, controllato dai pubblici poteri, in forza delle nor­me soprarichiamate, è da considerarsi un servi­zio pubblico.

5) il privato o il rappresentante legale dell'ente non pubblico che gestisce un servizio assi­stenziale deve pertanto ritenersi necessariamen­te esercente un servizio pubblico e quindi perso­na che riveste la qualifica di incaricato di pubbli­co servizio. Del resto la giurisprudenza ritiene che la qualifica suindicata competa anche a chi esplichi di fatto e non abusivamente un servizio pubblico senza necessità di una formale investi­tura (Cass. 14-3-1987, Giust. Pen. 1967, II, 1128, Cass. 9-4-1969, Giust. Pen., 1970, II, 220).

Ed anzi può acquistarsi anche la qualifica di pubblico ufficiale da parte di chi svolga di fatto e non illegittimamente una funzione pubblica, co­me ad es., un privato, quando proceda ad un arre­sto in flagranza a norma dell'art. 242 CPP., viene a rivestire la qualifica di pubblico ufficiale e di questo assume gli obblighi e riceve la protezione giuridica.

Va ricordato che sono stati ritenuti dalla giu­risprudenza incaricati di pubblico servizio gli agenti di borsa, gli impiegati o direttori di istitu­ti bancari, gli impiegati e i dirigenti di ferrovie, tramvie, linee automobilistiche ed aeree conces­se all'industria privata, gli impiegati e i dirigenti delle esattorie concesse a privati (vedasi: MA­LINVERNI, Pubblico ufficiale e incaricato di pub­blico servizio nel diritto penale, UTET, 1951, pag. 121, nota 5).

Può infine rilevarsi in linea di fatto che esclu­dere la qualifica di incaricato di pubblico servi­zio in un privato che gestisce un servizio assi­stenziale può produrre delle conseguenze molto gravi ai fini della tutela dei soggetti per i quali il servizio è apprestato e, in particolare, ai fini dell'applicazione della legge sull'adozione speciale. Infatti è ben vero che l'attività del privato che gestisce un servizio assistenziale può essere valutata sempre dagli organi di vigilanza (per i minori vedasi: artt. 50 e segg. R.D. n. 718 del 1926 e artt. 5 e 6 R.D. n. 2316 del 1934), però ta­le vigilanza può attuarsi in maniera intempestiva e con notevole ritardo, mentre ben più efficace e intimidatoria può essere la previsione di una san­zione penale per il privato esercente un servizio assistenziale qualora questi non osservi certi particolari doveri. In particolare l'attività di segnalazione dei minori, a norma dell'art. 314/5 Cod. Civ., appare utile ed efficace per la tutela dei minori se avviene tempestivamente e non in ritardo (infatti solo quando il minore è in tenera età e non ha subito una lunga istituzionalizzazio­ne può essere agevolmente adottato): essa sarà sicuramente esercitata se il privato che gestisce un istituto di protezione e assistenza all'infanzia saprà di rivestire la qualifica di incaricato di pub­blico servizio e quindi di essere soggetto a sanzione penale qualora non ottemperi all'obbligo di segnalazione stabilito dalla norma sopraindi­cata. Né infine può in nessun caso accettarsi la tesi sostenuta dal giudice istruttore di Roma che l'attività prevista dal citato art. 314/5 non sia te­sa a raggiungere finalità di assistenza sociale del minore, essendo questa già assicurata dall'isti­tuto di protezione e assistenza all'infanzia.

Accogliere una tesi del genere significherebbe ritenere che l'assistenza sia realizzata in via ge­nerale attraverso la istituzionalizzazione, orienta­mento negato da tutta la legge sull'adozione spe­ciale e, in particolare, dall'art. 314/4, II comma CC., che prevede che la situazione di abbandono possa sussistere anche quando il minore sia ri­coverato presso pubbliche o private istituzioni di protezione ed assistenza per l'infanzia.

Che la assistenza a un minore sia realizzata at­traverso la istituzionalizzazione è poi contraddet­to da tutti gli orientamenti socio-psico-pedagogi­ci in materia di tutela e di assistenza dei minori, nonché dalle leggi più recenti in detta materia, in particolare quelle regionali (vedasi: legge Re­gione Umbria n. 12 del 1973) che privilegiano l'as­sistenza in famiglia o gli affidamenti familiari e, solo come soluzione estrema e in mancanza di alternative, prevedono il ricovero in istituto.

In definitiva decisioni come quella del giudice istruttore di Roma possono ribaltare tutta l'azio­ne sviluppatasi in questi ultimi anni a tutela dei diritti dei minori, favorendo i tentativi che pro­vengono da più parti di ostacolare l'applicazione della legge sull'adozione speciale, che spesso può rappresentare una prima ed efficace tutela del minore che non può fare più conto sulla sua famiglia biologica.

 

 

ORDINANZA DEL GIUDICE ISTRUTTORE

 

Procedimento penale contro Carroli - Abbing Patrizio nato a Oldham (G. B.) 11-8-1912 residente a Roma, elettivamente domiciliato presso lo stu­dio del dif. Avv. Aldo Pannain, Via Achille Papa, Roma, imputato del delitto di cui all'art. 328 C. P. per aver omesso nella sua qualità di presidente dell'Opera per la Città dei Ragazzi, di inviare al giudice tutelare gli elenchi dei minori prescritti dall'art. 314/5 della legge 5-6-1967 n. 431 (Roma, fino al 19-2-1971).

Il Pretore di Roma, con sentenza 18 dicembre 1972, dichiarava non doversi procedere contro CARROLL - ABBING Patrizio in ordine ai reati in rubrica precisati perché il fatto non costituisce reato.

Riteneva il Pretore che l'Opera per le città dei ragazzi, di cui il CARROL era legale rappresen­tante era ente ecclesiastico, riconosciuto ai sen­si dell'art. 29 lett. d. del Concordato, della legge 27 maggio 1929 n. 848 e del relativo regolamen­to di esecuzione n. 2262 del 1929; che, peraltro, essendo compreso tra i fini dell'ente anche quel­lo della assistenza ed educazione sociale e pro­fessionale dei ragazzi, fine questo proprio dello Stato, esso ente aveva volontariamente assunto l'esercizio di un pubblico servizio, per cui il CAR­ROL doveva ritenersi incaricato di un pubblico servizio. Essendo tenuto ad inviare al giudice tu­telare l'elenco dei minori prescritto dall'art. 314/5 della legge 5 giugno 1967 n. 481, la omissione dell'adempimento configurava il reato di cui all'art. 328 c.p. Il Pretore, peraltro, proscioglieva l'imputato per carenza di dolo in ordine a tale reato.

Proponeva rituale impugnazione il P.M., il qua­le osservava che stante la qualifica di incaricato di pubblico servizio dell'imputato, il Pretore non poteva poi proscioglierlo per insufficienza di dolo.

L'impugnazione non può essere accolta; le con­siderazioni del P.M. sono esatte; peraltro nella specie sembra mancare il presupposto stesso per la sussistenza del reato in esame e cioè la qualità di incaricato di pubblico servizio nell'imputato.

L'Opera in esame, come lo stesso Pretore ha precisato, è ente ecclesiastico, e quindi non può essere qualificato ente pubblico.

La circostanza, poi, che esso persegue anche fini di assistenza sociale non valgono a farlo qua­lificare come esercente un pubblico servizio.

È tale in senso giuridico, secondo la migliore dottrina, l'attività la cui titolarità l'ordinamento riserva allo Stato od altro ente pubblico in via esclusiva, sì che la p.A. la esercita sia diretta­mente che in regime di concessione.

Le altre attività, per le quali non sussiste tale regime di monopolio, possono costituire servizio pubblico in senso sociale, non già giuridico.

Esempi classici delle due diverse ipotesi si hanno nell'esercizio dei servizi di autotrasporto di linea (esercizio in concessione, al pari dei ser­vizi di aerolinee e delle ferrovie) e nell'esercizio di autotrasporto di merci ovvero di trasporto da città (esercizio a seguito di autorizzazione non trattandosi appunto d'attività la cui titolarità è riservata alla p.A.).

Nella specie l'attività di assistenza sociale può essere liberamente assunta da organismi pri­vati, nell'osservanza delle disposizioni del codi­ce civile in materia di disciplina di persone giu­ridiche private e di comitati e delle disposizioni della legge 17 luglio 1890, n. 6972 per la parte concernente le istituzioni private di assistenza e beneficenza ed i comitati di soccorso (ed ora an­che dell'art. 3 n. 3 d.lg. 15 gennaio 1972 n. 9).

E tale attività può anche liberamente essere assunta, come nella specie, da enti ecclesiastici. E proprio l'art. 314/5 cc., qui in esame, presup­pone la sussistenza di istituzioni private di assi­stenza; così l'art. 2 della citata legge n. 6272 del 1890; così l'art. 65 I. n. 153 del 1969, relativo all'impiego dei fondi degli enti di previdenza ed as­sistenza sociale, pubblici o privati.

Né può dirsi che in tutte le accennate ipotesi gli enti privati esplichino l'attività di assistenza per concessione ed in genere per investitura del­la p.A.

Ed una autoinvestitura dell'esercizio a tempo indeterminato di un pubblico servizio non è pre­vista dall'ordinamento.

Non essendo la assistenza sociale attività la cui titolarietà è riservata alla P.A., e quindi pub­blico servizio, l'esercizio di essa non costitui­sce esercizio di un pubblico servizio.

Va ancora osservato che l'attività prevista dall'art. 314/5 cc. non è tesa a raggiungere finalità di assistenza sociale del minore, questa già assi­curata dall'ente, bensì tesa al raggiungimento dei fini propostosi dal legislatore inserendo nel si­stema l'adozione speciale.

Si tratta nella specie, pertanto, di un obbligo la cui osservanza, nei riguardi degli enti privati di assistenza, sfugge ad una sanzione penale, do­vendo essere invece valutato dagli organi di vigi­lanza per quanto di competenza.

Pertanto, sia pure per considerazioni diverse da quelle svolte dal Pretore, l'imputato doveva essere prosciolto, per cui l'imputazione del P.M. va respinta.

P. Q. M.

Visto l'art. 399 C.C.P., non accogliendo l'im­pugnazione del p.m.,

CONFERMA

La impugnata sentenza del Pretore di Roma in data 18 dicembre 1972 nel procedimento penale contro CARROL ABBING Patrizio.

 

Roma, 15 maggio 1973

IL GIUDICE ISTRUTTORE

(Dr. Antonio Alibrandi)

 

 

 

 

(1) B. GUIDETTI SERRA e F. SANTANERA, Il paese dei celestini, Einaudi, Torino, 1972.

 

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