Prospettive assistenziali, n. 30, aprile-giugno 1975

 

 

DOCUMENTI

 

LA SEZIONE PER I MINORENNI DELLA CORTE DI APPELLO DI LECCE FAVORISCE IL MERCATO DEI BAMBINI?

 

 

A quasi otto anni dall'entrata in vigore della legge 5-6-1967 n. 431 c'è an­cora chi sostiene che si possa far luogo all'adozione tradizionale (o ordina­ria) pur «quando ricorrono le condizioni che renderebbero possibile quella speciale», quindi anche quando si tratta di bambini minori di anni otto di­chiarati o dichiarabili in stato di adottabilità. Emblematica in questo senso è la decisione del 18-12-1974 della Sezione per i minorenni della Corte di Ap­pello di Lecce, pronunciata nonostante il parere difforme e davvero prege­vole del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica.

Per inciso va detto, nel caso in esame, che gli adottanti si rivolsero ad un legale per «conoscere la procedura per adottare un bambino», che mer­cé il legale vennero in «possesso» di una neonata che, secondo una prassi molto in uso, era stata riconosciuta ad usum cessionis dalla procreatrice e, quindi, consegnata agli adottanti. Essi infatti hanno «candidamente» di­chiarato: «tutti gli accordi, relativi al caso sono stati presi con l'avvocato; la madre, dopo aver dato e firmato il consenso per l'adozione non è stata più reperibile».

Altro particolare interessante: gli accordi sono stati presi in Campania e gli adottanti risiedono in provincia di Lecce. Tanto si articola e si estende il mercato dei bambini.

Vi è ancora da precisare che i coniugi, diventati adottanti con adozione tradizionale mediante la decisione della Corte di Appello di Lecce, non sod­disfacevano i limiti di età previsti a tutela dei bambini dalla legge 5-6-1967 n. 431 sull'adozione speciale: differenza massima di età di 45 anni fra adot­tanti e adottando.

Questa norma è stata stabilita per evitare che i minori abbiano dei «nonni» invece di genitori; e per accertare l'idoneità ad allevare, educare e istruire, così che fosse impedita l'adozione da parte di persone incapaci. Va qui ricordato che nessuna idoneità è invece richiesta per l'adozione ordina­ria, e ciò spiega perché vi siano persone, non idonee per l'adozione speciale, che cercano di ricorrere all'adozione ordinaria.

Ma è deplorevole che organi della magistratura, come la Sezione per i minorenni della Corte di Appello di Lecce, abbiamo avallato questa inter­pretazione con il rischio di favorire il mercato dei bambini.

Provvedimenti come quello della Sezione per i minorenni della Corte di Appello di Lecce chiamano in causa anche la Corte Costituzionale che con la sentenza del 20-4-1974 n. 76 (Presidente Bonifacio, Relatore Oggioni) ha purtroppo messo sullo stesso piano l'adozione speciale e quella ordinaria e, addirittura, anche il ricovero in istituto di assistenza. Recita infatti la senten­za della Corte Costituzionale: «È ben possibile, infatti, che sia pure rivolti a finalità concorrenti o comuni, coesistano istituti distinti, quali l'affidamen­to e l'affiliazione, le due forme di adozione e le norme circa l'assistenza pub­blica alla infanzia abbandonata, ecc. e che la complessiva disciplina sia va­riamente articolata; e che nel campo specifico della adozione speciale, que­sta sia consentita alle condizioni ed entro i limiti risultanti dalle scelte di­screzionali che il legislatore abbia posto in essere in modo adeguato e ra­zionale».

 

 

TESTO DELLA DECISIONE DELLA SEZIONE PER I MINORENNI DELLA CORTE DI APPELLO DI LECCE (1)

 

La Corte di Appello di Lecce - Sezione per i Minorenni - riunita in Camera di Consiglio - in persona dei sotto indicati magistrati e compo­nenti privati: Dott. Nino PRETE, Presidente; Dott. Mario PEDONE, Consigliere Relatore; Dott. Va­lerio TERRAGNO, Consigliere Relatore; Dott. Ir­ma NATTEI, Componente privato; Dott. Pasqua­le D'ELIA, Componente privato; visto il reclamo proposto con ricorso in data 31-10-74 da V.G. av­verso il decreto 19-2-1974 del Tribunale per i Mi­norenni di Lecce che, pronunziando sull'istanza presentata il 31-10-1973 da C.D. e V.G. da P., di­sponeva non farsi luogo all'adozione ai detti co­niugi della piccola S.N.M., esaminati gli atti, udito il relatore e visto il parere del P.G.,

 

osserva

 

Il decreto del Tribunale per i Minorenni non ri­sulta comunicato ai richiedenti e, pertanto, il re­clamo proposto a norma dell'art. 739 c.p.c. deve ritenersi tempestivo.

Sull'ammissibilità di esso non vi è contestazio­ne; la questione è stata - comunque - già af­frontata e risolta in senso positivo da questa stessa Corte con provvedimento del 16-10-1974 (reclamo C. e F.) e da altre Corti di merito, dopo un periodo di comprensibile perplessità in segui­to alle modifiche apportate alle norme del codice civile con la legge 5-6-1967 n. 431 (cfr. Corte A. Milano, 27-7-1970. su ric. H.G. in ric. Giust. Civ. 1971, I, 1147 e precedenti ivi richiamati). Si è osserva­to in proposito che l'art. 739 c.p.c. prevede la possibilità dell'impugnazione per tutti i decreti emessi dal Tribunale in Camera di Consiglio co­me Giudice di primo grado e non vi sono apprez­zabili motivi per escluderne quelli relativi alle adozioni, pure in mancanza di una norma specifi­ca ad hoc, dal momento che il legislatore del 1967, nel disciplinare l'adozione speciale, modifi­cando alcune delle norme relative a quella ordi­naria, ha inteso attribuire al Tribunale la compe­tenza a pronunciare sulla domanda di adozione, prima riservata alla Corte di Appello.

Né argomento in contrario può trarsi dal fatto che - in tema di adozione - il giudice, nel ri­gettare o accogliere l'istanza, pronunzia «senza esprimere i motivi» della sua decisione; perché «la motivazione non è elemento strutturale in­defettibile del concetto di gravame», a meno che l'impugnativa non sia per legge strettamente legata a determinati vizi della motivazione; men­tre l'opportunità di un riesame della fattispecie per il controllo sull'esistenza dei presupposti e delle condizioni richieste perché si possa far luo­go all'adozione è sempre possibile anche se non sono stati espressi i motivi che hanno determina­to la decisione dei primi giudici.

A tale orientamento non è di ostacolo l'inter­pretazione data alla norma in esame quando la competenza a decidere era demandata alla Cor­te di Appello, data la particolare natura del prov­vedimento e la funzione istituzionale della Corte Suprema alla quale non poteva essere attribuito il sindacato su valutazioni di mero fatto.

Nella specie i motivi del mancato accoglimen­to della istanza sono stati espressi - sia pure in maniera molto sintetica - tanto dal P.M. che dal Tribunale nel provvedimento impugnato. Es­si, in sostanza, vanno ravvisati nel convincimento che non si possa far luogo all'adozione ordinaria quando ricorrono le condizioni per l'adozione spe­ciale e quando gli adottanti hanno ottenuto l'affi­damento del minore senza l'osservanza delle nor­me relative a detto tipo di adozione. Ciò, secondo il P.M., costituirebbe, addirittura, «usurpazione delle funzioni» di detto organo giurisdizionale.

In tal senso si è espresso anche il P.G., secon­do il quale la madre, affidando la bambina a per­sone estranee fin dai primi giorni di vita, avreb­be realizzato «una delle forme più eclatanti di ab­bandono materiale e morale della minore»; il che - secondo il suo assunto - sarebbe di ostaco­lo all'accoglimento della istanza di adozione or­dinaria che, pur essendo compatibile con quella speciale, «richiede sempre, quale presupposto per trovare applicazione in concreto, che la posi­zione del minore non sia tale da indicare ine­quivocabilmente uno stato di abbandono morale e materiale».

La tesi non può essere condivisa. Nel sistema della legislazione vigente (le considerazioni del P.G. su quel che potrà accadere «de jure con­dendo» non interessano la decisione del caso in esame) i due istituti dell'adozione ordinaria e di quella speciale coesistono e non si può ravvisa­re prevalenza dell'uno sull'altro o viceversa. Sic­ché non è esatto dire che il supposto imprescin­dibile perché si possa far luogo all'adozione or­dinaria sia una condizione del minore tale da escludere lo stato di abbandono.

L'adozione ordinaria è possibile anche per i mi­nori che non hanno compiuto gli otto anni, per­ché nessuna norma vuole che ne siano esclusi; né vi è motivo di ritenere che, con l'introduzione delle nuove norme sull'adozione speciale, il legi­slatore abbia inteso disporre che non si possa far luogo all'adozione ordinaria quando ricorrono le condizioni che renderebbero possibile quella spe­ciale.

L'una e l'altra hanno come principale obiettivo quello di attribuire all'adottando uno «status» equiparabile a quello di figlio legittimo e, con es­so, la possibilità di un'adeguata educazione e, non di rado, una sistemazione economica migliore di quella che avrebbe avuto nella famiglia di origine. Le modalità attraverso le quali questi obiettivi si possono raggiungere hanno una importanza mol­to relativa. E se col vantaggio del minore con­corre l'interesse degli adottanti di acquisire una discendenza (negata dalla natura) a cui trasmet­tere il proprio nome e le proprie sostanze, pur­ché questo non prevalga su quelle trasformando in egoistico il fine umanitario, non per questo si può essere indotti a negare ciò che la legge non vieta.

L'esame dei lavori preparatori della legge 5-6­-1967 n. 431 sull'adozione speciale conferma che il legislatore, con l'introduzione delle nuove nor­me e del nuovo rito non ha voluto escludere la possibilità dell'adozione ordinaria per i minori che si trovino nelle condizioni per poter essere dichiarati adottabili, ma ha inteso estendere, con l'iniziativa dei pubblici poteri, l'ambito di applica­zione di un istituto (quello dell'adozione) prima affidato solo a quella dei singoli, non sempre ade­guata, specie nella ricerca e nella scelta dei sog­getti, alla sempre crescente necessità di dare una famiglia ai bambini abbandonati.

Entrambi gli Istituti tendono a questo stesso fi­ne; e a questo scopo sono stati mantenuti nell'attuale codice civile: cambiano le modalità di at­tuazione, ma lo scopo è sempre quello: l'oppor­tunità di dare a coloro che non ce l'hanno e a co­loro che, pur avendola, non fruiscono dei relativi vantaggi, una famiglia nella quale trovare chi ab­bia l'attitudine, la possibilità e l'interesse di im­partire loro adeguata educazione, cura ed assi­stenza. Il criterio di valutazione per dare la pre­ferenza all'uno o all'altra dei due istituti (quando concorrano tutte le condizioni per far luogo all'una o all'altra) deve essere sempre quello del maggior vantaggio per il minore. Ma questo deve essere valutato in concreta non in maniera astrat­ta, come mostrano di aver fatto i giudici di primo grado e il rappresentante del P.M..

Dire che, «trattando direttamente con la ma­dre» i coniugi ricorrenti «hanno esercitato un potere espressamente, ed in via esclusiva, de­mandato al Tribunale, unico organo competente a provvedere in merito, con l'osservanza dei pre­stabiliti criteri di scelta» significa formalizzarsi sull'osservanza delle nuove norme per l'affida­mento dei minori in istato di abbandono, senza tener conto che, in concreto, la Santilli (che - di fatto - non è mai stata in istato di vero e pro­prio abbandono, come inteso dal legislatore del 1967), col rigetto dell'istanza dovrebbe tornare alla famiglia d'origine a lei sconosciuta, con l'alea che eventuali provvedimenti emanati dal Tribuna­le competente a norma dell'art. 314/8, 4° comma non avessero adeguata attuazione, o rimanere veramente nello stato di abbandono materiale e morale fino a quando le ulteriori pratiche non ve­nissero espletate e concluse col suo affidamento preadottivo ad altra famiglia.

È pacifico, infatti, che la bambina non potrebbe mai essere adottata con l'osservanza delle norme sull'adozione speciale dai coniugi C.-V. per la differenza di età tra quest'ultima e la minore.

Quale vantaggio ne possa derivare in concreto alla Santilli, ormai inserita da oltre un anno in questa nuova famiglia e affabilmente curata è fa­cile immaginare.

Nella specie, le condizioni richieste dagli artt. 291 e segg. del codice civile sussistono e le rela­tive formalità sono state osservate; non ricorrono motivi di esclusione, vi è stato il consenso legitti­mamente espresso dagli adottanti e dal legale rappresentante dell'adottanda, nonché l'assenso reciproco dei rispettivi coniugi e di B.A., madre di C.D., unica genitrice in vita degli adottanti.

È stato accertato, poi, che gli adottanti godono buona fama, hanno un piccolo patrimonio e dei risparmi, curano con affetto la bambina e sono esenti da malattie o difetti fisici che possano im­pedire o rendere meno efficace la loro azione di educatori nei confronti della minore.

 

P.Q.M.

 

la Corte accogliendo il reclamo proposto con ri­corso 31-10-1974 avverso il decreto 19-2-1974 del Tribunale per i minorenni di Lecce,

 

decreta

 

Si fa luogo all'adozione della minore S.N.M., na­ta a C. il 13-4-1973 ai coniugi C.D., nato a P. il 7-8-1932, e V.G., nata a P. il 24-12-1927.

Manda alla Cancelleria di provvedere ai pre­scritti mezzi di pubblicità di cui all'art. 314 C.C.

Così deciso in Lecce il 18-12-1974.

IL PRESIDENTE

(Dr. NINO PRETE)

 

 

 

 

 

(1) PARERE DEL SOSTITUTO PROCURATORE DELLA RE­PUBBLICA. - Osserva in limine che l'istituto dell'adozione ordinaria se, allo stato è compatibile con quella speciale, richiede pur sempre, quale presupposto per poter trovare applicazione in concreto, che la posizione del minore non sia tale da indicare inequivocabilmente uno stato di ab­bandono morale e materiale. In tale ipotesi, infatti, il mi­nore ha diritto a tutti í vantaggi e provvidenze previste dal­la legge 431 sull'adozione speciale: selezione della coppia, abbinamento adeguato, affidamento preadottivo controllato da tecnici e specialisti, etc.

Orbene, nella specie, per come si legge nel reclamo, gli adottanti «per interposta persona sono venuti a contatto con la madre della minore, Santilli Ida, che ebbe ad affidar loro la piccola subito dopo la nascita».

Il che equivale a riconoscere che la madre naturale si liberò della figlia appena nata, realizzando così una delle forme più eclatanti di abbandono materiale e morale della minore.

Consegue che difettano gli estremi per farsi luogo ad adozione ordinaria trattandosi di soggetto nelle condizioni di essere dichiarato nello stato di adottabilità secondo le norme speciali.

Ciò posto, è facile poi rilevare che esattamente è stata rigettata l'istanza di adozione speciale in quanto i coniugi C.V., essendo venuti in possesso della bambina trattando direttamente con la madre, hanno esercitato un potere espressamente ed in via esclusiva demandato, invece, al Tribunale, unico organo competente a provvedere in me­rito con l'osservanza dei prestabiliti criteri di scelte non­ché di tutte le cautele ed i controlli all'uopo previsti e dovuti.

Tanto più, ove si consideri che nella specie i richiedenti mancano, rispetto alla minore, dei requisiti stessi prescritti per tale forma di adozione, specialmente in relazione alla ipotizzata e necessaria differenza di età.

E non è fuor di luogo, infine, far cenno alla Convenzione Europea in materia firmata a Strasburgo il 24-4-1967 e dive­nuta legge dello Stato dal 22-8-1974 (G. Uff. n. 218 del 21-8­-1974) nella quale si fissano criteri che rovesciano il prin­cipio posto a base dell'adozione ordinaria e vengono posti sullo stesso piano i due tipi di adozione previsti dalla no­stra legislazione.

Ed invero quando lo Stato si sarà adeguato con apposita normativa a questi criteri (obbligo di affidamento preadot­tivo sorretto da istituzioni pubbliche e private (art. 17): possibilità di non rivelare alla famiglia del minore l'identità dell'adottante (art. 20); previsione di far luogo all'adozione anche senza il consenso dei genitori se sono stati privati della patria potestà (art. 5); limite massimo di anni 35 per adottare (art. 7), non potranno giammai prendersi in considerazione istanze del genere di quella in esame.

Sotto ogni profilo riguardato, il reclamo non può trovare, quindi accoglimento.

 

P.Q.M

Si chiede il rigetto del reclamo di cui in narrativa.

Lecce 28-11-1974

IL SOST. PROCURATORE GENERAIE

(DR. GAETANO CIGNA)

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