Prospettive assistenziali, n. 30, aprile-giugno 1975
STUDI
LUCI
E OMBRE NEL NUOVO DIRITTO DI FAMIGLIA IN MATERIA DI TUTELA DEI
MINORI
(1)
Per poter valutare la riforma del
diritto di famiglia in tutela di minori è necessaria
una premessa.
Con l'entrata in vigore della legge
5-6-1967 n. 431 sull'adozione speciale avevamo sperato in molti, o meglio ci si
era illusi, che le forze politiche più avanzate avrebbero accettato il nuovo e
fondamentale principio per cui la filiazione non è un
semplice fatto biologico, ma consiste soprattutto nel rapporto reciprocamente
formativo fra genitori e figli.
Infatti se è vero che le caratteristiche
fisiche del nato derivano in parte (non in tutto) dalle caratteristiche dei
procreatori, è però altrettanto vero che la formazione della personalità
avviene nell'ambito familiare, a sua volta condizionato dall'ambiente sociale.
Su questo vi sono molte ricerche (tra cui quella condotta sui gemelli mono-ovulari, cioè con identico
patrimonio genetico, allevati da famiglie adottive diverse) che hanno parlato
chiaro, dimostrando l'esistenza di differenze sul piano fisico, psichico e
intellettuale dovute al diverso ambiente.
Con l'adozione speciale questi
principi venivano recepiti e veniva riconfermata la
priorità dei genitori a provvedere ai loro procreati; veniva cioè precisato che
nei casi di totale abbandono materiale e morale i minori avevano diritto di
avere una famiglia completa. In sostanza il diritto alla formazione della
propria personalità veniva considerato prevalente nei
confronti di un presunto diritto dei procreatori che
non provvedessero al proprio nato.
Veniva così stabilito che genitori
legittimi e figli legittimi potevano non avere tra loro alcun rapporto
biologico.
Ora, esaminando le norme della
riforma del diritto di famiglia, si constata che il
minore è tutelato tutte le volte che non si pone un problema di filiazione o
se la sua situazione è quella di figlio biologico allevato dai propri
procreatori; risulta invece che i diritti del minore non sono stati tutelati,
o addirittura ne è stata peggiorata la situazione rispetto alle norme
precedenti, tutte le volte che l'interesse del minore stesso è in contrasto
con quello degli adulti (genitori, d'origine, adottanti, affilianti).
Norme positive
Le norme del nuovo diritto di
famiglia sono dunque positive, là dove non entra in
gioco il concetto di filiazione.
Sono positive
le norme che riguardano ad esempio:
- l'età minima per
sposarsi che dai 16 anni per gli uomini e dai 14 per le donne è stata portata
ai 18 anni. Per
gravi motivi essa può essere ridotta a 16 anni, mentre prima era di 14 per
l'uomo e 12 per la donna;
- l'indirizzo della vita familiare e
la residenza della famiglia le cui scelte non sono più imposte dal marito, ma
devono essere stabilite di comune accordo dai coniugi «secondo le esigenze di
entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa»;
- la parità di diritti e doveri dei
coniugi;
- una più ragionevole disciplina dei
casi di annullamento del matrimonio;
- l'eliminazione della separazione
per colpa;
- la comunione dei beni fra marito e
moglie. La riforma del diritto di famiglia ha aspetti positivi
anche nei confronti di quelle norme che non toccano l'impostazione in senso
biologico o in senso formativo del concetto di filiazione, come ad esempio la
soppressione della patria potestà esercitata dal solo padre, l'attribuzione
congiunta ai genitori dell'obbligo di «mantenere, istruire ed educare la prole
tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni
dei figli», la parità fra i figli nati nel matrimonio o al di fuori di esso e
la possibilità di riconoscimento dei propri figli cosiddetti adulterini,
riconoscimento che è positivo però solo nei casi in cui i genitori provvedono o
intendono provvedere ai loro nati.
In materia di riconoscimento va però osservato che il Governo italiano ha approvato con
legge 24-4-1967 (G.U. 7-6-67) la ratifica (2) della convenzione
internazionale relativa al riconoscimento materno dei figli naturali, in base
alla quale qualsiasi estraneo, anche in contrasto con la volontà della madre,
può recarsi all'ufficio dello stato civile e far registrare il cognome della
madre. Ai sensi della suddetta convenzione, tale registrazione
costituisce l'atto di riconoscimento.
Norme negative
Sono invece del
tutto negative le norme del nuovo diritto di famiglia (e anzi
peggiorative della situazione attuale) nei casi in cui c'è contrasto fra
l'interesse del minore e l'interesse dei genitori procreatori. È il caso del
riconoscimento dei figli naturali, adulterini e non, che può essere fatto in
qualsiasi momento qualunque sia l'età del figlio e al riguardo va osservato che
non è stata approvata alcuna norma a salvaguardia dei
rapporti instaurati nel frattempo dal minore con la famiglia o con le persone
che lo hanno in affidamento educativo.
Viene solo precisato che «il
riconoscimento del figlio che ha compiuto i 16 anni non produce effetti senza
il suo assenso» e che «in nessun caso è ammesso il riconoscimento in contrasto
con lo stato di figlio legittimo o legittimato», norme che salvaguardano i
rapporti instaurati con l'adozione speciale, ma non con l'affidamento educativo
e nemmeno con l'affidamento preadottivo.
Altro esempio di peggioramento della
situazione attuale è rappresentato dall'ampliamento
della dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturali. Si viene
così a determinare questa situazione: se il procreatore non vuole riconoscere
il proprio nato, si costituisce in giudizio. In questo caso sarà il giudice a imporre non soltanto il riconoscimento contro la volontà
del genitore, ma ad attribuire al genitore stesso che non vuole saperne del
proprio nato tutti i diritti-doveri di padre o madre. Con quali risultati nei
confronti del figlio è facile immaginare.
L'Associazione nazionale famiglie
adottive e affidatarie e l'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale
avevano proposto al Senato che la dichiarazione giudiziale fosse
soppressa o venisse ammessa solo quando il minore aveva superato i 18 anni:
nessuna forza politica ha accolta la richiesta.
Nella riforma del diritto di
famiglia non si modifica l'adozione speciale,
nonostante la presenza di un progetto di legge depositato fin dal marzo 1973 e
nonostante che il Parlamento abbia approvato la ratifica della convenzione
europea sull'adozione, in base alla quale l'età massima dei minori adottabili
con adozione speciale deve passare dagli 8 ai 18 anni.
Invece, cosa
gravissima, il Senato ha riconfermato l'adozione ordinaria e l'affiliazione. Anzi per quel che riguarda
l'adozione ordinaria è stato addirittura ampliato il
campo di applicazione di un istituto che non ha alcun senso sociale, che ha lo
scopo di dare un erede a chi ne è privo (e non viceversa) e che è consigliato
come uno strumento per ridurre le tasse di successione a parenti ed a non
parenti. Viene dunque ad essere modificata proprio l'adozione ordinaria,
quello strumento che consente e favorisce il mercato dei bambini (3) e che,
così modificata, continua a permettere che un
novantenne possa adottare un bambino di pochi mesi!
Per quanto riguarda l'affiliazione,
istituto assente in tutte le leggi degli altri paesi, va osservato che esso
fu istituito dal fascismo con questa motivazione: «l'affiliazione realizza la
soddisfazione di un doppio bisogno giuridico individuale: il bisogno, anzi il
diritto degli illegittimi perché lo Stato intervenga a cancellare l'inferiorità
familiare e sociale che loro infligge la colpa dei genitori ed il bisogno
spirituale, morale e talora economico, specie nel campo agricolo, delle
famiglie sterili o fornite di poca prole, di avere un focolare allietato dal
sorriso del fanciullo e di reclutare nuove forze di
aiuto e di completamento della comunità economica familiare».
Dunque scopo dell'affiliazione era quello
di sottrarre i bambini alle famiglie povere. Infatti
i genitori sono solo sentiti dal
giudice tutelare e l'affiliazione può essere disposta anche contro il loro
parere. Per fortuna l'affiliazione è stata poco usata in tal senso; essa è
servita soprattutto ai genitori, quand'era vietato il riconoscimento dei figli
adulterini, per dare ai propri figli il cognome, per
ottenere gli assegni familiari e le prestazioni mutualistiche.
Tanto per completare il quadro,
l'art. 330 del codice civile è stato modificato continuando a consentire
l'intervento del giudice solo nei confronti dei
genitori che hanno una condotta pregiudizievole per il figlio, ma non nei
confronti degli enti e istituti di assistenza.
Vi è da osservare al riguardo che
quando un ente non agisce (che è poi cosa di tutti i
giorni), stante anche il loro potere discrezionale di intervenire, oggi è
praticamente impossibile fare qualche cosa per ottenere le prestazioni
necessarie. Ciò tanto più per il fatto che in materia di mancata esecuzione
dolosa di provvedimenti del giudice concernenti l'affidamento di minori si può procedere (art. 388 c.p.) solo a querela della
persona offesa.
Inoltre vi è da dire
che nella riforma del diritto di famiglia non sono stati trattati i problemi
relativi all'affidamento familiare a scopo educativo e alla tutela dei minori
affidati a enti di assistenza.
Vi è anche da rilevare che su 7.000
giudici solo 126 lavorano a tempo pieno per i minori.
Anzi le attuali carenze
dei tribunali per i minorenni saranno di molto aggravate, avendo la riforma
del diritto di famiglia attribuito ad essi numerose nuove competenze, senza
modificare gli organici dei magistrati e del personale ausiliario
(cancellieri, dattilografi, ecc.) già attualmente del tutto insufficienti.
Infine si osserva che il nuovo
articolo 692 del codice civile introduce in materia di successione un principio per la privatizzazione degli interventi di
cura nei confronti degli interdetti (subnormali e malati mentali), principio
destinato altresì a favorire la speculazione di enti, di persone e della
società di assicurazione nei confronti degli interdetti.
Infatti l'art. 692 del codice civile è
stato così modificato: «Ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea
retta o il coniuge dell'interdetto possono istituire rispettivamente il figlio,
il discendente o il coniuge con l'obbligo di conservare
e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore
della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura
dell'interdetto medesimo.
La stessa disposizione si applica
nel caso del minore di età, se trovasi nelle
condizioni di abituale infermità di mente tali da far presumere che nel
termine indicato dall'articolo 416 interverrà la pronuncia di interdizione.
Nel caso di pluralità di persone o
enti di cui al primo comma i beni sono attribuiti proporzionalmente al tempo
durante il quale gli stessi hanno avuto cura
dell'interdetto.
La sostituzione è priva di effetto nel caso in cui l'interdizione sia negata o il
relativo procedimento non sia iniziato entro due anni dal raggiungimento
della maggiore età del minore abitualmente infermo di mente. È anche priva di effetto nel caso di revoca dell'interdizione o rispetto
alle persone o agli enti che abbiano violato gli obblighi di assistenza.
In ogni altro caso la sostituzione è
nulla».
(1) Si veda anche
l'articolo «Norme del progetto di riforma del diritto di famiglia contro i
bambini», in Prospettive assistenziali, n. 28, pag. 23 e seguenti.
(2) Il Governo
italiano non ha finora provveduto a depositare lo strumento di ratifica.
(3) Vedi in questo
numero l’articolo «
www.fondazionepromozionesociale.it