Prospettive assistenziali, n. 30, aprile-giugno 1975
NOTIZIARIO DELL'UNIONE
PER
SUL LICENZIAMENTO DI SETTE EDUCATORI DELLA COMUNITÀ DEL GIAMBELLINO
Alle ore 5 e 30 del 3 marzo 75 i
carabinieri, su ordine del Procuratore della Repubblica dott. Viola, hanno
fatto irruzione in un appartamento amministrato dall'ECA di Milano, in cui ha
sede una comunità alloggio organizzata da alcuni operatori della società
Abetina, che al momento ospitava tre ragazzi privi di un normale sostegno
familiare. Due di questi ragazzi sono in realtà minori affidati direttamente
all'ECA da parte del Tribunale per i Minorenni; hanno trovato rifugio presso la
comunità alloggio dell'Abetina dopo che, da qualche mese, erano lasciati in
condizioni di pressoché totale abbandono da parte
dell'ente affidatario, dopo la decisione di quest'ultimo di chiudere la
propria unica comunità alloggio.
I 15 carabinieri, intervenuti
nell'operazione armati di tutto punto, sono penetrati nell'appartamento
con l'aiuto di un dipendente dello stesso ECA e, senza apparente motivazione,
hanno proceduto alla perquisizione dei locali; perquisizione che sembrerebbe
non aver dato alcun esito. Subito dopo hanno invitato i tre ragazzi a seguirli
al locale nucleo investigativo. Questo senza tener
conto del fatto che uno di loro aveva la febbre a 39°, un secondo avrebbe
dovuto andare a lavorare dopo un lungo periodo di disoccupazione ed il terzo
aveva l'impegno della scuola.
Mentre da parte dei carabinieri si
procedeva con tutto comodo agli interrogatori di rito trattenendo i minori e
l'educatore (dipendente della soc. Abetina) per quasi tutta la mattinata,
l'ECA, ente proprietario dello stabile, provvedeva a
far murare l'ingresso principale a piano terra. Il ritorno dei ragazzi ospiti impediva però il completamento dell'operazione.
Due giorni dopo, in data 5 marzo,
partivano le lettere di licenziamento per il gruppo di educatori
della stessa comunità alloggio, con scadenza 10 marzo.
La società comunale Abetina motivava
il licenziamento in tronco con argomentazioni assurde del tipo: poiché il
Comune di Milano non affida più ragazzi alla comunità in questione, questa
deve necessariamente essere chiusa; poiché peraltro non risultano esserci
posti di lavoro da occupare all'interno di altri
servizi della stessa soc. Abetina, gli educatori in questione risulterebbero
quindi del tutto superflui.
Gli educatori licenziati sono sette;
uno di loro sta soddisfacendo l'obbligo del servizio militare, un secondo
lavora regolarmente da 5 mesi in un altro Centro della soc. Abetina (ogni
commento è del tutto superfluo).
A partire dal 10 marzo i tre minori in questione
sono privi di ogni tipo di assistenza da parte di educatori sia dell'ECA che
dell'Abetina.
Quest'ultima società poi chiama in
causa direttamente la responsabilità del Comune di Milano; sia perché ne è praticamente il solo azionista, sia perché
l'Amministrazione comunale ne ha recentemente deliberato lo scioglimento con
una propria delibera prevedendo il blocco temporaneo sia di nuove assunzioni
che di licenziamenti. Sia l'una che l'altra cosa sono
invece regolarmente avvenute.
In data 21 marzo i licenziamenti non
sono ancora rientrati. È probabile invece che l'Abetina tenti di imporre il
trasferimento degli educatori, cioè il loro rientro in
uno dei suoi istituti. È chiaro a questo punto come lo scopo a cui si tende sia
quello di impedire il generalizzarsi di esperienze
alternative all'istituzionalizzazione, come è quella della comunità alloggio.
A commento dei gravi
fatti citati si ritiene importante sottolineare
quanto segue:
- Al di là di
qualsiasi valutazione circa i motivi che possono aver spinto i carabinieri a
svolgere la perquisizione citata, è fin troppo evidente il tentativo
perpetrato da enti pubblici di impedire definitivamente lo svolgersi dell'esperienza
della comunità alloggio in questione (sulla quale peraltro è già stato
sviluppato in passato un ampio dibattito) creando un'inaccettabile situazione
di fatto, con l'evidente intenzione di non fornire a nessuno giustificazioni
circa la decisione adottata.
Il fatto è grave a maggior ragione
se si pensa che l'iniziativa istituita da oltre un anno in questi locali si
proponeva sostanzialmente di superare i classici
meccanismi di emarginazione assistenziale di minori in atto nei diversi
istituti ed ospizi della stessa società Abetina sparsi un po' ovunque.
È da denunciare inoltre che il boicottaggio
in atto nei confronti di tale esperienza da parte dei
responsabili della ripartizione assistenza del Comune di Milano e della stessa
società Abetina giungeva ormai da diversi mesi a non affidare più alcun ragazzo
alla comunità e nel contempo a sprecare denaro pubblico mantenendo egualmente
nell'inerzia i lavoratori ivi impiegati. Ciò con l'obiettivo di provocare le
dimissioni di tali lavoratori (fatto questo
regolarmente verificatosi per alcuni) pur di far concludere l'iniziativa che
essi principalmente avevano voluto.
- Ma la responsabilità politica del
Comune di Milano è in questo frangente ben più grave di quanto l'episodio
specifico possa far trasparire. Di fronte allo
scandalo di una Amministrazione che nel giro di alcuni
anni, nonostante l'ampio dibattito sviluppatosi a tutti livelli, non è
riuscita a organizzare una sola esperienza alternativa all'emarginazione di
minori in istituti assistenziali, istituti di rieducazione, manicomio, non ci
sembra per nulla sostenibile la posizione di chi vuole criticare a priori le
capacità tecniche ed organizzative, la collocazione politica, la metodologia
seguita da quei pochi gruppi di educatori che oggi a Milano riescono a dar
vita ad iniziative in tal senso; e ciò facendo devono superare gli ostacoli
maggiori proprio da parte delle amministrazioni pubbliche, pagando
inevitabilmente in prima persona i rischi che ciò comporta.
- Nel momento in cui il Comune di
Milano decreta lo scioglimento della soc. comunale Abetina, sulla base
dell'ampio dibattito in corso, è veramente preoccupante che l'ultima fase della
sua gestione autonoma si caratterizzi attraverso licenziamenti di lavoratori,
di cui è stato deliberato l'assorbimento nell'organico comunale, sulla base di motivazioni assurde tipo quella citata. Tale
metodo è tanto più inaccettabile in quanto chiama in questione la diretta
responsabilità del Comune di Milano e potrebbe inoltre essere esteso a un numero non controllabile di lavoratori.
- Nonostante il gran parlare che si
fa in questi anni della necessità di superare la logica dell'assistenza,
espressa attraverso I'istituto, l'ospizio o altre
soluzioni emarginanti, da parte degli enti pubblici milanesi si continuano ad
ignorare le proposte di comunità alloggio, esperienze concepite nel tentativo
di individuare soluzioni alternative che consentano
di evitare l'emarginazione dei minori dal tessuto sociale o perlomeno di
tentarne un possibile recupero.
Mentre si denuncia lo squallido episodio in questione, il Comune di Milano risulta
ancora del tutto inerte in tal senso e non sono noti nemmeno programmi di
realizzazione di un numero anche limitato di comunità alloggio nella nostra
città nel breve periodo.
Milano,
21-3-75.
SEZIONE LOMBARDA
NO A UN CENTRO PER BAMBINI LUNGODEGENTI
(1)
È con stupore ma anche con
turbamento che abbiamo sentito e letto che codesto Consiglio Comunale ha
raggiunto l'accordo per trasformare l'ospedale di Orio,
già preventorio infantile, e quindi in via di svuotamento, in succursale
dell'ospedale infantile di Torino, una
specie di centro per piccoli ammalati lungodegenti». «L'ospedale rappresenta
- sono parole del Sindaco - la più grande industria del paese».
È chiaro dunque che «questa impresa sanitaria » non possa tener conto delle
esigenze affettive del bambino né dell'unità bimbo - madre, ma passando sulla
testa del bambino ammalato non abbia altra funzione che essere serbatoio di scarico
di una crisi che l'ente pubblico non sa controllare.
Mentre i gruppi più avanzati e più
seri della pediatra e psicologia si accingono a tener
conto degli effetti della separazione e del trauma derivante dalla perdita
materna, proprio quando il bambino ha più bisogno della madre, essendo malato
e sofferente, Voi non create un ospedale per bambini, ma cercate dei bambini
per un ospedale. Infatti ad Orio, bambini che saranno
rastrellati da più parti non solo non potranno avere la madre con sé, ma,
dato l'isolamento del posto, saranno pochissimo visitati e controllati dai
loro parenti. Noi denunciamo a questa Giunta questo tipo di violenza che è
certo meno appariscente dei «rapimenti», ma non per questo eticamente
più giustificata; perché di violenza si tratta quando si esclude dal suo
ambiente familiare il bambino e lo si prende in
carico con una operazione di istituzionalizzazione che può essere intollerabile alla struttura mentale
del piccolo ricoverato.
Noi denunciamo alla minoranza di
questa giunta la logica di classe che ancora una volta opera sui celestini (di questi saranno popolate le corsie dell'ospedale di Orio) con quel tipo di potere
medico non impegnato a favorire la salute dei lavoratori e dei loro figli,
attraverso la denuncia di situazioni sociali patogene (l'ambiente, la famiglia,
le condizioni economiche), ma ad emarginare i più deboli per farli diventare oggetti su cui vivrà e prospererà la
struttura dell'assistenza sanitaria.
La posizione assunta dal Consiglio
Comunale di Orio Canavese contrasta inoltre nettamente
con il principio di fondo dell'unità locale dei servizi e cioè con il
soddisfacimento nella zona di appartenenza di tutte le esigenze primarie della
popolazione e dei lavoratori.
Ci riserveremo poi di sensibilizzare
sindacati, popolazione e stampa perché questa istituzione
non diventi un alibi da cui il potere esce con le mani pulite e con notevoli
vantaggi, mentre i bambini ne usciranno traumatizzati e segnati psichicamente.
SUL RIFINANZIAMENTO DELLA LEGGE 118 (2)
Questa Unione, esaminato il disegno
di legge del Governo n. 1874 che prevede l'assegnazione straordinaria di 100
miliardi ad integrazione dei fondi per l'assistenza sanitaria a favore dei mutilati
e invalidi civili previsti dalla legge 30-3-1971 n. 118, tenuto conto che molti
centri di recupero convenzionati con il Ministero della sanità sono in realtà
solamente istituti di ricovero e custodia e che molto spesso non viene praticata alcuna attività riabilitativa e che anzi
molti ricoverati non sono affatto invalidi, chiede che
Questa Unione chiede inoltre che, ad
evitare che la separazione degli interventi per gli invalidi
da quelli per í non invalidi favorisca e in molti casi consenta false
classificazioni a scopi speculativi, le competenze in materia di assistenza
agli invalidi ed i relativi finanziamenti siano trasferiti alle Regioni.
(1) Lettera inviata
dalla Sede Nazionale il 21-2-1975 al Sindaco di Orlo Canavese, ai Capi gruppo
del Consiglio comunale e ai rappresentanti sindacali CGIL, CISL, UIL.
(2) Lettera inviata
dalla Sede Nazionale il 4 maggio 1975 al Presidente e ai componenti della
Commissione Sanità del Senato.
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