Prospettive assistenziali, n. 31, luglio-settembre 1975

 

 

ATTUALITÀ

 

NOTA SULLA LEGGE N. 405 DEL 29-7-1975 «ISTITUZIONE DEI CONSULTORI FAMILIARI» (1)

MARIA CHIARA BASSANINI

 

 

Dopo mesi di lunghe trattative il Parlamento ha approvato la legge istitutiva dei consultori fami­liari.

Il nuovo servizio si propone l'assistenza psico­logica e sociale per la preparazione alla mater­nità e alla paternità responsabile e per i proble­mi della coppia e della famiglia anche in ordine alla problematica minorile, la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere o prevenire una gravidanza, la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia o dal singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle con­vinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti, la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento.

Il potere di controllo, di normativa, di autoriz­zazione - cui è legato il finanziamento - spetta esclusivamente alle Regioni, che entro sei mesi dall'approvazione della legge dovranno approvare le leggi d'attuazione, nel rispetto dei seguenti principi fondamentali:

1) i consultori sono istituiti dai comuni o dai loro consorzi quali organismi operativi delle uni­tà sanitarie locali, quando queste saranno isti­tuite;

2) i consultori possono essere istituiti anche da enti pubblici o privati che abbiano finalità so­ciali, sanitarie, assistenziali senza scopo di lucro;

3) il personale specializzato di cui si avvarran­no i consultori nell'assistenza a domicilio, negli interventi e nelle prescrizioni dovrà essere quel­lo dei distretti sanitari, degli uffici comunali, del­le condotte mediche e ostetriche, mentre gli esa­mi di laboratorio e radiologici saranno fatti negli ospedali o nei presidi specialistici degli enti di assistenza sanitaria.

Il personale di consulenza e assistenza deve avere una qualificazione universitaria in materie come medicina, psicologia, assistenza sociale.

Le prestazioni sono gratuite per tutti i citta­dini italiani e stranieri residenti, anche tempora­neamente, in Italia, mentre l'onere della prescri­zione dei prodotti farmaceutici va a carico dell'ente o del servizio cui compete l'assistenza. Per finanziare i servizi lo Stato assegnerà ogni anno 10 miliardi di lire alle Regioni che redige­ranno programmi specifici e articolati. Il fondo comune sarà ripartito tra le Regioni per metà in base alla popolazione residente e per metà in proporzione al tasso di natalità e di mortalità in­fantile secondo i dati ISTAT del penultimo anno precedente alle assegnazioni. I finanziamenti po­tranno essere integrati direttamente o indiretta­mente dagli Enti regionali o locali.

Le norme sono frutto di un compromesso fra i progetti dei partiti laici, più o meno assonanti, e quello democristiano. Ciò spiega perché la leg­ge sia alquanto complessa e ambigua nelle fina­lità che si propone.

I cinque progetti presentati (comunista, socia­lista, democristiano, repubblicano, socialdemo­cratico), che hanno formato la piattaforma per la discussione, concordavano tutti nel privilegiare il ruolo della Regione. Divergenze notevoli vi erano invece per quanto riguardava la natura delle pre­stazioni che il servizio doveva offrire.

Il progetto democristiano concepiva il consul­torio per la famiglia come un complesso che co­pre più settori di intervento (sanitario, servizio sociale, consulenza psicopedagogica, giuridica ecc.) in modo da soddisfare tutta l'ampia gamma di problemi ed esigenze offerte dalla realtà fami­liare. Il consultorio veniva concepito, da parte democristiana, soprattutto come un servizio a disposizione dei coniugi e dei giovani che inten­dono sposarsi per aiutarli a vivere in modo più responsabile la loro vita familiare.

Su questa impostazione, mascherata dall'esi­genza di determinare una stretta connessione fra servizi sanitari e sociali, i democristiani hanno tenuto duro ottenendo l'approvazione di una leg­ge che istituisce «il servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità» con riferimento anche all'assistenza psicologica e sociale e la proble­matica minorile.

Nei progetti degli altri partiti prevaleva invece una impostazione sanitaria del servizio, pur pre­sentando differenze, anche se non rilevanti, nelle argomentazioni addotte.

Punto nodale del progetto comunista era la di­fesa della maternità come valore sociale: ciò implica non solo che vengano istituiti quei ser­vizi che possono aiutare la donna ad educare i suoi figli, ma anche che ella venga messa in gra­do di pianificare le proprie maternità.

Il progetto socialista partiva dalla convinzione che è un diritto fondamentale della coppia deci­dere liberamente il numero dei propri figli e il momento di procreare. Per il partito socialista il controllo della riproduzione significava, soprat­tutto, la possibilità per la donna di prendere co­scienza del suo diritto alla salute, al lavoro, alla libertà sessuale. Di conseguenza il partito socia­lista proponeva l'istituzione di centri di medicina preventiva che, fra gli altri compiti, avessero anche quello di favorire la procreazione consape­vole e volontaria.

Il progetto repubblicano si basava sulla neces­sità di assicurare alla donna il diritto di essere madre senza dover rinunciare ad avere un posto nella società e nella vita professionale.

Abbiamo ritenuto opportuno sottolineare bre­vemente le diverse posizioni dei partiti politici per meglio comprendere la non chiarezza della legge attuale.

Nella ampiezza delle finalità che si propone, pur avendo sostanzialmente a disposizione finan­ziamenti limitati, la legge corre il rischio di con­tribuire a spezzettare ulteriormente il già farra­ginoso sistema sanitario e assistenziale.

In che modo ed in che senso i consultori si occuperanno, ad esempio, dei problemi psicolo­gici della coppia? Non dovrebbero forse tali pre­stazioni essere offerte dal servizio di igiene men­tale? Forse la discriminante è se il problema ri­guarda i rapporti coniugali? Ma quando un pro­blema esistenziale di una persona sposata è pro­blema individuale di competenza del servizio di igiene mentale e quando di coppia e quindi di pertinenza del consultorio familiare? Lo stesso dicasi per l'assistenza ai minori: che significa «anche in ordine alla problematica minorile»? Dovrà forse il consultorio occuparsi anche di affi­di, adozioni ecc., affiancandosi alle organizza­zioni che già se ne interessano? L'insistenza de­mocristiana nell'allargare il raggio delle finalità, unita all'irriducibilità con cui ha preteso che il finanziamento venisse esteso anche agli enti privati, non può essere unicamente motivata dall'esigenza di uscire dalla prospettiva strettamen­te sanitaria, ma rivela preoccupazioni d'altra na­tura.

Sono noti i tentativi democristiani, manifesta­tisi soprattutto durante la fase di elaborazione della riforma del diritto di famiglia, di recuperare, dopo l'introduzione del divorzio, gli strumenti per controllare «ideologicamente» la vita fami­liare delle persone. Si pensi per esempio alla proposta di istituire il tribunale per la famiglia.

L'azione di sostegno alla famiglia è una delle più delicate da espletare perché facilmente si presta ad una prevaricazione delle libertà indi­viduali.

La famiglia, come tutte le comunità intermedie, dovrebbe avere il diritto di organizzare autono­mamente la propria vita e le persone dovrebbero avere il diritto di ricevere una formazione e una educazione che le abitui ad organizzare autono­mamente la propria vita, ad avere spirito critico, capacità tutte che sfrutteranno anche nel mo­mento di decidere e orientare la loro vita fami­liare. Ma la famiglia ha sempre avuto una fun­zione di controllo nella vita sociale. È attraverso i canali della vita familiare che passa il perpe­tuarsi di molti comportamenti umani. È nella fa­miglia che il bambino riceve l'impronta della pro­pria personalità e forma alcuni schemi di riferi­mento che condizioneranno tutta la propria vita futura.

È evidente quindi che quelle forze politiche che sulla famiglia hanno sempre contato e fatto leva per conservare un certo assetto sociale, ben dif­ficilmente rinunceranno ad incanalare «l'autono­mia» familiare verso determinate impostazioni. In questo senso i consultori, se utilizzati in un certo modo, possono costituire un sottile stru­mento di coercizione ideologica.

Non a caso da alcuni anni vanno moltiplican­dosi i consultori aperti da istituzioni religiose e corsi di preparazione al matrimonio che, oltre al fine manifesto di aiutare a risolvere crisi fami­liari e divulgare informazioni relative alla piani­ficazione familiare, contribuiscono a tenere sotto controllo «tensioni» giudicate sovversive dell'ordine naturale delle cose, nate in seguito alla crescente intolleranza verso ogni forma di coer­cizione personale.

Si spera che le Regioni, nel momento in cui dovranno emanare le leggi d'attuazione, preve­dano forme di controllo sull'iniziativa privata con­cedendo i finanziamenti solo a quegli enti che svolgono opera di effettiva supplenza nelle zone dove non è ancora possibile aprire un servizio pubblico, e che offrano standards pari a quelli stabiliti per i consultori comunali.

Tuttavia la legge approvata segna un passo avanti dal punto di vista della evoluzione del co­stume civile, se pensiamo che fino a pochi anni fa la propaganda dei mezzi anticoncezionali ve­niva punita dal codice penale.

Con l'approvazione della legge sui consultori viene pubblicamente riconosciuto il valore di una procreazione consapevole, non tanto perché attraverso di essa vengono risolte delle difficoltà di ordine economico, quanto perché essa è espressione e affermazione della libertà e della responsabilità umana.

La legge rappresenta anche il primo tentativo concreto - a livello nazionale - di dare una so­luzione a problemi assai gravi nel nostro paese.

L'Italia ha un incremento di natalità pari al 20 per mille, uno dei più alti d'Europa.

Ma non è la crescita demografica il principale problema, quanto l'alto tasso di mortalità e mor­bilità infantile.

L'Italia occupa, nella graduatoria europea della mortalità infantile, un posto peggiore di quello che occupava vent'anni fa; infatti il nostro paese, che nel 1945-49 era al tredicesimo posto della graduatoria, nel periodo 1967-69 è sceso al 18° posto.

In sostanza in Italia si è avuto un ritmo di de­cremento uguale a quello dei paesi europei che nel 1950 avevano il tasso di mortalità infantile più basso (Svezia, Norvegia, Paesi Bassi); il nostro distacco da tali paesi, che hanno valori da due a due volte e mezzo più bassi dei nostri, è rima­sto praticamente invariato, mentre si è ulterior­mente accresciuto nei riguardi della Finlandia, della Francia, della Germania, del Belgio e dell'Austria. Perfino la Spagna nel periodo 1950-70 ci ha superato e ciò è tanto più significativo se si considera che in tale periodo i due paesi han­no conosciuto uno sviluppo economico di ben diversa portata.

Gli indici di mortalità perinatale sono partico­larmente elevati nel nostro paese. L'Italia, aven­do un indice pari al 33,4 per mille, occupa il pe­nultimo posto, superata solo dal Portogallo, nella graduatoria europea dei quozienti di mortalità perinatale.

Un'altra piaga italiana è l'alto tasso di morta­lità materna, ossia la mortalità della donna do­vuta a gravidanza, parto, puerperio e aborto; nel­la graduatoria europea l'Italia occupa il 4° posto (dopo Romania, Portogallo, Jugoslavia) con un quoziente pari al 54,5 su 100.000 nati, contro l'8,5 della Danimarca, il 10 della Svezia e della Norvegia, il 12 della Finlandia, il 13 dell'Olanda, il 18,6 dell'Inghilterra.

La media annuale del quoziente di mortalità materna in Italia nel periodo 1968-70 è stata pari a 60,7 (di cui 5,2 per aborto) con valori parziali regionali particolarmente elevati, oltre che in Liguria, nelle regioni meridionali.

I danni non si limitano ovviamente ai soli even­ti di natura mortale, infatti a questi ultimi vanno aggiunti gli eventi patologici che producono in­validità permanente (soggetti spastici, sordi, cie­chi o altri affetti da minorazioni più o meno gravi della sfera psichica, sensoriale, neuromuscolare, ecc.).

Intervenire su questi fenomeni patologici, si­gnifica intervenire nelle varie fasi che preparano o producono il danno. Significa intervenire non solo nel periodo della gravidanza, del parto, dei primi anni di vita, ma anche nel periodo precon­cezionale, epoca nella quale deve essere svolta un'azione efficace di educazione sanitaria, demo­grafica e sessuale.

Correttamente la legge che istituisce i consul­tori familiari prende in considerazione anche la tutela della maternità e della prima infanzia, non limitandosi al periodo preconcezionale.

Tuttavia l'esiguità dei finanziamenti rispetto al­le finalità, unita al fatto che continua ad esistere e ad essere finanziata l'ONMI, lascia alquanto perplessi, per il rischio manifesto di dare vita ad un servizio che di fatto svolgerà unicamente un'opera di pianificazione delle nascite, lasciando ad altri la tutela della gravidanza e del neonato, determinando una frattura degli interventi pro­prio in un settore che non può essere scisso in fasi a se stanti.

Sta quindi alle Regioni, con le leggi d'attuazio­ne, dare una corretta impostazione.

Purtroppo, però, le tendenze in atto non la­sciano molto ottimismo.

Le iniziative portate avanti a livello regionale e comunale, salvo eccezioni, lasciano intravedere la costituzione di un sistema di sicurezza sociale costituito da una pluralità di servizi finalizzati ognuno a soddisfare un bisogno specifico. Si dà vita a nuovi servizi per minori, per anziani, per handicappati, per l'assistenza sanitaria speciali­stica, per la medicina scolastica, per la medicina del lavoro, si creano i consultori familiari, i poli­ambulatori, ospedali e segretariato sociale, ecc. ognuno con una propria finalità specifica, una propria équipe. Abbiamo così l'équipe psichia­trica, quella di medicina scolastica, di assistenza domiciliare, ecc. Si ripropone una parcellizzazio­ne dei bisogni, simile a quella tradizionale, an­che se attuata secondo altri schemi di categorie, che moltiplica non solo i servizi necessari, ma anche il personale occorrente, con notevole ag­gravio di costi.

Le Regioni, quindi, nella fase d'attuazione do­vranno preoccuparsi di far sì che le prestazioni previste dalla legge istitutiva dei consultori ven­gano elargite, non già da un servizio all'uopo istituito, ma da centri socio-sanitari di base poli­funzionali. Si potrà obiettare che i centri socio­sanitari di base non possono ancora essere isti­tuiti data la mancata attuazione delle riforme della sanità e dell'assistenza. Ciò è vero solo in parte (e soprattutto lo è per quanto riguarda la cura della malattia) poiché non mancano Comu­ni, per es. Cinisello Balsamo, che sono riusciti a istituire un servizio comunale di medicina pre­ventiva (senza peraltro trascurare la tematica dell'assistenza sociale) che copre tutto l'arco inter­corrente dalla fase preconcezionale fino ai 14 an­ni, inglobando anche il settore della medicina scolastica (2).

Ai Centri comunali sanitari e sociali il Comune di Cinisello Balsamo ha affidato i seguenti com­piti: 1) interventi nel campo della pianificazione delle nascite, con particolare riferimento all'edu­cazione sanitaria e quindi anche sessuale; 2) as­sistenza ostetrica alle gestanti; 3) assistenza ai bambini dalla nascita ai 14 anni.

In ogni centro operano come personale di ruo­lo: un'assistente sanitaria visitatrice, un'infer­miera professionale, un'infermiera generica, una impiegata, un'assistente sociale, un'inserviente

e come personale non di ruolo con incarico pro­fessionale: due pediatri per quattro ore giorna­liere, più un'équipe (che si occupa però di tutti i 5 centri del Comune) composta da un neuropsi­chiatra, uno psicologo, due ortofoniste, un car­diologo, un odontoiatra, tre ostetrici.

I problemi relativi alla pianificazione familiare e all'educazione sessuale non vengono trattati da personale specializzato in questo specifico cam­po, ma vengono tenuti presenti da tutti gli ope­ratori nello svolgimento delle loro funzioni.

I consultori prematrimoniali o per la coppia e la famiglia, aperti finora da enti privati o comu­nali, hanno senz'altro avuto il merito di risolvere molti problemi individuali, di abituare ad un nuo­vo rapporto con la medicina e col proprio corpo, di promuovere un'azione di educazione in un cam­po dove l'ignoranza è grandissima e a tutto svan­taggio delle classi più povere. Chi ha lavorato presso questi consultori ricorda infatti che «vi sono casi di ignoranza spaventosa e pericolosa: ragazze che temono di poter partorire dopo un semplice bacio; una moglie che pensa di poter rimanere incinta a distanza col semplice avvici­narsi del marito; una coppia che non ha consu­mato il matrimonio per alcuni anni, perché del tutto ignorante dei rapporti sessuali. Sono evi­dentemente casi estremi. Ma non meno gravi so­no le infelicità e i traumi delle coppie che, pur non ignorando i fatti più elementari hanno una scarsa o distorta conoscenza sessuale».

I consultori, così come finora sono stati con­cepiti, hanno sicuramente risvegliato una giusta domanda di informazione e di gestione delle pro­prie potenzialità naturali, dandovi però una rispo­sta strutturalmente non esatta, dal momento che hanno isolato la specificità del bisogno, cui han­no fatto corrispondere un servizio specifico.

Perché infatti per parlare di questi problemi le donne devono rivolgersi ad un servizio partico­lare? Problemi di questo tipo dovrebbero essere risolti dagli operatori sociali operanti nelle strut­ture normali. Dovrebbe cioè rientrare nell'attività professionale di un ginecologo, di una ostetrica, di una assistente sociale, del medico generico ecc. il preoccuparsi di assistere la propria pa­ziente in questo ordine di problemi. Si tratta al­lora da una parte di preparare il personale per­ché, ponendosi in un'ottica di prevenzione e di promozione del benessere psicofisico delle per­sone, tenga conto anche dei problemi connessi con la procreazione e la vita coniugale, dall'altra di promuovere un'opera di formazione culturale attraverso la scuola, i mass-media ecc. per ren­dere le persone consapevoli di alcuni loro diritti fondamentali.

La legge sui consultori familiari recentemente approvata, pur avendo il merito di anticipare al­cuni contenuti delle riforme sanitaria e assisten­ziale, incentivando la prevenzione, corre il ri­schio, proprio per il suo carattere settoriale ed esclusivamente preventivo, di continuare a man­tenere separati i servizi a carattere preventivo da quelli curativi, col ben noto risultato che il no­stro sistema sanitario e assistenziale, in rappor­to ai finanziamenti in esso investiti, è uno dei più carenti qualitativamente.

La legge sui consultori può diventare una buo­na legge solo se a livello regionale e locale ver­ranno presi tutti gli accorgimenti necessari, per­ché sul piano operativo essa non rappresenti un ulteriore strumento di divisione nel nostro siste­ma socio-sanitario.

 

 

 

 

 

(1) TESTO DELLA LEGGE

 

Art. 1 - Il servizio di assistenza alla famiglia e alla ma­ternità ha come scopi:

a) l'assistenza psicologica e sociale per la prepara­zione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia, anche in ordine alla problematica minorile;

b) la somministrazione dei mezzi necessari per con­seguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal sin­golo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti;

c) la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento;

d) la divulgazione delle informazioni idonee a pro­muovere ovvero a prevenire la gravidanza consigliando i metodi ed i farmaci adatti a ciascun caso.

Art. 2 - La regione fissa con proprie norme legislative i criteri per la programmazione, il funzionamento, la gestio­ne e il controllo del servizio di cui all’articolo 1 in con­formità ai seguenti principi:

a) sono istituiti da parte dei comuni o di loro consor­zi i consultori di assistenza alla famiglia e alla maternità

quali organismi operativi delle unità sanitarie locali, quan­do queste saranno istituite;

b) consultori possono essere istituiti anche da istitu­zioni o da enti pubblici e privati che abbiano finalità sociali, sanitarie e assistenziali senza scopo di lucro quali presidi di gestione diretta o convenzionata delle unità sanitarie locali, quando queste saranno istituite;

c) i consultori pubblici ai fini della assistenza ambu­latoriale e domiciliare, degli opportuni interventi e della somministrazione dei mezzi necessari si avvalgono del per­sonale dei distretti sanitari, degli uffici sanitari comunali e consorziali, delle condotte mediche e ostetriche e delle al­tre strutture di base sociali, psicologiche e sanitarie. I consultori di cui alla precedente lettera b) adempiono alle funzioni di cui sopra mediante convenzioni con le unità sa­nitarie locali. Fino all'entrata in vigore della riforma sani­taria, i consultori di cui alla lettera b) possano stipulare convenzioni con gli enti sanitari operanti nel territorio, in base ai programmi annuali regionali di cui all'articolo 6 e secondo i criteri stabiliti dalle regioni. I consultori pub­blici e privati per gli esami di laboratorio e radiologici ed ogni altra ricerca strumentale possono avvalersi degli ospedali e dei presidi specialistici degli enti di assistenza sanitaria.

Art. 3 - Il personale di consulenza e di assistenza ad­detto ai consultori deve essere in possesso di titoli speci­fici in una delle seguenti discipline: medicina, psicologia, pedagogia ed assistenza sociale, nonché nell'abilitazione, ove prescritta, all'esercizio professionale.

Art. 4 - L'onere delle prescrizioni di prodotti farmaceu­tici va a carico dell'ente o del servizio cui compete l'assi­stenza sanitaria.

Le altre prestazioni previste dal servizio istituito con la presente legge sono gratuite per tutti i cittadini italiani e stranieri residenti o che soggiornino, anche temporanea­mente, su territorio italiano.

Art. 5 - Lo Stato assegna alle regioni 5 miliardi di lire per l'anno finanziario 1975 e 10 miliardi negli anni succes­sivi per finanziare il servizio previsto dalla presente legge.

Il fondo comune è ripartito tra le regioni entro il mese di febbraio di ogni anno con decreto del Ministro per il te­soro sulla base dei seguenti criteri:

a) il 50 per cento in proporzione alla popolazione re­sidente in ciascuna regione;

b) il residuo 50 per cento in proporzione al tasso di natalità e di mortalità infantile quali risultano dai dati uf­ficiali dell'Istituto centrale di statistica relativi al penul­timo anno precedente a quello della devoluzione.

Le somme non impiegate in un esercizio possono essere impiegate negli anni seguenti.

Tali finanziamenti possono essere integrati dalle regioni, dalle province, dai comuni o dai consorzi di comuni diret­tamente o attraverso altre forme da essi stabilite.

Alla copertura dell'onere di 5 miliardi per il 1975 si provvede per il medesimo anno finanziario mediante ridu­zione dello stanziamento del capitolo 6856 dello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro per l'anno medesimo.

Il Ministro per il tesoro è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 6 - La regione, tenuto conto delle proposte dei co­muni e dei loro consorzi nonché delle esigenze di una arti­colazione territoriale del servizio, redige un programma an­nuale, approvato dal consiglio regionale, per finanziare i consultori di cui all'articolo 2, sempre che si riscontrino le finalità indicate all'articolo 1 della presente legge.

Art. 7 - Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni emaneranno le norme legi­slative di cui all'articolo 2.

Art. 8 - È abrogata ogni norma incompatibile o in con­trasto con la presente legge.

LEONE

Moro - Gullotti - Colombo - Andreotti

 

 

(2) Vedasi anche in Prospettive assistenziali, n. 30 l'articolo «Organizzazione dei servizi sanitari e sociali dell'unità locale e proposta di regolamento per un servizio di prevenzione sanitaria e sociale, di cura, di riabilitazione e di promozione sociale».

 

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