Prospettive assistenziali, n. 31, luglio-settembre 1975
DOCUMENTI
OSSERVAZIONI DELLA FEDERAZIONE CGIL - CISL – UIL AL
DISEGNO DI LEGGE GOVERNATIVO DI RIFORMA SANITARIA
Da qui - ad avviso della Federazione
CGILCISL-UIL - la necessità che il Parlamento approvi con la massima
sollecitudine possibile la legge di riforma senza dar luogo a provvedimenti-stralcio, e che il d.d.l. governativo venga modificato in alcune sue parti.
Il d.d.l. governativo che istituisce
il Servizio Sanitario Nazionale - pur corrispondendo nelle sue grandi linee
generali alla proposta del sindacato - aderisce solo in parte alle esigenze di
un moderno servizio pubblico di sanità. Il sindacato non può non sottolineare la genericità di alcune sue norme; la
esistenza di 26 deleghe al Governo, su materie di grandissima importanza; il
carattere mercantile che la medicina continuerebbe ad avere; il mancato recepimento di soluzioni che a problemi di grande rilievo
sono state più volte prospettate dal sindacato e che, negli incontri
sindacati-Governo del 4 giugno 1974, furono accolte
dall'allora Ministro della Sanità, on. Vittorino
Colombo.
Fra le questioni più rilevanti
1) - La prevenzione. Il tema della prevenzione
- che deve considerarsi l'asse portante del nuovo assetto sanitario - è
affrontato nel d.d.l. governativo in termini del tutto insufficienti.
In particolare:
a) Per quanto attiene il concetto di prevenzione occorre che la
legge di Riforma affermi il principio che l'attività prevenzionistica
ha, fra l'altro, come obiettivi fondamentali, quelli di:
- ricercare ed analizzare, in modo sistematico e con il concorso determinante dei
lavoratori e dei cittadini interessati, i fattori di pericolosità e di
nocività presenti negli ambienti di lavoro e di vita;
- rendere pubblici
i risultati delle indagini e delle rilevazioni effettuate, privilegiando le
strutture di base del sindacato per ciò che attiene l'ambiente di lavoro;
- rimuovere i fattori di
pericolosità e nocività, imponendo quei mutamenti
tecnologico-organizzativi necessari per prevenire rischi gravi e i loro
effetti sulla salute e sulla sicurezza.
b) In ordine ai
servizi prevenzionistici, è necessario che lo Stato, attraverso
una delega generale e permanente, trasferisca alle Regioni, in base all'art.
118 (secondo comma) della Costituzione, tutti
i servizi e le funzioni di carattere prevenzionistico.
Ciò comporta il trasferimento alle Regioni non solo delle funzioni prevenzionistiche dell'ENPI e dell'Ispettorato del Lavoro,
ma anche di quelle dell’ANCC, dei vari Ministeri, del Comitato Elettrotecnico
Italiano, del Comitato Italiano Gas, ecc.
Alla base di questa richiesta, v'è
la necessità che le Regioni e le USL siano messe in grado di avere una visione globale e complessiva dei problemi della prevenzione e che
tutte le attività prevenzionistiche siano svolte da
quegli stessi organismi preposti alla cura e alla riabilitazione, in modo da
realizzare la più stretta integrazione, sia sul piano funzionale che
organizzativo, delle attività prevenzionistiche con
quelle rivolte alla cura e alla riabilitazione. I motivi di ciò sono facilmente
intuibili. Non si può affrontare in modo serio il problema della prevenzione
senza considerare globalmente le
possibili cause - sempre multifattoriali - delle
malattie, degli infortuni, dei disturbi, ciò che nessun ente od organismo
specialistico e settoriale può fare. Né si può
rinunciare ad utilizzare ai fini della prevenzione il momento della diagnosi e
della malattia, che può rappresentare un campanello di allarme
per far scattare l'attività di prevenzione.
Inoltre ciò significa:
- indicare - senza ledere
l'autonomia organizzativa dell'USL - almeno i più importanti servizi di
prevenzione che devono operare presso ogni USL e che, ad avviso del sindacato,
sono almeno quelli dei seguenti settori: ambiente di lavoro,
scuola, medicina perinatale. 1 primi due con ramificazioni nei luoghi di lavoro
e nella scuola, al fine di dotare la struttura pubblica di una
articolazione capace, fra l'altro, di sostituirsi agli attuali servizi
sanitari di fabbrica gestiti dai datori di lavoro;
- unificare in un Istituto di
Ricerca del SSN sia i compiti di ricerca bio-medica, che quelli tecnico-scientifici
e quelli prevenzionali funzionalmente non
decentrabili a livello regionale e di USL. Il disegno di legge governativo
moltiplica invece a livello centrale gli attuali organismi tecnico-scientifici.
Unico istituto di ricerca, dunque,
che, ad avviso del sindacato, deve essere individuato nell'attuale Istituto
Superiore di Sanità, concepito come servizio e non come centro direzionale, e
che deve poter commissionare studi e ricerche anche ad altri organismi pubblici
(quali, ad esempio, il CNR e le Università).
c) Per quanto riguarda i poteri, è necessario che la legge di
Riforma conferisca alla USL reali capacità di
intervento, in tutte le fasi dell'azione preventiva, che consentano ad essa non
solo e non tanto di manifestarsi nel momento repressivo e di elevare
contravvenzioni, quanto anche e soprattutto in quello della ricerca e della
rimozione delle cause di pericolosità e nocività, imponendo - se del caso - i
necessari mutamenti tecnologico-organizzativi, anche con procedure di
urgenza, e con provvedimenti nei cui confronti può essere ammessa facoltà di
ricorso alle istanze regionali.
Sempre in materia di poteri,
inoltre, è necessario che la legge di Riforma affidi alle Regioni, a norma
dell'art. 117 (ultimo comma) della Costituzione, il potere di emanare
normative tecniche specifiche, in attuazione delle leggi nazionali a
carattere prevenzionistico.
d) Per ciò che concerne gli strumenti attraverso i quali si attua
l'azione prevenzionistica è necessario che - pur
nella salvaguardia dell'autonomia delle Regioni e
delle USL - siano indicati nella legge di riforma almeno i più importanti
strumenti dell'azione prevenzionistica, che, ad
avviso dei sindacati, sono le ricerche e gli osservatori epidemiologici, i
registri dei dati ambientali e biostatistici e i
libretti di rischio, cosa ben diversa, questi ultimi, dai tradizionali libretti
sanitari, ai quali il d.d.l. governativo fa riferimento, ignorando così la
ricca esperienza operaia di questi ultimi anni e le stesse iniziative assunte
al riguardo da alcune Regioni.
2) - La cura. Non è sufficiente prevedere una generica e imprecisata
unificazione dei livelli assistenziali, che viene per
giunta rinviata ad un successivo decreto ministeriale.
a) occorre affermare il principio
che la cura viene erogata in forma diretta e
completamente gratuita al più alto livello consentito dal progresso tecnico e
scientifico. Solo in tal modo, infatti, sarà possibile unificare
correttamente, e cioè sulla base degli «standards» più elevati, gli attuali differenti livelli di
cura;
b) le attività rivolte alla cura si
devono arricchire di nuovi servizi, alternativi al ricovero ospedaliero,
quali, ad esempio, quelli infermieristici a domicilio, che devono essere
presenti a livello di USL e la cui assenza costituisce
oggi una delle cause principali dell'elevato e talora ingiustificato ricorso
all'assistenza ospedaliera, con conseguente intasamento degli ospedali, allungamento
della durata media di degenza e forte lievitazione dei costi;
c) le stanze singole presso gli
ospedali pubblici devono essere esclusivamente riservate ai casi di effettivo bisogno, con abolizione, quindi, delle
camere a pagamento e delle attuali classificazioni all'interno degli ospedali.
Analoghi criteri dovranno essere previsti nelle convenzioni per le case di
cura private;
d) l'assistenza medico-specialistica
deve essere estesa, nei casi di urgenza, anche a domicilio;
e) l'abolizione di tutti i limiti
temporali, i requisiti contributivi, i periodi di attesa
che sono attualmente richiesti per alcune categorie di lavoratori e per alcune
malattie;
f) fino a quando l'assistenza
sanitaria non sarà estesa a tutti i cittadini, dovranno considerarsi assistiti,
con pari diritti, tutti i lavoratori dipendenti, i coltivatori diretti, gli
artigiani, i commercianti, i pensionati di qualsiasi tipo e natura, i
lavoratori che comunque si trovino in stato di
disoccupazione e di sospensione dal lavoro, nonché tutti i familiari oggi
protetti dal regime più favorevole.
g) l'eliminazione della norma,
prevista nel d.d.l. governativo, che fa obbligo all'assistito di avvalersi solo
delle strutture sanitarie esistenti nella propria Regione;
h) le case di cura private possono
essere convenzionate solo alla condizione che esercitino una funzione
integrativa rispetto ai posti-letto degli ospedali pubblici e che si
assoggettino a rigorose misure di controllo.
I vari aspetti
di tale materia possono trovare chiara regolamentazione nella legge di Riforma.
3) - La riabilitazione. Il sindacato ritiene generico il d.d.l.
governativo che riduce la riabilitazione ad «assistenza sanitaria
riabilitativa». Al riguardo la legge di riforma
dovrebbe tra l'altro indicare i principali servizi, e le loro caratteristiche,
preposti all'attività di recupero a livello nazionale, regionale e di USL.
Vanno inoltre trasferite alle Regioni e alle USL tutte le funzioni
riabilitative, oggi esercitate da enti e da organismi pubblici, nonché tutte le strutture pubbliche che operano in questo
campo, come ad esempio quelle dell'INAIL e i centri pubblici di cure balneo-termali ed idropiniche.
Infine occorre precisare che gli apparecchi di protesi e i presidi ortopedici
vengono forniti gratuitamente sulla base di standards da stabilirsi. Ad esempio, l'USL dovrebbe essere
dotata di servizi di odontoprotesia
in gestione diretta o convenzionata.
4) - La partecipazione e la struttura del nuovo
assetto sanitario. Il grande tema della partecipazione
dei lavoratori e dei cittadini alla elaborazione e all'attuazione dei
programmi di politica sanitaria, al controllo sull'efficienza dei servizi,
nel rapporto con i vari operatori della Sanità è trattato, nel d.d.l.
governativo, in modo insufficiente. Nel complesso appare
poco incisiva la partecipazione dei lavoratori, la quale, ad avviso della
Federazione CGIL CISL UIL, costituisce invece elemento decisivo per la
riuscita della Riforma. L'efficienza e l'economicità
di un servizio pubblico è direttamente proporzionale al grado di
partecipazione degli utenti; e ciò, specie in un servizio pubblico di sanità,
dove in settori chiave - come ad esempio quello della prevenzione -
l'esperienza operaia e la partecipazione attiva dei lavoratori nella ricerca e
nella rimozione delle cause di pericolosità e di nocività è elemento determinante.
Ma anche su altri aspetti relativi alla struttura del Servizio Sanitario Nazionale,
il d.d.l. governativo - pur recependo largamente le indicazioni del sindacato
- richiede modifiche e miglioramenti. Più esattamente:
a) I compiti dei Consigli sanitari
vanno ridefiniti, sì da rendere possibile un più efficace e costante
intervento dei lavoratori e dei cittadini. In primo luogo attribuendo a tali
Consigli la facoltà di proposta e di iniziativa volta
a suggerire provvedimenti in materia di politica sanitaria. In secondo luogo
conferendo ai Consigli il diritto ad essere obbligatoriamente consultati sulle
questioni di politica sanitaria di maggior rilievo e in modo da consentire
utili confronti ed un più largo apporto di idee ed
esperienze. Inoltre, attribuendo ai Consigli la facoltà di intervento,
il più globale possibile, per il controllo sulla efficienza dei servizi,
soprattutto in sede di Unità Sanitarie Locali.
In questa logica va considerata
l'opportunità di procedere alla scelta dei rappresentanti dei
Consigli sanitari locali anche attraverso forme di democrazia diretta.
b) Al nuovo assetto sanitario vanno
attribuite tutte le funzioni oggi esercitate in materia di prevenzione, cura e
riabilitazione da organismi pubblici. Ne consegue la necessità che nella legge
di riforma non compaiano formule non chiare come quelle che lasciano al
Ministero della Sanità «funzioni non trasferite né delegate alle Regioni».
c) La fissazione dei minimi assistenziali e i criteri di ripartizione dei fondi tra le
Regioni vanno stabiliti inizialmente dalla legge di Riforma, e successivamente
da leggi nazionali, e non già dal CIPE.
d) La gestione dei presidi sanitari
va affidata alle USL nell'ambito delle quali i presidi stessi sono ubicati, indipendentemente dall'«interland» che
servono. Vanno comunque corrette le formulazioni
contenute nel d.d.l. governativo che prevedono l'affidamento «ad enti locali» (la
provincia?) o ad appositi «Comitati eletti dalle USL interessate costituite in
appositi consorzi», di tutti quei presidi sanitari «riferibili
a comprensori la cui estensione comprenda il territorio di più USL». Tali
formulazioni, verrebbero di fatto a sottrarre alle USL
la gestione della stragrande maggioranza degli ospedali pubblici, nonché dei
laboratori di igiene e profilassi, impedendo o rendendo più difficile quello
armonico e coordinato funzionamento a livello di base dei vari presidi
sanitari che deve invece costituire uno degli obiettivi di fondo della
riforma. Parimenti, deve essere chiarito senza possibilità di
equivoci che tutti gli ospedali, senza alcuna esclusione, perdono la
personalità giuridica che oggi hanno e la loro natura di enti autonomi per
diventare strutture sanitarie direttamente gestite dalle USL.
e) Le cliniche universitarie e gli
istituti pubblici di ricovero e cura a carattere scientifico devono diventare
strutture sanitarie del SSN, direttamente gestite, al
pari delle altre, dalle USL. Vanno, quindi, modificate quelle norme del d.d.l.
governativo che lasciano in questo campo sostanzialmente immutata la
situazione attuale, obbligando addirittura le USL a convenzionarsi con tali
cliniche ed istituti e mantenendo la retta di degenza e un assurdo distacco di
tali presidi sanitari pubblici dal SSN.
f) La presenza nei Consigli dei
rappresentanti delle categorie sanitarie deve avvenire tramite le
organizzazioni sindacali di categoria, e non tramite Ordini Professionali. La
presenza nei Consigli delle rappresentanze degli operatori sanitari non deve
inoltre costituire una ipoteca per una gestione di
interessi corporativi. Ciò deve essere garantito dalla assoluta
preponderanza numerica della rappresentanza degli utenti.
g) Deve essere prevista la struttura
dipartimentale quale strumento rivolto ad armonizzare e coordinare le attività
ospedaliere con quelle esterne.
h) Va rivista la composizione del
Consiglio Sanitario Nazionale, in modo da renderlo meno pletorico. A tal fine
deve essere riconsiderata la presenza degli «esperti». Opportuna sembra anche
una più puntuale e meno generica definizione dei
compiti di tale organismo.
5) - Il trasferimento delle prestazioni economiche e dei servizi
medico-legali. Anche tale tema - al quale il sindacato è particolarmente
interessato per gli elementi di connessione che ha con un'altra grande riforma, quella della Previdenza - è trattato in
modo non convincente. La decisione circa il trasferimento o all'INPS o
all'amministrazione dello Stato delle cosiddette gestioni residue degli enti
previdenziali, cioè di quelle che non siano di
carattere sanitario, è rimessa, in modo inaccettabile, ad un provvedimento
delegato, mentre sembrano coinvolti nell'operazione solo gli «Enti mutualistici»
(formula peraltro assai poco chiara), e non anche
altri enti, quali, ad esempio, l'INAIL.
a) analogamente a quanto avviene per
qualsiasi datore di lavoro, è necessario trasferire allo Stato e agli enti
locali il compito di erogare ai dipendenti che cessano dal servizio le relative
indennità di quiescenza, le quali attualmente sono
invece erogate dall'ENPAS e dall'INADEL. Parallelamente occorre trasferire
all'INPS il compito di erogare tutte quelle prestazioni economico-previdenziali
sia di natura temporanea (come le indennità di malattia, di infortunio, di
maternità, ecc.), sia di natura permanente (come, ad esempio, le pensioni oggi
erogate dall'ENPALS; le rendite di infortunio erogate dall'INAIL e dalle Casse
Marittime; gli assegni vitalizi erogati dall'ENPAS e dall'INADEL; ecc.).
In tal modo, il riordinamento del
settore sanitario, con la istituzione del Servizio
Sanitario Nazionale, deve mettere ordine anche nel settore previdenziale,
evitando che alcuni enti coinvolti nella Riforma sanitaria continuino a
rimanere in vita con compiti previdenziali modesti e che comunque non
giustificano la loro sopravvivenza e facendo invece dell'INPS l'unico Ente
erogatore delle prestazioni economico-previdenziali.
b) Prendere spunto dal trasferimento
delle prestazioni economiche per razionalizzare ed unificare le quattro
indennità economiche di temporanea (indennità di malattia, di maternità, di infortunio, per tubercolosi) in una unica prestazione,
pari all'80% della retribuzione, sì da rimuovere l'assurda situazione attuale
che vede tali indennità (alla cui base v'è un unico evento: la temporanea
incapacità al lavoro dei prestatore d'opera) erogate in misura diversa e con
diversi criteri di calcolo, da differenti enti, il che genera complicazioni
burocratiche e talora inammissibili conflitti di competenza.
e) Correggere e semplificare la
norma che prevede il trasferimento alle Regioni dei servizi sanitari
dell'INAIL, dell'INPS e dell'amministrazione dello Stato, affidando alle USL tutti quegli accertamenti medici, che costituiscono
uno dei presupposti per l'erogazione di determinate prestazioni economiche
(pensioni di invalidità, rendite di infortunio, pensioni di guerra, pensioni
di invalidità civile, ecc.).
6) I rapporti con il personale medico. I rapporti tra le varie istanze del SSN e il personale medico coinvolge questioni di
grande rilievo, che generano peraltro, per il modo come sono affrontate nel
d.d.l. governativo, alcune forti perplessità.
Ad avviso del movimento sindacale
l'obiettivo di fondo che la legge di Riforma deve
prefiggersi è quello di favorire un nuovo modo di essere del medico,
attraverso il suo reale inserimento - e indipendentemente dal tipo giuridico di
rapporto - in una USL capace di soddisfare la domanda di salute dei
lavoratori e dei cittadini, e quindi, attraverso la generalizzazione del lavoro
di «equipe», l'introduzione del dipartimento, l'attività interdisciplinare, lo
sviluppo delle attività di prevenzione.
Decisivo, a questo fine, sarà il
modo con cui
a) I medici con funzioni direttive ed
organizzative nonché quelli che intendono prestare la
loro opera presso gli ospedali, debbono essere esclusivamente a rapporto di
lavoro pubblico e che, di conseguenza, deve essere vietato l'esercizio della
libera professione all'interno degli ospedali pubblici.
b) Con le eccezioni più avanti
espresse, per qualsiasi tipo di attività medica, sia
mantenuta la possibilità prevista nel d.d.l. governativo, di svolgersi o
attraverso un vero e proprio rapporto di lavoro pubblico o attraverso un
rapporto di prestazione professionale. La possibilità di scegliere tra questi
due tipi di rapporto significa, infatti, garantire i più elementari principi di
libertà.
c) Deve essere mantenuto il principio
previsto nel d.d.l. governativo dell'unicità del rapporto che lega il medico al SSN.
La unicità del rapporto prescelto non
deve consentire il cumulo tra il rapporto di lavoro pubblico e quello a
prestazione professionale; non deve però precludere la utilizzazione della
prestazione medica in attività anche diverse (ad esempio, in ospedale e in
ambulatorio; ovvero come medico-generico e medico-specialista; ovvero presso
più USL, ospedali, ambulatori, ecc.).
d) Il rapporto di lavoro pubblico e il
rapporto a prestazione professionale devono essere regolati da accordi
nazionali da stipularsi tra le Regioni e i sindacati
nazionali di categoria interessati e con esclusione, quindi, sia degli ordini
dei medici e della FNOOM (che vanno ricondotti al corretto esercizio dei loro
compiti istituzionali) sia dei ministeri della Sanità e del Lavoro (che
potranno assolvere alla loro funzione di mediazione). Tali accordi devono, fra
l'altro, prevedere la mobilità di tutto il personale e favorire lo spostamento
dei medici nelle zone carenti.
e) In aderenza al principio della unicità del rapporto che lega il medico al SSN, sia
l'accordo relativo al rapporto di lavoro pubblico che quello relativo al
rapporto a prestazione professionale, dovranno regolamentare globalmente, e in
modo quanto più possibile uniforme, il rapporto medico, indipendentemente dal
tipo di attività (medico-generico; medico-specialista, ecc.). Si tratta cioè di evitare che vi siano tanti differenti accordi quante
sono le varie caratteristiche del lavoro medico, le cui peculiarità dovranno
trovare invece adeguate soluzioni nei relativi accordi.
f) I compensi previsti nell'accordo
regolante il rapporto a prestazione professionale non devono
superare, a parità di prestazione, i livelli contemplati nell'accordo
regolante il rapporto di lavoro pubblico.
g) L'esercizio della libera
professione dovrà comunque essere vietato nell'ambito
dell'USL o del Comune (qualora questo sia suddiviso in più USL) nei quali il
medico opera per effetto del rapporto che instaura con il SSN. Inoltre, occorre
operare affinché l'esercizio della libera professione si accompagni ad una
prestazione a favore del SSN, in limiti da stabilirsi.
h) Vanno confermati i principi -
contenuti nel d.d.l. governativo - secondo i quali la libertà di scelta del medico
generico opera a ciclo di fiducia e con il sistema della quota capitaria.
7) - I farmaci.
E ciò sia per quanto attiene alle
norme relative all'intervento pubblico nel settore della produzione
farmaceutica, sia per la prevista tangente di L. 200
che dovrebbe essere posta a carico dell'utente sui preparati farmaceutici
inclusi in un particolare elenco, rimanendo gli altri
a completo carico del lavoratore.
Il sindacato è consapevole degli
sprechi che caratterizzano tale settore e che hanno risvolti
rovinosi, sia dal punto di vista sanitario (comparsa di malattia iatrogene),
sia dal punto di vista economico. Ma è parimenti convinto che occorre
procedere, non già con misure burocratico-amministrative
- che, come la tangente di L. 200 sui farmaci,
l'esperienza nazionale ed internazionale conferma essere inefficaci
- ma rimuovendo le cause che sono all'origine di tali sprechi.
Inoltre,
a) La propaganda farmaceutica sia non
già limitata come è previsto nel d.d.l. governativo,
ma vietata e sostituita da adeguati mezzi di informazione scientifica curati
direttamente dal SSN.
b) si proceda ad una drastica revisione e riduzione della farmacopea ufficiale,
sì che in essa siano compresi solo farmaci a denominazione rigorosamente
scientifica e di comprovata efficacia terapeutica da erogarsi gratuitamente
agli utenti. La revisione della farmacopea dovrà approdare,
da un lato al divieto di produrre come farmaci prodotti che non sono tali
mentre, dall'altro, dovrà collocare, al di fuori della farmacopea,
classificandoli in una apposita categoria, i cosiddetti preparati di conforto, da porsi in vendita con una dicitura che
chiaramente ne indichi la natura.
c) Sia abolito ogni sorta di
«prontuario» od «elenco» di farmaci per gli assistiti del
SSN. Opportuna, invece, appare la trasformazione dell'attuale prontuario in una
guida farmacologica per i medici.
d) I cosiddetti «uffici fiduciari»
siano aboliti, con conseguente trasferimento delle loro funzioni e del loro
personale alle Regioni.
8) - Il finanziamento. Il sindacato condivide l'impostazione, secondo
la quale il finanziamento del SSN debba avvenire
attraverso «incrementi» al fondo comune previsto a favore delle Regioni dalla
legge n. 281 del 1970. Ma parlare di fiscalizzazione degli oneri sociali, così
come se ne parla nel d.d.l.,
senza cioè stabilire alcuna data per la sua pratica e graduale realizzazione,
non è il modo di affrontare il problema, del quale non si vogliono certo
nascondere le difficoltà.
Ma ciò che più preoccupa è che gli
«incrementi» al fondo comune saranno costituiti - essenzialmente - dai
contributi previdenziali e dagli stanziamenti attualmente
destinati all'assistenza sanitaria; e che tali contributi e le altre risorse
affluenti a tal fine al fondo (utilizzazione degli avanzi della gestione tbc; concorso dello Stato limitato ad un massimo di 100
miliardi l'anno; tangente sui farmaci di lire 200) appaiono nel complesso
gravemente insufficienti a coprire l'intera spesa sanitaria. Basterà qui
ricordare come nel 1973 la spesa sanitaria complessiva è stata, infatti,
superiore di oltre 800 miliardi alle entrate
contributive degli enti, mentre le altre risorse affluenti al fondo avrebbero
sfiorato nell'anno appena i 300 miliardi e il disavanzo, per il complesso
delle Regioni, sarebbe stato di 500 miliardi. Inoltre, per il 1975 -
nonostante il trasferimento dell'assistenza ospedaliera alle Regioni - il solo
INAM ha previsto un disavanzo di esercizio di circa
600 miliardi. Ed è ormai generalmente acquisito che anche il fondo ospedaliero
nazionale non riuscirà a coprire la reale spesa ospedaliera che nel 1975 sopporteranno le Regioni.
Gli «incrementi» al fondo comune
hanno, quindi, bisogno di un più congruo e crescente concorso dello Stato, che copra la reale spesa
sanitaria, sì da avviare in concreto il processo di fiscalizzazione degli
oneri sociali. Altrimenti, si riverserà sulle Regioni la drammatica situazione finanziaria nella quale versano le mutue.
Roma, 18 Marzo 1975.
www.fondazionepromozionesociale.it