Prospettive assistenziali, n. 32, ottobre-dicembre 1975

 

 

EDITORIALE

 

INSERIMENTO DI VOLONTARI NEI SERVIZI DELL'UNITÀ LOCALE

 

 

Il dibattito sull'unità locale dei servizi si è fatto in questi ultimi anni sempre più ampio, soprattutto dopo che l'avvenuta istituzione delle Regioni a statuto ordinario ha consentito l'attuazione di concrete iniziative operative.

Tra i molti problemi sollevati uno, forse perché ritenuto marginale, è stato sinora trascurato: quello dell'inserimento di volontari nei servizi dell'unità locale. Fanno eccezione la legge della Regione Liguria n. 1 del 15 gen­naio 1974 «Norme sull'assistenza agli anziani» che prevede all'art. 4 «Gli enti stessi (Comuni, Consorzi di Comuni, Comunità montane e Province) potranno avvalersi dell'opera di persone che intendono collaborare in forma di volontariato con gli operatori del settore» e la proposta di legge della Re­gione Piemonte dell'8 ottobre 1975 «Interventi per la promozione dell'assi­stenza domiciliare agli anziani, agli inabili ed ai minori, nonché per il fun­zionamento dei centri di incontro» che stabilisce all'art. 6 «Gli stessi enti (Comuni, Consorzi di Comuni e Comunità montane) favoriscono la parteci­pazione di persone volontarie alle attività relative alla vita di relazione ed ai centri di incontro».

 

Enti privati

Va subito premesso, prima di entrare nel vivo del problema, che l'inse­rimento di volontari nei servizi dell'unità locale non va confuso con la ge­stione di attività da parte di enti privati.

Se i servizi dell'unità locale devono dare una risposta globale e uni­taria alle esigenze della popolazione, tale globalità e unitarietà verrebbero a mancare qualora si assegnassero compiti settoriali di gestione ad enti, siano essi privati o pubblici. Gli unici organismi gestionali responsabili de­vono pertanto essere, a seconda delle situazioni, il Comune, il Consorzio di Comuni, la Comunità montana o il Consiglio (eletto) dei quartieri per le città metropolitane (1).

L'esclusione di altri enti pubblici o privati dalla gestione dei servizi viene pertanto richiesta per motivi di coerenza ad una impostazione che ve­de le persone, i nuclei familiari, le comunità locali come realtà tra loro in­terdipendenti con le quali (e non per le quali e tanto meno sulle quali) non è possibile agire in modo settoriale, pena la disgregazione dei rapporti so­ciali, la tecnicizzazione dei servizi, l'inadeguatezza degli interventi. Agire settorialmente vorrebbe anche dire rigidità delle strutture di fronte al va­riare delle esigenze e delle risposte possibili, impossibilità di dare priori­tà alla prevenzione sanitaria e sociale e di stabilire un reale collegamento fra prevenzione, promozione sociale, cura e riabilitazione.

Per questi motivi non solo è indispensabile l'eliminazione degli enti pub­blici e privati dalla gestione dei servizi, ma è necessario che l'organizzazio­ne interna dell'unità locale faccia costante riferimento da un lato alla uni­tarietà e globalità degli interventi e d'altro lato alla partecipazione (2).

 

Volontari

Altro discorso é invece, a nostro avviso, quello dell'inserimento dei volontari nei servizi dell'unità locale. Questo inserimento di volontari può essere visto da tre posizioni: quella del rifiuto, quella dell'accettazione co­me compromesso tattico, quella di accettazione e promozione del volon­tariato.

Scartiamo la posizione di rifiuto totale poiché non esiste nemmeno nei fatti. La partecipazione di volontari (intesi come persone singole o come nuclei familiari o parafamiliari) non è infatti contestata a livello delle ini­ziative concrete per quanto concerne l'adozione speciale e l'affidamento a scopo educativo e sarebbe assurdo pensare ad un corpo di funzionari pub­blici reclutati come adottanti o affidatari.

 

Posizione di compromesso tattico

L'altra posizione, che abbiamo definito di «compromesso tattico» con­sidera l'inserimento di volontari come uno degli strumenti transitori, neces­sari o opportuni, sia per la creazione e l'allargamento dell'area del consen­so, sia per ridurre le opposizioni derivanti dal non inserimento degli enti privati nella gestione dei servizi e dalle richieste di scioglimento degli enti pubblici, in particolare di quelli con gestione privatistica (come ad esempio sono spesso le IPAB, gli ECA ed i patronati scolastici).

Nessun partito oggi intende assumere posizioni di scontro nei confron­ti degli enti privati e purtroppo anche le Regioni di sinistra continuano a concedere agli enti privati spazi operativi importanti e notevoli finanzia­menti.

Si veda al riguardo la posizione favorevole assunta dal PCI nel dibatti­to parlamentare nei riguardi dei consultori privati e, più recentemente, nei confronti degli enti privati di assistenza (3). Ma ancor più significativo in proposito è stato l'atteggiamento tenuto dal Presidente della Regione Emilia­-Romagna. Fanti, nei confronti dei vescovi (4): questo atteggiamento è arri­vato a riconoscere nella chiesa l'interlocutore politico e il rappresentante di interessi in materia di assistenza, come se la chiesa fosse uno stato nel­lo stato.

Un riconoscimento che è costato la rinuncia della pubblicazione da par­te della Regione Emilia-Romagna della ricerca conoscitiva sugli istituti per minori, deliberata il 26-3-1971 e da tempo terminata, ricerca sulla quale i vescovi avevano avanzate riserve.

Verrebbe quindi concesso spazio ai volontari solo alla ricerca di un compromesso tattico che, riducendo l'area di potere degli enti privati, ne faccia scoppiare le forti contraddizioni interne esistenti.

 

Posizione di accettazione

La posizione che abbiamo definito di accettazione e di promozione del volontariato parte invece dalla considerazione che anche un servizio pub­blico bene organizzato lascia notevoli spazi scoperti là dove non è possibile coprirli per mancanza di personale, per carenza di mezzi finanziari o anche perché non si ritiene possibile o utile considerare questo tipo di prestazio­ni come un diritto esigibile da parte degli utenti.

Nella vita di una comunità, ad esempio, pensiamo a tutti i molteplici aiuti che il vicinato può assicurare: custodia per qualche ora di bambini e di anziani, accompagnamento di bambini a scuola, brevi periodi di vigilanza o piccoli interventi in caso di malattia, prestiti economici di scarsa entità a brevissimo termine, disbrigo di commissioni o di pratiche, effettuazione di acquisti, giochi in casa di bambini di altre famiglie, ecc.

Ma anche nel settore dei servizi sanitari e sociali vi sono spazi che at­tualmente non è possibile (e a nostro avviso nemmeno opportuno) coprire. Questi spazi riguardano soprattutto la vita di relazione, oltre che le ado­zioni e gli affidamenti educativi (5).

Sono spazi che potrebbero essere coperti dal volontariato ed al riguar­do sarebbe necessario e urgente assumere iniziative promozionali da parte delle Regioni, dei Comuni, dei Consorzi di Comuni e delle Comunità montane.

I criteri per la partecipazione dei volontari potrebbero essere i seguenti:

- inserimento in attività che non richiedano prestazioni professionali;

- garanzia della continuità (richiesta dalle esigenze dell'intervento) negli impegni assunti dai volontari;

- impegno dei volontari a prestare la propria attività in modo coordi­nato con quella svolta dal personale dei servizi sanitari e sociali interessa­ti. A tale scopo i volontari dovrebbero poter partecipare a pieno diritto al­le riunioni di gruppo degli operatori del servizio in cui operano;

- rimborso da parte dell'ente gestore delle spese vive sostenute dai volontari nell'espletamento delle attività (queste spese, ad evitare abusi, dovrebbero essere previamente concordate, o almeno dovrebbero essere definite quali sono quelle rimborsabili);

- possibilità di partecipare ai corsi e alle iniziative di aggiornamen­to informativo o tecnico.

La presenza di volontari potrebbe riguardare tutto il campo della vita di relazione, compresa quella, ancora più importante, nei casi di ricovero ospe­daliero o assistenziale. Vi è infatti da considerare che una adeguata reim­postazione delle attuali attività culturali, ricreative, sportive, di turismo so­ciale, di soggiorni a scopo terapeutico o di vacanza, in una visione globale che tenga conto delle esigenze individuali e collettive e del contesto socio­ambientale, deve nascere non solo da un confronto con la popolazione e le forze sindacali e sociali ed avere come punti di riferimento personale comu­nale qualificato e strutture idonee, ma deve anche lasciare spazi di auto-organizzazione (6).

Altro esempio di inserimento di volontari nei servizi sanitari e sociali è l'attività svolta in questo settore dagli obiettori di coscienza, come fornito­ri di servizio civile in alternativa a quello militare (7).

 

Volontariato e partecipazione

L'inserimento di volontari nei servizi sanitari e sociali viene dunque ad essere utile, ma è evidente che molto più importante è la partecipazione del­le forze sindacali e sociali e dei cittadini alla impostazione e gestione dei servizi. Per l'impostazione del problema ci richiamiamo all'articolo di C. CIANCIO, La partecipazione come controllo democratico, in Prospettive as­sistenziali, n. 29 e segnaliamo che i Sindacati hanno presentato alla Regio­ne Piemonte, alle Province e ai Comuni una piattaforma, che pubblichiamo in questo numero, in cui sono precisati i principi di fondo.

 

 

 

 

(1) Si veda in questo numero il documento «Valutazione della prima legislatura re­gionale in relazione ai servizi socio-sanitari».

(2) Si veda ad esempio il contributo della Regione Toscana alla programmazione dei servizi sanitari e sociali (in Prospettive assistenziali n. 23) e l'articolo «Organizzazione dei servizi sanitari e sociali dell'unità locale e proposta di regolamento per un servizio di prevenzione sanitaria e sociale, di cura, di riabilitazione e di promozione sociale» in Pro­spettive assistenziali n. 30.

(3) V. l'intervento dell'On. Adriana Lodi alla Commissione interni e affari costituzionali dell'11-11-75.

(4) Si veda l'articolo «Dialogo sull'assistenza tra vescovi e presidente della Regione Emilia-Romagna» in Prospettive assistenziali n. 25.

(5) Le comunità alloggio dovrebbero essere equiparate agli affidamenti in quanto si tratta in realtà di un affidamento vero e proprio, fatto invece che a famiglie o a persone singole a un gruppo di persone non unite in matrimonio. L'esistenza di comunità alloggio di volontari non esclude, anzi postula, la presenza di comunità alloggio gestite con proprio personale dell'ente locale.

Si può anche ipotizzare la presenza di volontari in comunità alloggio pubbliche, spe­cialmente per assicurare ai ragazzi una vita più collegata con la realtà sociale. In questi casi i volontari potrebbero essere persone che svolgono una loro attività (studenti, lavora­tori, artigiani) e che vivono nella comunità stessa con il vantaggio anche della copertura del periodo notturno.

(6) «Piattaforma sui servizi: prime indicazioni», presentata in data 8 agosto 1975 alla Regione Piemonte, alle Province e ai Comuni da ACLI, Ass. naz. famiglie adottive e affidatarie, Ass. naz. famiglie di fanciulli subnormali, Ass. per la lotta contro le malattie mentali, Centro di animazione sociale, Centro it. per l'adozione internazionale, Coordina­mento dei comitati di quartiere, Gruppo Abele, Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale.

(7) V. L'articolo di B. MARASSO, Servizio civile contro l'emarginazione, in Prospetti­ve assistenziali, n. 25, pag. 66.

 

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