Prospettive assistenziali, n. 32, ottobre-dicembre 1975

 

 

NOTIZIE

 

 

SPERANZE E CONTRADDIZIONI DEL CONVEGNO SUI MALI DI ROMA

 

Il discorso pronunciato il 9 ottobre 1975 dal car­dinale vicario di Roma Ugo Poletti, dove, par­lando delle elezioni comunali che si terranno in primavera nella capitale, il porporato ha lanciato il suo monito: «nessun cedimento al marxismo ateo», ha riscosso vivaci reazioni tra coloro che pensano inopportuna e forse anche dannosa una sua ingerenza nella vita politica italiana. Ancora più grave e inopportuna questa uscita dal suo magistero spirituale da parte di Poletti che, gra­zie ad un non dimenticato convegno, ha avuto una documentazione completa di come la «città di Dio» sia stata ridotta, non solo dal malgoverno democristiano, ma da una speculazione edilizia di cui sono stati corresponsabili anche gli ordi­ni religiosi.

Quando il cardinale Poletti annunciò il conve­gno nel 1973, su «La responsabilità dei cristia­ni di fronte alle attese di giustizia e carità della diocesi di Roma», molti furono i cristiani, im­pegnati in comunità di base e nell'opera di rin­novamento della chiesa, pervasi da grande spe­ranze. Non noi che temevamo che ancora una volta questo tentativo di dare una risposta reli­giosa a contraddizioni sociali, fallisse davanti al cattolicesimo tradizionale (quello stesso che ten­terà poi ad un certo punto una verifica frontale della sua forza nel referendum del 12 maggio, uscendone sconfitto).

È logico quindi che dopo di allora una attenta riflessione spinga i cattolici a trovare una nuova identità e credibilità sviluppando in modo più con­seguente la loro fede cristiana.

In questo senso, il post-convegno sui mali di Roma non poteva che così concludersi (Il Regno del 15 settembre 1975, pag. 381):

«Oggi, maggio 1975, ad un anno di distanza dalla sua conclusione dobbiamo insieme prende­re atto del completo fallimento del convegno. È importante sottolineare che questa affermazione non viene da coloro che fin dal primo momento intuirono il disegno mistificatorio del convegno ma da parte di coloro che hanno creduto, parte­cipato, collaborato, fino al punto di essere consi­derati degli illusi o addirittura dei disponibili al potere della curia romana.

Con la stessa sincerità e forza con cui abbia­mo creduto nello spirito innovatore del conve­gno, oggi ne dobbiamo proclamare il fallimento considerandolo, nella migliore delle ipotesi, una occasione mancata.

Per noi era un ulteriore tentativo di collabora­re; per la gerarchia è stato un tentativo di inglo­barci nel suo progetto trasformista.

Il fallimento del convegno non consiste nella pur necessaria gradualità per realizzare certe conclusioni innovatrici, ma nell'assenza di scelte evangeliche: è venuto meno quel clima di chia­rezza (sì, sì; no, no) che sembrava caratterizza­re la chiesa di Roma durante il convegno; si sono rinsaldati i legami fra chiesa e potere: il tutto sempre a danno dei poveri e degli emarginati con­tro i quali la chiesa istituzione si trova ancora una volta schierata».

 

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