Prospettive assistenziali, n. 32, ottobre-dicembre 1975

 

 

DOCUMENTI

 

PIATTAFORMA PRESENTATA DAI SINDACATI ALLA REGIONE PIEMONTE, ALLE PROVINCE E AI COMUNI SUI PROBLEMI DELLA SANITÀ E DELL'ASSISTENZA

 

 

La Federazione CGIL, CISL, UIL del Piemonte ha presentato nel luglio 1975 alla Regione Piemonte e alle Amministrazioni provinciali e co­munali una prima documentazione sui problemi della sanità e dell'assistenza che riproduciamo integralmente e che comprende:

- una premessa politica;

- i punti di confronto con Regione Piemonte, Province, Comuni sui problemi della sanità e dell'assistenza;

- i criteri per la ripartizione del territorio re­gionale in unità locali dei servizi;

- una nota esplicativa (particolarmente interes­sante la parte relativa al ruolo delle Province);

- una nota sulla partecipazione del Sindacato alle scelte, decisioni e attività delle unità lo­cali;

- i criteri per una legge regionale sulla forma­zione, riqualificazione e aggiornamento degli operatori sanitari e sociali.

 

 

I

PREMESSA POLITICA

 

Dopo i primi incontri con i Partiti politici per un confronto delle posizioni sui programmi del­le nuove Giunte comunali, provinciali e regiona­le, la Federazione regionale CGIL - CISL - UIL ha prodotto, ricuperando tutte le posizioni già espresse in passato, una prima documentazione sui problemi della sanità e assistenza che si ri­tiene debba essere posta in discussione allo sco­po di aiutare tutte le strutture del sindacato a:

1) acquisire in proprio una conoscenza rea­le sui problemi generali e specifici della sanità e assistenza collegandoli a tutti gli altri presenti nella fabbrica e nel territorio (occupazione, ristrutturazione, investimenti, riforme dei traspor­ti, casa, scuola ecc.);

2) tenere sempre più conto della inscindibili­tà fra salario diretto (soggetto a continuo proces­so inflazionistico) e salario sociale che si con­cretizza in servizi (che se funzionanti e rispon­denti alle reali esigenze della gente sono un com­plemento stabile del salario) da cui derivano pos­sibilità concrete di collegamento fra fabbrica e territorio e fra lotta per contrattare i processi di ristrutturazione aziendali e quella di ristruttura­zione dei servizi;

3) valutare che una risposta adeguata alle esigenze in servizi sanitari e sociali unitamente a casa, trasporti, scuola ecc. è una delle condi­zioni per attuare un diverso modello di sviluppo;

4) tenere conto del notevole incremento all'occupazione che comporta una reale attuazio­ne dei servizi rapportati ai bisogni della popola­zione;

5) considerare in modo sempre più attento la necessità di passare dall'attuale modello de­gli enti che intervengono solo quando uno è già ammalato o infortunato a un sistema diretto ad assumere il massimo benessere psico-fisico, fat­to che comporta da un lato l'inscindibilità nell'im­postazione e nell'attuazione fra prevenzione sa­nitaria e sociale, cura e riabilitazione e promo­zione sociale e, dall'altro lato, l'assunzione in ter­mini prioritari della prevenzione sanitaria e so­ciale nella fabbrica e fuori;

6) non cadere in soluzioni di razionalizzazio­ne, ma superare gli interventi di assistenza e beneficenza che sono sempre dei mezzi per emar­ginare e segregare le persone (nella fabbrica autolicenziamenti, prepensionamento, ecc. e fuori) e, in ogni caso, per operare al fine di ridurre le cause socio-economiche che provocano le richie­ste di assistenza a fatti ed esigenze individuali.

In questo contesto è oggi fondamentale la ne­cessità di un esame degli scopi e funzioni reali che il padronato ha attribuito e continua ad attri­buire ai servizi sociali di fabbrica e che gli ope­ratori addetti, in mancanza di servizi pubblici al­ternativi, sono di fatto nella impossibilità di con­trastarne le finalità. Si tratta d'un grosso proble­ma che investe ad esempio gli articoli 5, 9, 12 dello statuto dei diritti dei lavoratori e che, in rapporto a tutti i processi di ristrutturazione e alle nuove possibilità di sbocco sul territorio, de­ve essere affrontato anche all'interno delle piat­taforme per i rinnovi contrattuali;

7) avere presente che l'attuazione di servizi sanitari e sociali adeguati, conseguenza dell'a­zione sull'ambiente e sulla organizzazione del la­voro in fabbrica, può portare (come comprovano alcune esperienze) prima di tutto alla riduzione della mortalità infantile e delle malattie in gene­re e ad assicurare ai lavoratori uno stato di be­nessere psico-fisico e una durata della vita, nei termini medio-normali, diversa da come avviene attualmente (oggi, infatti, la vita del lavoratore, oltre che tribolata, è fino a 10-15 anni inferiore rispetto alla media).

 

 

II

PUNTI DI CONFRONTO CON REGIONE PIEMONTE, PROVINCE, COMUNI

SUI PROBLEMI DELLA SANITÀ E ASSISTENZA

 

1) Affermazione della inscindibilità fra sani­tà e assistenza nella programmazione e gestione degli interventi e della formazione, aggiornamen­to e riqualificazione del relativo personale.

2) Precisazione delle aree di intervento: la Regione promuove, coordina, legifera, finanzia, delega i poteri ai Comuni, affinché li esercitino a livello delle Unità locali dei servizi sanitari e so­ciali.

Le Unità locali dei servizi sanitari e sociali sa­ranno gestite esclusivamente dai Comuni in for­ma associata o decentrata (Comuni, Consorzi di Comuni, Comunità Montane, Consigli di quar­tiere).

Dovranno essere concordate le modalità per l'inserimento operativo (e non istituzionale) nelle Unità locali dei Servizi sanitari e sociali del per­sonale e delle strutture degli altri enti ivi com­prese le Province.

3) Provvedimenti regionali promozionali a fa­vore dei Comuni per servizi alternativi a livello delle Unità locali dei Servizi sanitari e sociali in materia di sanità e assistenza (come ad esempio le proposte di legge dei Comuni di Settimo Tori­nese e di Torino) per le materie non delegabili.

4) La ripartizione del territorio deve realiz­zarsi in modo unitario per tutti gli ordini di pro­blemi (Consigli di quartiere, distretti scolastici, zone psichiatriche, Unità locali dei servizi sanita­ri e sociali, ecc.) anche per garantire l'unitarietà di intervento nei servizi; coordinamento della ri­partizione territoriale di cui sopra con i compren­sori (Ved. paragrafo III).

5) Censimento di tutte le strutture (pubbli­che e private) e attrezzature attualmente prepo­ste all'intervento sanitario e assistenziale, da realizzarsi a livello di dimensione di Unità lo­cale dei servizi sanitari e sociali e sue articola­zioni, in diretto rapporto con i bisogni della po­polazione (nei luoghi di lavoro e non) ricavati da reali momenti di partecipazione alla definizione delle scelte e loro priorità.

6) Impegno degli Enti locali (Regione, Provin­ce e Comuni) a realizzare interventi utilizzando e coordinando tutte le loro strutture, nonché pre­disponendo l'estensione di tali attività coordina­te a quelle degli enti mutualistici e ospedalieri (anticipando con ipotesi concrete le strutture del costruendo servizio sanitario nazionale).

7) Passare alla concreta attuazione della deli­bera approvata dal Consiglio regionale sulla isti­tuzione dei dipartimenti di emergenza e accet­tazione; nonché alla formulazione di un disegno di legge regionale per la formazione, riqualifica­zione e aggiornamento permanente degli opera­tori socio-sanitari, sulla base dei criteri indicati dal contratto unico degli ospedalieri, e della pro­posta presentata dalla Federazione regionale pie­montese dei lavoratori ospedalieri.

8) Impegno in rapporto alla proposta di leg­ge di iniziativa popolare «Competenze regionali in materia di servizi sociali e scioglimento degli enti assistenziali», non solo in termini di raccol­ta delle firme, ma anche come momenti concreti di avvio al coordinamento e alla ristrutturazione del settore.

Nell'immediato

In attesa delle deleghe ai Comuni, realizzazio­ne delle Unità di base, quale uno dei servizi dell'Unità locale dei servizi sanitari e sociali in tut­to il territorio della Regione, per un intervento di prevenzione del rischio, di accertamento e tutela del danno nei luoghi di lavoro (articoli 5, 9, 12 del­lo Statuto dei lavoratori) al fine di rispondere al­le esigenze dei lavoratori e all'impegno dei Co­muni singoli o associati (o, per Torino, a livello di singole zone) respingendo ogni forma di accen­tramento gestionale.

Effettuare la raccolta e corretta gestione del­le informazioni e dati esistenti, mediante l'utiliz­zo di alcune strutture (innanzi tutto l'INAIL, il Centro per l'asbestosi, i servizi di medicina del lavoro, l'INAM e Casse mutue).

Riorganizzare le strutture degli Enti locali (CPA, ecc.) e loro adeguamento per una utilizza­zione aperta, per avviare a soluzione i problemi dell'intasamento dei laboratori di analisi delle mutue e degli ospedali, offrendo così una alter­nativa alla tendenza alla privatizzazione di questo servizio.

Verifica della situazione per avviare soluzio­ni che investano anche tutto l'aspetto della me­dicina specialistica.

Proroga dei termini della legge regionale sugli asili-nido per quanto concerne il personale ed i relativi corsi professionali.

Primi interventi di riordinamento del settore della formazione, riqualificazione e aggiornamen­to professionali per bloccare la proliferazione di scuole e corsi inidonei e di false specializzazioni e qualifiche.

 

 

III

CRITERI PER LA RIPARTIZIONE DEL TERRITORIO REGIONALE

IN UNITÀ LOCALI DEI SERVIZI

 

1) Ciascuna Unità locale deve comprendere una popolazione non inferiore a 20.000 abitanti nelle zone con popolazione dispersa e non supe­riore a 80.000 abitanti nelle zone urbane ad alta densità demografica (tale limite massimo potrà essere superato per Torino, ma non oltre i 90.000 abitanti).

2) Ciascuna Unità locale deve essere rispon­dente alle condizioni socio-economiche del terri­torio, alla sua conformazione geomorfologica e alle possibilità delle comunicazioni interne.

3) Ciascuna Unità locale deve essere tale da consentire l'unificazione nella zona dei servizi di base prescolastici e scolastici, culturali, ricreati­vi, abitativi e sociali in genere sia per quanto con­cerne la direzione politico-amministrativa, sia nei riguardi delle aree d'intervento.

4) Le zone dei Comuni comprendenti più Uni­tà locali devono coincidere con il territorio dei Consigli di quartiere.

Gli altri Comuni devono appartenere nella loro interezza ad una sola Unità locale.

5) Le aziende, se costituiscono un complesso industriale unitario, devono fare parte nella loro interezza di una sola Unità locale.

6) Tenuto conto dei criteri sopraindicati, per quanto possibile, l'ambito territoriale di ciascuna Unità locale deve coincidere con quello della Co­munità montana o comprendere una o più Comu­nità montane nella loro interezza.

7) Le articolazioni territoriali preesistenti o in fase di proposta devono adeguarsi alle Unità locali.

 

 

IV

NOTA ESPLICATIVA DEL DOCUMENTO SU SANITÀ E ASSISTENZA

PRESENTATO NEGLI INCONTRI SINDACATO - REGIONE - PROVINCE - COMUNI

 

I punti essenziali di riferimento per la riforma dei servizi sanitari e sociali sono:

- una risposta globale e unitaria alle esi­genze della popolazione e della comunità;

- la partecipazione come elemento fonda­mentale per costruire la riforma e per una sua gestione democratica.

Sul piano istituzionale questi due elementi por­tano all'identificazione da un lato di ambiti ter­ritoriali ben definiti e non troppo ampi perché la partecipazione possa incidere e, dall'altro lato, di ambiti non troppo ristretti affinché possano es­sere istituiti il maggior numero dei servizi ne­cessari.

Tale struttura che viene chiamata Unità locale dei servizi sanitari e sociali (comprendente da 20.000 abitanti circa nelle zone disperse a 80.000 circa nelle zone ad alta concentrazione) deve ave­re un unico organo di governo per la gestione po­litico-amministrativa che viene individuato nel Comune o nel Consorzio di Comuni o nelle Co­munità montane o nei Consigli di quartiere.

L'impegno chiesto alla Regione di realizzare con legge apposita le ULSSS, se attuato, rappre­senta una grossa conquista poiché costituisce un elemento di rottura del vecchio sistema, una an­ticipazione concreta della riforma del settore, uni­fica per la prima volta i problemi e le attività sa­nitarie e sociali.

Tuttavia, è importante anche definire se l'Uni­tà locale deve essere una organizzazione limitata ai servizi sanitari e sociali con il pericolo di iso­lare la sanità e l'assistenza dagli altri interventi, creare organismi istituzionali per le varie mate­rie (sanità e assistenza, urbanistica, trasporti, at­tività culturali ricreative ecc.) e, quindi, un og­gettivo ostacolo ad una partecipazione politica non settoriale e non corporativa.

Inoltre, questa separazione essendo in contra­sto con la necessità di iniziative politiche globa­li e di un impegno programmatorio e gestionale unitario, rischia, di fatto, di impedire la realizza­zione della piena autonomia dei poteri locali e la rifondazione dei Comuni intesi da un lato come Enti locali democratici di natura politica e, dall'altro, come strutture che - come area, come mezzi e come strumenti di intervento - sono un momento reale ed efficace di organizzazione e ge­stione di tutti i servizi in risposta alle esigenze e ai bisogni di una popolazione che risiede o che lavora su un dato territorio.

L'ipotesi alternativa (premesso che la realizza­zione delle ULSSS è una grossa conquista) è in­vece quella di operare alla realizzazione dell'Uni­tà locale di tutti i servizi di base (in linea con la rifondazione del Comune), obiettivo che potrà es­sere raggiunto anche con la creazione, in un pri­mo tempo, dell'ULSSS alla condizione, però, che si abbia ben chiaro questo obiettivo.

A questo riguardo è bene ricordare che la re­gione Umbria:

- con legge 14 novembre 1974 n. 57 ha co­stituito le ULSSS;

- con legge 6 marzo 1975 n. 11 ha attribuito alle ULSSS anche i compiti in materia di soggior­ni e campeggi estivi e invernali o permanenti e di attività extra-scolastiche riconducibili al con­cetto di assistenza estiva ed invernale;

- con legge 3 giugno 1975 n. 39 ha delegato ai Comuni le materie relative a biblioteche, mu­sei, archivi di interesse locale al fine di trasfor­marli in centri di azione culturale e sociale, di attività didattica, di promozione, di ricerca e di programmazione, attività che devono tutte esse­re svolte in un ambito territoriale identico a quel­lo dell'ULSSS;

- con legge 3 giugno 1975 n. 40 ha delegato ai Comuni le competenze in materia urbanistica e di assetto del territorio, attività che devono es­sere svolte anch'esse in un ambito territoriale identico a quello delle ULSSS.

A proposito di tutti questi provvedimenti va notato che i Comuni delle singole zone possono costituire un unico consorzio per la gestione uni­taria delle materie previste nelle quattro leggi sopra citate.

Il Consorzio di soli Comuni può consentire più facilmente (appena vi saranno le condizioni poli­tiche) di unificare in un solo Comune i vari Co­muni appartenenti ad un Consorzio.

A questo riguardo è bene precisare che le Re­gioni hanno già adesso gli strumenti giuridici per promuovere e realizzare le fusioni di cui sopra.

Si intende sottolineare cioè che, in alternativa alla costituzione di Consorzi fra Comuni e Pro­vince (che porta alla creazione di enti aggiuntivi ai Consigli di quartiere e alle Comunità montane coincidenti con le ULSSS), la Regione Umbria ha disposto con la legge 14 novembre 1974 n. 57 che il progetto di piano regionale per i servizi sanitari e socio-assistenziali deve prevedere gli interventi da svolgere nell'ambito delle Unità lo­cali, oltre che da parte dei Consorzi, dagli enti ospedalieri, dagli enti comunali di assistenza, dalle IPAB e dalle altre istituzioni assistenziali a livello comunale, anche da parte delle Province al fine di assicurare il più stretto coordinamento fra tutti gli enti che operano nelle materie sanita­rie e socio-assistenziali.

Inoltre, mediante altri strumenti come ad esem­pio le «convenzioni», è possibile arrivare all'in­serimento, nelle Unità locali, del personale e all'utilizzo delle strutture degli altri enti non com­presi nell'elencazione di cui sopra: Mutue, ONMI, ENAOLI, ecc.

L'organizzazione del lavoro sia a livello dei di­stretti socio-sanitari che delle altre strutture de­ve realizzarsi sul piano di una gestione e di una operatività collegiale e unitaria degli operatori sanitari superando le attuali posizioni gerarchi­che, la frammentazione delle attività e, nella mi­sura del possibile, la rigidità dei ruoli professio­nali disponendo i campi operativi in base alle ca­pacità, attitudini, competenze specifiche degli operatori.

Tutto questo presuppone ovviamente un rap­porto di permanente contrattazione e un riferi­mento costante alla partecipazione.

Vi è, inoltre, la necessità oltre che l'urgenza:

- di una idonea formazione di base;

- di una formazione permanente;

- di una verifica continua, da un lato con le forze sindacali e sociali e, dall'altro, con le sedi di ricerca scientifica e di alta specializzazione.

Su tutte queste questioni e al fine di valorizzare i poteri e le autonomie locali e la partecipazio­ne la Regione non dovrebbe svolgere alcuna at­tività operativa, ma delegare le competenze ai Comuni per il loro esercizio a livello delle Unità locale.

Ovviamente è necessario che alle Regioni sia­no trasferite tutte le competenze, il personale e i finanziamenti oggi attribuiti agli organi centrali dello Stato, agli enti nazionali e a quelli territo­riali non elettivi (ECA, IPAB, Patronati scolasti­ci ecc.).

Per quanto si riferisce alle competenze attua­bili e non esercitabili a livello di Unità Locale in materia di sanità e assistenza, va detto che pur non essendo stato fatto, a livello piemontese, un approfondito esame delle competenze che non possono essere esercitate a livello di Unità lo­cale, si possono però indicare alcuni elementi di riferimento per altro più volte sottolineati.

Le attività possono cioè essere così riassunte:

- prevenzione, cura, riabilitazione delle ma­lattie e dei disadattamenti;

- attività di promozione sociale come alter­nativa al ricovero in istituti di assistenza e bene­ficenza di minori, anziani, handicappati;

- formazione, aggiornamento, riqualificazio­ne, riconversione degli operatori sanitari e so­ciali.

Assumendo sempre come riferimenti essenzia­li la risposta globale e unitaria alle esigenze del­la popolazione e la partecipazione, è opportuno (come già avviene in alcune Regioni: Toscana, Umbria, Emilia-Romagna) e indispensabile prov­vedere a suddividere il territorio delle Unità lo­cali in aree di intervento denominate Distretti socio-sanitari comprendenti, in larga approssima­zione, 5.000 abitanti.

A questo riguardo va precisato che mentre ad ogni Unità locale corrisponde un unico organo di governo, i Distretti socio-sanitari rappresentano solo una suddivisione tecnica dell'Unità locale.

Nelle realtà già esistenti, a livello di ciascun Distretto è previsto o operante un unico gruppo di operatori sanitari e sociali comprensivo delle diverse specializzazioni e qualificazioni necessa­rie alle caratteristiche e ai bisogni della popola­zione e per lo svolgimento delle attività di pre­venzione sanitaria e sociale, di cura, di riabilita­zione e di promozione sociale con lo scopo di:

a) prevenire le malattie, i disadattamenti e la emarginazione operando per rimuoverne le cause nel territorio, nelle aziende industriali, agricole, commerciali, artigiane, nelle strutture pre-scolastiche, nelle scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado, negli istituti di ricovero o di assistenza e nelle altre sedi necessarie;

b) prestare tutte le cure necessarie, limi­tando però gli interventi (sino alla soppressione degli enti mutualistici) a quelli non forniti dagli enti preposti per legge;

c) fornire i necessari trattamenti riabilitati­vi che devono essere assicurati:

- per i minori degli anni 15 nelle normali strutture prescolastiche (asili-nido, scuole ma­terne) e nella scuola dell'obbligo;

- per gli adulti nei normali servizi socio­sanitari;

d) assicurare a tutti i cittadini la fruizione di normali servizi scolastici, sanitari, abitativi, di tempo libero, culturali, ecc. e provvedere al rein­serimento sociale delle persone attualmente ri­coverate negli istituti;

e) provvedere agli affidamenti a famiglie, persone e comunità alloggio di minori, anziani e handicappati;

f) assicurare le necessarie prestazioni domi­ciliari sia sanitarie che sociali;

g) provvedere ad assicurare il necessario economico per vivere mediante contributi in de­naro stabiliti in base a parametri prefissati;

h) fornire la necessaria consulenza prema­trimoniale, matrimoniale e familiare.

Nei gruppi di operatori sanitari e sociali del Distretto opera, oltre al personale a tempo pieno a livello del Distretto stesso, anche personale a tempo parziale a livello di Distretto ma a tempo pieno a livello di Unità locale. Quest'ultimo per­sonale, soprattutto nelle zone disperse, è costi­tuito da specialisti: psichiatri, ostetrici, cardio­logi, ecc.

Le attività specialistiche sono svolte sia a li­vello di Unità locale, sia in poliambulatori, sia in ospedali di zona.

Un problema ancora da definire è se sia utile o meno unificare gli ospedali di zona con i poliambulatori e con i laboratori di analisi ed eventual­mente anche con strutture del tipo dell'ospedale di giorno.

Va detto comunque che operando questa pos­sibile unificazione si costruisce una garanzia di continuità tra il momento ospedaliero e quello extra-ospedaliero e la partecipazione di almeno una parte del personale del gruppo di operatori del Distretto alle attività ospedaliere di cura e riabilitazione.

Naturalmente là dove si seno concretizzate le prime esperienze è stato anche dimostrato che non è necessario che ogni Unità locale disponga di un suo ospedale di zona e come due o tre Uni­tà locali limitrofe possono usufruire di una sola struttura ospedaliera zonale.

Per quanto si riferisce all'alta specializzazione è importante prevedere complessi ospedalieri e ambulatoriali nei quali inglobare l'attività di ri­cerca con l'attenzione di riportare a livello di ba­se le attività specialistiche mano a mano che si rendono generalizzabili.

Per le attività (in materia di sanità e assisten­za e di tutti gli altri servizi) che oggettivamente non possono essere svolte a livello dell'Unità lo­cale, si apre il problema della costituzione di un secondo livello di intervento e di gestione.

Se si assume questa esigenza, precisato che anche la gestione di questi interventi è politica, resta da definire se fare capo alle Province, orga­ni di elezione diretta, oppure a Consorzi delle Unità locali (a loro volta quasi sempre costituite da Consorzi), oppure ricercare altre soluzioni isti­tuzionali tenendo conto che comunque è neces­sario evitare la proliferazione di Consorzi che hanno il difetto di avere istituzionalmente una caratterizzazione burocratica.

Nell'ipotesi, auspicabile, si ritenga di indivi­duare la Provincia come soluzione più idonea e meno burocratica per le attività di secondo li­vello, è possibile adottare soluzioni simili a quel­la prevista nella proposta presentata dalla Fede­razione dei lavoratori ospedalieri del Piemonte. In essa è stato indicato, infatti, che pur essendo prevista la delega relativa alla formazione, riqua­lificazione, aggiornamento del personale alle Pro­vince, si precisa che deve essere data priorità ai centri gestiti da Comuni, Consorzi di Comuni, Comunità montane.

In sostanza le attività di secondo livello non devono in alcun caso essere concepite come un livello gerarchicamente superiore alle Unità loca­li, ma il necessario completamento dei servizi e delle strutture di base per attività particolari che interessano o un territorio e popolazioni più va­sti di quelli dell'Unità locale, oppure richiedono personale e attrezzature non pienamente utiliz­zabili a livello di una singola Unità locale. Prima di definire, a titolo indicativo, le attività che non è possibile (almeno nell'immediato futu­ro) svolgere a livello delle Unità locali, è bene precisare che la funzione integrativa dei servizi, strumenti e personale della Provincia deve esse­re chiaramente precisata da apposite leggi della Regione Piemonte. A titolo indicativo, le attività di cui sopra sono:

- risoluzione delle controversie in materia di spedalità e fra ULSSS;

- raccolta e corretta gestione delle informa­zioni, dati e statistiche epidemiologiche di con­fronto con quelle realizzate a livello di Unità lo­cali;

- indagini preventive di massa e indagini si­stematiche di altro tipo in campo veterinario, eco­logico e medico;

- interventi ordinari e straordinari di fronte a situazioni che minacciano la salute pubblica per le quali si richiedano attrezzature e compe­tenze specializzate e particolari;

- igiene degli alimenti;

- approvvigionamento idrico;

- inquinamento del suolo, delle acque e at­mosferico;

- indagini relative ai farmaci;

- strumentazione specialistica per interven­ti nel campo della medicina e igiene del lavoro;

- organizzazione del trasporto d'urgenza, del pronto soccorso e della guardia medica notturna e festiva.

Inoltre, nel campo socio-assistenziale:

- le strutture e gli interventi destinati a ga­rantire il segreto del parto;

- la formazione del personale a livello para­universitario (assistenti sociali, educatori, tera­pisti della riabilitazione) tenendo, ad esempio, conto che il numero degli assistenti sociali previ­sto per ogni Unità locale dovrebbe essere di un massimo di dieci e che il calcolo di una durata media di 20 anni di attività porta alla necessità di formazione di 1 operatore ogni 2 anni, e di 40 nuove assunzioni ogni anno per tutta la Regione Piemonte;

- l'aggiornamento del personale laureato, di quello formato a livello para-universitario;

- progettazioni non effettuabili a livello del­le Unità locali, quali ad esempio: progettazioni di ospedali zonali, di poliambulatori, di scuole materne e dell'obbligo, di asili-nido, di centri di formazione professionale, ecc.;

- studi, ricerche e programmazione a livello comprensoriale, ferma restando la necessità che le Unità locali dispongano di un ufficio per il pia­no del territorio con relativi strumenti e persona­le, e questo anche allo scopo di legare permanen­temente la programmazione alle esigenze della popolazione e alla partecipazione trovando poi un coordinamento a livello comprensoriale e la sintesi a livello regionale;

- interventi per la garanzia del diritto allo studio nei confronti degli allievi delle scuole se­condarie superiori e dei centri di formazione pro­fessionale.

Un altro problema che deve essere discusso e definito è quello dei Comprensori. A questo ri­guardo si pongono alcuni interrogativi che hanno bisogno di precise risposte:

- devono essere organi della Regione o dei Comuni?

- devono avere personale e strumenti pro­pri o questi vengono forniti dai Comuni, Con­sorzi di Comuni, Comunità montane, Province o solamente da queste ultime?

- l'ambito dei Comprensori deve compren­dere nella loro interezza le Unità locali del terri­torio o una unità locale può anche appartenere a due o più Comprensori?

In relazione alla legge dell'Emilia-Romagna del 22 gennaio 1974 n. 7 istitutiva del circondario di Rimini con compiti di programmazione e coordi­namento dei Comuni e Consorzio di Comuni: i Comprensori devono essere unificati con i Cir­condari?

Su tutti questi problemi i Comuni, Consorzi di Comuni, le Comunità montane, le Province e tutti gli altri enti operanti nel campo della sanità e dell'assistenza devono, nell'ambito di un disegno globale della Regione Piemonte, assumere le ne­cessarie iniziative per la costruzione dell'orga­nizzazione dei servizi sanitari e sociali nel terri­torio puntando prioritariamente su una elabora­zione ampiamente partecipata e stabilendo un costante e permanente rapporto privilegiato con il Sindacato.

 

 

V

PARTECIPAZIONE DEL SINDACATO ALLE SCEL­TE, DECISIONI E ATTIVITÀ

DELLE UNITÀ LOCALI

 

Per quanto concerne la partecipazione, le pro­poste più volte avanzate dal sindacato possono essere così riassunte:

1) costituzione in ciascuna Unità locale dei servizi e su iniziativa del sindacato e delle sue strutture periferiche (consigli di fabbrica e con­sigli unitari di zona) di un Comitato di partecipa­zione alle scelte e decisioni e attività degli orga­ni politici e tecnici dell'Unità locale;

2) il Comitato di partecipazione deve poter definire autonomamente i propri criteri di compo­sizione, rappresentanza, funzionamento e artico­lazione territoriale;

3) fra l'Amministrazione dell'Unità locale e il Comitato di partecipazione si deve stabilire un rapporto non di consultazione ma di confronto su tutti i problemi riguardanti i Servizi sanitari e sociali;

4) al Comitato di partecipazione deve esse­re riconosciuta la facoltà di utilizzare le struttu­re dell'Unità locale per promuovere studi e ri­levazioni, indire assemblee, incontri e dibattiti sui problemi generali e specifici della sanità e dell'assistenza;

5) ai componenti del Comitato di partecipa­zione deve essere consentito l'accesso a tutti í servizi sanitari e sociali della Unità locale e de­vono essere messi a disposizione tutti i dati;

6) l'organizzazione politica della Unità loca­le deve trasmettere tempestivamente al Comita­to di partecipazione copia dei propri atti riguar­danti i servizi sanitari e sociali e deve fornire ogni altra informazione richiesta;

7) l'organizzazione politica della Unità loca­le deve fornire al Comitato di partecipazione i locali e gli strumenti necessari al suo funzio­namento.

Come primo atto della sua attività il Compito di partecipazione deve mettere in diretto rappor­to tutti i dati del censimento tecnico-burocratico di tutte le strutture, attrezzature e interventi at­tualmente preposti nel campo sanitario, assisten­ziale e sociale in genere, con i bisogni della po­polazione (nei luoghi di lavoro e non) mediante momenti di reale partecipazione che coinvolgano prima di tutto il personale addetto ai servizi esi­stenti sul territorio e quelli che, pur fuori dal ter­ritorio (ospedali, poliambulatori, istituti di rico­vero ecc.), sono utilizzati dalla popolazione della zona.

Questo confronto, oltre che portare all'indivi­duazione delle ristrutturazioni necessarie dei ser­vizi esistenti (adeguamento, riorganizzazione, completamento organici ecc.) e alla individuazio­ne di quelli mancanti, deve consentire di poter indicare le scelte di intervento e le necessarie priorità.

In particolare è fondamentale che, modificando l'attuale organizzazione del lavoro presente nei servizi che è di tipo settoriale e gerarchico, si ar­rivi alla costituzione di gruppi di lavoro orizzon­tali (massima possibilità di intercambiabilità dei ruoli, gestione collegiale, ecc.).

Per quanto riguarda il personale mancante è necessario puntare in primo luogo sugli operatori sanitari e sociali attualmente operanti negli enti da superare (Asili nido ONMI, istituti di ricovero, INAM e Casse mutue, ENPI, servizi sociali di fab­brica, ecc.).

Il passaggio del personale da questi servizi a quelli delle Unità locali potrà avvenire mediante accordi e/o convenzioni o di fatto e, ovviamente, potrà comportare la frequenza di corsi di aggior­namento, riqualificazione o riconversione.

 

ORGANIZZAZIONE INTERNA DEI SERVIZI DELL'UNITÀ LOCALE

 

Per quanto riguarda l'organizzazione interna dei servizi delle Unità locali, si assume (fatte alcune correzioni formali) la delibera (1) approva­ta dal Consiglio Comunale di Moncalieri (comu­ne della cintura di Torino di 62.000 abitanti).

 

 

VI

CRITERI PER UNA LEGGE REGIONALE SULLA FORMAZIONE, RIQUALIFICAZIONE E AGGIOR­NAMENTO DEGLI OPERATORI SANITARI E SO­CIALI (2)

 

1) La Regione Piemonte deve disciplinare con propria legge tutti i settori della formazione pro­fessionale riguardanti gli operatori sanitari e so­ciali, e cioè:

a) formazione professionale;

b) formazione permanente;

c) riqualificazione;

d) aggiornamento.

2) La formazione professionale e la riquali­ficazione riguardano gli operatori sanitari non medici e gli operatori sociali.

La formazione permanente e l'aggiornamento professionale devono interessare tutto il perso­nale addetto ai servizi sanitari e sociali, compre­si quelli in possesso di laurea.

3) La legge regionale deve avere validità fi­no all'entrata in vigore di una legge nazionale che regoli la materia della formazione profes­sionale.

4) Le funzioni amministrative ed i relativi fi­nanziamenti in materia di: formazione professio­nale, formazione permanente, riqualificazione e aggiornamento devono essere delegate alle Pro­vince, le quali devono esercitarle su parere con­forme dei Comuni o dei loro Consorzi o delle Co­munità montane, sentite le Organizzazioni sinda­cali e le forze sociali operanti sul territorio.

Con l'entrata in vigore della legge di riforma sanitaria, le Province eserciteranno la delega su parere conforme delle Unità locali dei servizi, sentite le Organizzazioni sindacali e le forze so­ciali operanti sul territorio.

5) Per quanto concerne gli enti gestori della formazione professionale, il criterio di priorità che deve essere adottato è il seguente:

I) Comuni o loro Consorzi o Comunità montane.

II) Province e loro consorzi.

III) Enti pubblici o di diritto pubblico.

6) Le Province, entro il ......, di ogni anno, pre­sentano al Consiglio regionale, la proposta di piano comprensiva anche degli aspetti finanziari, relativa alla formazione professionale, alla forma­zione permanente, alla riqualificazione e all'ag­giornamento.

Il Consiglio regionale lo approva entro il ......... Le modalità di consultazione e di parere confor­me sono quelli indicati al punto 4.

7) La legge regionale deve prevedere la pro­roga dell'art. 4 della legge 25 febbraio 1971 n. 124, in modo che tutto il personale che non ha potuto beneficiare della legge suddetta, possa usu­fruirne.

Inoltre gli infermieri generici, le puericultrici, le ostetriche, le vigilatrici d'infanzia che, all'en­trata in vigore della legge regionale, prestino ser­vizio alle dipendenze di enti ospedalieri o di isti­tuti pubblici di ricovero e cura della Regione e siano in possesso del diploma di istruzione se­condaria di primo grado, possono essere ammes­si al 2 anno del corso per infermieri professionali presso scuole gestite da enti ospedalieri del Piemonte fino all'inizio dell'anno scolastico 1977/78 e comunque sino all'entrata in vigore della legge di riforma sanitaria.

8) Le attività di formazione permanente, ag­giornamento e riqualificazione, devono essere considerate, a tutti gli effetti, parte integrante dell'orario di lavoro.

9) La formazione professionale degli opera­tori consiste nelle attività volte:

a) al conferimento dell'abilitazione profes­sionale nelle qualifiche previste o consentite dal­le leggi dello Stato;

b) alla preparazione degli operatori sociali per le seguenti funzioni:

- promozione e animazione di servizi so­ciali;

- assistenza educativa sociale;

- assistenza ed aiuto domestico familiare;

- altre attività d'interesse sociale.

10) Le scuole ed i corsi debbono assicurare una formazione che consenta agli operatori di esercitare la propria attività professionale con adeguata capacità tecnico-pratica, con piena di­sponibilità al lavoro di gruppo ed al lavoro inter­disciplinare e pronta percezione dei bisogni rea­li dei soggetti destinatari dell'intervento socio­sanitario, di modo che gli operatori stessi siano in grado di svolgere un ruolo attivo nella difesa e nella promozione dello stato di salute e di be­nessere sociale delle popolazioni. Pertanto l'a­zione formativa deve essere adeguata nei meto­di e nei contenuti al livello del progresso scien­tifico e tecnologico, deve realizzare una stretta integrazione tra insegnamento teorico e insegna­mento pratico e stimolare la capacità e l'autono­mia di giudizio degli studenti.

11) L'autorizzazione all'istituzione delle scuo­le e dei corsi deve essere deliberato, tenuto con­to delle priorità indicate al punto 5, in base ai se­guenti criteri:

a) le scuole e i corsi dovranno riguardare sia il personale per i servizi sanitari, che quello per i servizi sociali, attuando tutte le integrazioni possibili sia a livello teorico che pratico, al fine di favorire sia il lavoro in gruppo degli operatori sanitari e di quelli sociali, sia la maggiore ricomposizione possibile delle mansioni, sia i necessa­ri rapporti e scambi fra gli allievi che frequentano corsi di formazione professionale, di riqua­lificazione e di aggiornamento con il personale in formazione permanente;

b) idoneità dell'ente richiedente di assicura­re uno svolgimento dell'attività didattica confor­me alle disposizioni contenute nella legge re­gionale;

c) vi sia possibilità di assunzione nei servi­zi del personale che ha frequentato i corsi. In ogni caso il numero degli allievi frequentanti i corsi, non dovrà essere condizionato dai posti previsti negli organici.

Deve essere inoltre prevista in ogni momento la revoca dell'autorizzazione o la temporanea chiusura delle scuole o dei corsi, qualora venga­no meno le condizioni essenziali per il loro nor­male funzionamento o quando in sede program­matoria sia previsto un minor fabbisogno del per­sonale che ogni scuola o corso è abilitato a pre­parare.

12) La gestione delle scuole e dei corsi deve essere attuata con la partecipazione degli allievi e degli insegnanti i quali hanno diritto a svol­gere le assemblee da essi ritenute necessarie e ad avanzare proposte all'ente gestore, ai Consi­gli comunali, provinciali e consorziali e a quello regionale.

A questo fine, per garantire la partecipazione degli insegnanti e degli studenti all'organizzazio­ne ed allo svolgimento dell'attività didattica, in ogni scuola o corso deve essere costituito un Comitato didattico del quale fanno parte, su ba­se elettiva, rappresentanti degli insegnanti e de­gli studenti, nonché del personale dei servizi presso i quali gli studenti effettuano il tirocinio pratico.

La composizione numerica, le modalità di no­mina del presidente, il funzionamento e le attri­buzioni del Comitato didattico, sono disciplinate dal regolamento della scuola o del corso.

Il Comitato didattico deve essere sentito dagli organi dell'ente gestore per tutto ciò che concer­ne l'attività didattica della scuola e del corso.

Deve essere inoltre sentito dagli Organi poli­tici (Regione, Province, Comuni) per i problemi generali e specifici della formazione, della for­mazione permanente, dell'aggiornamento e qualificazione ai fini di una partecipazione alla pro­grammazione del settore.

13) L'ordinamento interno delle scuole e dei corsi è disciplinato da uno speciale regolamento. In particolare, il regolamento detta norme per la nomina degli insegnanti, l'iscrizione e l'ammis­sione degli studenti, io svolgimento del tirocinio, il controllo delle frequenze, la valutazione dell'apprendimento e il passaggio da un anno di cor­so al successivo nel caso di scuole o di corsi di durata pluriennale.

14) Gli studenti non possono essere impiegati in attività non contemplate nel quadro degli in­segnamenti del corso al quale partecipano o pri­ve di valore formativo ai fini della preparazione professionale, né essere utilizzati in sostituzione o ad integrazione del personale dei servizi pres­so i quali svolgono il tirocinio pratico.

Il Comitato didattico controlla che siano rispet­tate tali disposizioni.

15) La frequenza dei corsi deve essere gra­tuita. Per tutta la durata del corso gli studenti hanno diritto all'uso gratuito dei testi e di ogni altro materiale occorrente per lo studio individua­le e collettivo e per effettuare il tirocinio pratico. Agli allievi frequentanti i corsi di formazione professionale che non usufruiscano né del co­mando per perfezionamento né di altri istituti di carattere economico, verrà corrisposta un'inden­nità di pre-salario, il cui livello non dovrà essere inferiore al 50% del trattamento economico pre­visto dai contratti nazionali di lavoro per l'ultima categoria.

16) Alle Province devono essere trasferiti i fondi regionali relativi all'assistenza scolastica in modo che sia garantito agli allievi la effettiva possibilità di frequentare le scuole ed i corsi. A tale scopo le Province istituiscono borse di stu­dio ed i necessari servizi di trasporto e mensa e provvedono alla creazione di biblioteche ed a for­nire i necessari sussidi didattici. I Comuni, Con­sorzi di Comuni, Comunità montane, su loro ri­chiesta, possono gestire le attività di cui sopra ed in tale caso le Province trasferiscono agli enti suddetti i relativi finanziamenti.

17) Si fa divieto, ad eccezione delle ammini­strazioni dello Stato e dell'Università, di istituire o di fare funzionare nel territorio del Piemonte, senza l'autorizzazione della presente legge, scuo­le o corsi per la formazione professionale di per­sonale sanitario non medico destinato ad operare nei servizi sanitario-sociali.

18) Gli attestati di qualifica conseguiti al ter­mine di corsi di durata almeno biennale, svolti presso i centri di addestramento professionale autorizzati dalla Regione e per accedere ai qua­li è richiesto il diploma di istruzione secondaria di primo grado, sono equipollenti ai titoli richie­sti dall'articolo 2 della legge 25 febbraio 1971, n. 124, ai fini dell'ammissione alle scuole per in­fermieri professionali.

19) I fondi regionali relativi alle scuole ed ai corsi di formazione professionale vengono ripar­titi alle Province in base al numero degli abitan­ti. I fondi relativi al diritto allo studio, sono ri­partiti alle Province in proporzione agli abitanti e all'estensione del territorio di ogni singola Pro­vincia.

20) Tutto il personale addetto ai servizi sa­nitari e sociali ha diritto a n. ... di ore settimana­li per la propria formazione permanente.

La formazione permanente deve essere effet­tuata secondo modalità da concordarsi fra l'ente gestore del servizio in cui l'operatore presta la sua attività, la Provincia e le Organizzazioni sin­dacali.

21) L'aggiornamento e la riqualificazione pro­fessionale devono essere assicurati a tutti i la­voratori dei servizi sanitari e sociali, tenendo so­prattutto conto della diversa preparazione neces­saria per l'inserimento in nuovi servizi alternativi.

22) Gli enti gestori dei corsi di formazione professionale, riqualificazione e aggiornamento sono tenuti a fornire gratuitamente sedi, perso­nale e strumenti per la piena attuazione di quan­to previsto dai contratti nazionali di lavoro in ma­teria di diritto allo studio per le 150 ore.

La Regione deve provvedere al rimborso delle spese relative alla attuazione dei corsi suddetti. Le modalità di attuazione dei corsi sono con­cordate dalle Organizzazioni sindacali direttamen­te con gli enti in cui il personale presta l'attività lavorativa.

23) La legge regionale deve definire gli stan­dard qualificativi minimi cui dovranno attenersi le scuole ed i corsi in materia di formazione pro­fessionale, formazione permanente, riqualifica­zione e aggiornamento nei riguardi di tutte le fi­gure professionali previste e consentite dalla le­gislazione vigente nel campo dei servizi sanita­ri e sociali.

 

 

 

 

(1) La delibera è stata pubblicata sul n. 30 di Prospettive assistenziali, pag. 12 e segg.

(2) Documento presentato dalla Federazione dei lavoratori ospedalieri alla Regione Piemonte nel luglio 1974.

 

www.fondazionepromozionesociale.it