Prospettive assistenziali, n. 33, gennaio-marzo 1976
DOCUMENTI
ESTENSIONE DEI DIRITTI PREVISTI DALLA LEGGE 1204/71
ALLE LAVORATRICI MADRI ADOTTIVE E AFFIDATARIE DI MINORI DI QUALSIASI ETÀ
La
sentenza del Pretore Cecconi, che riportiamo
integralmente, riveste una particolare importanza in quanto estende alle
affidatarie di minori di qualsiasi età i diritti
delle lavoratrici madri di cui alla legge 30 dicembre 1971 n. 1204.
Da
sottolineare sono le considerazioni del Giudice sulle
esigenze affettive e relazionali dei minori di età superiore degli anni 3 adottati,
affiliati o affidati.
SENTENZA DEL PRETORE CECCONI
Il Pretore di Milano, dr. Franco Cecconi, giudice del lavoro della V sez. civ., ha pronunciato la seguente
sentenza nelle cause riunite ed iscritte ai nn.
6169-6195 del ruolo generale dell'anno 1975 e promosse da F.F.P.
e M.B.F., ricorrenti
attrici; contro S.p.A. GARZANTI; S.I.T. SIEMENS S.p.A.; ISTITUTO NAZIONALE ASSICURAZIONE MALATTIE (INAM);
resistenti convenuti.
Oggetto: Applicazione legge 1204/71 alle
madri adottive.
Conclusioni delle parti
Per la ricorrente F.: dichiarare
tenuta
- il diritto ex art. 4 Lett. C al periodo di astensione
obbligatoria dal lavoro per la durata di 3 mesi dalla data di affidamento del
minore;
- il diritto ex art. 7 di assentarsi
dal lavoro per un periodo facoltativo di sei mesi a far tempo
dalla scadenza del suddetto periodo di astensione obbligatoria, nonché il
diritto di assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino affidatole -
dietro presentazione di certificato medico - durante i primi tre anni
dall'affidamento dello stesso;
- il diritto ex
art. 10 di usufruire di due riposi, anche cumulabili, giornalieri di un'ora
ciascuno sino ad un anno dall'affidamento;
- il diritto a godere
delle ferie «consumate» nel 1975 nel corso del periodo che avrebbe
dovuto essere destinato all'astensione obbligatoria e/o alla assenza
facoltativa dal lavoro.
Per la ricorrente B.: dichiarare
tenute
- del diritto ex art. 7 di
assentarsi dal lavoro per un periodo facoltativo di
sei mesi nel corso di un anno dall'affidamento del bambino nonché il diritto
di assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino affidatole - dietro
presentazione di certificato medico - durante i primi tre anni
dall'affidamento dello stesso;
- il diritto ex
art. 10 di usufruire di due riposi, anche cumulabili, giornalieri di un'ora
ciascuno fino ad un anno dall'affidamento;
- il diritto di godere
delle ferie « consumate » nel 1975 nel corso del periodo che avrebbe
dovuto essere destinato alla assenza facoltativa dal lavoro.
Confermano le restanti conclusioni
in via pregiudiziale.
Per
Per
Per l'INAM: si riporta alle conclusioni precisate in comparsa di costituzione e
risposta 1-10-75 con rinuncia all'eccezione di difetto di giurisdizione e
ribadendo la non applicabilità della legge 1207/71 ai casi di specie.
In fatto
Con ricorsi notificati in data 5 e 6
agosto 1975, P.F. e F.B.
premesso: di avere l'una avuto in affidamento in
attesa dell'espletamento delle pratiche relative all'adozione ordinaria e
l'altra in affidamento preadottivo rispettivamente un
bambino di anni 11 ed uno di anni 6; che la legge n. 1207/71 sulle lavoratrici
madri era stata estesa dalla giurisprudenza alle madri adottive; che i limiti di
età di uno o tre anni posti dalla citata legge non potevano aver riguarda
all'età fisica del bambino, ma alla durata del rapporto tra madre e bambino,
che in caso di filiazione biologica si instaura con la nascita ed in caso di
adozione con l'inserimento del bambino nella famiglia; tanto premesso
convenivano davanti a questo pretore
Costituitosi il contraddittorio
L'INAM infine chiedeva venisse dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice
ordinario sul presupposto che le ricorrenti intendevano far valere un diritto
sulla base di semplici circolari ministeriali.
All'udienza di discussione il
pretore riuniva le due cause e le parti, parzialmente modificate le domande (
Motivi della decisione
Ritiene il pretore che prima di
vagliare la fondatezza delle domande attrici tendenti
a vedere applicata la legge sulle lavoratrici madri alle madri adottive
indipendentemente dall'età del bambino loro affidato e con riferimento
esclusivo all'entrata dello stesso nella famiglia, sia necessario in primo
luogo esaminare il complesso iter legislativo che ha portato alla legge
1204/71.
Il preannuncio di una futura legge
più organica sulle lavoratrici madri era già contenuto nell'art. 2 della legge
n. 860 del 1950, ma è soprattutto a partire dalla fine
degli anni 50 che attraverso la presentazione di numerose proposte di legge cominciò
ad emergere la necessità di una loro più efficace tutela e ciò in relazione
anche allo sviluppo della società industriale in cui l'occupazione femminile
considerata di «riserva» negli anni 50 aveva assunto un carattere di crescente
normalità, di qui l'esigenza di garantire l'inserimento delle donne in ogni
settore produttivo.
Il lavoro della donna visto non più
sotto il profilo meramente economico, ma come necessità di completamento della
sua personalità e d'autonomia, presupponeva infatti
una tutela «più efficace e non più a carattere assistenziale nei confronti
delle lavoratrici madri e assumeva dimensioni notevoli per il nostro paese per
l'assoluta carenza di servizi sociali di infrastruttura e di tutto quello che
in genere le collettività evolute dispongono in favore della prima infanzia»
(v. relazione proposta di legge Storti ed altri presentata alla Va
legislatura).
Le esigenze suddette trovano infine
una loro espressione nella legge 1204.
Va rilevato però che in sede di
commissione legislativa gli On.li Sgarbi Luciana e Gramegna
avevano presentato un articolo aggiuntivo, il 35 ter,
che così recitava: «alle madri di figli adottivi, nonché nel periodo di attesa
dell'affidamento, sono concessi gli stessi trattamenti economici riconosciuti
alle lavoratrici madri».
Tutti i gruppi parlamentari in
quella sede si erano dichiarati d'accordo su una formulazione che prevedesse la
concessione alle lavoratrici madri con figli adottivi dei riposi e dei benefici
di legge.
L'articolo aggiuntivo venne successivamente ritirato, solo dopo però che il
Sottosegretario di Stato per il Lavoro e
Detta premessa appare tuttavia
fondamentale per la linea interpretativa della legge che si
intende seguire.
Dovrebbe infatti
apparire evidente da quanto esposto che il legislatore non aveva inteso regolare
e disciplinare i diritti delle madri adottive.
L'estensione della disciplina è
stata poi effettuata dalla giurisprudenza (ma sempre nei limiti di età previste dalle normative) sull'esatta considerazione
della identità di esigenza, oggettivamente valutata, tra madre naturale e
adottiva in tema di assenza facoltativa dal lavoro.
L'interpretazione estensiva non
appare invece legittima nell'ipotesi in esame, dove non viene
prospettata una identità di situazione (esigenze ed interessi) tra madri
naturali e figli minori di anni tre e madri adottive - figli maggiori di tre
anni, ma sulla base della riconosciuta identità di tutela tra lavoratrici madri
naturali e madri adottive, si è sostenuto che nell'ambito di queste ultime,
non vi è spazio poi per discriminare gli adottanti in relazione all'età,
interpretazione questa che va però al di là della possibilità espansiva della
previsione normativa.
Vi è infatti,
un salto logico nel passaggio indicato dovuto alla necessità di dover superare
un'evidente lacuna legislativa, a cui si può sopperire solo con un ricorso
all'analogia.
Il ragionamento per analogia,
infatti, è un procedimento per estensione della qualifica giuridica astratta
di una norma ad una situazione o rapporto non previsto direttamente od
originariamente dalla norma stessa.
Il ricorso a tale attività
integratrice dell'ordinamento giuridico non ha poi un carattere eccezionale,
né tanto meno può essere considerato pericoloso l'intervento del giudice
sostitutivo del legislatore; è stato infatti
autorevolmente sostenuto che l'interpretazione analogica «è una attività
logica costituzionalmente operante in ogni processo conoscitivo o di ricerca».
Il significato politico giuridico
del divieto di analogia va individuato nella
preferenza accordata dal legislatore in ordine ad alcune categorie di norme ai
principi della certezza e dalla staticità
dell'ordinamento rispetto a quelli
preminenti della equità e del rinnovamento.
In particolare poi per le leggi
eccezionali il divieto poggia sul principio
dell'uguaglianza e della specificità dell'eccezione e per quelle penali sulla
riserva di legge, della certezza del diritto e delle libertà individuali.
Legge eccezionale è quindi solo
quella disciplina storicamente anomala, in quanto caratterizzata da una estrinseca limitatezza logico-strutturale o teleologicale, non può essere estesa al di fuori delle
ipotesi e limiti da essa previsti.
La legge 1204 non presenta
evidentemente tali caratteristiche, infatti non
costituisce un'eccezione a regole generali, ma puntuale attuazione di principi
costituzionali (soprattutto art. 30, 31, 37), gli interessi protetti poi sono
di natura omogenea e riguardano la generale categoria delle lavoratrici
madri, tra le quali non possono non essere ricomprese
le madri adottive.
Più debole ancora appare infine
l'eccezione che la legge in esame debba essere
considerata norma penale, solo in quanto la violazione di alcune norme viene
sanzionata penalmente.
Invero, la scissione tra determinata
tutela delle lavoratrici madri e sanzione a garanzia del suo rispetto appare
concettualmente legittima, tanto più se si considera che la sanzione penale ha
il solo scopo di garantire una più efficacia esecuzione della legge e pertanto
non appare legittimo far riferimento ad essa per
invocarne poi una limitazione della sua sfera di applicazione. In considerazione anche della «ratio» del divieto sopra
indicato, la sola evidente conseguenza del caso di specie derivante
dall'applicazione dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, sarà
quella che, ove venga riconosciuta l'estensibilità
alle lavoratrici madri di parte o tutta la normativa in esame, l'eventuale
violazione risulterà sprovvista di sanzione penale.
Si può ritenere in conclusione che
nulla osta al ricorso all'interpretazione analogica, ma prima di esaminare se
ne ricorrono i presupposti per la sua applicazione, devono essere spese alcune
parole sulla questione pregiudiziale sollevata dalle convenute che la legge
1204 non sarebbe applicabile neppure in via estensiva alle madri adottive,
indipendentemente dall'età degli adottanti.
Tale questione, invero, è stata
ampliamente dibattuta e risolta positivamente dalla giurisprudenza (Pretura
Roma 17-1-73 e Pretura Bologna 12-6-73) senza che argomenti decisivi contrari
siano stati addotti dalla convenuta che si è soffermata su motivazioni
formali, senza mai scendere alla «ratio» della normativa; d'altra parte la adottata soluzione estensiva, non solo riflette le più
elementari istanze della comune coscienza sociale, ma è stata anche recepita
ufficialmente dagli organi amministrativi (v. circolare ministero del lavoro
18-1-74 e delibera consiglio di amministrazione dell'INAM del 17-5-74).
Ritenuto quindi che la legge 1204 è
applicabile alle madri adottive, si deve ora esaminare se è parimenti
riferibile a quelle affidatarie di minori che hanno già compiuto i tre anni; a
tale scopo si devono analizzare i vari interessi che la legge ha inteso
tutelare, raffrontandoli con quelli che emergono dall'indicata situazione, non
direttamente tutelata.
La legge 1204, come già evidenziato,
in attuazione di precise norme costituzionali tutela
le esigenze della donna che lavora (art. 37 Costituzione) e quelle del minore
di avere una speciale ed adeguata protezione (artt.
31-37 Cost.).
Il primo tipo di esigenze
è evidentemente comune ed identico alle lavoratrici madri naturali e a quelle
adottive, come risulta confermato anche dai lavori parlamentari.
I bisogni e le
necessità del bambino presi in esame dal legislatore appaiono invece di
duplice natura:
a) quelli strettamente biologici,
che il bambino deve soddisfare immediatamente senza
possibilità di dilazione;
b) quelli di
natura affettivo relazionale, collegati ad un normale sviluppo della
personalità infantile.
Gli uni collegati al rapporto di
natura simbiotica tra madre e figlio, caratterizzano i primissimi mesi di vita
del bambino, gli altri invece rientrano in un rapporto più complesso, che si
articola con la avvenuta percezione delle figure
familiari.
Gli artt.
4-7, 2° comma e 10 della legge sembrano far riferimento al primo tipo di esigenze, quelle fisio-psicologiche
del bambino appena nato, non estensibili quindi all'esigenze pur gravi e
tuttavia diverse dai bambini affidati ad età superiore di quella legislativamente prevista per la tutela della madre
normale.
Il puntuale riferimento al parto, ai
periodi di riposo, alla stanza di allattamento, al
divieto di lavori faticosi o pericolosi, è significativo della intenzione del
legislatore di tutelare delle esigenze prettamente fisiologiche collegate
all'evento nascita; per tali ragioni si deve escludere l'assimilabilità
tra queste esigenze e quelle proprie di una madre adottiva a cui è stato
affidato un bambino.
L'assenza facoltativa prevista
dall'art. 7 sembra invece voler far riferimento a
quelle esigenze affettivo-relazionali del bambino,
che debbono essere soddisfatte con una continua e determinante presenza
materna la cui risoluzione è importante per un equilibrato sviluppo della sua
futura personalità.
L'instaurato rapporto affettivo-educativo, infatti, non è un rapporto meccanico
ed anonimo, ma personale e d'amore finalizzato
all'appagamento dell'estremo bisogno di affetto del bambino; in particolare
soprattutto se questi si trova in stato di abbandono.
La scelta della facoltatività
dell'assenza dal lavoro sta ad indicare «infatti» che non si è di fronte ad
esigenze indifferibili, come quelle che caratterizzano i primissimi mesi di
vita del bambino e che sono tutelate con la astensione
obbligatoria, ma di fronte a bisogni di natura più complessa, ricollegabili
all'insorgente rapporto affettivo madre-figlio, che necessita di una costante
presenza della figura materna e che tuttavia è suscettibile di essere valutato
in relazione alle circostanze concrete (rapporto tra sacrificio economico
collegate all'assenza facoltativa e possibilità di sostituzione della figura
materna con altre figure familiari).
Se questa è la «ratio» dell'art. 7,
appare semplice il raffronto con le esigenze di un adottando che, indipendentemente
dall'età, entra per la prima volta a far parte di una nuova famiglia.
Orbene, una costante dello status psico-sociale dell'adottando è costituita sicuramente
dalla sua esperienza di istituzionalizzazione precoce
(collegi, istituti), unitamente ad una prolungata carenza di cure materne, con
conseguente tendenza a vivere quelle fasi di sviluppo psichico, che un bambino
in condizioni normali vive in un ambiente equilibrato e protetto.
Episodi, quindi, di regressione a
livello infantile, come quelli descritti dalla assistente
sociale del minore affidato alla F. e consistenti
nel desiderio di essere nutrito con il biberon, di essere portato nel
«passeggino» e di fare il bagno secondo la formula tipica del neonato, non
costituiscono un fenomeno occasionale, ma esprimono la profonda esigenza di
rivivere una fase non vissuta.
Il fenomeno della regressione, in
conclusione, non costituisce che l'espressione estrema di una
esigenza più generale, quella di avere un rapporto positivo, continuo e
favorevole con figure familiari ed in primo luogo con quella materna.
Il rapporto madre naturale figlio si presenta quindi
del tutto simile sotto il profilo relazionaleaffettivo
a quello madre figlio adottivo, con maggiore complessità di problematiche, per
questo ultimo rapporto, in stretta relazione all'età del minore così come è
stato riconosciuto dalla stessa relatrice di maggioranza della legge, On. Anselmi Tina che in sede di commissione legislativa aveva
affermato: «in caso di adozione il creare un rapporto tra madre e bambino è
estremamente più difficile che non quando il bambino è figlio naturale della
madre, e pertanto deve essere previsto anche il congedo facoltativo per le
difficoltà psicologiche, specialmente da parte del bambino nel creare tale rapporto».
Non si vede quindi sulla base di quanto esposto come si possa negare
l'applicazione in via analogica degli artt. 7, 1° e 2°
comma e 8 con riferimento alle madri adottive, facendo decorrere il termine di
un anno dal momento dell'effettivo affidamento sia che si tratti
di affidamento pre adottivo, che di affidamento da
parte di un ente di assistenza, ancorché non preluda necessariamente ad una
situazione definitiva (v. circolare del ministero del lavoro 18-1-74). La
ragione di tale orientamento è ovvia, se non
venissero tutelate tali situazioni, con riferimento alla data dell'effettivo
affidamento, la conseguenza sarebbe la pratica inapplicabilità delle normative
alle madri adottive con relativa discriminazione normativa tra situazioni ed
interessi identici.
L'interpretazione adottata inoltre
appare la sola conforme allo spirito della costituzione (art. 29-30-31-36 e 37
Cost.) tenendo conto che la funzione della adozione è
quella di attribuire lo «status» di figlio legittimo degli adottandi e di far
sorgere negli adottanti in ogni caso il diritto dovere di allevare, mantenere,
istruire ed educare i figli (v. citata circolare).
In un ulteriore
approfondimento, peraltro, ritiene questo giudice che l'interpretazione
seguita non solo come detto, sia la più coerente con lo spirito della Corte
Costituzionale, ma sia addirittura imposta dall'art. 3, 2° comma, della Costituzione,
laddove prevede tra i compiti della Repubblica quello di rimuovere «tutti
quegli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del paese».
È la stessa Corte Costituzionale infatti che nella sentenza n. 290/74 ha evidenziato che
l'art. 3, IV comma non si rivolge al solo legislatore, ma impegna tutte le
componenti sociali e quindi l'interprete di rimuovere le disparità di fatto
esistenti (nella fattispecie esaminata
Ciò posto, considerato che le
ricorrenti hanno richiesto fondatamente l'applicazione della normativa sulle
lavoratrici madri e che questa è stata disconosciuta, le eventuali ferie
godute al fine di provvedere alle esigenze dei minori loro affidati debbono intendersi assorbite entro l'ambito dell'assenza
facoltativa non concessa ed ora riconosciute.
Gli interessi e le rivalutazioni sono poi dovuti come per legge sull'indennità di cui
all'art. 15 2° comma da determinarsi.
Si dichiarano compensate le spese
tra le ricorrenti e
P. Q. M.
Definitivamente pronunciando, ogni
altra domanda eccezione respinta;
- dichiara applicabile alle
ricorrenti, con decorrenza dal momento dell'affidamento dei minori, gli artt. 7 - 1° e 2° comma -, nonché
l'art. 8 nei limiti in cui richiamano l'art. 7, della legge n. 1204/71, per
l'effetto riconosce alle ricorrenti il diritto di godere le ferie eventualmente
consumate durante il periodo che avrebbe dovuto essere destinato all'assenza
facoltativa;
- dichiara infine tenuta l'INAM a
corrispondere il trattamento previsto dall'art. 15, 2° comma, interessi e
rivalutazione come per legge.
Dichiara compensate le spese tra le
ricorrenti e
Sentenza provvisoriamente esecutiva.
Milano 20-11-75.
IL PRETORE DOTT. FRANCO
CECCONI
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