Prospettive assistenziali, n. 33, gennaio-marzo 1976

 

 

EDITORIALE

 

LA LEGGE DI SCIOGLIMENTO DELL'ONMI: UNA VITTORIA DI PIRRO

 

 

Con la legge 23 dicembre 1975 n. 698 che ri­portiamo è stato sciolto l'ONMI, carrozzone isti­tuito dal fascismo nel 1925 e contro il quale le associazioni che curano la pubblicazione di Pro­spettive assistenziali avevano iniziato e condot­to, spesso da sole, una dura lotta che aveva por­tato sul banco degli imputati la presidente dell'ente e dirigenti nazionali e locali (1).

La legge di scioglimento dell'ONMI rappresen­ta una grande conquista per quanto concerne il superamento del nostro vecchio sistema assi­stenziale ed è anche una conseguenza della cam­pagna portata avanti con la proposta di legge di iniziativa popolare (2), ma è con molta amarezza che abbiamo constatato come la legge di sciogli­mento dell'ONMI per quanto riguarda la costru­zione di una valida riforma sia invece una vittoria di Pirro, se non una grave sconfitta.

Con sorpresa abbiamo inoltre constatato che il voto favorevole dato dal PCI e dal PSI alla legge di scioglimento dell'ONMI contrasta con gli art. 1 e 2 della proposta di legge di iniziativa popola­re «Competenze regionali in materia di servizi sociali e scioglimento degli enti assistenziali», proposta il cui testo era stato concordato con i partiti suddetti.

La nostra amarezza non nasce tanto dal fatto che l'accordo di cui sopra sia stato unilateralmen­te violato (anche se alcuni principi dovrebbero essere rispettati anche nell'attività politica), quanto dal fatto che i contenuti della legge di scioglimento dell'ONMI non vanno nella direzio­ne di una riforma reale del settore assistenziale. Infatti, come abbiamo più volte scritto, 1'assi­stenza non va semplicemente razionalizzata, se non si vuole solo una emarginazione più efficien­te: l'assistenza deve essere superata con adegua­ti provvedimenti nei settori del lavoro, della ca­sa, della scuola, della sanità, delle attività cultu­rali e ricreative, ecc.

Ciò è possibile solamente se i riferimenti che si assumono sono:

- una risposta globale, e non assistenziale, alle esigenze delle persone, famiglie e comunità; - la prevenzione;

- la partecipazione.

La traduzione a livello politico-amministrativo di questi principi sono il trasferimento completo delle competenze alle Regioni e l'istituzione del­le unità locali dei servizi, di tutti i servizi e non solo di quelli assistenziali, al fine di non separa­re l'assistenza dagli altri settori o istituzionaliz­zando in tal modo l'isolamento dell'assistenza an­che sul piano organizzativo (o isolando la sanità e l'assistenza con la creazione di unità locali dei servizi sanitari e sociali).

A parole, tutti si dichiarano d'accordo sul ruo­lo delle Regioni per la ristrutturazione dei servizi, per l'eliminazione di ogni settorialismo e per la istituzione delle unità locali.

Nei fatti però tale dichiarazione è spesso smen­tita, e la legge di scioglimento dell'ONMI ne è un esempio.

Invero l'articolo 3 della legge 698 attribuisce, ai sensi del primo comma dell'art. 118 della Co­stituzione, ai Comuni le funzioni amministrative relative agli asili nido e ai consultori comunali, e alle province tutte le altre attività.

Ora il primo comma dell'art. 118 della Costitu­zione sancisce: «Spettano alle Regioni le funzio­ni amministrative elencate nel precedente arti­colo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad al­tri enti locali».

Ed ecco l'art. 3 della legge di scioglimento dell'ONMI che, considerando materie di interesse esclusivamente locale gli asili nido, i consultori, gli ambulatori per la sorveglianza e la cura delle gestanti, le scuole di puericultura, le attività per la lotta contro le malattie infantili, la diffusione delle norme e dei metodi scientifici di igiene pre­natale e infantile, la protezione e l'assistenza al­le gestanti e alle madri, viene a stabilire un rap­porto diretto fra lo Stato ed i Comuni e le Pro­vince, sottraendo ogni competenza alle Regioni per quanto riguarda la individuazione degli enti delegati alla gestione dei servizi.

In tal modo si impedisce alle Regioni di prov­vedere alle deleghe alle unità locali dei servizi e di unificare le competenze.

Il principio stabilito dall'art. 3 della legge 698 è tanto più grave se si tiene conto che la legge 25 luglio 9975 n. 382 (3) delega il Governo ad emanare entro il 6 settembre 9976 decreti aventi valore di legge per il completamento del trasfe­rimento alle Regioni delle competenze in tutte le materie indicate dell'art. 197 della Costituzio­ne (4), e che la legge suddetta stabilisce all'art. 1, lettera e), la possibilità di attribuire «alle pro­vince, ai comuni e alle comunità montane, ai sen­si dell'articolo 118, primo comma, della Costitu­zione, le funzioni amministrative di interesse esclusivamente locale nelle materie indicate nell'articolo 117 della Costituzione, nonché di attri­buire ai predetti enti locali altre funzioni di in­teresse locale».

Con la legge sullo scioglimento dell'ONMI è passato il principio che tutte le attività in mate­ria sanitaria e assistenziale possono essere de­finite di interesse esclusivamente locale, crean­do un precedente per cui non ci sarebbe da re­stare sorpresi se il Governo se ne avvalesse am­piamente per emanare i decreti attuativi della legge 382.

Con i decreti suddetti potrebbe essere stabi­lito che l'assistenza scolastica (ora dei patrona­ti) è di interesse locale e così pure i lavori pub­blici, la formazione professionale degli operatori sanitari e sociali, le competenze degli ECA, delle IPAB, dell'INAM e degli altri enti nazionali che operano nei settori della sanità e dell'assistenza!

Oltre tutto il Governo non farebbe che dare at­tuazione ai principi stabiliti dal Parlamento con l'approvazione della legge 698 da parte di tutte le forze politiche.

Ancora sulla legge di scioglimento dell'ONMI vi è da osservare che il primo testo concordato dal Comitato ristretto della Commissione «igie­ne e sanità» della Camera dei Deputati non face­va alcun riferimento all'art. 118, primo comma della Costituzione, stabilendo invece all'art. 3: «La Regione con legge regionale disciplina l'e­sercizio delle funzioni trasferite in rapporto ai servizi sanitari e assistenziali esistenti o da co­stituirsi mediante delega agli enti locali secondo quanto disposto dal 3° comma dell'art. 918 della Costituzione (5), assorbendo in modo globale an­che l'assistenza all'infanzia nata fuori del matri­monio di cui al R.D.L. 8 maggio 9927 n. 798, con­vertito nella legge 6 dicembre 9928 n. 2830 e successive modificazioni ed integrazioni».

Con questa disposizione non solo si attribuiva alle Regioni la piena competenza legislativa ed amministrativa sulle materie già svolte dall'ONMI, ma si stabiliva anche che le Regioni stes­se dovevano provvedere alle deleghe unificando le competenze oggi attribuite dal R.D.L. 8 mag­gio 1927 n. 798 alle Province, che concerne l'as­sistenza alle gestanti e madri nubili e ai nati fuo­ri del matrimonio.

 

Posizione assunta dal PCI e dal PSI

Dopo che tutte le forze politiche avevano con­cordato sulla prima stesura sopra riportata, in­terveniva la Commissione «affari costituziona­li» della Camera dei Deputati che, all'unanimi­tà (6), stabiliva invece che il trasferimento delle competenze dell'ONMI ai Comuni e alle Province dovesse aver luogo ai sensi del primo comma dell'art. 118 della Costituzione.

Non ci è possibile conoscere i motivi del cam­biamento di posizione del PCI e del PSI (compren­sibile è invece quello degli altri partiti che hanno sempre avuto nei fatti molte riserve sulle Re­gioni), e non vorremmo che fosse intervenuto un accordo fra i vertici interessati.

Se invece l'attribuzione diretta delle funzioni ai comuni e alle province fosse stata posta come condizione dalla DC per lo scioglimento dell'ONMI, come è stato affermato durante il conve­gno di Torino del 21-12-1975 (7), era doveroso che il PCI e il PSI ne informassero il Comitato promotore della proposta di legge di iniziativa po­polare, le confederazioni sindacali e l'opinione pubblica.

Considerato che la campagna per la raccolta delle firme era in corso e che i sindacati si erano pronunciati più volte per il pieno trasferimento alle Regioni delle funzioni in materia di sanità e assistenza, non sarebbe stato difficile una pronta e vasta mobilitazione contro l'asserita posizione della DC.

 

Il problema della delega diretta alle Province, ai Comuni e ad altri enti locali

Che la nostra viva preoccupazione all'attribu­zione diretta di competenza alle Province e ai Comuni, ai sensi del 1° comma dell'art. 118 della Costituzione, non nasce da una preconcetta op­posizione o da un desiderio di perfezionismo, è provato dalle molte e autorevoli opinioni espres­se sull'argomento.

Infatti, in occasione della discussione parla­mentare in merito alla legge 22 luglio 1975 n. 382 «Norme sull'ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione» sono state fatte le seguenti dichiarazioni:

a) dal presidente della Giunta della Regione Emi­lia-Romagna, Fanti del PCI:

«Rispondendo ad un quesito posto dal Sen. Modica, il Presidente Fanti dichiara di non rite­nere utile che il Parlamento proceda ad un trasfe­rimento di funzioni amministrative, di interesse esclusivamente locale, direttamente alle Provin­ce, ai Comuni e ad altri enti locali, a norma dell'art. 118, primo comma, della Costituzione, per il timore dell'accrescersi dello stato di confu­sione esistente» (8);

b) dal Presidente del Consiglio regionale del­la Liguria, Macchiavelli del PSI, il quale interven­ne subito dopo Fanti: «Al riguardo il Presidente Macchiavelli osserva che non gli sembra opportu­no superare il diaframma normalmente rappre­sentato in materia dalle Regioni, anche tenuto conto della struttura che il costituente ha inteso realizzare e che si articola su tre livelli di compe­tenza: Stato, Regioni ed enti locali» (9);

c) dal Presidente del Consiglio regionale della Toscana, Gabbugiani del PCI:

«L'individuazione delle funzioni di interesse esclusivamente locale non può prescindere dalla necessità di una riforma della legge comunale e provinciale» (10);

d) dal Vice Presidente dell'Unione Comuni e enti montani, Martinengo, che aveva chiesto: «la soppressione della prima parte della lettera e) dell'art. 1 e cioè delle parole "ad attribuire alle Province, ai Comuni e alle comunità montane, ai sensi dell'articolo 118, primo comma, della Costi­tuzione, le funzioni amministrative di interesse esclusivamente locale nelle materie indicate nell'articolo 117 della Costituzione"» (11);

e) dal Prof. Massimo Saverio Giannini, ordina­rio di diritto costituzionale dell'Università di Roma: «In merito alla possibilità di effettuare attri­buzioni di funzioni a Comuni e Province, eventual­mente per mezzo di deleghe, (...) si dichiara per­plesso sulla possibilità di ricorrere allo strumen­to della delega, previsto dall'art. 118 della Costi­tuzione, nella situazione attuale, prima cioè che venga sciolto il nodo fondamentale rappresentato della ripartizione delle funzioni u; « Procedere in­fatti ad una ripartizione astratta di una funzione fra Stato, Regione, Provincia e Comune condu­ce inevitabilmente a risultati insoddisfacen­ti» (12);

f) dal Prof. Enzo Cheli, ordinario di diritto co­stituzionale dell'Università di Firenze: «Sul ver­sante regionale il discorso fondamentale è quel­lo del completamento del trasferimento delle fun­zioni in modo da procedere ad una rettifica dei decreti delegati finora emanati che riprenda lo spirito originario dell'art. 17 della legge n. 281 del 1970, che richiedeva trasferimenti per settori or­ganici di materie - evitando così il fenomeno del ritaglio delle competenze - e che prevede­va la funzione statale di indirizzo e coordinamen­to come un pendant dell'integralità dei trasferi­menti a favore della Regione» (13);

g) dal Prof. Livio Paladin, ordinario di diritto costituzionale dell'Università di Padova: «Quan­to alla lettera e) dell'articolo 1 (che delega il Go­verno ad emanare provvedimenti tendenti all'at­tribuzione alle Province, ai Comuni, e ad altri en­ti locali, ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione, delle funzioni amministrative di in­teresse esclusivamente locale nelle materie indi­cate dall'articolo 117 della Costituzione) l'orato­re ritiene pericoloso il suo mantenimento» (14);

h) dal Prof. Franco Bassinini, capo gabinetto del Ministro per i problemi relativi alle Regioni: «Osserva in via preliminare che il problema di un trasferimento diretto di funzioni amministrati­ve di interesse settoriale ad enti locali di livello subregionale va visto nello sfondo del più gene­rale discorso sulla riforma degli enti medesimi. Se non si intende affrontare organicamente que­sta materia - prosegue l'oratore - si offrono operativamente due vie per attuare il disposto del primo comma dell'articolo 118 della Costitu­zione: o provvedendo, caso per caso, rispetto a funzioni determinate (per questa via si rischia però di sollevare giustificate rimostranze da par­te delle Regioni, che vedrebbero in tale operazio­ne un tentativo di sottrarre alcune competenze a livello di indirizzo politico-amministrativo re­gionale per affidarle a livelli subregionali di ca­rattere autarchico), o incentivando il meccanismo della delega, previsto dal terzo comma dell'art. 118 della Costituzione» (15).

 

Conservazione della settorializzazione esistente

Oltre alle conseguenze generali indicate in precedenza, l'attribuzione diretta delle compe­tenze ai Comuni e alle Province stabilita all'art. 3 della legge di scioglimento dell'ONMI ha un al­tro effetto: quello di conservare la settorialità delle competenze.

Infatti, ad esempio, per quanto concerne l'as­sistenza ai minori degli anni 14 non orfani e non nati fuori del matrimonio, sono competenti ad in­tervenire:

- le Province ai sensi della legge suddetta;

- i Comuni ai sensi dell'articolo 91, lettera h, punto 6 del R.D. 3 marzo 1934 n. 383;

- le Regioni ai sensi della lettera d) dell'art. 1 del D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 9.

Non solo continua a sussistere la settorialità esistente, ma essa resta confermata poiché, co­me abbiamo già scritto, le Regioni non hanno nes­suna possibilità di intervenire per sottrarre le competenze alle Province, alle quali restano asse­gnati i compiti in materia di assistenza e cura alle gestanti madri, di istituzione di scuole per pueri­cultrici, di lotta contro le malattie infantili, di consulenza pre-matrimoniale, matrimoniale e fa­miliare, di centri medico-psico-pedagogici ecc.

Ai Comuni vanno invece le competenze, come si è visto, relative agli asili nido e ai consultori in quanto già gestiti dai comitati comunali dell'ONMI. E proprio a questo riguardo sarà bene rilevare come l'attività consultoriale è un servi­zio che non può e potrà essere assolutamente svolto, in modo adeguato alle esigenze, da co­muni al di sotto dei 10.000 abitanti (comuni che sono in Italia ben 7.185, con 19.013.803 abitanti e che sono proprio i Comuni con maggiori carenze di servizi), sia per la scarsità dell'utenza, sia per la mancanza di mezzi economici per l'assunzione in ruolo del personale necessario, sia per l'im­possibilità di integrare i consultori nella indispen­sabile rete dei servizi del territorio.

Infine, stante il rapporto diretto fra Stato, Province e Comuni, le Regioni non potranno interve­nire né per l'unificazione delle competenze, né per obbligare i Comuni a consorziarsi, tutto a danno dell'istituzione delle unità locali.

 

Consorzi per Comuni e Province

A chi obiettasse che le Regioni possono in­tervenire sul piano promozionale, per favorire la costituzione di Consorzi fra Comuni e Province, superando in tal modo, qualora Comuni e Provin­ce accettassero l'iniziativa, tutte le difficoltà so­pra indicate, risponderemo per maggior chiarez­za con un esempio.

La dimensione demografica dei Comuni del Piemonte è la seguente:

 

Classi di popolazione                                 Numero dei Comuni                        Popolazione complessiva

 

inferiori a 500 abitanti                           273                                      86.274

tra 501 e 1.000 ab.                               331                                    238.204

tra 1.001 e 1.500 ab.                            185                                    228.001

tra 1.501 e 3.000 ab.                            222                                    455.155

tra 3.001 e 5.000 ab.                              83                                    330.438

tra 5.001 e 10.000 ab.                            63                                    443.182

tra 10.001 e 20.000 ab.                           23                                    326.519

tra 20.001 e 50.000 ab.                           21                                    656.081

tra 50.001 e 100.000 ab.                           5                                    297.380

tra 100.001 e 1 milione ab.                       2                                    203.111

oltre il milione di ab.                                 1                                 1.167.968

Totali                                               1.209                                 4.432.313

 

In base agli studi fatti, il Piemonte è divisibile in 70-80 unità locali:

Di esse 22-23 riguardano la città di Torino, 4­5 quelle delle altre città capoluogo: 12-15 potreb­bero infine coincidere con le Comunità montane.

Pertanto con la gestione da parte dei Comuni e delle Comunità montane da 38 a 43 unità loca­li potrebbero essere costituite senza creare nuo­vi organismi politico-amministrativi. Le 38-43 uni­tà locali di cui sopra rappresentano non solo ol­tre la metà delle unità locali di tutto il territorio regionale, ma anche circa i due terzi della popo­lazione piemontese.

Vediamo quindi che, se si fa riferimento esclu­sivo ai Comuni e loro Consorzi, si ha una sempli­ficazione notevole degli organi amministrativi per il Piemonte (una situazione non differente molto da questa vale per le altre Regioni).

Fare riferimento al Comune, significa, oltre ad una unificazione di competenze, favorire la parte­cipazione intesa come rapporto dialettico fra strutture di governo e centri autonomi di elabo­razione e di iniziativa, partecipazione che può in­cidere in misura maggiore quanto minori sono gli organismi gestori della cosa pubblica. Se invece si intende la partecipazione come strumen­to per l'allargamento del consenso, allora è evi­dente la necessità di ampliare il numero delle persone coinvolte nella gestione del potere. Da questa impostazione, magari giustificata da mo­tivi tecnici, nasce la istituzione di unità locali per i soli servizi sanitari e sociali sotto forma di con­sorzi fra Comuni e Province e a creazione dei con­seguenti consigli di amministrazione, non solo inutili, ma realmente dannosi.

Facciamo di nuovo l'esempio del Piemonte: la creazione di consorzi fra Province e Comuni por­terebbe ad avere almeno 210-240 amministratori in più quali rappresentanti delle Province (70-80 unità locali moltiplicate x 3: due della maggio­ranza e uno della minoranza), oltre ad altri 380­430 rappresentanti dei Comuni nei consorzi (inu­tili) per Torino, gli altri Comuni capoluoghi e le Comunità montane di cui sopra.

Si tratterebbe in sostanza di 490-570 persone coinvolte come amministratori, ed a questo nu­mero già imponente (imponente anche per il suo costo) va aggiunto il personale burocratico e quello per i controlli, i collegamenti, i coordina­menti, ecc.

Ma critiche ancor più profonde vanno mosse alla creazione di Unità locali gestite da consorzi fra Comuni e Province.

In primo luogo, per le città italiane che com­prendono uno o più unità locali e la cui popolazio­ne complessiva (assumendo come riferimento i Comuni con più di 50.000 abitanti) è di 20.125.941 abitanti, e cioè il 37,2% della intera popolazione italiana (16), la creazione di consorzi fra Comuni e Province svuoterebbe di contenuto i compiti dei consigli di quartieri, le cui funzioni verrebbe­ro sottratte a questi per essere affidate ai con­sorzi.

In secondo luogo con la creazione dei consorzi fra Comuni e Province, dando maggiori poteri al­le Province, si va nella direzione opposta alla ri­fondazione dei Comuni e cioè alla creazione di Comuni che per ambiti territoriali e demografici, per la globalità delle competenze attribuite, per l'autonomia riconosciuta costituiscano l'organi­smo politico-amministrativo di base (17).

Cogliamo qui tutto ciò che è stato detto a pa­role della sottrazione alle Province delle funzio­ni di primo livello o addirittura della loro sop­pressione, e l'attribuzione ad esse di competen­ze che non sono mai state della Provincia e che lo diventerebbero solo per aumentarne il potere.

Le forze politiche, sotto la spinta delle forze sindacali e dei cittadini, non devono dire solo a parole di volere la sottrazione alle Province delle competenze di primo livello o la loro soppressio­ne, e poi nei fatti individuare con artificiose giu­stificazioni obiettivi intermedi orientati in dire­zone opposta. Sotto la giustificazione «tecnica» dei consorzi tra Comuni e Province non vi è, co­me abbiamo sin qui cercato di dimostrare, la ne­cessità di unificare le competenze, le relative strutture e il personale, ma una linea politica che non vuole una partecipazione reale (18), ma tenta un ampliamento del consenso coinvolgen­do nell'area del potere forze potenzialmente con­testative.

Per una partecipazione reale degli utenti biso­gna che le unità locali di tutti i servizi siano nel­la linea della rifondazione dei Comuni: per l'uni­ficazione tecnica dei servizi delle Province con quelli dei Comuni gli strumenti sono quelli di cui sempre si è parlato:

- l'attribuzione di tutte le nuove competenze ai Comuni, loro consorzi e Comunità montane (e qui viene dimostrato come la legge di sciogli­mento dell'ONMI sia negativa sotto questo aspetto, in quanto proprio le funzioni più im­portanti sono state invece affidate alle Pro­vince);

- la stipulazione di convenzioni (19) tra Comuni e Province per assicurare la gestione da par­te dei Comuni, loro Consorzi e Comunità mon­tane delle attività svolte dalle Province e per il passaggio del personale provinciale alle di­pendenze operative (non a quelle amministra­tive nel breve periodo per evitare di danneg­giare i lavoratori) dei Comuni, loro Consorzi e Comunità montane.

Se da tutto ciò che abbiamo premesso deriva l'urgenza di impedire lo scavalcamento delle Re­gioni nei loro compiti istituzionali, sarebbe sta­ta necessaria la presentazione alla Corte Costi­tuzionale di ricorsi per la dichiarazione di illegit­timità costituzionale del trasferimento ai Comuni e alle Province delle competenze dell'ONMI (art. 3), operato ai sensi dell'articolo 118, primo com­ma, della Costituzione, anziché in applicazione dell'art. 117.

 

 

(1) V. Prospettive assistenziali, n. 2 pag. 1; n. 5/6 pag. 3; n. 8/9, pag. 3; n. 11/12, pag. 61; n. 13, pagg. 17 e 26; n: 15, pag. 35; n. 17, pag. 56 (sentenza del processo penale contro la presidente nazionale dell'ONMI, il presidente del Comitato comunale ONMI di Rama e il direttore sanitario); n. 18, pag. 41; n. 21, pag. 78; n. 27, pag. 3; n. 29 bis; n. 31, pag. 14.

(2) Dopo l'inizio della campagna per la presentazione con iniziativa popolare della proposta di legge «Competenze re­gionali in materia di servizi sociali e scioglimento degli enti assistenziali» è stato soppresso anche l'ente «Gioventù italia­na» con la legge n. 764 del 18 novembre 1975, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 13 del 16 gennaio 1976.

(3) V. Prospettive assistenziali, n. 31 «Legge per il completamento del trasferimento delle competenze dallo Stato al le Regioni».

(4) Le materie indicate dall'art. 117 della Costituzione sono: ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipen­denti dalla Regione; circoscrizioni comunali; polizia locale urbana e rurale; fiere e mercati; beneficenza pubblica ed assi­stenza sanitaria ed ospedaliera; istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; musei e biblioteche di enti locali; urbanistica; turismo ed industria alberghiera; tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale; viabilità; acque­dotti e lavori pubblici di interesse regionale; navigazione e porti lacuali; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia; pesca nelle acque interne; agricoltura e foreste; artigianato.

(5) Il terzo comma dell'art. 118 della Costituzione stabilisce «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

(6) V. Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari della Camera di Deputati del 2 ottobre e del 26 novem­bre 1975.

(7) Si osservi però che l'On. Triva del PCI ebbe a dichiarare nella seduta del 15-1-75 della Commissione parlamentare per gli affari regionali guanto segue: «Quanto alla totale mancanza del riferimento agli enti locali di base, nel discorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, l'oratore ritiene che essa sia dovuta al fallace presupposto che tutte le funzioni am­ministrative per le materie elencate nell'art. 117 della Costituzione debbano essere attribuite alle Regioni, mentre lo stesso art. 118 riconosce che quelle di interesse esclusivamente locale sono attribuibili direttamente alle Province, ai Comuni e agli altri enti locali». Inoltre nella seduta del 18 dicembre 1975 della Commissione «igiene e sanità» del Senato, il Sen. Bar­ra della DC durante la discussione della legge di scioglimento dell'ONMI dichiarò: «È preoccupante soprattutto l'attribuzio­ne di compiti fatta direttamente ai Comuni e alle Province, disattendendo quindi la prioritaria competenza delle Regioni, che tutt'al più avrebbero potuto essere assoggettate ad una delega agli enti locali delle funzioni ad essa attribuite». Dopo que­sta dichiarazione la Sen. Zanti Tondi del PCI replicò di ritenere «non rilevanti le obiezioni mosse dal Sen. Barra».

Nel convegno di Milano del 31 gennaio 1976, l'On. Caruso del PCI, in merito all'approvazione dell'art. 3 della legge di scioglimento dell'ONMI, affermò che la delega attribuita direttamente dallo Stato ai Comuni e alle Province era «un mes­saggio alle Regioni perché delegassero le competenze agli enti locali»! Infine ricordiamo che anche la legge 22 dicembre 1975 n. 685 «Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tos­sico-dipendenza» ha attribuito (art. 90) l'attuazione dei servizi direttamente ai Comuni e alle Province.

(8) Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari della Camera dei Deputati - Seduta del 22 dicembre 1973.

(9) Ibidem - Seduta del 22 dicembre 1973.

(10) Ibidem - Seduta del 17 ottobre 1974.

(11) Ibidem - Seduta del 21 novembre 1974.

(12) Ibidem - Seduta del 14 febbraio 1974.

(13) Ibidem - Seduta del 14 febbraio 1974.

(14) Ibidem - Seduta del 16 maggio 1974.

(15) Ibidem - Seduta del 22 maggio 1974.

(16) Anche se il riferimento assunto (Comuni con più di 50.000 abitanti) risultasse non esatto, il problema da noi sol­levato rimarrebbe immutato nella sostanza.

(17) V. Prospettive assistenziali, n. 27 «Ridefinizione del concetto di unità locale alla luce delle leggi e proposte di legge e delle esperienze in atto», n. 30 «L'unità locale e la riforma sanitaria»; n. 31 «Bilancio della prima legislatura della Regione a statuto ordinario in materia di assistenza, sanità e formazione degli operatori sociali e sanitari»; n. 32 «Valutazio­ne della prima legislatura regionale in relazione ai servizi socio-sanitari».

(18) V. CIANCIO, La partecipazione come controllo democratico, in Prospettive assistenziali, n. 29.

(19) Lo strumento della convenzione è valido anche per lo svuotamento di fatto, fino alla loro soppressione, degli al­tri enti: ECA, Patronati scolastici, IPAB, ENAOLI, ONPI, ecc.

 

 

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