Prospettive assistenziali, n. 33, gennaio-marzo 1976

 

 

LIBRI

 

 

F. TERRANOVA, Il potere assistenziale, Editori Riuniti, Roma, 1975, pag. 264, L. 2.400.

 

Questo volume di Ferdinando Terranova rap­presenta senza dubbio un valido contributo di ricerca, di analisi e di ipotesi che va ad aggiun­gersi agli studi sull'assistenza (in realtà assai scarsi) realizzati nell'ambito della sinistra ita­liana.

Infatti quest'opera e quella di Alasia, Freccero, Gallina e Santanera («Assistenza, emarginazio­ne e lotta di classe»), sono finora gli unici tenta­tivi di fornire un'analisi storica ed ideologica, di classe, del fenomeno assistenziale nella sua glo­balità.

Questo vuoto di ricerca si può ricondurre alla valutazione che finora, in genere, le forze di sini­stra hanno dato dei problemi assistenziali: ele­mento savrastrutturale, e che quindi non poteva essere considerato prioritario nella strategia del­la classe operaia.

Senza voler ribaltare completamente questa valutazione, mi sembra che ormai oggi sia stato dimostrato che sono quanto mai stretti ed imme­diati i rapporti esistenti tra l'evoluzione del capi­talismo moderno e l'utilizzazione dell'assistenza, da parte della classe dominante, come strumento «calmieratore», di controllo e di mantenimento dell'ordine costituito.

Ed il numero di persone vittime del sistema assistenziale, attraverso le sue infinite articola­zioni, come emerge anche da questo volume, ci induce a ritenerlo non un fenomeno settoriale, ma un elemento di fondo della problematica del rapporto tra proletariato e sottoproletariato, del fenomeno di continua osmosi tra queste due classi sociali. In ultima analisi vi è la necessità di verificare fino a che punto esse siano veramente due classi distinte e dove invece ci sia la possi­bilità di ritrovare elementi di coesione come premessa per una battaglia comune. Approfon­dendo cioè il divenire storico di questo vero e proprio «potere assistenziale», l'A. vuole arri­vare a costruire le ipotesi alternative e di lotta che la classe operaia deve porsi, senza più riman­dare il suo impegno in questo settore.

Il libro di Terranova si può dividere in due parti.

La prima è quella storica, che va dalle origini della civiltà primitiva sino alla creazione della Repubblica Italiana.

In essa l'A. fornisce un'ampia panoramica di come si è andata formando la struttura del feno­meno assistenziale.

Da questo excursus pure minuzioso, emerge comunque in maniera evidente la carenza in Italia di studi che abbiano approfondito con una metodologia storico-politica, i diversi aspetti del­la storia dell'assistenza.

Partendo quindi dalla prima forma di assisten­za sociale troviamo quella attuata in Grecia, dove il precetto della beneficenza non è legato alla re­ligione ma alla saviezza (Atene). Roma finalizza le sue azioni assistenziali al disegno di consoli­dare il suo potere e controllare la popolazione. Questi interventi sono rivolti soprattutto a salva­guardare l'ordine e raramente alla ricerca di con­senso (tribuni della plebe). L'avvento del Cristia­nesimo avvia un importante capovolgimento nella vita sociale e politica dell'impero.

L'ispirazione cristiana, la condizione della Chiesa primitiva porta gli aderenti ad assumere iniziative d'ordine assistenziale capaci di stimo­lare la solidarietà della comunità. Sarà dopo le persecuzioni che la Chiesa riterrà opportuno pre­cisare l'intervento assistenziale istituzionalizzan­dolo.

Al termine del medioevo l'assistenza è al tem­po stesso sia pubblica che privata, ma solo nel 1600 troviamo le prime leggi di assistenza dello Stato, arrivando poi nel XVIII secolo, per risolve­re il problema del pauperismo, alle case di lavo­ro, dove la carità legale assomma in sé repres­sione e coazione.

Anche in Italia nel 1890 le riforme crispine ren­dono possibile l'adeguamento della beneficenza alle nuove esigenze dello Stato borghese (inte­ressanti le tabelle con i dati statistici delle Ope­re Pie in rapporto al patrimonio e alle somme ero­gate). Ma la riproposta da parte dei movimenti cattolici (vedi atti dei congressi cattolici e loro evoluzione da quello di Venezia del 1870 a quello di Modena del 1904) e di Pio IX della riconquista dei beni ecclesiastici, porta un nuovo rilancio del­la religione come «vero radicale rimedio della questione sociale». Con il fascismo il settore dell'assistenza sarà ancora una volta funzionale al potere, da un lato con il trasferimento dei con­trolli al governo (prefetti) e con la creazione di enti statali per la gestione dell'infanzia e della gioventù, dall'altro con il sostegno, in seguito al concordato tra Stato e Chiesa, delle istituzioni assistenziali cattoliche. Siamo così arrivati alla seconda parte del libro: dagli anni 40-50 al di­battito politico in atto oggi. Qui l'analisi si fa più puntuale in quantità e qualità di dati e informa­zioni.

Ed è partendo da questi che l'Autore offre con­tributi interessanti, direttamente collegabili alla battaglia che la classe operaia, pur con difficoltà e talora contraddizioni, porta avanti per supera­re l'assistenza emarginante, clientelare e carita­tevole.

Dopo l'avvento della Repubblica le istituzioni che operano nel campo assistenziale sono così polverizzate (1) e senza controlli effettivi che le forze cattoliche non trovano alcun ostacolo a concludere l'operazione di egemonia totale nel settore dell'assistenza sociale. Esso infatti non è tenuto in gran considerazione dalla sinistra ed è proprio anche per questa disattenzione, che passano le operazioni con cui le varie correnti della DC si procurano il controllo degli enti pub­blici e si spartiscono fette di potere nel partito e nello Stato.

Ma il trasferimento alle Regioni delle funzioni statali relative all'assistenza e beneficenza apre a cominciare dal 1970 un dibattito sull'attuazione dell'ordinamento regionale e sulle proposte di ri­forma dell'assistenza sociale, oggi ancora in atto. Questo dibattito ha reso protagonista «la clas­se operaia nella lotta contro il potere assistenzia­le e per l'autorealizzazione dell'uomo umano», come indica lo stesso titolo del capitolo con cui termina il libro, nei confronti del quale però mi sorgono alcune perplessità.

Mi sembra infatti che le indicazioni fornite dall'A. riguardo alle alternative alla gestione dell'as­sistenza risentano troppo della difficoltà, non an­cora completamente superata, di costruire un movimento di massa su questi problemi.

Mi sembra cioè che emerga più una tendenza alla razionalizzazione del settore, che al muta­mento radicale della struttura assistenziale stes­sa, che a mio avviso deve invece essere l'obiet­tivo chiaro da porsi.

Si parla di fusione di Opere pie per comparti omogenei, di condizionamento degli enti naziona­li di assistenza, di funzione delle Regioni come coordinamento degli interventi invece di indica­re l'obiettivo dello scioglimento di tutti gli enti pubblici, comprese le IPAB, del passaggio di tut­te le competenze in materia alle Regioni e di ge­stione diretta da parte dei Comuni di tutti i servi­zi (Unità Locale dei Servizi).

È chiaro che da un lato non è stata ancora tracciata una linea politica di intervento, organi­camente articolata, da parte delle sinistre su questo settore e che il dibattito relativo ha biso­gno ancora di tempo e di ulteriori strumenti per concludersi e che d'altra parte i rapporti di forza sono ancora tali da imporre ritmi di realizzazione più lenti e compromessi da accettare, ma questo non deve esimerci dall'essere estremamente con­sapevoli di quale è realmente l'obiettivo in grado di modificare la situazione esistente.

A maggior ragione dopo le elezioni del 15 giu­gno, che hanno dimostrato in maniera inequivo­cabile che il paese sta andando in una certa di­rezione e che chiede delle risposte puntuali alle sue esigenze, anche su questo contraddittorio fronte dell'assistenza.

ALBERTO DRAGONE

 

(1) Ci spiace rilevare che l'appendice al capitolo VI e cioè la parte da pag. 144 a 152 riporta integralmente, senza citare la fonte, l'articolo «Competenze ministeriali in materia di assistenza» pubblicato sul n. 8/9 (ottobre 1969 - marzo 1970) di Prospettive assistenziali al cui testo non sono state apportate le modifiche determinate dai decreti del 1972 rela­tivi al trasferimento di competenze dello Stato alle Regioni.

 

 

A. BONAZZI, Squalificati a vita, Gribaudi, Torino, 1975, pag. 118, L. 2000.

 

Alle testimonianze sconvolgenti sui manicomi, che ormai ci arrivano da tante parti, spesso do­po che i casi più atroci sono stati portati alla ri­balta dalla cronaca, si aggiunge questa denuncia sui manicomi criminali italiani da parte di un ex detenuto che ha percorso tutte le tappe di una emarginazione che ha per «terminal» il manico­mio criminale.

Alfredo Bonazzi è ormai conosciuto nel campo letterario e si batte perché qualcosa sia fatto in aiuto di quanti, reietti e dimenticati, sono rin­chiusi in questi istituti. Le sue esperienze: rifor­matorio, carcere, ergastolo e manicomio crimina­le l'hanno fatto testimone acutamente cosciente di un sistema che ha per fine «la difesa del cit­tadino normale». Tramite l'isolamento, l'intimi­dazione, la sopraffazione di vari metodi punitivi e «calmanti», il malato viene «castigato» per la sua malattia, tenuto meramente in custodia e in condizione di non nuocere. I mezzi, spesso inu­mani, impiegati: letto di contenzione e psicofar­maci poco hanno da vedere con la promozione della sua salute e del suo ricupero. Gli ospedali criminali accelerano l'annullamento di personali­tà già disturbate o malate, attentano alla distru­zione della dignità umana, ed hanno per «utenti» la parte più misera, abbandonata, indifesa della società che va dai giovane uscito dal riformatorio al giovane drogato.

Tutti dovremmo fare una «scelta di fondo» se non vogliamo partecipare a questi «assassini legalizzati ».

MIRIAM MONTALENTI

 

 

AA.VV., Gli handicappati nella scuola di tutti. At­ti del Convegno di Roma, 1-3 novembre 1974, sui problemi dell'inserimento dell'handicappa­to a scuola, Editrice Sindacale Italiana, Roma, 1974, pag. 261, L. 2500.

 

L'interesse destato dal convegno sugli handi­cappati nella scuola di tutti, è comprovato dal nu­mero qualificato dei partecipanti, dall'esposizio­ne delle esperienze e dai commenti favorevoli della stampa.

Nel dibattito a cui hanno preso parte rappre­sentanti di enti locali, sindacati, associazioni cul­turali, con la presentazione di studi e di esperien­ze di insegnanti psichiatri, psicologi e centri me­dici si è cercato di individuare le cause, in que­sta società del profitto e dello sfruttamento, dell'emarginazione degli handicappati e le soluzioni attuabili e decisive per por fine all'esclusione dal­la vita sociale e di lavoro di una categoria di in­dividui con spreco di intelligenze e di possibilità lavorative.

Dal dibattito sono scaturite proposte di azione immediata espresse nel documento conclusivo del Convegno che «rivendica quindi, da subito, la possibilità di inserimento dei bambini handi­cappati nella scuola di tutti, così com'è, senza distinzioni settoriali, lottando contemporanea­mente per un processo di rinnovamento delle strutture scolastiche in rapporto dialettico con l'esterno».

MIRIAM MONTALENTI

 

 

AA.VV., Politica locale dei servizi. Documentazio­ne sulla prima legislatura, AAI, Roma, 1975, pag. 799, Ed. fuori commercio.

 

Questo volume vuol essere l'offerta di una do­cumentazione selezionata sui risultati della legi­slazione regionale di questi anni sul tema della politica ed organizzazione locale dei servizi.

Non sempre è facile infatti essere informati su quanto è avvenuto nel Paese negli ultimi cinque anni e rendersi perciò conto di quanto è matura­to, pur con i suoi limiti, in altre situazioni regio­nali, costituendo ciò una sollecitazione per tutti nello sforzo di far crescere dal basso una sempre più chiara ed effettiva politica locale dei servizi.

Il volume, che può essere richiesto alle sedi provinciali dell'AAI, costituisce un utilissimo strumento di lavoro che consigliamo vivamente, insieme all'altra pubblicazione sempre dell'AAI, «Verso una normativa del settore della formazio­ne degli operatori sociali».

 

 

MARICLA BOGGIO, Ragazza madre: storie di don­ne e dei loro bambini, Marsilio Ed., Venezia, 1975, pag. 380, L. 4000.

 

Occorre dire che, specialmente dopo che cine­ma, letteratura e giornalismo hanno esplorato con dovizia di particolari il mondo degli emargi­nati, queste interviste alle ragazze madri avreb­bero potuto dare un panorama drammatico, ma ormai ampiamente illustrato dai mass-media, se l'autrice non li avesse collegati a una analisi sto­rica, sociologica e politica della donna.

L'atteggiamento della donna sola, che deve af­frontare il problema della maternità è molto con­dizionato dalla situazione sociale in cui vive. Non sono solo i problemi economici che essa deve af­frontare, anche se è necessario che essi siano ri­solti, ma sono i modi in cui essa percepisce la sua esclusione dalla «normalità». Come per l'uo­mo, che il modello sociale ha escluso da questa responsabilità, anche per la ragazza madre deve essere smitizzato il modello che la società le ha imposto. Essa deve poter scegliere liberamente: solo così essa potrà dare una continuità, una si­curezza, un equilibrio al suo sviluppo e a quello del suo bambino.

 

 

MARIA GRAZIA GORNI e LAURA PELLEGRINI, Un problema di storia sociale. L'infanzia abbando­nata in Italia nel secolo XIX, La Nuova Italia, Firenze, pag. 238, L. 6800.

 

I nodi dello sviluppo sociale ed economico so­no messi a fuoco da Maria Grazia Gorni in «Il problema degli esposti in Italia dal 1861 al 1900» e da Laura Pellegrini in «L'esposizione dei fan­ciulli a Milano dal 1860 al 1901» con due saggi che hanno l'intento di offrire uno strumento es­senziale di orientamento al problema dell'infan­zia abbandonata in Italia.

I cinquantamila bambini (al disotto dei dieci anni di età) assistiti annualmente da brefotrofi ed amministrazioni locali, i trenta o quaranta mila neonati abbandonati alla carità pubblica, nella se­conda parte del secolo scorso, danno già una di­mensione almeno quantitativa del problema e ne forniscono un quadro su scala nazionale. I dati statistici, rilevati dalle autrici, con uno spoglio sistematico dei registri conservati negli archivi dei brefotrofi sono strumenti indispensabili per lo studio dell'assistenza all'infanzia dell'Italia postunitaria.

Inchieste, statistiche, atti parlamentari, pub­blicistica e stampati vari indicano il peso rappre­sentato dall'allevamento dei figli nelle classi po­polari, la carenza di servizi per i bambini delle donne lavoratrici, la condanna della società per le madri nubili. «La percentuale media di morta­lità degli illegittimi ed esposti si mantenne sem­pre su valori elevati superando di molto quella dei legittimi: nel decennio 1865-1874 su 5648 bambini rimasti nel brefotrofio di Cosenza ne mo­rirono 5594».

Una puntuale ricerca archivistica analizza nel­la seconda parte del libro la questione dell'infan­zia abbandonata a Milano.

Ancora una volta si dimostra come il dibattito suscitato tra i contemporanei sugli esposti sia riuscito a sensibilizzare l'opinione pubblica, ur­tandosi però con una classe politica che si sot­traeva ai suoi compiti limitandosi a presentare alcuni progetti di legge, per altro mai discussi, in Parlamento.

 

 

MARCO W. BATTACCHI, Delinquenza minorile, psicologia e istituzioni totali, Martello, Milano, 1974, pag. 143, L. 2800.

 

L'attribuzione alla Regione, e quindi attraverso la funzione delegata agli enti locali, del compito di intervenire in alcune materie di fondamentale importanza ai fini della rieducazione del condan­nato (quali l'istruzione artigianale e professiona­le, l'assistenza sanitaria ed ospedaliera), offre materiale all'Autore per rimeditare la gestione del fatto carcerario. Il libro affronta, alla luce di una personale esperienza il ruolo della psichia­tria in una istituzione totale, quale quella del ri­formatorio giudiziario, per denunciarne la possi­bilità di manipolazione da parte del sistema e per chiarire come l'educazione forzata sia un non senso e come sia meglio riconoscere apertamente il carattere punitivo e difensivo della pena ed anche l'impossibile carattere rieducativo. Indivi­duata la contraddizione proprio nella funzione educativa e terapeutica, l'Autore affronta la sop­pressione del riformatorio giudiziario e degli isti­tuti psichiatrici dell'amministrazione penitenzia­ria per antisociali riconosciuti infermi di mente. Soppresse le case di rieducazione ne viene come conseguenza la ricerca di istituzioni e servizi al­ternativi, istituzioni a ingresso forzato, ma a per­manenza libera, collettivi di coetanei e istituti aperti con regimi assembleari.

È proprio dalla sua esperienza e dai suoi rap­porti educativi con giovani internati, che l'A. con­clude che, se la liberalizzazione del carcere cor­risponde ad esigenze umanitarie, non è però suf­ficiente per stimolare movimenti di rivendicazio­ne e di responsabilizzazione del minore delin­quente.

Di qui la richiesta di intervento dell'ente loca­le e del sindacato, nella vita dell'istituzione car­ceraria, non solo come fonte di protezione per il detenuto, ma come promozione di autocoscienza e di autoresponsabilizzazione.

Domandando obbligatoriamente certi servizi ad organizzazioni indipendenti all'amministrazione carceraria (per l'istruzione scolastica ai compe­tenti assessori regionali e provinciali; per l'istru­zione professionale ad aziende e sindacati, per i servizi sanitari agli assessori competenti) ver­rebbe contrastata la struttura monolitica e gerar­chizzata del carcere e sarebbe possibile lavorare con nuovi strumenti, nuove indicazioni, nuovi mo­delli.

 

 

PATRIZIA PAGLIARI TACCANI, Disadattamento, giustizia minorile e sicurezza sociale, Ed. Sa­pere, Milano, 1975, pag. 352, L. 5000.

 

Anche nella ricerca della Patrizia Pagliari Tac­cani sul disadattamento minorile, ricerca che oc­cupa la prima parte del libro, la correttezza dell'impostazione è garantita dall'analisi dei modi e dei termini entro cui le definizioni oggettive, che determinano l'esistenza del minore disadattato, sono vissute da chi le soffre in prima persona. È infatti una ricerca esplorativa con ricognizione di dati e situazioni che vanno dalla psicologia del bambino alla mancanza di strutture socializzanti, dalla situazione del nucleo familiare all'anamne­si dei giovani gravemente disturbati, alla condi­zione adolescenziale nel contesto urbano e nell'immigrazione. Nella seconda parte, là dove ven­gono studiati l'ordinamento della giustizia e dell'assistenza nel nostro paese, l'A. si muove con una precisa documentazione, sottolineando le spinte per un reale cambiamento. In questo cam­po la discussione è più che mai aperta sotto la spinta della forte esigenza antirepressiva che oggi scuote il nostro paese. Ma è soprattutto la possibilità che l'ordinamento regionale, in forza dell'art. 117 della Costituzione, possa affrontare il problema della rieducazione del condannato restituendo al cittadino, che devia con un com­portamento asociale o con un comportamento malato, l'occasione per non essere escluso da ogni diritto civile, che può far scaturire nuove proposte ed interventi meno emarginanti.

 

 

REGIONE VENETA e ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI GIUDICI PER I MINORENNI, Per una poli­tica regionale dei servizi sociali dei minori, Ed. Servizio informazioni della Giunta Regionale Veneta, Venezia, 1975, pag. 471, distribuzione gratuita.

 

Per una politica regionale dei servizi sociali a tutela dei minori, la Regione veneta ha tenuto un convegno ad Abano nel gennaio 1975 in collabo­razione con l'associazione italiana dei giudici per i minorenni, e, pubblicandone gli atti, essa inten­de valutare l'impegno delle forze politiche.

La discussione prende spunto dalla convinzio­ne comune a molti magistrati minorili ed opera­tori sociali per cui «un nuovo assetto dei servizi educativi ed assistenziali nell'ambito locale su­pererà la cosiddetta competenza amministrativa (o rieducativa) dei tribunali per minorenni». Ri­cordiamo tra i molti interventi quello di Battistacci, presidente del tribunale per i minorenni dell'Umbria per i problemi che ha posto; problemi che sono poi quelli cui il dibattito ha fatto rife­rimento:

1) il tribunale di fronte a ragazzi che stanno per essere danneggiati, o sono già danneggiati, dalla famiglia può solo pronunciare provvedimen­ti in materia di limitazione della patria potestà o in materia rieducativa che spesso però rimango­no solo pronunce formali, mancando tutta una serie di servizi di sostegno, di indirizzo, di tera­pia al livello della famiglia o dei minori che han­no subito o stanno subendo i colpi di tale deficien­ze familiari;

2) per i minori che hanno manifestato un comportamento antisociale e magari hanno già delinquito si appalesa sempre meno efficace una azione di ricovero in case di rieducazione, sia per il carattere segregante di queste e sia perché queste, spesso, diventano centri di cultura anti­sociale e deviante. Ne viene di conseguenza la necessità di interventi particolari diversi. Presa coscienza che non è possibile scaricare la de­vianza nel marciapiede, nel vagabondaggio o nel­la droga, né scaricarla nelle case di rieducazione o in manicomio è la comunità che dovrà far pro­pria l'educazione o la rieducazione del giovane deviante.

Decisivo quindi l'apporto degli enti locali e del­la Regione per una nuova politica di servizi so­ciali sul territorio, rispondenti ai bisogni della po­polazione locale, decisivo il nuovo orientamento del giudice minorile come riferimento ai diversi interventi della comunità locale, e come promo­tore dei diritti del minore stesso.

 

 

AA.VV., I poteri locali per la salute in fabbrica, Ed. Lega per le autonomie ed i poteri locali, Roma, 1975, pag. 210, L. 2200.

 

Anche nel settore della salute si pongono dei grossi problemi tra ente locale e popolazione. Il decentramento del servizio sanitario nazionale sarebbe una modifica solo tecnica nell'ambito della prestazione medica se non si fondasse sul­la collaborazione e sull'iniziativa organizzata nel­la società. La medicina preventiva è tale non so­lo se si sforza di prevedere il male, ma se ne ana­lizza le condizioni e cerca di modificarle. Dalla domanda degli operai delle acciaierie di Terni agli enti locali, di esami periodici dell'ambiente di lavoro e della condizione di salute di tutti i la­voratori, nasce un rapporto di stretta collabora­zione tra la provincia di Terni e gli operai delle acciaierie IRI. Gli interventi, che sono nati da que­sta esperienza concreta a partire dal 1970, sono raccolti negli atti del] convegno di Villalago, tenu­to nel maggio 1974 e pubblicati in questo volume.

Da essi apprendiamo che sulla spinta dell'ini­ziativa e della lotta di 6500 lavoratori si è arriva­ti ad una modificazione della salute in quella fab­brica nella stretta collaborazione di tecnici ed operai; questi ultimi non solo si sono conquistati migliori strumenti nella lotta per l'eliminazione delle cause delle malattie professionali, ma han­no contributo al miglioramento di un quartiere a reale vantaggio della popolazione (abbattimento dei fumi). La ricerca da parte del consiglio di fab­brica di nuovi alleati per la lotta della salute in fabbrica, ha portato l'ente locale ad accelerare il suo programma di ristrutturazione.

Schede a cura di GIULIANA LATTES

 

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