Prospettive assistenziali, n. 33, gennaio-marzo 1976
LIBRI
F. TERRANOVA, Il potere assistenziale, Editori Riuniti,
Roma, 1975, pag.
Questo volume di Ferdinando
Terranova rappresenta senza dubbio un valido contributo di ricerca, di analisi e di ipotesi che va ad aggiungersi agli studi
sull'assistenza (in realtà assai scarsi) realizzati nell'ambito della sinistra
italiana.
Infatti quest'opera e quella di Alasia, Freccero, Gallina e Santanera («Assistenza, emarginazione e lotta di classe»),
sono finora gli unici tentativi di fornire un'analisi storica ed ideologica,
di classe, del fenomeno assistenziale nella sua globalità.
Questo vuoto di ricerca si può
ricondurre alla valutazione che finora, in genere, le forze di sinistra hanno
dato dei problemi assistenziali: elemento savrastrutturale, e che quindi non poteva essere
considerato prioritario nella strategia della classe operaia.
Senza voler ribaltare completamente
questa valutazione, mi sembra che ormai oggi sia stato dimostrato che sono
quanto mai stretti ed immediati i rapporti esistenti tra l'evoluzione del capitalismo moderno e l'utilizzazione dell'assistenza,
da parte della classe dominante, come strumento «calmieratore»,
di controllo e di mantenimento dell'ordine costituito.
Ed il numero di persone vittime del
sistema assistenziale, attraverso le sue infinite
articolazioni, come emerge anche da questo volume, ci induce a ritenerlo non
un fenomeno settoriale, ma un elemento di fondo della problematica del rapporto
tra proletariato e sottoproletariato, del fenomeno di continua osmosi tra
queste due classi sociali. In ultima analisi vi è la necessità di verificare
fino a che punto esse siano veramente due classi
distinte e dove invece ci sia la possibilità di ritrovare elementi di coesione
come premessa per una battaglia comune. Approfondendo cioè
il divenire storico di questo vero e proprio «potere assistenziale», l'A. vuole
arrivare a costruire le ipotesi alternative e di lotta che la classe operaia
deve porsi, senza più rimandare il suo impegno in questo settore.
Il libro di Terranova si può dividere
in due parti.
La prima è quella storica, che va
dalle origini della civiltà primitiva sino alla creazione della Repubblica
Italiana.
In essa l'A.
fornisce un'ampia panoramica di come si è andata formando la struttura del fenomeno
assistenziale.
Da questo excursus
pure minuzioso, emerge comunque in maniera evidente la carenza in Italia di
studi che abbiano approfondito con una metodologia storico-politica, i diversi
aspetti della storia dell'assistenza.
Partendo quindi dalla prima forma di assistenza sociale troviamo quella attuata in Grecia,
dove il precetto della beneficenza non è legato alla religione ma alla
saviezza (Atene). Roma finalizza le sue azioni assistenziali
al disegno di consolidare il suo potere e controllare la popolazione. Questi
interventi sono rivolti soprattutto a salvaguardare l'ordine e raramente alla
ricerca di consenso (tribuni della plebe). L'avvento
del Cristianesimo avvia un importante capovolgimento nella vita sociale e
politica dell'impero.
L'ispirazione cristiana, la
condizione della Chiesa primitiva porta gli aderenti ad assumere iniziative
d'ordine assistenziale capaci di stimolare la
solidarietà della comunità. Sarà dopo le persecuzioni che
Al termine del medioevo l'assistenza
è al tempo stesso sia pubblica che privata, ma solo
nel 1600 troviamo le prime leggi di assistenza dello Stato, arrivando poi nel
XVIII secolo, per risolvere il problema del pauperismo, alle case di lavoro,
dove la carità legale assomma in sé repressione e coazione.
Anche in Italia nel 1890 le riforme crispine rendono possibile l'adeguamento della beneficenza
alle nuove esigenze dello Stato borghese (interessanti le tabelle con i dati
statistici delle Opere Pie in rapporto al patrimonio e alle somme erogate). Ma la riproposta da parte dei movimenti cattolici (vedi atti
dei congressi cattolici e loro evoluzione da quello di Venezia del
Ed è partendo da questi che l'Autore
offre contributi interessanti, direttamente collegabili alla battaglia che la
classe operaia, pur con difficoltà e talora contraddizioni, porta avanti per superare l'assistenza emarginante, clientelare e caritatevole.
Dopo l'avvento della Repubblica le istituzioni che operano nel campo
assistenziale sono così polverizzate (1) e senza controlli effettivi che le
forze cattoliche non trovano alcun ostacolo a concludere l'operazione di
egemonia totale nel settore dell'assistenza sociale. Esso
infatti non è tenuto in gran considerazione dalla sinistra ed è proprio
anche per questa disattenzione, che passano le operazioni con cui le varie
correnti della DC si procurano il controllo degli enti pubblici e si
spartiscono fette di potere nel partito e nello Stato.
Ma il trasferimento alle Regioni delle
funzioni statali relative all'assistenza e beneficenza apre a cominciare dal
1970 un dibattito sull'attuazione dell'ordinamento regionale e sulle proposte
di riforma dell'assistenza sociale, oggi ancora in atto. Questo dibattito ha
reso protagonista «la classe operaia nella lotta contro il potere assistenziale
e per l'autorealizzazione dell'uomo umano», come indica
lo stesso titolo del capitolo con cui termina il libro, nei confronti del quale però mi sorgono alcune perplessità.
Mi sembra infatti
che le indicazioni fornite dall'A. riguardo alle alternative alla gestione
dell'assistenza risentano troppo della difficoltà, non ancora completamente
superata, di costruire un movimento di massa su questi problemi.
Mi sembra cioè
che emerga più una tendenza alla razionalizzazione del settore, che al mutamento
radicale della struttura assistenziale stessa, che a mio avviso deve invece
essere l'obiettivo chiaro da porsi.
Si parla di fusione di Opere pie per comparti omogenei, di condizionamento degli
enti nazionali di assistenza, di funzione delle Regioni come coordinamento
degli interventi invece di indicare l'obiettivo dello scioglimento di tutti
gli enti pubblici, comprese le IPAB, del passaggio di tutte le competenze in
materia alle Regioni e di gestione diretta da parte dei Comuni di tutti i
servizi (Unità Locale dei Servizi).
È chiaro che da un lato non è stata ancora tracciata una linea politica di intervento,
organicamente articolata, da parte delle sinistre su questo settore e che il
dibattito relativo ha bisogno ancora di tempo e di ulteriori strumenti per
concludersi e che d'altra parte i rapporti di forza sono ancora tali da imporre
ritmi di realizzazione più lenti e compromessi da accettare, ma questo non deve
esimerci dall'essere estremamente consapevoli di quale è realmente l'obiettivo
in grado di modificare la situazione esistente.
A maggior ragione dopo le elezioni
del 15 giugno, che hanno dimostrato in maniera inequivocabile che il paese
sta andando in una certa direzione e che chiede delle risposte puntuali alle
sue esigenze, anche su questo contraddittorio fronte dell'assistenza.
ALBERTO DRAGONE
(1) Ci spiace rilevare
che l'appendice al capitolo VI e cioè la parte da pag.
A. BONAZZI, Squalificati
a vita, Gribaudi, Torino, 1975, pag.
Alle testimonianze sconvolgenti sui
manicomi, che ormai ci arrivano da tante parti, spesso dopo
che i casi più atroci sono stati portati alla ribalta dalla cronaca, si
aggiunge questa denuncia sui manicomi criminali italiani da parte di un ex
detenuto che ha percorso tutte le tappe di una emarginazione che ha per
«terminal» il manicomio criminale.
Alfredo Bonazzi
è ormai conosciuto nel campo letterario e si batte perché qualcosa sia fatto in
aiuto di quanti, reietti e dimenticati, sono rinchiusi in questi istituti. Le
sue esperienze: riformatorio, carcere, ergastolo e manicomio criminale
l'hanno fatto testimone acutamente cosciente di un sistema che ha per fine «la
difesa del cittadino normale». Tramite l'isolamento, l'intimidazione,
la sopraffazione di vari metodi punitivi e «calmanti», il malato viene
«castigato» per la sua malattia, tenuto meramente in custodia e in condizione
di non nuocere. I mezzi, spesso inumani, impiegati: letto di contenzione e
psicofarmaci poco hanno da vedere con la promozione
della sua salute e del suo ricupero. Gli ospedali criminali accelerano
l'annullamento di personalità già disturbate o malate, attentano alla distruzione
della dignità umana, ed hanno per «utenti» la parte più misera, abbandonata,
indifesa della società che va dai giovane uscito dal
riformatorio al giovane drogato.
Tutti dovremmo
fare una «scelta di fondo» se non vogliamo partecipare a questi «assassini legalizzati
».
MIRIAM MONTALENTI
AA.VV., Gli handicappati nella scuola di tutti. Atti del Convegno di Roma, 1-3
novembre 1974, sui problemi dell'inserimento dell'handicappato a scuola, Editrice Sindacale Italiana, Roma, 1974, pag.
L'interesse destato dal convegno
sugli handicappati nella scuola di tutti, è comprovato dal numero qualificato
dei partecipanti, dall'esposizione delle esperienze e
dai commenti favorevoli della stampa.
Nel dibattito a cui hanno preso
parte rappresentanti di enti locali, sindacati,
associazioni culturali, con la presentazione di studi e di esperienze di
insegnanti psichiatri, psicologi e centri medici si è cercato di individuare
le cause, in questa società del profitto e dello sfruttamento, dell'emarginazione
degli handicappati e le soluzioni attuabili e decisive per por fine
all'esclusione dalla vita sociale e di lavoro di una categoria di individui
con spreco di intelligenze e di possibilità lavorative.
Dal dibattito sono scaturite
proposte di azione immediata espresse nel documento
conclusivo del Convegno che «rivendica quindi, da subito, la possibilità di
inserimento dei bambini handicappati nella scuola di tutti, così com'è, senza
distinzioni settoriali, lottando contemporaneamente per un processo di
rinnovamento delle strutture scolastiche in rapporto dialettico con l'esterno».
MIRIAM MONTALENTI
AA.VV., Politica locale dei servizi. Documentazione
sulla prima legislatura, AAI, Roma, 1975, pag. 799, Ed.
fuori commercio.
Questo volume vuol essere l'offerta
di una documentazione selezionata sui risultati della
legislazione regionale di questi anni sul tema della politica ed
organizzazione locale dei servizi.
Non sempre è facile infatti essere informati su quanto è avvenuto nel Paese
negli ultimi cinque anni e rendersi perciò conto di quanto è maturato, pur con
i suoi limiti, in altre situazioni regionali, costituendo ciò una
sollecitazione per tutti nello sforzo di far crescere dal basso una sempre più
chiara ed effettiva politica locale dei servizi.
Il volume, che può essere richiesto
alle sedi provinciali dell'AAI, costituisce un utilissimo strumento di lavoro
che consigliamo vivamente, insieme all'altra pubblicazione sempre dell'AAI, «Verso una
normativa del settore della formazione degli operatori
sociali».
MARICLA BOGGIO, Ragazza
madre: storie di donne e dei loro bambini,
Marsilio Ed., Venezia, 1975, pag.
Occorre dire
che, specialmente dopo che cinema, letteratura e giornalismo hanno esplorato
con dovizia di particolari il mondo degli emarginati, queste interviste alle
ragazze madri avrebbero potuto dare un panorama drammatico, ma ormai
ampiamente illustrato dai mass-media, se l'autrice non li avesse collegati a
una analisi storica, sociologica e politica della donna.
L'atteggiamento della donna sola,
che deve affrontare il problema della maternità è
molto condizionato dalla situazione sociale in cui vive. Non sono solo i
problemi economici che essa deve affrontare, anche se è necessario che essi
siano risolti, ma sono i modi in cui essa percepisce la sua esclusione dalla
«normalità». Come per l'uomo, che il modello sociale ha escluso da questa
responsabilità, anche per la ragazza madre deve essere smitizzato il modello
che la società le ha imposto. Essa deve poter scegliere
liberamente: solo così essa potrà dare una continuità, una sicurezza,
un equilibrio al suo sviluppo e a quello del suo bambino.
MARIA GRAZIA GORNI e LAURA PELLEGRINI, Un problema di storia sociale. L'infanzia abbandonata
in Italia nel secolo XIX,
I nodi dello sviluppo sociale ed
economico sono messi a fuoco da Maria Grazia Gorni
in «Il problema degli esposti in Italia dal 1861 al 1900» e da Laura Pellegrini
in «L'esposizione dei fanciulli a Milano dal 1860 al 1901» con due saggi che
hanno l'intento di offrire uno strumento essenziale di orientamento
al problema dell'infanzia abbandonata in Italia.
I cinquantamila bambini (al disotto
dei dieci anni di età) assistiti annualmente da
brefotrofi ed amministrazioni locali, i trenta o quaranta mila neonati
abbandonati alla carità pubblica, nella seconda parte del secolo scorso, danno
già una dimensione almeno quantitativa del problema e ne forniscono un quadro
su scala nazionale. I dati statistici, rilevati dalle autrici, con uno spoglio
sistematico dei registri conservati negli archivi dei brefotrofi sono strumenti
indispensabili per lo studio dell'assistenza all'infanzia dell'Italia postunitaria.
Inchieste, statistiche, atti
parlamentari, pubblicistica e stampati vari indicano il peso rappresentato dall'allevamento
dei figli nelle classi popolari, la carenza di
servizi per i bambini delle donne lavoratrici, la condanna della società per le
madri nubili. «La percentuale media di mortalità degli illegittimi ed esposti
si mantenne sempre su valori elevati superando di molto quella dei legittimi:
nel decennio 1865-1874 su 5648 bambini rimasti nel brefotrofio di Cosenza ne morirono 5594».
Una puntuale ricerca archivistica
analizza nella seconda parte del libro la questione
dell'infanzia abbandonata a Milano.
Ancora una volta si dimostra come il
dibattito suscitato tra i contemporanei sugli esposti sia riuscito a
sensibilizzare l'opinione pubblica, urtandosi però
con una classe politica che si sottraeva ai suoi compiti limitandosi a
presentare alcuni progetti di legge, per altro mai discussi, in Parlamento.
MARCO W. BATTACCHI, Delinquenza minorile, psicologia e
istituzioni totali, Martello, Milano, 1974, pag.
L'attribuzione alla Regione, e
quindi attraverso la funzione delegata agli enti locali, del compito di
intervenire in alcune materie di fondamentale importanza ai fini della
rieducazione del condannato (quali l'istruzione artigianale e professionale, l'assistenza sanitaria ed ospedaliera), offre materiale
all'Autore per rimeditare la gestione del fatto
carcerario. Il libro affronta, alla luce di una personale esperienza il ruolo
della psichiatria in una istituzione totale, quale
quella del riformatorio giudiziario, per denunciarne la possibilità di
manipolazione da parte del sistema e per chiarire come l'educazione forzata sia
un non senso e come sia meglio riconoscere apertamente il carattere punitivo e
difensivo della pena ed anche l'impossibile carattere rieducativo.
Individuata la contraddizione proprio nella funzione educativa e terapeutica,
l'Autore affronta la soppressione del riformatorio giudiziario e degli istituti
psichiatrici dell'amministrazione penitenziaria per antisociali riconosciuti
infermi di mente. Soppresse le case di rieducazione ne viene come conseguenza
la ricerca di istituzioni e servizi alternativi,
istituzioni a ingresso forzato, ma a permanenza libera, collettivi di coetanei
e istituti aperti con regimi assembleari.
È proprio dalla sua esperienza e dai
suoi rapporti educativi con giovani internati, che l'A. conclude che, se la
liberalizzazione del carcere corrisponde ad esigenze umanitarie, non è però
sufficiente per stimolare movimenti di rivendicazione e
di responsabilizzazione del minore delinquente.
Di qui la richiesta di intervento dell'ente locale e del sindacato, nella vita
dell'istituzione carceraria, non solo come fonte di protezione per il
detenuto, ma come promozione di autocoscienza e di autoresponsabilizzazione.
Domandando obbligatoriamente certi
servizi ad organizzazioni indipendenti all'amministrazione carceraria (per
l'istruzione scolastica ai competenti assessori regionali e provinciali; per
l'istruzione professionale ad aziende e sindacati, per i servizi sanitari agli
assessori competenti) verrebbe contrastata la struttura monolitica e gerarchizzata del carcere e sarebbe possibile lavorare con
nuovi strumenti, nuove indicazioni, nuovi modelli.
PATRIZIA PAGLIARI TACCANI, Disadattamento, giustizia minorile e sicurezza sociale, Ed. Sapere, Milano, 1975, pag.
Anche nella ricerca della Patrizia Pagliari Taccani sul
disadattamento minorile, ricerca che occupa la prima parte del libro, la correttezza
dell'impostazione è garantita dall'analisi dei modi e dei termini entro cui le
definizioni oggettive, che determinano l'esistenza del minore disadattato, sono
vissute da chi le soffre in prima persona. È infatti
una ricerca esplorativa con ricognizione di dati e situazioni che vanno dalla
psicologia del bambino alla mancanza di strutture socializzanti, dalla
situazione del nucleo familiare all'anamnesi dei giovani gravemente
disturbati, alla condizione adolescenziale nel contesto urbano e nell'immigrazione.
Nella seconda parte, là dove vengono studiati l'ordinamento della giustizia e
dell'assistenza nel nostro paese, l'A. si muove con una precisa documentazione,
sottolineando le spinte per un reale cambiamento. In
questo campo la discussione è più che mai aperta
sotto la spinta della forte esigenza antirepressiva che oggi scuote il nostro
paese. Ma è soprattutto la possibilità che l'ordinamento regionale, in forza
dell'art. 117 della Costituzione, possa affrontare il
problema della rieducazione del condannato restituendo al cittadino, che devia
con un comportamento asociale o con un comportamento malato, l'occasione per
non essere escluso da ogni diritto civile, che può far scaturire nuove proposte
ed interventi meno emarginanti.
REGIONE VENETA e ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI GIUDICI PER I
MINORENNI, Per una
politica regionale dei servizi sociali dei minori, Ed. Servizio informazioni della Giunta Regionale Veneta,
Venezia, 1975, pag. 471, distribuzione gratuita.
Per una politica regionale dei
servizi sociali a tutela dei minori,
La discussione prende spunto dalla
convinzione comune a molti magistrati minorili ed
operatori sociali per cui «un nuovo assetto dei servizi educativi ed
assistenziali nell'ambito locale supererà la cosiddetta competenza
amministrativa (o rieducativa) dei tribunali per
minorenni». Ricordiamo tra i molti interventi quello di Battistacci,
presidente del tribunale per i minorenni dell'Umbria per i problemi che ha
posto; problemi che sono poi quelli cui il dibattito
ha fatto riferimento:
1) il tribunale di fronte a ragazzi
che stanno per essere danneggiati, o sono già danneggiati, dalla famiglia può
solo pronunciare provvedimenti in materia di limitazione della patria potestà
o in materia rieducativa che spesso però rimangono solo pronunce formali, mancando tutta una serie di servizi
di sostegno, di indirizzo, di terapia al livello della famiglia o dei minori
che hanno subito o stanno subendo i colpi di tale deficienze familiari;
2) per i minori che hanno
manifestato un comportamento antisociale e magari hanno già delinquito si appalesa sempre meno efficace una azione
di ricovero in case di rieducazione, sia per il carattere segregante di queste
e sia perché queste, spesso, diventano centri di cultura antisociale e
deviante. Ne viene di conseguenza la necessità di
interventi particolari diversi. Presa coscienza che non è possibile scaricare
la devianza nel marciapiede, nel vagabondaggio o nella
droga, né scaricarla nelle case di rieducazione o in manicomio è la comunità
che dovrà far propria l'educazione o la rieducazione del giovane deviante.
Decisivo quindi l'apporto degli enti
locali e del
AA.VV., I poteri locali per la salute in fabbrica, Ed.
Lega per le autonomie ed i poteri locali, Roma, 1975, pag.
Anche nel settore della salute si pongono
dei grossi problemi tra ente locale e popolazione. Il decentramento del
servizio sanitario nazionale sarebbe una modifica solo tecnica nell'ambito
della prestazione medica se non si fondasse sulla
collaborazione e sull'iniziativa organizzata nella società. La medicina
preventiva è tale non solo se si sforza di prevedere il male, ma se ne analizza le condizioni e cerca di modificarle. Dalla
domanda degli operai delle acciaierie di Terni agli enti locali, di esami periodici dell'ambiente di lavoro e della
condizione di salute di tutti i lavoratori, nasce un rapporto di stretta
collaborazione tra la provincia di Terni e gli operai delle acciaierie IRI.
Gli interventi, che sono nati da questa esperienza concreta a
partire dal 1970, sono raccolti negli atti del] convegno di Villalago, tenuto nel maggio 1974 e pubblicati in questo
volume.
Da essi
apprendiamo che sulla spinta dell'iniziativa e della lotta di 6500 lavoratori
si è arrivati ad una modificazione della salute in quella fabbrica nella
stretta collaborazione di tecnici ed operai; questi ultimi non solo si sono
conquistati migliori strumenti nella lotta per l'eliminazione delle cause delle
malattie professionali, ma hanno contributo al miglioramento di un quartiere a
reale vantaggio della popolazione (abbattimento dei fumi). La ricerca da parte
del consiglio di fabbrica di nuovi alleati per la lotta della salute in
fabbrica, ha portato l'ente locale ad accelerare il suo programma di
ristrutturazione.
Schede a cura di
GIULIANA LATTES
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