Prospettive assistenziali, n. 33, gennaio-marzo 1976
NON SIAMO I SOLI A DIRLO
CASA: UN DIRITTO ANCHE PER GLI ANZIANI
Se l'assistenza domiciliare è il
nuovo modo di assistere l'anziano nell'intento di strapparlo alla triste e
iniqua sorte del «ricovero a vita», non ci si può dimenticare che l'alloggio, cioè il luogo dove l'anziano vive, presso cui gli dovrebbero
venire offerti i servizi di aiuto domestico ed infermieristico necessari alle
sue esigenze ed al suo stato di salute, diventa la condizione principale per
una politica sociale alternativa. Se l'anziano non può affrontare la spesa di
un alloggio, o se vive in un ambiente fatiscente, insalubre, inadatto alle
sue ridotte capacità fisiche, il ricovero in un'istituzione assistenziale,
per quanto indesiderato, è un male necessario, magari il male minore. D'altra
parte l'assistenza domiciliare portata in una baracca o in un ambiente malsano
di un vecchio centro storico, dove l'anziano è già condannato ad una
situazione di vita sbagliata sarebbe come vuotare il
mare con un cucchiaino. Non sappiamo quante sono le persone
anziane che non avendo potuto disporre di un alloggio adatto hanno ripiegato
sulla casa di riposo, ma devono essere decisamente parecchie. È sufficiente
pensare che la ricerca di una casa è un dramma per milioni di
italiani perché in pieno e libero regime di speculazione sulle aree e
sugli immobili, le case sono paurosamente costose: nelle zone metropolitane il
canone di affitto incide per il 50% sul salario del lavoratore. Gli anziani
sono automaticamente i primi ad essere tagliati fuori dal
mercato edilizio.
L'edilizia pubblica, oltre ad avere
un'incidenza minima, è ancorata tutt'oggi, nei criteri di assegnazione degli alloggi, a leggi
che privilegiano soprattutto le giovani famiglie dei lavoratori per cui non c'è traccia nei programmi di edilizia popolare di riserve
di appartamenti da destinare ad anziani o pensionati.
In questo quadro dove vivono gli
anziani con redditi o pensioni esigue? Quelli che non si
candidano all'autoemarginazione negli istituti, vivono
nelle baracche delle periferie urbane o in squallidi, tetri, malsani alloggi
dei centri storici. Ma sarebbe un errore non vedere anche in questa condizione
di vita una forma di espulsione dal contesto sociale.
Soprattutto sarebbe come ignorare il valore sul piano della prevenzione primaria,
cioè della tutela dell'armonia del quadro fisico e
psichico, che ha la condizione alloggiativa per
l'anziano. Vivere in una casa confortevole e dignitosa, sana
ed igienica, inserita nel tessuto sociale, agibile anche per chi perde
parte della sua autonomia, è pure questo un modo per evitare o ritardare un
deterioramento della salute fisica e mentale. Molto opportunamente di questi
problemi si sono fatte carico le Regioni con le loro leggi per gli anziani, sia
prevedendo la riserva di alloggi nei programmi di
edilizia pubblica, sia contemplando contributi per il pagamento dei canoni di
affitto. Questa seconda soluzione non rappresenta però il modo più corretto di affrontare il problema. Come non ravvisare scegliendo
questa strada, che nei tempi brevi può avere una giustificazione, il pericolo
di foraggiare con i soldi pubblici la speculazione
edilizia? Per dare risposte più appropriate al problema è necessario muoversi
su altri piani: oltre alla riserva di alloggi per
anziani tra quelli realizzati dall'intervento pubblico e alla costruzione di
case albergo, esplicitamente previste dalla legge che ha riformato l'edilizia
residenziale pubblica, sarebbe nettamente preferibile che i comuni da parte
loro impegnassero le loro risorse sia per il risanamento dei centri storici e
quindi per il riattamento degli alloggi che già esistono sia per realizzare le
comunità alloggio. Infine, che parte delle abitazioni di
proprietà degli enti locali vengano riservate alle persone anziane. Un
esempio di come si può operare per offrire condizioni alloggiative adeguate alla popolazione anziana che vive
nelle vecchie case dei centri storici delle nostre città, ce lo offre il Comune
di Bologna. Tra gli obbiettivi dell'azione di bonifica e di rivitalizzazione
del centro storico bolognese, ci si è posti proprio
quello di ristrutturare quelle abitazioni, prive di manutenzione e servizi
adeguati, dove vivono prevalentemente anziani, immigrati, poveri. Se l'anziano
già vive in questi ambienti, e questo è vero nella gran parte delle città
italiane, è certamente preferibile operare uno sforzo economico per riadattare
queste abitazioni nel quadro di un più generale
processo di risanamento del centro storico, anziché proporre inutili e
traumatici «trapianti».
Un secondo modo di affrontare il
problema è quello di riservare sia tra le nuove abitazioni costruite
dall'intervento pubblico, sia tra quelli che vengono
dati in affitto a canoni bassi dagli enti locali e dagli enti pubblici un certo
numero di alloggi per le persone anziane, avendo cura di scegliere quelli più
piccoli, di facile manutenzione, collocati nei piani bassi degli stabili.
Anche le case-albergo che la legge
Nel prospettare il ventaglio delle
soluzioni che sul piano alloggiativo vengono già offerte o che potranno venire predisposte per la
popolazione anziana, abbiamo volutamente preferito non soffermarci sugli standards edilizi delle case per gli anziani, aspetto
questo sul quale c'è un gran fiorire di proposte e di studi. Progettare le case
eliminando quelle barriere architettoniche che si frappongono ad una vita
normale dell'anziano nell'ambito della residenza è un
problema più generale che riguarda tutti i cittadini e non già solo gli
anziani. Progettare ambienti di vita che non costituiscono un'insidia o una
barriera per l'anziano, per il bambino, per l'handicappato, per la donna
incinta, per il traumatizzato è il requisito essenziale per progettare ambienti
a misura d'uomo. Limitare questo problema solo agli
anziani potrebbe voler dire che se certi standards sono irrinunciabili la soluzione del loro
problema alloggiativo è differita nel tempo, quando
avremo sul mercato queste case perfette il cui tutto è studiato ad hoc per la
persona anziana. Ma nel frattempo non possiamo dimenticarci che quotidianamente
migliaia di anziani vivono il dramma di non avere una
casa decente ed igienica.
da LUCIA PORZIO, Casa: un diritto anche per gli anziani,
in «Il Pensionato d'Italia», n. 6, giugno 1975.
Questo
articolo dimostra che pur lentamente qualcosa si muove. Come in altri paesi,
anche in Italia si sono levate voci di medici ed operatori sociali per
confermare che le persone anziane preferiscono continuare a vivere là dove sono
sempre vissute e dove sono i loro ricordi; perché è
la confidenza con l'ambiente più che un rifugio confortevole a dar loro
sicurezza: così che mentre si è tentati di pensare per loro ad istituzioni
specializzate, la realtà condanna poi queste soluzioni. In Italia si parla di assistenza povera, ma poi si continua ad intervenire con
miliardi alla costruzione di grossi centri residenziali per anziani. La
rivista mensile dell'Opera nazionale dei pensionati d'Italia (ONPI) continua a
ribadire la
validità di queste istituzioni tradizionali.
Nel
numero 7 (luglio 1975) con discorsi di presidenti, tagli di nastri inaugurali,
carabinieri in gran tenuta, viene annunciata
«l'inaugurazione del 39° centro residenziale a Livorno», ambienti vasti e
piacevoli, servizi funzionali ed efficienti (per quanto tempo?) parco, sale di
lettura ecc. Vi sono accolti, separati dal loro tessuto di relazioni sociali,
300 ospiti anziani.
Cosa spinge verso questo
gigantismo assistenziale? Numerosi fattori: il corporativismo assistenziale,
la politica di prestigio e di potere di numerose amministrazioni locali, la
sollecitazione di medici che concupiscono fette di
guadagno aggiunto, la concezione di case di riposo come azienda, le
condizioni sanitarie ed ambientali della popolazione anziana che aumenta la domanda
privata anche di coloro che potrebbero essere oggetto di misure preventive
domiciliari od ambulatoriali o con un sussidio maggiore, potrebbero rimanere a
casa propria o essere accolti in comunità alloggio.
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